Legislazione giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto da Mariella Capuzzo rappresentata e difesa dall’avv. Antonio Brancaccio presso lo studio del quale è elettivamente domiciliata in Roma, Via Taranto n.18;
contro
il Ministero per i beni culturali ed ambientali, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso cui domicilia ex lege in Roma, Via dei Portoghesi n.12;
e nei confronti
del Comune di Amalfi, in persona del sindaco p.t., non costituito;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania - Sezione Salerno - n.789 del 1996;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’appellato;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 28 maggio 2002 relatore il Consigliere Giancarlo Montedoro. Udito l'Avv. Brancaccio;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con atto di appello notificato il 20-27/1/1997 la sig.ra Mariella Capuzzo impugnava la sentenza del Tar Campania – Sezione Salerno, indicata in epigrafe, che ha respinto il ricorso dalla stessa proposto contro il Ministero per i beni culturali ed ambientali per l’annullamento del decreto del Ministero per i beni culturali ed ambientali del 24/1/1991, con il quale è stato annullato il decreto del Sindaco di Amalfi, n.772 del 23/11/1990, recante nulla–osta ex art.7 della legge n.1497/1939 ai fini dell’art.32 della legge n.47/1985 e dell’art.12 del D.L. n.2/88, conv. in l. n.68/88, rilasciato alla ricorrente su istanza di concessione edilizia in sanatoria ex art.31 e ss. della legge n.47/85; sia, e per quanto occorra, della nota di trasmissione dell’anzidetto decreto ministeriale prot. 471 II G 1 Div. II del 7/2/1991, pervenuta al Comune di Amalfi il 18/2/1991; del parere del Sovrintendente dei BB.AA. di Salerno ed Avellino di cui alla nota n.522/SA dell’11/1/1991; di tutti gli atti presupposti, connessi, collegati e conseguenziali.
Il ricorso di primo grado ha impugnato – come si è rilevato – il provvedimento ministeriale di annullamento del nulla- osta ambientale rilasciato alla ricorrente dal Sindaco del Comune di Amalfi per il condono edilizio del fabbricato sito in Amalfi, Statale per Sorrento, via Augustaricchio.
Avverso l’atto suddetto il ricorso di primo grado ha proposto i seguenti motivi di gravame:
Violazione della legge 8/8/1985 n.431, dell’art.32 della legge 28/2/1985 n.47; dell’art.12 della legge n.68/88 per tardività del provvedimento impugnato;
Violazione dell’art.32 della legge 28/2/1985 n.47; dell’art.12 del d.l. 12/1/1988 n.2 conv. in l. 13/3/1988 n.68; dell’art.82 co. 11 del D.P.R. 24/7/1977 n.616 nel testo modificato dall’art.1 della legge 8/8/1985 n.431 ed eccesso di potere sostenendosi che il Ministero avrebbe operato un riesame nel merito e non di sola legittimità;
Violazione dell’art.82 comma 9 del D.P.R. n.616/77 come modificato dalla legge n.431/85 ed eccesso di potere assumendosi l’inadeguatezza della motivazione posta a fondamento dell’atto impugnato;
Violazione ancora del comma 9 dell’art.82 del D.P.R. n.616/77 ed eccesso di potere, sostenendosi che, contrariamente a quanto rileva il Ministero il nulla osta ambientale, in quanto atto positivo, non abbisogna di motivazione; esso comunque sarebbe motivato mentre l’attività ministeriale sarebbe carente di istruttoria;
Violazione dell’art.82 comma 3 del D.P.R. n.616/77, della legge n.1497/1939 anche in relazione alla legge regionale n.10/1982 ed eccesso di potere, contestandosi il rilievo ministeriale secondo cui l’intervento autorizzato dal Sindaco si concreterebbe in una modifica di fatto del vincolo paesaggistico;
Violazione dell’art.1 della legge 8/8/1985 n.431, dell’art.32 della legge 28/2/1985 n.47; dell’art.21 della legge 13/3/1988 n.12 e sviamento, sostenendosi ancora il difetto di motivazione del decreto ministeriale anche in punto di esplicitazione dell’interesse pubblico e dei criteri che avrebbero consentito la compatibilità ambientale dell’opera;
Violazione del capo III della legge n.47/1985 in quanto il provvedimento ministeriale sarebbe in contrasto con le finalità del condono;
Violazione dell’art.82 del D.P.R. n.616/77, nel testo integrato dall’art.1 della legge n.431/1985 ed incompetenza in quanto il potere esercitato riguarderebbe solo i beni e le aree elencate nel comma 5 del citato art.82.
La sentenza ha rigettato il primo motivo sulla scorta della giurisprudenza che ritiene che il termine di sessanta giorni dell’annullamento ministeriale, ancorché perentorio, non riguardi la comunicazione o notificazione del provvedimento.
In secondo luogo ha escluso che la valutazione del Ministero si sia risolta in un inammissibile sconfinamento nel merito amministrativo demandato all’apprezzamento dell’ente locale, trattandosi solo di valutare la compatibilità dell’autorizzazione con il vincolo anche sotto il profilo dell’eccesso di potere, sussistente quando è evidente che vengono consentite trasformazioni in contrasto con il bene ambiente.
