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 Massime della sentenza

 

 

CORTE DI CASSAZIONE penale, sez. IV, 11 dicembre 2002, (c.c. 12 dicembre 2001) n. 41388.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Corte di Cassazione penale, sez. IV, 11 dicembre 2002, (c.c. 12 dicembre 2001) n. 41388.

Pres. Fattori - Est. Battisti - RM. Cedran go/o (con f.) - Ric. Andreani.


Omissis


Svolgimento del processo.

 

1. - II Tribunale del riesame di Udine accertava e osservava quanto segue nel decidere, in sede di rinvio alla Corte di Cassazione, sulla richiesta di riesame proposta dalla “Fingel” sri, in persona dell’Amministratore unico Roberto Andreani, avverso iI provvedimento, in data 27 giugno 2000, con il quale il Gip del Tribunale di Udine aveva disposto il sequestro preventivo “delle linee produttive afferenti all’impianto di depurazione dello stabilimento della Fingel”.


a) La “Fingei” eseguiva originariamente una “attività produttiva (lavorazione su alghe) dotata di sistema di trattamento delle acque di risulta del processo produttivo al fine di rendere le acque reflue dell’impianto a norma con ii regolamento di fognatura del Consorzio di depurazione delle acque della Bassa Friulana” e, per tale attività, era stata autorizzata ad effettuare lo scarico nella rete fognaria dal sindaco del Comune di San Giorgio con atto del 30 maggio 1994.


b) In data 5 luglio 1994 la Fingel chiedeva l’autorizzazione alla produzione e commercio di additivi chimici.


c) Nel febbraio del 1997 entrava in yigore il D.L. 5 febbraio 1997, n. 22.


Questo provvedimento legislativo, cosiddetto “Decreto Ronchi”, nell’art. 27 disciplinava il procedimento per “l’approvazione del progetto e per l’autorizzazione alla realizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti” e, nell’art. 28, dettava le regole da seguire “per l’autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero”.


L’Amministratore Unico della Fingel Roberto Andreani il 29 dicembre 1997 chiedeva all’Amministrazione provinciale l’autorizzazione, ai sensi dell’anzidetto decreto legge, “alla realizzazione di un processo di pretrattamento dei reflui, ciassificabili ai sensi dello stesso decreto come rifiuti non pericolosi, conferiti all’impianto mediante autobotte”.


d) La Provincia, in applicazione dell’art. 2, comma 2-bis L.R., Regione Friuli-Venezia Giulia del 14 giugno 1996, n. 22, che aveva introdotto modifiche alla L.R. 7 settembre 1987, n. 30, riteneva che l’autorizzazione non fosse richiesta e ciò perché l’art. 2, comma 2-bis, non comprendeva tra gli impianti di smaltimento, per i quali erano necessarie le autorizzazioni previste nel decreto “Ronchi”, gli impianti di depurazione disciplinati dalla L. n. 319/1976 (legge Merli).


Con l’art. 2, comma 2 bis, della L.R. n. 30 del 1987 il legislatore regionale aveva, infatti, stabilito - secondo l’Amministrazione provinciale - che gli impianti di depurazione non dovevano sottostare al regime autorizzativo previsto dalla normativa speciale in materia di rifiuti, escludendo da questa anche gli impianti di trattamento di rifiuti liquidi non collegati a pubbliche fognature nè pertinenze di impianti produttivi.


e) La Corte costituzionale, con sentenza del 20 maggio 1998, n. 173, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge regionale n. 22 del 1996 “nella parte in cui escludeva dagli impianti di smaltimento gli impianti di depurazione, per conto terzi, di rifiuti liquidi, così esonerando la loro gestione dall’obbligo di autorizzazio ne di cui al D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 e al successivo D.L. n. 22 del 1997, “il quale, pur abrogando esplicitamente il D.P.R. n. 915 del 1982, ne manteneva, tuttavia, la stessa impostazione - così la sentenza della Corte -rispetto alla regolamentazione degli scarichi idrici, dato che, all’art. 8, lett. c), ricomprende espressamente nel proprio ambito disciplinare, distinguendoli dalle “acque di scarico”, i “rifiuti allo stato liquido”, usando proprio i termini dell’art. 2, comma 2, lett. d), della direttiva 75/442/CEE, che iI D.P.R. n. 915 aveva recepito e attuato”.


