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Consiglio Stato, sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3819.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso in appello (n. 9543/00) proposto dal dott. Giovanni Scordino, rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesco Scaglione e Carolina Valensise, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in Roma, via Monte delle Gioie n. 13/1;

contro:

Comune di Reggio Calabria, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Mario De Tommasi, elettivamente domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato;

Cooperativa Mediterranea Sud a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

Cooperativa Unitaria a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

Cooperativa Kennedy a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, 23 giugno 2000 n. 1025, resa inter partes.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Reggio Calabria;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Data per letta la relazione del cons. Anselmo Di Napoli e udito, alla pubblica udienza del 22 maggio 2001 l’avv. Francesco Scaglione;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso notificato il 30 dicembre 1999 il dott. Giovanni Scordino, premesso di essere erede, per un terzo, di Caterina Scordino, la quale era proprietaria di alcuni fondi interessati da un piano di zona per l’edilizia economica e popolare, adottato con deliberazione del Consiglio comunale di Reggio Calabria 7 gennaio 1987 n. 3 (in cui veniva incluso ed integrato un intervento edilizio diretto del Comune, già in atto, per la realizzazione di 72 alloggi), ha chiesto il risarcimento del danno spettantegli pro quota: a) per la perdita della proprietà dei terreni originariamente occupati dalle cooperative assegnatarie in forza di valido decreto di occupazione, ormai scaduto, ed irreversibilmente trasformati; b) per l’occupazione sine titulo e la trasformazione di un’area maggiore rispetto a quella assentita; c) per aver annullato, attraverso l’ingiusta reiterazione dei vincoli nascenti dall’adozione del P.E.E.P., mai approvato e dalla destinazione dell’intera proprietà ad insediamenti edilizi mai realizzati ed a viabilità o servizi o verde pertinenziali, egualmente mai realizzati, la suscettività edificatoria, già presente sull’intera proprietà, riducendo le aree non occupate a relitti.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, con sentenza 23 giugno 2000 n. 1025, ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Con ricorso depositato il 28 ottobre 2000 il dott. Giovanni Scordino ha proposto appello avverso l’anzidetta sentenza, denunciandone l’erroneità.

Il Comune di Reggio Calabria si è costituito in giudizio e, con memoria depositata il 21 dicembre 2000, ha chiesto il rigetto dell’appello.

Con memoria depositata il 3 aprile 2001 l’appellante ha insistito per l’accoglimento dell’appello.

DIRITTO

Il ricorrente chiede il risarcimento del danno spettantegli pro quota (in quanto comproprietario): a) per la perdita della proprietà dei terreni originariamente occupati dalle cooperative assegnatarie in forza di valido decreto di occupazione, ormai scaduto, ed irreversibilmente trasformati; b) per l’occupazione sine titulo e la trasformazione di un’area maggiore rispetto a quella assentita; c) per aver annullato, attraverso l’ingiusta reiterazione dei vincoli nascenti dall’adozione del P.E.E.P., mai approvato e dalla destinazione dell’intera proprietà ad insediamenti edilizi mai realizzati ed a viabilità o servizi o verde pertinenziali, egualmente mai realizzati, la suscettività edificatoria, già presente sull’intera proprietà, riducendo le aree non occupate a relitti.

Il T.A.R., con la sentenza appellata, ha escluso la giurisdizione del giudice amministrativo.

Il Collegio non condivide l’assunto del primo giudice.

La domanda di risarcimento del danno, avanzata dal ricorrente, è soggetta all’applicazione degli att. 34 e 35 del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 80, nel testo originario, comunque poi confermato dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, intervenuta a colmare la lacuna determinatasi per effetto della nota sentenza n. 292 del 2000 della Corte costituzionale.

L’art. 34 devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia. L’art. 35 stabilisce che il giudice amministrativo, nelle controversie rimesse alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto.

Queste disposizioni trovano entrambe applicazione al caso di specie.

La materia urbanistica comprende, ai sensi dell’art. 34, comma 2, “tutti gli aspetti dell’uso del territorio” e la giurisdizione del giudice amministrativo abbraccia, oltre alla cognizione degli atti e provvedimenti, anche i comportamenti delle amministrazioni pubbliche. L’ultimo comma dell’art. 34 prevede, altresì, che nulla è innovato “in ordine alla giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa”.