Il terzo, il quarto ed il quinto motivo, esaminati congiuntamente, perché tutti relativi alla sufficienza di motivazione del nulla-osta ed al difetto di motivazione dell’atto ministeriale sono stati respinti ritenendosi dovuta la motivazione di atti positivi, carente la motivazione fornita mediante il rinvio alla mera correzione di grafici ed all’indicata mimetizzazione nell’ambiente del manufatto, mentre il provvedimento ministeriale aveva indicato nel manufatto una causa di degrado del sito protetto.
Il settimo motivo è stato rigettato in ragione della volontà del legislatore del condono edilizio di tener conto delle ragioni e delle finalità di protezione dei vincoli.
In ultimo l’ottavo motivo è stato rigettato essendosi osservato che il potere di annullamento ministeriale riguarda tutti i casi di autorizzazione ex art.7 della legge n.1497/1939.
Con l’atto di appello i motivi del ricorso di primo grado sono stati integralmente riproposti e la sentenza è stata analiticamente censurata sostenendosi, quanto al primo motivo, la natura recettizia dell’atto annullamento, per due ragioni (l’annullamento è operante solo in quanto venga portato a conoscenza dell’interessato che, solo da tale momento, può cessare l’attività edificatoria), le finalità di tutela del paesaggio e di partecipazione dell’interessato al procedimento verrebbero meno se si consentisse la notifica oltre i sessanta giorni perché la notifica interverrebbe ad intervento edilizio già realizzato.
Circa le ragioni del rigetto del secondo motivo di ricorso l’appello richiama la giurisprudenza del Consiglio di Stato che esclude la possibilità del Ministero di sostituire la propria valutazione alla valutazione dell’ente locale.
Sul difetto di motivazione del nulla osta paesaggistico si rileva che l’unità abitativa è piccola e di modeste dimensioni e che tanto avrebbe dovuto condurre il giudice di primo grado ad una diversa valutazione della fattispecie.
Il Tar avrebbe, errando, ritenuto il fabbricato di significativa entità e avrebbe ritenuto privo di motivazione il provvedimento sindacale che al contrario contiene un preciso giudizio di compatibilità ambientale (“trattandosi di una piccola unità abitativa di modeste dimensioni e ben mimetizzata nella vegetazione esistente senza turbare l’equilibrio ed essenziale nella sua struttura architettonica”).
Il giudice di primo grado avrebbe errato nel ritenere che un giudizio di merito del Ministero sia compatibile con le finalità della legge sul condono edilizio.
Il Tar poi avrebbe omesso di valutare il quinto motivo di ricorso.
Il Ministero avrebbe erroneamente ritenuto l’intervento una sostanziale deroga del vincolo, mentre si tratterebbe di un atto di puntuale gestione del vincolo che lo presuppone.
Per completezza l’appello conclude rilevando che il Ministero avrebbe dovuto rendere un parere e non annullando il nulla osta.
Si è costituito il Ministero chiedendo il rigetto del gravame.
Con memoria del 17/5/2002 l’appellante ha insistito nelle sue richieste.
DIRITTO
L’appello è infondato.
Sul primo motivo si deve ricordare che è ius receptum nella più recente giurisprudenza amministrativa il carattere non recettizio dell’atto di annullamento ministeriale del nulla osta paesaggistico (contra CdS Ad. Plen. n.8/1980, richiamata dall’appellante ma riferita all’annullamento regionale, ex art.27 della legge urbanistica, della licenza edilizia).
Nello schema normativo della tutela paesaggistica predisposta dall'art.82 d.p.r. n.616 del 1977, l'intervento ministeriale di annullamento dell'autorizzazione regionale rilasciata ai sensi dell'art.7 l. n.1497 del 1939 costituisce un elemento costitutivo, sia pure in termini negativi e operante nella ridotta sfera della verifica della legittimità, di una complessa fattispecie autorizzatoria sui generis, nell'ambito della quale l'autorizzazione regionale (o sub regionale) è un elemento essenziale, ma non esclusivo, al fine di rimuovere gli ostacoli giuridici per il concreto esercizio dell'attività edilizia nell'ambito delle zone sottoposte a vincoli; pertanto il decorso del termine di sessanta giorni per l'esercizio del potere di annullamento, senza che alcun provvedimento sia stato adottato, vale a rendere definitivamente operativa l'autorizzazione, già di per sé efficace, ed ultronea qualunque pronuncia tardiva del ministro: ciò dimostra che la causa ultima della caducazione dell'autorizzazione regionale (o sub regionale) deve essere rinvenuta direttamente nella norma, la quale prevede il potere di annullamento e ne configura l'esercizio come produttivo di per sé di effetti giuridici, a prescindere dalla partecipazione all'ente interessato degli esiti dell'esercizio di tale potere, con la conseguenza che il provvedimento ministeriale di annullamento non ha natura di atto recettizio (C. Stato, sez.VI, 19/7/1996, n.968; in senso analogo CdS VI n.421/2000; CdS Sez.II 4/6/1997 n.1249/97; CdS Sez.II 10/9/1997 n.468/1997 per una completa recente ricostruzione CdS Ad. Plen. n.9/2001).