La Corte costituzionale richiamava anche la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione sul punto, ponendo in evidenza che, secondo questa giurisprudenza, “il criterio interpretativo fondamentale per l’applicazione del D.P.R. n. 915 del 1982 e della L. n 319 del 1975 consisteva nel fatto che “il decreto n. 915 del 1982 disciplina tutte le singole operazioni di smaltimento - conferimento, raccolta, trasporto, ammasso, stoccaggio, ecc. - dei rifiuti prodotti da terzi, siano essi solidi o liquidi o sotto forma di liquami, con esclusione di quelle fasi, concernenti i rifiuti liquidi o assimilabili, attinenti allo scarico e riconducibili alla disciplina stabilita dalla legge n. 319 del 1975, con l’unica eccezione dei fanghi e liquami tossici e nocivi, che sono, sotto ogni profilo, regolati dal D.P.R. n. 915”.


f) La Regione Friuli-Venezia Giulia, il 3 giugno 1998 -a ridosso del 4 giugno, data di inizio dell’efficacia “abrogatrice” della sentenza della Corte costituzionale - emetteva un’ordinanza contingibile ed urgente, ai sensi dell’art. 13 del D.L. n. 22 del 1997.


E in questa ordinanza, richiamata la sentenza della Corte costituzionale - secondo la quale “tutti gli impianti di trattamento dei reflui non risultavano legittimati in quanto non provvisti dell’autorizzazione di cui all’art. 27 del D.L. n. 22 del 1997 - dettava una disciplina transitoria prevedendo che, per gli impianti già realizzati, era sufficiente la sola autorizzazione all’esercizio di operazioni per lo smaltimento dei rifiuti richiesta dall’art. 28 del D.L. n. 22 del 1997, attribuiva valore sostitutivo dell’autorizzazione, di cui all’art. 27 del predetto provvedimento legislativo, alla specifica, precedente, valutazione, da parte degli organi tecnici, dei progetti degli impianti e disponeva che, in sede di rilascio della autorizzazione all’esercizio dell’impianto, ex art. 28 D.L.vo n. 22 del 1997, l’istruttoria venisse integrata con la verifica della conformità dello stesso impianto al progetto approvato.


g) Il Gip del Tribunale di Udine, con provvedimento del 27 giugno 2000, nel procedimento a carico dell’Andreani per violazione dell’art. 51, comma 1, lett. b), del D.L. n. 22 del 1997 - era stato contestato all’Andreani di avere realizzato e gestito un impianto di smaltimento dei rifiuti, solidi liquidi anche pericolosi senza l’autorizzazione prevista dall’art. 27 del D.L. n. 22 del 1997 - disponeva iI sequestro preventivo delle linee produttive afferenti all’impianto di depurazione dello stabilimento della Fingel.


h) II tribunale del riesame, con ordinanza del 10luglio 2000, annullava il decreto, osservando, tra l’altro, che, nel caso in esame, v’era totale ed evidente assenza dell’elemento soggettivo del reato perché l’indagato era stato indotto alla condotta, che gli era stata contestata, da atti formali e reiterati della P.A., la quale aveva originariamente rigettato l’istanza di autorizzazione per la realizzazione dell’impianto.


i) La Corte di Cassazione, con sentenza del 24 gennaio 2001, annullava con rinvio l’ordinanza dei tribunale, affermando che il sindacato di quest’ultimo non si. era limitato all’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti, come avrebbe dovuto, ma era entrato nel merito del problema della responsabilità valutando, negandolo, il profilo della colpevolezza, valutazione che non gli competeva.


1)11 tribunale del riesame, in sede di rinvio, con ordinanza del 4 giugno 2001, sindacando, in via incidentale, l’ordinanza contingibile ed urgente della Regione, ne riteneva la, illegittimità sia perché la stessa, nel prevedere la necessità dell’autorizzazione soltanto per l’esercizio dell’impianto, ex art. 28 D.L. n. 22 del 1997, e non per la realizzazione dello stesso, come esige l’art. 27 di questo provvedimento, finiva per confermare la non necessità dell’autorizzazione, in palese contrasto con la pronuncia della Corte costituzionale, sia perché quell’ordinanza violava un altro essenziale presupposto delle ordinanze contingibili ed urgenti, in quanto non garantiva una elevata tutela dell’ambiente, avendo reso meno pregnante, non ritenendo necessaria l’autorizzazione ex art. 27, anche il controllo, successivo, all’esercizio dell’impianto, previsto dall’art. 28, controllo che presuppone, appunto, la verifica della conformità degli impianti all’autorizzazione, che nel caso sarebbe, comunque, mancata.


