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Consiglio Stato, sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3818.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso in appello (n. 8915/00) proposto dal Comune di Roverbella, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Carlo Binelli e Vincenzo Sinopoli, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Angelico, n. 38;

contro

il Ministero dell’Interno ed il Ministero dei Lavori pubblici, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, non costituiti in giudizio;

Coghi s.p.a. Costruzioni Edili, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandataria dell’a.t.i. Coghi s.p.a. e Marcazzani s.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Arturo Cancrini e Pierluigi Piselli, elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, via Giuseppe Mercalli, n. 13;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, 20 marzo 2000, n. 224, resa inter partes.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Coghi s.p.a. Costruzioni Edili;

Vista la memoria prodotta dalla Coghi s.p.a. a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi, alla pubblica udienza del 6 marzo 2001 (relatore il cons. Anselmo Di Napoli), gli avv.ti Binelli per il Comune di Roverbella, l'Avvocato Piselli e l'Avvocato dello Stato Aiello per gli appellati;

che hanno chiesto il passaggio della causa in decisione;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

Il Comune di Roverbella, con contratto rep. n. 2890 del 5 agosto 1989, ha appaltato all’A.T.I. Coghi s.p.a. e Marcazzani s.r.l. i lavori di costruzione della rete fognaria e impianti di depurazione nelle frazioni di Canedole e Pellaloco, 1° stralcio, per l’importo di L. 525.056.103. Successivamente, con contratto rep. n. 3014 del 30 ottobre 1990, ha appaltato alla stessa A.T.I. il 2° stralcio dei lavori, per un importo di L. 203.722.587.

Con due distinte note in data 15 febbraio 1992, ricevute al protocollo del Comune in data 18 febbraio 1992, il legale rappresentante della società capogruppo dell’A.T.I. appaltatrice ha inoltrato domanda di revisione prezzi relativamente ad entrambi gli appalti.

In data 8 maggio 1992, il legale rappresentante della società capogruppo ha sottoscritto il certificato di regolare esecuzione, che ad ogni effetto sostituisce il collaudo, dei lavori del 1° stralcio, nel quale il credito residuo dell’impresa è stato quantificato in L. 4.234.107, espressamente accettato dall’impresa suddetta a “tacitazione di ogni suo diritto ed avere per i lavori di cui è oggetto il presente certificato”. Nella stessa data è stato sottoscritto il certificato di regolare esecuzione relativo al 2° stralcio, nel quale il residuo credito dell’impresa, quantificato in L. 875.453, è stato accettato dall’impresa a “tacitazione di ogni suo diritto ed avere per i lavori di cui è oggetto il presente certificato”.

Né nel certificato di regolare esecuzione relativo al 1° stralcio, né in quello relativo al 2° stralcio è stata proposta riserva in ordine al riconoscimento della revisione prezzi.

Con distinte deliberazioni n.ri 730 e 731 del 29 dicembre 992, il Comune di Roverbella, rilevato che la Coghi s.p.a., capogruppo dell’A.T.I., aveva sottoscritto il certificato di regolare esecuzione dei lavori senza nulla eccepire in ordine alla revisione prezzi ed anzi accettando la liquidazione proposta, respingeva le domande revisionali.

Avverso detti provvedimenti la Coghi s.p.a., in proprio e quale capogruppo dell’A.T.I., proponeva ricorso, ai sensi del D.L.C.P.S. 6 dicembre 1947 n. 1501, chiedendo che le venisse riconosciuto il diritto alla revisione prezzi.

Con decreto 24 gennaio 1996, notificato in uno con il parere n. 3357 del 14 febbraio 1995 della Commissione ministeriale per la revisione dei prezzi contrattuali delle opere pubbliche, il Ministro dell’Interno di concerto con il Ministro dei Lavori pubblici ha accolto il ricorso, dichiarando il Comune di Roverbella tenuto alla revisione dei prezzi.

Con atto notificato il 1° aprile 1996 il Comune di Roverbella ha impugnato l’anzidetto decreto ministeriale, deducendo i seguenti motivi:

I) Negozio estintivo di pretesa patrimoniale. Sua efficacia tra le parti. Mancato riconoscimento. Violazione degli artt. 1321 e 1322 Cod. civ..

Il decreto ministeriale non ha considerato che, per effetto della sottoscrizione per accettazione – da parte dell’impresa – del certificato di regolare esecuzione e dell’approvazione – da parte dell’Amministrazione comunale – del predetto certificato, le parti hanno, in realtà, posto in essere una definizione negoziale di ogni rapporto patrimoniale derivante dall’appalto.

In altri termini, la clausola “a tacitazione di ogni suo diritto ed avere per i lavori di cui è oggetto il presente certificato” sottoscritta dall’impresa esecutrice dei lavori si configura come del tutto incompatibile con la volontà di mantenere ancora in essere la richiesta di revisione prezzi antecedentemente formulata.

II) Falsa applicazione dell’art. 107 R.D. 25.5.1895 n. 350. Violazione di legge.

Ai sensi della norma epigrafata, la mancata riproposizione, al momento della sottoscrizione del certificato di collaudo, delle domande importa la decadenza dalle stesse.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, con sentenza 20 marzo 2000, n. 224, ha respinto il ricorso.

Con ricorso depositato l’11 ottobre 2000, il Comune di Roverbella ha proposto appello avverso l’anzidetta sentenza, riproponendo i motivi già dedotti in primo grado.

La Coghi s.p.a. in proprio e quale mandataria dell’A.T.I. costituita con la Marcazzani s.r.l. si è costituita in giudizio e, con memoria depositata il 23 febbraio 2001, ha chiesto il rigetto dell’appello.