Quanto poi al rilievo, contenuto nell’atto di appello, secondo il quale l’atto sarebbe recettizio non potendosi altrimenti armonizzare la soluzione della comunicazione tardiva con la disciplina dell’attività edificatoria, si deve rilevare in senso contrario che il Consiglio (Ad. Plen. n.9/2001) ha ritenuto che “entro il termine perentorio, il Ministero può pronunciarsi re adhuc integra quando ancora non è consentita la mutazione dello stato dei luoghi (CdS Ad. Plen. n.9/2001; CdS VI 3/11/1999 n.1693; VI 20/11/1998 n.1581; CdS VI 6/10/1998 n.1348), perché non avrebbe senso attribuirgli il potere di annullare l’autorizzazione, quando i luoghi fossero già modificati (CdS VI 13/2/2001).
Si è detto in proposito che, salva la necessità degli ulteriori prescritti titoli abilitativi, l’ordinamento consente la modifica dello stato dei luoghi quando le determinazioni del Ministero siano divenute inoppugnabili e, in particolare, quando il Ministero, con atto espresso, ritenga di non annullare l’autorizzazione paesistica, ovvero lasci decorrere il termine di sessanta giorni senza disporne l’annullamento (Cass. pen. Sez.VI 26/5-7/7/1999 n.8631; Cass. pen. Sez.III 9/2/1998 Svara; Cons. Stato VI 13/2/2001 n.685; CdS VI 20/10/2000 n.5651; CdS V 15/9/1997 n.963).
L’autorità che ha emesso l’autorizzazione deve in tal caso prendere atto del perfezionamento della fattispecie legale costitutiva dei suoi effetti e deve comunicare la circostanza all’originario richiedente, affinché possano cominciare i lavori (ove non siano richiesti altri titoli abilitativi) e siano svolte le dovute attività di vigilanza.
Ne deriva la piena legittimità dell’annullamento intervenuto nei sessanta giorni in modo conforme al disposto normativo che recita: “il Ministro…può, in ogni caso, annullare, con provvedimento motivato, l’autorizzazione regionale entro i sessanta giorni successivi alla relativa comunicazione.”
La norma riferisce lo spatium deliberandi alla adozione del provvedimento e non alla sua comunicazione al privato od all’autorità che ha reso il nulla-osta.
Si è già rilevato – anche nella sentenza impugnata - come poi l’atto incida su una sfera giuridica privata in attesa di espansione, su una situazione giuridica per nulla definita o consolidata, poiché la sola autorizzazione regionale o sub –regionale ex art.7 della legge n.1497/1939 non produce alcuna espansione dello ius edificandi, ma determina una semplice aspettativa all’esito dell’ulteriore fase procedimentale di competenza dell’amministrazione statale e sempre che l’intervento edilizio non venga ritenuto contrario all’interesse ambientale.
Nella specie è pacifico che il nulla osta è pervenuto in data 4/12/1990 e che il provvedimento ministeriale è stato adottato in data 24/1/1991 ossia nel termine di sessanta giorni previsto dalla legge.
Quanto poi al secondo motivo di ricorso ed alla circostanza secondo la quale l’intervento ministeriale sarebbe viziato per avere sconfinato nel merito amministrativo riservato all’ente locale il Collegio ritiene che il Ministero abbia esercitato il suo potere nei limiti previsti dalla legge, senza sconfinare dall’ambito del controllo di legittimità, esteso ai profili di eccesso di potere che gli è demandato.
In primo luogo va rilevato che il Ministero censura nell’atto annullato una sostanziale inversione procedimentale, poiché, a fronte di una richiesta di sanatoria, ai sensi della legge n.47/1985 – in ordine alla quale doveva essere espresso un parere ai sensi e per gli effetti dell’art.32 della legge n.47/1985 – il Comune ha rilasciato un’autorizzazione, con atto formalmente emanato ai sensi dell’art.7 della legge n.1497/1939 che riguarda invece la valutazione della compatibilità ambientale delle opere ancora da realizzare.
Già questo profilo si traduce in illegittimità per non avere il comune rispettato il giusto procedimento ed avere reso un provvedimento di definitiva valutazione della compatibilità ambientale quando invece l’amministrazione comunale era tenuta a rispettare la sequenza procedimentale di cui all’art.32 della legge n.47/1985 che prevede l’emissione di un parere dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo, parere che viene ritenuto obbligatorio e vincolante (C. Stato, sez. VI, 19/7/1996, n.968).
In ultimo il provvedimento ministeriale ha espressamente fatto riferimento al difetto di motivazione del provvedimento comunale, ritenendo non sufficiente la valutazione di compatibilità attuale dell’abuso commesso rispetto ai valori paesistici tutelati, in quanto l’autorità competente non ha tenuto conto del fatto che l’intervento abusivo, privo di qualità ambientali, nonostante le correzioni apportate dalla CECI, contrasta con i caratteri propri dell’edilizia del luogo, comportando il degrado del sito di notevole valore ambientale.
In definitiva il Ministero ritiene che l’autorizzazione si risolva nella specie in una sorta di deroga al vincolo e non in una corretta gestione del vincolo medesimo, causando l’alterazione di tratti paesaggistici della località protetta che sono la ragione stessa per la quale la località è sottoposta a tutela ai sensi della normativa di tutela paesaggistica attualmente vigente.