2. Il difensore ricorre per cassazione con tre motivi.


I. - Denuncia, nel primo “violazione e falsa applic&zione degli artt. 13, 27, 28 e 51 D.L.vo n. 22/1997, violazione e falsa applicazione dell’art. 321 c.p.p.”, deducendo che l’art. 13 consente iI ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti anche in deroga alle disposizioni di legge al fine di fronteggiare situazioni di eccezionale e urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell’ambiente”.


E', dunque, lo stesso art. 13, fonte del potere di ordinanza, che legittimava il presidente della Giunta regionale a derogare anche all’art. 27 del D.L. n. 22 del 1997, avendo l’Autorità regionale correftamente ritenuto che gli impianti di trattamento dei rifiuti già operanti alla data del 4 giugno 1998 non fossero nuovi impianti ai sensi e per gli effetti dell’art. 27 e non necessitassero, quindi, della autorizzazione.


L’art. 27 era, in altre parole, inapplicabile, donde, anche, la corretta applicazione dell’art. 28, cui si è temporaneamente, derogato.


Il. - Denuncia, nel secondo, “violazione e falsa applicazione degli artt. 13, 27 e 28, sotto altro aspetto”, premettendo che “il tribunale ha ravvisato la illegittimità dell’ordinanza sotto il diverso profilo della violazione, da parte dell’ordinanza contingibile ed urgente, del disposto dell’art. 13 nella parte in cui impone la garanzia dell’elevata tutela dell’ambiente”, deducendo che “l’autorizzazione è espressamente contemplata dal provvedimento regionale, ex art. 28, in forma semplificata, onde è la stessa a fungere da elemento di verifica della conformità dell’impianto alla normativa di riferimento, tanto che ii provvedimento regionale fa espresso riferimento alla circostanza che, “comunque, i progetti di tali impianti, seppure ai fini della depurazione delle acque, sono stati sottoposti alla valutazione degli organi tecnici”.


III - Denuncia, nel terzo motivo, “violazione e falsa applicazione dell’art. 51 c.p. e dell’art. 321 c.p.p.”, deducendo che “dalla perfetta legittimità dell’ordinanza contingibile ed urgente discende che l’attività di smaltimento dei rifiuti compiuta in aderenza a tale provvedimento è da intendersi scriminata, costituendo la stessa vero e proprio esercizio di un diritto”.


Motivi della decisione.

 

1. - Il primo motivo è privo di fondamento giuridico.


a) Il ricorrente deduce sia che l’ordinanza del presidente della Giunta regionale ha legittimamente derogato all’art. 27 del D.L. n. 22 del 1997 consentendogli l’art. 13, comma 1, il potere di emettere ordinanze contingibili e urgenti, per permettere il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione di rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti - e l’art. 27 in questione è certamente, si dice, disposizione vigente - sia che - e lo ripete più volte - l’art. 27 è inapplicabile al caso di specie, ché il presidente della Giunta regionale “ha correttamente ritenuto che gli impianti, come quello della Fingel, già in esercizio alla data di entrata in vigore della sentenza della Corte costituzionale, non possono essere qualificati come “impianti nuovi da realizzare” ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 27 del decreto Ronchi”.


“La circostanza che tali impianti fossero già esistenti, operativi e, soprattutto, debitamente autorizzati da parte dei competenti organi, di cui alla normativa sul trattamento delle acque reflue, induce, infatti, a escludere che i medesimi possano essere equiparati agli impianti non ancora realizzati”.


b) Ebbene, è evidente, anzitutto, la contraddizione in cui incorre il ricorrente.


Se si ritiene, invero, che l’art. 27 è, nel caso in esame, inapplicabile, non ha alcun senso invocarne anche la derogabiità, ché o la fattispecie è tra quelle regolate dalla disposizione vigente, cioè dall’art. 27, e allora si può discutere a ragione la derogabilità di questa norma, o la fattispecie non è tra quelle di cui si interessa l’art. 27, in tesi inapplicabile, e, allora, teorizzare la derogabiità di questa norma non ha alcun significato giuridicamente apprezzabile.


c) Premesso, in secondo luogo, che è vero che l’ordinanza del presidente della Giunta regionale interpretata la norma dell’art. 27 come norma inapplicabile, la tesi della inapplicabiità è, però, senza fondamento, con la conseguenza della illegittimità dell’ordinanza del presidente della Giunta regionale del 3 giugno 1998, come ha correttamente affermato il tribunale.