DIRITTO

Con il primo motivo il Comune deduce che la sottoscrizione da parte dell’appaltatore del certificato di regolare esecuzione contenente la proposta di pagamento all’impresa di una somma “a tacitazione di ogni suo diritto ed avere per lavori di cui . . . è oggetto il presente certificato” è da interpretare quale rinuncia esplicita al diritto di ottenere la revisione dei prezzi, avendo in tal modo l’appaltatore fatto propria una quantificazione del residuo credito che non includeva la revisione. Ciò sulla base di una presunta natura contrattuale del certificato di collaudo che, a dire dell’appellante, si forma con il consenso di entrambe le parti, committente ed appaltatore.

Con il secondo e terzo motivo, il Comune appellante censura la sentenza per non aver attribuito alla firma del certificato di collaudo (rectius: regolare esecuzione), senza domande e riserve, il valore di rinuncia espressa alla precedente domanda di revisione prezzi. Contesta, quindi, l’assunto del T.A.R. laddove afferma che la mancata riproposizione della domanda di revisione prezzi in sede di collaudo non toglie efficacia alla richiesta inoltrata nei termini di cui all’art. 2 del D.l.c.p.s. n. 1501/1947.

In sintesi l’appellante sostiene l’assoggettabilità della revisione prezzi all’istituto della riserva e, conseguentemente, la decadenza/rinuncia per la mancata reiterazione in sede di collaudo.

Il ricorso è infondato.

La revisione dei prezzi è ben distinta dalla collaudazione dei lavori: l’una è disciplinata dal D.l.c.p.s. 6 dicembre 1947 n. 1501, l’altra dagli artt. 91-107 del R.D. 25 maggio 1895 n. 350.

La collaudazione con correlativa “certificazione di regolare esecuzione”, attiene a verifiche volte ad accertare che l’opera sia stata eseguita a regola d’arte, secondo le prescrizioni tecniche prestabilite, in conformità del contratto nonchè delle varianti approvate, ed inoltre che i dati risultanti dai conti e dai documenti giustificativi corrispondano fra loro e con le risultanze di fatto e che i prezzi attribuiti e i compensi determinati nella liquidazione finale corrispondano a quelli stipulati in contratto.

La revisione dei prezzi, invece, mira a determinare se si sono verificate sul mercato condizioni tali da legittimare la modifica dei prezzi stabiliti nel contratto di appalto mediante un confronto tra i prezzi di contratto e quelli di mercato. Giudizio questo che non ha nulla a che vedere con il collaudo né per l’oggetto né per i parametri, e che è indipendente dalle risultanze dei registri di contabilità.

Ne consegue la corretta esclusione della possibilità di applicare alla richiesta di revisione dei prezzi sia l’art. 91, secondo comma, del R.D. n. 350/1895 sia l’art. 107 del medesimo decreto là ove dispone che all’atto della firma del certificato di collaudo l’appaltatore può aggiungere le domande che crede nel proprio interesse rispetto alle operazioni di collaudo e che, se lo sottoscrive senza accompagnarlo da domande, il certificato di collaudo e le risultanze di esso si avranno da lui come definitivamente accertate.

Ciò perché entrambe le norme si riferiscono al controllo dei lavori eseguiti e non già all’adeguamento dei prezzi stabiliti nel contratto con quelli venutisi a determinare sul mercato.

Alla revisione prezzi, invece, si applica il disposto del D.l.c.p.s. 6 dicembre 1947 n. 1501, che costituisce la disciplina speciale vigente in materia, con effetti derogativi rispetto alle norme contrarie. L’art. 2 del citato D.l.c.p.s. dispone che “le domande di revisione devono, a pena di decadenza, essere presentate prima della firma del certificato di collaudo dei lavori”, ma non prevede anche che tali domande revisionali debbano essere riproposte in sede di collaudazione e liquidazione finale.

L’unica decadenza prevista dalla legislazione vigente in materia di revisione prezzi è quella contenuta nel citato art. 2: è quindi sufficiente che la relativa domanda sia presentata prima della firma del certificato di collaudo, senza che debba necessariamente essere riproposta in tale momento.

Il descritto orientamento è stato confermato anche dalla Corte di Cassazione, la quale, con sentenza della Prima Sezione 16 giugno 1997 n. 5373, ha ribadito che nell’ambito della disciplina pubblicistica dell’appalto, l’onere dell’appaltatore di inserire le proprie pretese nei confronti dell’ente appaltante nel registro di contabilità e nel conto finale e, quindi, nel certificato di collaudo di cui agli artt. 91 e 107 del R.D. 25 maggio 1895 n. 350, riguarda le sole istanze inerenti alla contabilizzazione del corrispettivo contrattuale delle opere eseguite, ma non già anche le riserve per eventuale revisione dei prezzi, con riguarda alle quali ultime è sufficiente che la relativa domanda sia comunque presentata “prima della firma del certificato di collaudo” senza che sia necessaria la sua riproduzione in quel documento.

E d'altra parte i diritti ormai tacitati sono quelli derivanti dai compensi di contratto; non gli altri, derivanti dalla revisione sui prezzi.

Per le considerazioni che precedono l’appello va respinto.

Le spese del grado di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P. Q. M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quarta Sezione, respinge l’appello.

Condanna il Comune di Roverbella a pagare alla Coghi s.p.a. le spese e gli onorari del secondo grado di giudizio, liquidati complessivamente in L. 7.000.000 (sette milioni).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso a Roma, il 6 marzo 2001, in camera di consiglio, con l’intervento dei signori:

Giovanni Paleologo Presidente

Domenico La Medica Consigliere

Anselmo Di Napoli Consigliere, estensore

Marcello Borioni Consigliere

Dedi Rulli Consigliere

 

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