In sostanza il Ministero ha ravvisato un indizio di sviamento ulteriore dell’azione amministrativa nel fatto che attraverso lo strumento dell’autorizzazione ex art.7 della legge n.1497/1939 si consente di fatto una modifica del provvedimento di vincolo paesaggistico posto con il D.M. innanzi citato in violazione di quanto prescritto dall’art.82 del D.P.R. n.616/1977.
Il Ministero, in definitiva, nel provvedimento impugnato ha annullato l’atto comunale per tre distinti profili di illegittimità:
1) la violazione di legge per inversione procedimentale, omessa acquisizione di parere obbligatorio e vincolante e mancato rispetto del procedimento di cui all’art.32 della legge n. 47/1985;
2) il difetto di motivazione, costituente ormai vizio di violazione di legge ex art.3 della legge n.241/1990;
3) lo sviamento dalla causa tipica del provvedimento di autorizzazione comunale risolventesi in un’obiettiva deroga del vincolo.
Il Collegio ricorda che la materia ha trovato recente sistemazione nel fondamentale arresto dell’Ad. Plen. n.9/2001 che ha escluso, con complesso argomentare, l’esistenza di un potere di controllo statale sull’autorizzazione regionale, ricostruendo il sistema dei poteri regionali e statali anche alla luce dei lavori preparatori della legge n.431/1985, dei principi costituzionali della materia ambientale e di tutela del paesaggio (invero senza riferimento al nuovo titolo V della Carta fondamentale che demanda la “tutela” dell’ambiente allo Stato e la mera “valorizzazione” alle regioni, con scelta che potrebbe essere preludio anche di un ruolo più incisivo dello Stato nella materia), delle disposizioni degli statuti delle regioni a statuto speciale, e della valenza della normativa di cui alla citata legge n.431/1985 ricostruita dalla Corte Costituzionale adita in via diretta dalle regioni a statuto speciale.
Esclusa la sussistenza di un potere di controllo l’Ad. Plen. ha ritenuto configurabile un potere di riesame dell’atto per qualsiasi vizio di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere.
Il controllo di merito amministrativo ossia l’annullamento del nulla osta paesaggistico per vizio di merito rimane quindi precluso: per comprendere i limiti di tale nozione, specie con riferimento alla fattispecie, a confine, di sviamento per obiettiva deroga del vincolo ossia all’uso strumentale dell’autorizzazione è necessario effettuare alcune precisazioni.
In dottrina sulla nozione di merito amministrativo si sono da sempre avute varie opinioni e tentate differenti ipotesi ricostruttive.
Per una prima opinione il merito amministrativo non esisterebbe in quanto ogni attività svolta dall’amministrazione nell’esercizio di un potere di merito sarebbe pur sempre giuridicamente apprezzabile, sia allo scopo di far valere una responsabilità dell’agente sia allo scopo di dichiarare un vizio dell’atto.
Secondo un’altra opinione il merito sarebbe il risultato dell’attività di valutazione discrezionale di una fattispecie, ossia il merito sarebbe il contenuto dell’atto amministrativo all’esito di una valutazione discrezionale, con la conseguenza che fra merito e legittimità non vi sarebbe una differenza sostanziale, trattandosi solo di tecniche e modalità di rilevazione dei vizi (appuntandosi la legittimità al controllo del modo di esercizio della discrezionalità e non direttamente al risultato di quell’esercizio).
La tematica sempre sfuggente ha comportato, nella dottrina tesa a ricostruire una certa autonomia della nozione di merito amministrativo, il richiamo al concetto di opportunità o al momento interno della ponderazione degli interessi, o al momento pregiuridico della ponderazione.
In sostanza la scivolosità della materia (riflettentesi in tutti i casi in cui, come per il potere di annullamento ministeriale dei nulla-osta paesaggistici vi sia da distinguere merito e legittimità) deriva dal fatto che sia la discrezionalità (tecnica o amministrativa) che il merito amministrativo presentano un’intrinseca problematicità in forza del loro muoversi fra due poli quello del vincolo rispetto al fine pubblico e quello della libertà nella ricerca dei mezzi per soddisfarlo.
Si tratta della ricerca del confine – sempre da definire e sempre in movimento nella varietà dei casi pratici - della libertà dell’amministrazione e dell’autonomia dell’amministrazione, rispetto al sindacato di legittimità.
Il fenomeno del merito è quello della libertà ed anche della libertà del potere: esso travalica l’ambito di attività della p.a. per coincidere come è stato osservato con la sostanza delle scelte di ogni agire giuridicamente rilevante, la sua area di incidenza è quella delle posizioni giuridiche intese nel senso più ampio; sono di merito le scelte del proprietario rispetto al bene di cui è titolare, le scelte dell’imprenditore nell’esercizio della sua attività d’impresa, le scelte del legislatore nell’attività legislativa o di indirizzo politico.
Non c’è libertà tuttavia senza “giuridicità”: in particolare, al di là dei limiti e delle conformazioni delle situazioni giuridiche soggettive si sviluppano negli ordinamenti moderni diritti e poteri funzionalizzati, a favore di soggetti deboli, di interessi collettivi, di interessi pubblici.