Da queste disposizioni si evince che la giurisdizione esclusiva non si arresta al giudizio di annullamento del provvedimento amministrativo e che si estende al sindacato sul rapporto tra privato ed amministrazione nella sua portata più ampia, comprensivo anche dei comportamenti materiali. Perlomeno di quei comportamenti materiali che danno esecuzione o sono altrimenti collegati con il provvedimento. E’ una logica ispirata al riparto della giurisdizione mediante individuazione di blocchi di materie, già osservata nel settore del pubblico impiego privatizzato e proseguita con l’assegnazione al giudice amministrativo della giurisdizione su pubblici servizi, urbanistica ed edilizia.

La nozione di urbanistica che ritaglia tale giurisdizione esclusiva è ampia al punto da assorbire tutti gli aspetti dell’uso del territorio. Essa si estende ai procedimenti di esproprio, comprensivi sia della dichiarazione di pubblica utilità, sia degli atti di occupazione d’urgenza e relativi comportamenti esecutivi, come confermato da due argomenti entrambi decisivi, l’uno di carattere letterale e l’altro teleologico.

Il primo argomento è quello desunto dal comma 3 dell’art. 34, che espressamente sottrae alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di indennità derivanti da atti di natura espropriativa od ablativa. Se il legislatore ha avvertito l’esigenza di fare questa precisazione, è innegabile che avesse intenzione di assegnare alla materia urbanistica la latitudine necessaria a coprire anche il procedimento di espropriazione. Un disegno che, peraltro, appare razionale, perché distingue due settori ben precisi: da un lato la giurisdizione del giudice amministrativo sugli atti di espropriazione e sui comportamenti connessi, che è in chiara linea di continuità con il passato e col sindacato esercitato sui provvedimenti presi in materia dall’amministrazione; dall’altro lato la giurisdizione del giudice ordinario, che risolve questioni di diritto soggettivo puro, pronunciandosi su indennizzi dipendenti da procedure di esproprio la cui legittimità non è comunque messa in discussione.

Il secondo argomento è quello che trae forza dai legami strettissimi che esistono tra la materia urbanistica e la materia dell’espropriazione. Così stretti che la scelta legislativa che avesse deciso di separarli affidandoli a giudici diversi sarebbe stata palesemente irrazionale: contraria sia all’esigenza di concentrazione e coordinamento di controversie tra loro collegate, sia all’esigenza primaria che sta a base della creazione di forme di giurisdizione esclusiva, volta ad impedire la difficoltà e la confusione che al cittadino potrebbero derivare da criteri insicuri di riparto della giurisdizione in settori cruciali. Renderebbe un pessimo servizio alla pratica il legislatore che separasse questi due momenti, assegnando i profili controversi dell’uno e dell’altro a giudici appartenenti a diverse giurisdizioni. Sicché il settore delle espropriazioni è assorbito nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulla materia dell’urbanistica, salvo alcune considerazioni che si faranno appresso (così, in termini, IV Sez., 15 giugno 2001, n. 3169).

E’ dunque errata la decisione del T.A.R. che ha declinato la propria giurisdizione nella materia espropriativa.

Va peraltro ribadito che esiste un rapporto di necessaria implicazione tra una efficace dichiarazione di pubblica utilità e la configurabilità di un’opera pubblica: non può aversi quest’ultima se manca la prima (IV, 9 aprile 1999, n. 606). Pertanto, in difetto di una valida e perdurante dichiarazione di pubblica utilità dell’opera in ragione della quale è stata disposta l’espropriazione di un fondo non si realizza il fenomeno della c.d. accessione invertita, ma soltanto un fatto illecito, generatore di danno (IV, 2 giugno 2000, n. 3177). In tale ultima ipotesi la controversia rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.

In conclusione, va affermata la giurisdizione del giudice amministrativo per le domande di risarcimento del danno di cui alle precedenti lettere a) e c), per le quali la causa va rimessa al giudice di primo grado, mentre per l’occupazione di aree sine titulo (lett. b) va confermata la giurisdizione del giudice ordinario.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare fra le parti le spese del secondo grado di giudizio.

P. Q. M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quarta Sezione, accoglie nei limiti di cui in motivazione il ricorso in appello proposto, come in epigrafe, da Giovanni Scordino e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, rinvia la causa al giudice di primo grado.

Compensa fra le parti le spese del giudizio di secondo grado.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso a Roma, nelle camere di consiglio del 22 maggio 2001, con l’intervento dei signori:

Gaetano Trotta Presidente

Anselmo Di Napoli Consigliere, estensore

Ermanno De Francisco Consigliere

Vito Poli Consigliere

Carlo Saltelli Consigliere

 

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