I - Il più volte citato art. 27, nel disciplinare l’iter per l’approvazione del progetto e per l’autorizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, dice, infatti, che “i soggetti che intendono realizzare nuovi impianti di smaltimento o di recupero dei rifiuti anche pericolosi debbono...”, e, tenuto conto, come ha posto in rilievo la Corte costituzionale, che il D.L.vo n. 22 del 1997, pur abrogando esplicitamente il D.P.R. n. 915 del 1982, ne mantiene la stessa impostazione rispetto alla regolamentazione degli scarichi idrici, l’espressione nuovi impianti non può avere altro significato se non che la norma dell’art. 27 sarebbe stata da osservare non per gli impianti già esistenti, posti in essere nella vigenza della precedente legge - sul punto sostanzialmente identica alla successiva - ma - e non doveva esservi alcun dubbio - soltanto per gli impianti di nuova creazione.


E che sia questo il significato della espressione nuovi impianti usata dal legislatore lo ha ritenuto lo stesso Andreani, iI quale, iI 29 dicembre 1997, dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 22 del 1997, ha chiesto all’Amministrazione provinciale l’autorizzazione, ai sensi dell’art. 27 del predetto decreto, alla “realizzazione di un processo di pretrattamento dei reflui classificabii, ai sensi del decreto, come rifiuti non pericolosi, conferiti all’impianto Thedesimo mediante ‘autobotte’, con mutamento, quindi, dell’originaria attività autorizzata”, come ha commentato lì tribunale, e, dunque, con esplicita previsione proprio di un nuovo impianto.


Già il tribunale ha osservato, sul punto, che “non v’è dubbio che la disciplina applicabile al tipo di attività svolta dalla Fingel sia quella dettata nell’art. 27 e in coerenza si era mosso anche l’Andreani cui veniva contrapposta, dalla Provincia, la diversa disciplina regionale che escludeva dagli impianti di smaltimento gli impianti di depurazione per conto terzi di rifiuti esonerandoli dall’autorizzazione.


II - Volendo, peraltro, prescindere dalla iniziativa dell’Andreani, è la sentenza della Corte costituzionale che non consente di nutrire dubbi sulla applicabilità dell’art. 27 al caso di specie.


Se si riflette, anzitutto, che l’Andreani aveva chiesto l’autorizzazione volendo modificare l’originaria attività realizzata nell’attività prevista dall’art. 27; se si considera, poi, che la Provincia ha rigettato la richiesta affermando che l’autorizzazione non era dovuta, non perché l’impianto non fosse un nuovo impianto, ma ai sensi dell’art. 2, comma 2-bis, della legge regionale 14 giugno 1996, n. 22; se si tiene conto, infine, che la Corte costituzionale è intervenuta, con la sentenza 20 maggio 1998, n. 173, dichiarando la illegittimità di quella norma della legge regionale - cui si è attenuta la Provincia anche nel caso di specie - per avere la legge regionale dettato una disciplina costituzionalmente illegittima perché “contraria ai principi fondamentali della legislazione statale alla quale la legge regionale deve uniformarsi in considerazione dei valori della salute e dell’ambiente che si intendono tutelare in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale”; se si tiene presente tutto ciò non può non concludersi che non v’è, evidentemente, alcuno spazio per la non applicabilità dell’art. 27.


Questa norma, infatti, non era stata applicata grazie alla interpretazione di un’altra norma, quella dettata dalla legge regionale, dichiarata costituzionalmente illegittima proprio perché negava la necessità dell’autorizzazione richiesta dall’art. 27.


III - Il tribunale ha, dunque, correttamente sottolineato che “gli atti amministrativi seguenti alla sentenza della Corte costituzionale dovevano essere conformi al suo dettato, mentre l’ordinanza del presidente della Giunta regionale ha avuto l’effetto concreto di ripristinare una normativa dichiarata incostituzionale, imponendo solo ai soggetti esercenti gli impianti di trattamento delle acque reflue - comprendendo in essi anche gli impianti di trattamento di rifiuti liquidi provenienti da terzi conferiti con autobotte - di richiedere l’autorizzazione all’esercizio dell’impianto già realizzato, integrata dalla allegazione degli elaborati tecnico-progettuali e dalla dichiarazione del privato di conformità dell’impianto al progetto”.


“L’autorizzazione - ha proseguito il tribunale - agli impianti già in esercizio a continuare nella loro attività, finalizzata a fronteggiare l’emergenza igienico-sanitaria ed ambientale che sarebbe derivata dal blocco dell’attività, non era concessa per dar tempo di attuare l’iter previsto dall’art. 27, così sanando attraverso la disciplina transitoria le situazioni già createsi per effetto della legge regionale e divenute illegittime: essa finiva, invece, per confermare la non necessità dell’autorizzazione, in palese contrasto con la pronuncia della Corte e, quindi, in violazione dell’art. 27.