Si è distinta, nel potere funzionalizzato, la cura dell’interesse dalla sua gestione ottimale, ritenendo che la prima sia controllabile per eccesso di potere la seconda sia rimessa alla valutazione insindacabile dell’amministrazione sulla scelta più opportuna fra quelle consentite nell’ambito della cura dell’interesse pubblico.
Di qui la definizione tradizionale ed ancora valida – per la dottrina che riconosce l’autonomia della nozione - del merito amministrativo quale azione libera, non controllabile, non sindacabile, irrilevante sul piano dei valori giuridici, non soggetta al rispetto di criteri predeterminati, non oggetto di qualificazione da parte dell’ordinamento giuridico.
Naturalmente la nozione di merito non vive nel vuoto ed è condizionata dal modo in cui il diritto vivente intende la discrezionalità amministrativa, la discrezionalità tecnica (si pensi a quanto deciso da CdS IV 9/4/1999 n.601), il vincolo procedimentale, l’agire obiettivato e vincolato della pubblica amministrazione, ed in ultimo dall’incidenza del sindacato giudiziario e delle autorità preposte ai controlli o titolari – come nella specie - di un potere di riesame.
Si deve registrare, in questa ottica, anche per gli influssi comunitari, una tendenza alla riduzione dell’area delle valutazioni amministrative insindacabili, per effetto del controllo di proporzionalità, del passaggio di parte del merito alla discrezionalità tecnica, per la costante esigenza di verifica della legalità sostanziale delle attività amministrative mediante l’usuale tecnica del sindacato sui vizi sintomatici dell’eccesso di potere.
Ciò premesso su un piano generale, giova ritornare alla nozione di vizio di merito nell’ambito dei poteri di governo dei vincoli paesaggistici, al fine di valutare con precisione il tratto distintivo fra la valutazione della Soprintendenza che (inammissibilmente) sostituisce il suo giudizio a quella dell’ente locale e la valutazione che si limita a rilevare l’illegittimità del nulla-osta.
Il merito che non può essere oggetto di sostituzione è un giudizio estetico di natura tecnico-discrezionale, demandato alle regioni ed agli altri enti sub-regionali, con ciò escludendosi il ritorno paventato da alcuni delle regie soprintendenze.
Ciò tuttavia non comporta alcuna insindacabilità delle valutazioni operate dalle autorità locali. L’annullamento per vizi di legittimità è comprensivo di tutti i profili dell’eccesso di potere.
Non v’è dubbio sulla circostanza della riconduzione all’area della legittimità del vizio d’omessa acquisizione di parere obbligatorio e vincolante o dell’insufficienza della motivazione.
Il caso più dubbio è quello dell’annullamento del nulla osta che si risolve in obiettiva deroga del vincolo.
Il Consiglio di Stato Ad. Plen. n.9/2001 ha ammesso che la domanda di autorizzazione debba essere valutata tenendo conto che la sua funzione non è quella di rimuovere il vincolo, ma di accertare in concreto la compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità di valore dei luoghi (CdS Ad. Plen. n.9/2001; CdS VI 14/11/1991 n.828). L’annullamento è giustificato, secondo un consistente orientamento, quando, per la mancata considerazione di un rilevante elemento di fatto, la valutazione di compatibilità si traduca in obiettiva deroga, in un’autorizzazione illegittima per sviamento o travisamento (CdS VI 13/2/2001 n.685; CdS II 10/1/2001 n.1614; CdS VI 8/8/2000 n.4345; CdS VI 6/7/2000 n.3793; CdS II 31/3/1999 n.268; CdS IV 4/12/1998 n.1734; CdS VI 9/4/1998 n.460; CdS VI 17/4/1997 n.609; CdS VI 19/7/1996 n.968).
In sostanza ciò che si può intendere come obiettiva deroga del vincolo, non rientrante nella causa tipica del potere di autorizzazione ex art.7 della legge n.1497/1939, è la valutazione comunale non accorta che non prende le mosse dal vincolo per effettuare un giudizio di compatibilità, ma si sovrappone al vincolo medesimo, stabilendo una deroga o eccezione non consentita che ne oblitera la ratio, con ciò provocando un’alterazione degli equilibri ambientali e paesaggistici che il vincolo mira a conservare e proteggere.
Quando il Consiglio di Stato Ad. Plen. n.9/2001 ha fatto riferimento alla mancata considerazione di un rilevante elemento di fatto ha voluto sottolineare che la Soprintendenza non può ritenere l’esistenza di un’autorizzazione (illegittima) in deroga al vincolo, solo sovrapponendo il proprio giudizio estetico e tecnico al giudizio dell’autorità comunale o regionale, ma deve evidenziare carenze dell’attività procedimentale che costituiscano indice dello sviamento.
Nel caso di specie il provvedimento impugnato ben sottolinea la superficialità dell’atto amministrativo di assenso annullato, evidenziando che l’autorità locale non ha tenuto conto della necessità di un parere obbligatorio, non ha preso le mosse dai valori paesistici tutelati, non ha dato il giusto peso all’assenza di “qualità ambientale” del manufatto realizzato in zona vincolata, così decampando dalla valutazione di compatibilità per assentire un bene considerato compatibile solo perché di piccole dimensioni o ben mimetizzato nella vegetazione.
In sostanza la Soprintendenza prende le mosse da una difformità dell’istruttoria dallo schema legale e da carenze obiettive dell’attività procedimentale del comune, per giungere alla conclusione che l’atto di assenso non risponde alla causa tipica del potere di cui all’art.7 della legge n.1497/1939.
Se ne deve inferire che l’amministrazione statale si è mossa nell’ambito del suo potere di riesame per motivi di legittimità.
Il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo attengono ai profili motivazionali di ciascun atto, comunale e statale, per cui possono essere esaminati congiuntamente.
In primo luogo il Tar ha rilevato che i provvedimenti positivi di nulla –osta paesaggistico devono essere motivati ed il punto appare di indubbia esattezza anche alla luce dell’art.3 della legge n.241/1990.
Quanto alla sufficienza della motivazione dell’atto di annullamento, di cui si assume l’illegittimità per difetto di motivazione, si deve rilevare che il Ministero ha perfettamente evidenziato le ragioni per le quali esercitava il potere di annullamento, ossia come già detto, l’inversione procedimentale (o violazione del principio di giusto procedimento), il difetto di motivazione del nulla-osta paesaggistico ed il giudizio sostanzialmente derogatorio del vincolo reso dal Comune.
Ciascuno di questi vizi del nulla osta è già in grado di reggere autonomamente l’annullamento ministeriale.
Più in particolare l’appello si è particolarmente profuso, con indubbio acume, sul profilo del preteso vizio di difetto di motivazione, sostenendone l’insussistenza ed ha poi spostato abilmente il fuoco dell’attenzione sul potere esercitato dal Ministero, riconducendolo ad un’ipotesi di controllo di merito, rilevando che in sostanza il Ministro ha esercitato un illegittimo controllo sostitutivo del proprio apprezzamento di merito a quello dell’autorità competente, solo in conclusione dedicando qualche battuta alla confutazione degli altri vizi rilevati dal provvedimento statale.
Nonostante l’abilità e la suggestione della prospettazione difensiva, le questioni vanno esaminate nel loro ordine logico per verificare se i vizi rilevati dal Ministero siano o meno sussistenti, poiché se anche uno solo di detti vizi fosse sussistente, ne deriverebbe la legittimità del provvedimento impugnato.
Ed inoltre, in disparte la piena riconducibilità del potere esercitato dal Ministero al genus dei poteri di controllo di legittimità, a difesa estrema del vincolo, accertata per tutto quanto prima evidenziato, rimane comunque esclusa la possibilità di assorbire nel rilievo di un supposto sconfinamento nel merito dell’autorità statale, la sostanziale mancanza di argomenti a sostegno della tesi dell’insussistenza della violazione del giusto procedimento o della natura derogatoria del vincolo.
In sostanza o i vizi rilevati dal Ministro sussistono ed allora anche se, per altro verso, il provvedimento ministeriale sconfina in valutazioni di merito la circostanza è irrilevante o non sussistono ed allora il provvedimento è censurabile per carenza dei presupposti (e la mancanza di vizi di legittimità del nulla-osta paesaggistico costituisce la riprova del predetto lamentato sconfinamento, non rilevante in questo caso in astratto - ossia per il tipo di potere ministeriale volutamente esercitato - ma in concreto per avere esercitato il potere ministeriale fuori dai casi consentiti).
Ciò consente di evidenziare che lo sconfinamento nel merito da parte del Ministero (o, attualmente, della Soprintendenza) può avvenire sotto un duplice riguardo: 1) perché l’amministrazione statale volutamente e direttamente mostri, in una considerazione astratta dell’atto di annullamento, di aver voluto sostituire il proprio apprezzamento di merito al potere dell’autorità competente alla gestione del vincolo; 2) perché i vizi di legittimità rilevati nel provvedimento di annullamento si rivelano, ad una contestazione in sede contenziosa insussistenti e, quindi, il potere esercitato dall’amministrazione statale si risolva in concreto in una mera prospettazione di un giudizio estetico difforme da quello dell’autorità regionale o sub-regionale.
Nella specie si è già escluso che il provvedimento sia riguardabile come un’astratta forma di sconfinamento nel giudizio di merito estetico spettante all’autorità competente.
Occorre quindi esaminare partitamente la sussistenza dei vizi rilevati nell’atto impugnato.
Iniziando dal vizio di difetto di motivazione sul quale maggiormente si diffonde la difesa dell’appellante, anche nella memoria conclusiva, si deve rilevare che il vizio di difetto di motivazione dell’atto comunale effettivamente sussiste.
L’atto di appello insiste nel sottolineare che l’assenso comunale è intervenuto in quanto l'unità abitativa da sanare era di modeste dimensioni e ben mimetizzata nella vegetazione, e sottolinea che l’opera è stata corretta secondo indicazioni riportate nei grafici in rosso ed appare “essenziale nella sua struttura architettonica”.
Il Ministero ha annullato l’autorizzazione paesaggistica, ritenendo che fosse mancata una valutazione della qualità ambientale del manufatto.