IV - La illegittimità dell’ordinanza contingibile e urgente non può, pertanto, disconoscersi e, conseguentemente, non può negarsi la sussistenza del fumus commissi delicti.


È noto, infatti, che il controllo del giudice non può investire, in relazione alle misure cautelari reali, la concreta fondatezza dell’accusa, ma deve limitarsi all’astratta possibilità di sussumere iI fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato (SS.UU., 25 marzo 1993, Gifuni), iI che vuole anche dire che non rientrano tra i presupposti di applicabilità del sequestro preventivo gli indizi di colpevolezza e la gravità degli stessi (Cass., 24 febbraio 1999, Graziano).


2. - L’accertata illegittimità dell’ordinanza del presidente della giunta regionale renderebbe superfluo soffermarsi sul secondo e sul terzo motivo di ricorso.


Ma, per completezza, non può non porsi in evidenza che, come ha affermato il tribunale, il provvedimento del presidente della Giunta regionale “viola altresì un altro éssenziale presupposto delle ordinanze contingibili ed urgenti, in quanto non garantisce una elevata tutela dell’ambiente, ché, avendo definitivamente consentito ad una serie di imprese ed enti di svolgere l’attività di smaltimento di rifiuti liquidi senza l’autorizzazione e, quindi, senza il rispetto dell’articolata disciplina dell’art. 27, ha reso meno pregnante anche iI controllo successivo all’autorizzazione all’esercizio dell’impianto previsto dall’art. 28, il quale presuppone la verifica della conformità degli impianti all’autorizzazione che, nel caso, manca”.


Né può obiettarsi, come si obietta nel ricorso, che “l’autorizzazione è espressamente contemplata dal provvedimento regionale ex art. 28, onde è la stessa a fungere da elemento di verifica della conformità dell’impianto alla normativa di riferimento”.


II tribunale ha risposto al riguardo - e nel motivo non si leggono censure specifiche - che, nel costruire una disciplina transitoria, la regione ha superato il problema della mancanza di autorizzazione per gli impianti già realizzati, dando, per così dire, valore sostitutivo di essa alla specifica, precedente, valutazione degli organi tecnici dei progetti degli impianti, seppure effettuata ai fini della depurazione delle acque, e disponendo che, in sede di rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto, ex art. 28, l’istruttoria venisse integrata con la verifica della conformità degli impianti al progetto approvato, ai fini, però, diversi, verifica risolventesi, peraltro, in una presa d’atto della dichiarazione della parte della conformità del progetto realizzato a quello approvato.


4. - Il ricorrente, infine, ancora il richiamo della scriminante dell’art. 51 c.p. alla ritenuta legittimità dell’ordinanza presidenziale, sicché la illegittimità della stessa, adeguatamente dimostrata dal giudice di merito, rende vano soffèrmarsi sull’esercizio del diritto, vantato sul presupposto, infondato della legittimità di quel provvedimento.


(Omissis).
 

 

M A S S I M E

 

Sentenza per esteso

1) Rifiuti - Normativa regionale contenente disposizioni contrarie ai principi fondamentali della legislazione statale - Illegittimità. E’ illegittima la normativa regionale che in materia di rifiuti dispone in modo contrario ai principi fondamentali della legislazione statale (D. L.vo n. 22/1997). (Nella specie la regione aveva negato la necessità dell’autorizzazione per la realizzazione degli impianti di smaltimento, gestione e recupero dei rifiuti). Pres. Fattori – Est. Battisti – P.M. Cedrangolo - Ric. Andreani. CORTE DI CASSAZIONE, Penale sezione III - 11 dicembre 2002 (Ud. 12 dicembre 2001), Sentenza n. 41388

2) Rifiuti - Smaltimento e recupero rifiuti - Nuovi impianti – Definizione – Autorizzazione – Necessità. S’intendono per “nuovi impianti”, (ed è sempre obbligatoria l’autorizzazione ex art. 27 D. L.vo. n. 22/1997), ai fini della gestione, smaltimento e recupero dei rifiuti quelli di nuova creazione, e quelli che subiscono un mutamento dell’originaria attività debitamente autorizzata e per il quale si prevede nella sostanza un diverso impianto. Pres. Fattori – Est. Battisti – P.M. Cedrangolo - Ric. Andreani. CORTE DI CASSAZIONE, Penale sezione III - 11 dicembre 2002 (Ud. 12 dicembre 2001), Sentenza n. 41388

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