In sostanza ciò che l’atto ministeriale sottolinea è che non è possibile un giudizio di compatibilità ambientale e paesaggistica che si risolva in una minimizzazione della portata del vulnus arrecato all’area come quando si assegna rilievo alle dimensioni modeste del fabbricato od alla circostanza che esso non è visibile (ben mimetizzato) come se la protezione del bene ambiente si debba risolvere solo nella tutela della fruibilità estetica del paesaggio e non nei suoi valori di effettiva integrità.
L’intervento deve essere valutato, non solo per il suo dato dimensionale, al fine di verificare se esso sia o meno compatibile con i valori tutelati dal vincolo o sia causa di degrado (piccolo o grande che sia) del paesaggio.
Il vincolo poi nel provvedimento sindacale non è nemmeno descritto, mentre il provvedimento del Ministro ricorda che la zona è tutelata giusta D.M. 22/11/1955 perché “oltre a formare con le bianche case distribuite in pittoresco disordine nell’angusto sbocco della Valle dei Mulini, con i villaggi sparsi sui fianchi di monti che si affacciano sull’ampio golfo di Salerno, con le ville, i giardini, i campielli con ulivi ed agrumi, un quadro naturale di singolare bellezza e nel suo insieme un complesso avente valore estetico e tradizionale, offre dei punti di vista accessibili al pubblico dai quali si godono visuali panoramiche di singolare ed eccezionale bellezza”.
Avendo il vincolo tali specifiche motivazioni a suo fondamento, risulta logica e non censurabile la considerazione del provvedimento di annullamento del Ministro che ritiene non sufficiente una motivazione che non considera la necessità di coerenza delle caratteristiche del manufatto abusivo con i caratteri propri dell’edilizia del luogo, limitandosi a valutarne l’entità modesta e la mimetizzazione o l’essenzialità della struttura architettonica che non significa compatibilità con un vincolo imposto anche al fine di tutelare “le bianche case distribuite in pittoresco disordine”.
Quindi è condivisibile quanto rilevato dal Tar che ha sostenuto che il nulla-osta avrebbe dovuto esplicitare le ragioni dell’assenza dell’impatto ambientale, non meramente correggendo i grafici e indicando la mimetizzazione del manufatto, ma valutando in modo più approfondito le ragioni di contrasto o armonia dell’intervento abusivo con i caratteri propri dell’edilizia dei luoghi.
Né doveva essere il Ministro ad indicare i motivi del contrasto dell’intervento con il vincolo, come asserito dall’appellante nel terzo motivo del ricorso introduttivo del giudizio, dovendo invece ritenersi sufficiente l’evidenziazione della carenza dell’atto comunale che non ha spiegato come avrebbe dovuto le ragioni di compatibilità dell’intervento edilizio in raffronto alle ragioni del vincolo.
Quanto poi alla circostanza per cui nella zona in questione non si presenterebbe alcuna tipologia particolare di edilizia, né insediamenti antichi, né organizzazione agricola, presentandosi come zona rocciosa e periferica del comprensorio comunale, giova rilevare che le asserzioni sono rimaste prive di riscontro probatorio e che comunque esse sono irrilevanti poiché lo scopo del vincolo in esame è chiaramente quello di garantire la conservazione della continuità estetica dell’urbanistica locale , indipendentemente dalle particolari situazioni esistenti in quella od altra delle zone vincolate, oltre che di mantenere intatti dei quadri panoramici.
Nessun rilievo può avere poi l’epoca risalente di realizzazione del manufatto abusivo.
Ne deriva la conferma sul punto della sentenza di primo grado.
Già questo profilo è sufficiente a sorreggere la legittimità dell’annullamento ministeriale con assorbimento di ogni altro profilo di doglianza.
Solo per completezza argomentativa si rileva che:
non vi sono specifiche contestazioni nel ricorso introduttivo del giudizio sul difetto di giusto procedimento ossia sul mancato rispetto della normativa di cui all’art.32 della legge n.47/1985 da parte del Comune che ha rilasciato direttamente il nulla-osta mentre avrebbe dovuto acquisire il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo;
l’omesso esame del quinto motivo del ricorso attinente la contestazione della valutazione operata dal Ministero circa il valore derogatorio del vincolo dell’autorizzazione non determina un annullamento della sentenza, avendo i profili esaminati dal giudice di prime cure valore assorbente e dovendosi rilevare a seguito dell’esame, per l’effetto devolutivo dell’appello, del motivo nel merito in secondo grado, che esso è infondato poiché effettivamente per quanto evidenziato, il comune sembra aver valutato compatibile l’opera abusiva ignorando le caratteristiche essenziali del vincolo e sottolineando aspetti non decisivi ai fini della valutazione di compatibilità in tal modo risolvendo il suo giudizio in un'obiettiva deroga al vincolo, che lo rende illegittimo non solo e non tanto per l’omessa acquisizione del parere del Consiglio Nazionale per i Beni Culturali ed ambientali richiesto in caso di revoca e modificazione del vincolo (come si rileva singolarmente nell’atto di appello) quanto per il fatto che il potere autorizzatorio ex art.7 della legge n.1497/1939 non è stato esercitato in modo conforme alla sua causa tipica. Né può dirsi che il Ministero avrebbe dovuto rendere il parere mentre ha adottato l’atto di annullamento, infatti a fronte di un atto di nulla-osta non v’era parere da rendere ma solo eventuale annullamento da esercitare.
Il settimo motivo è stato ben rigettato dal Tar poiché non può condividersi l’assunto dell’appellante secondo il quale nella normativa del condono edilizio, il legislatore avrebbe teso a conservare il realizzato anche nelle zone vincolate, con l’esclusione di ipotesi tassative ed eccezionali.
L’art.32 della legge n.47/1985 mira proprio a garantire la preminenza dell’interesse ambientale alla logica del provvedimento di condono, non prevedendosi altro che un procedimento teso ad acquisire un parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo al fine di consentire l’accoglimento dell’istanza di condono.
Dal tenore della norma non è dato desumere alcun favor per la sanatoria, né alcuna posizione recessiva dell’interesse ambientale che si paleserebbe ovviamente, nell’ipotesi (denegata) in cui fosse ricostruibile una tale mens legis, sospetta di incostituzionalità.
L’ottavo motivo che mira ad escludere l’esercitabilità del potere di annullamento è stato riproposto senza muovere alcuna critica alla sentenza che merita invece integrale conferma, non essendovi alcuna correlazione diretta fra potere di annullamento ministeriale e vincoli ex lege Galasso dovendosi anzi ritenere che il potere di annullamento sussista ogni volta che viene adottato un atto di autorizzazione ex art.7 della legge n.1479/1939 quale che sia la fonte del vincolo paesaggistico in questione.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2002, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Mario Egidio SCHINAIA Presidente
Alessandro PAJNO Consigliere
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Consigliere
Rosanna DE NICTOLIS Consigliere
Giancarlo MONTEDORO Consigliere Est.
M A S S I M E
1) Difetto di giusto procedimento da parte del Comune che ha rilasciato direttamente il nulla-osta - illegittimità dell’atto - obbligo del preventivo parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo - il potere autorizzatorio. Difetto di giusto procedimento ossia sul mancato rispetto della normativa di cui all’art.32 della legge n.47/1985 da parte del Comune che ha rilasciato direttamente il nulla-osta mentre avrebbe dovuto acquisire il parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo; il comune sembra aver valutato compatibile l’opera abusiva ignorando le caratteristiche essenziali del vincolo e sottolineando aspetti non decisivi ai fini della valutazione di compatibilità in tal modo risolvendo il suo giudizio in un'obiettiva deroga al vincolo, che lo rende illegittimo non solo e non tanto per l’omessa acquisizione del parere del Consiglio Nazionale per i Beni Culturali ed ambientali richiesto in caso di revoca e modificazione del vincolo (come si rileva singolarmente nell’atto di appello) quanto per il fatto che il potere autorizzatorio ex art.7 della legge n.1497/1939 non è stato esercitato in modo conforme alla sua causa tipica. Né può dirsi che il Ministero avrebbe dovuto rendere il parere mentre ha adottato l’atto di annullamento, infatti a fronte di un atto di nulla-osta non v’era parere da rendere ma solo eventuale annullamento da esercitare. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561
2) La funzione del vincolo paesaggistico - l’autorizzazione - insufficienza della motivazione - l’annullamento del nulla osta che si risolve in obiettiva deroga del vincolo - l’integrità di valore dei luoghi. L’autorizzazione paesaggistica non è una sorta di deroga al vincolo ma è lo strumento per una corretta gestione del vincolo medesimo, (in specie è illegittima l’autorizzazione che causa l’alterazione di tratti paesaggistici della località protetta che sono la ragione stessa per la quale la località è sottoposta a tutela ai sensi della normativa di tutela paesaggistica attualmente vigente). Non v’è dubbio sulla circostanza della riconduzione all’area della legittimità del vizio d’omessa acquisizione di parere obbligatorio e vincolante o dell’insufficienza della motivazione. Il caso più dubbio è quello dell’annullamento del nulla osta che si risolve in obiettiva deroga del vincolo. Il Consiglio di Stato Ad. Plen. n.9/2001 ha ammesso che la domanda di autorizzazione debba essere valutata tenendo conto che la sua funzione non è quella di rimuovere il vincolo, ma di accertare in concreto la compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità di valore dei luoghi (CdS Ad. Plen. n.9/2001; CdS VI 14/11/1991 n.828). Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561
3) I provvedimenti positivi (o negativi) di nulla-osta paesaggistico devono essere sufficientemente motivati - il difetto di motivazione rende illegittimo l’atto - l’inversione procedimentale - l’annullamento ministeriale. I provvedimenti positivi di nulla-osta paesaggistico devono essere motivati ed il punto appare di indubbia esattezza anche alla luce dell’art.3 della legge n.241/1990. Quanto alla sufficienza della motivazione dell’atto di annullamento, di cui si assume l’illegittimità per difetto di motivazione, si deve rilevare che il Ministero ha perfettamente evidenziato le ragioni per le quali esercitava il potere di annullamento, ossia come già detto, l’inversione procedimentale (o violazione del principio di giusto procedimento), il difetto di motivazione del nulla-osta paesaggistico ed il giudizio sostanzialmente derogatorio del vincolo reso dal Comune. Ciascuno di questi vizi del nulla osta è già in grado di reggere autonomamente l’annullamento ministeriale. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4561
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