Legislazione giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto dal Ministero per i beni culturali ed ambientali in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici domicilia ex lege in Roma, Via dei Portoghesi n.12;
contro
Perinelli Augusto, Perinelli Luciano, Perinelli Carlo e Perinelli Graziella, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Giuseppe Lavatola e Roberto Nania e presso lo studio del primo elettivamente domiciliati in Roma, Via Costabella n.23;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione II - n.2021 dell'8/11/1996;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio degli appellati;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 28 maggio 2002 relatore il Consigliere Giancarlo Montedoro. Udito l'Avv. Lavitola;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso in primo grado i sig.ri Longobardi Luigi, Clara e Giuliana hanno impugnato, chiedendone l'annullamento, il decreto del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali di estremi indicati in epigrafe che, in applicazione dell'art.21 della legge 1.2.1939, n.1089, ha assoggettato a divieto assoluto di edificazione il terreno di cui sono comproprietari "pro indiviso", individuato in catasto al fgl. 632, p.lle nn.23 e 25.
Hanno dedotto con quattro articolati motivi l'illegittimità dell'atto impugnato per violazione della legge n.1089/1939 e, segnatamente, degli artt.21 e 43, e perché viziato da eccesso di potere sotto diversi profili.
Hanno sostenuto, in particolare, che sulle aree di proprietà non insistono i reperti archeologici indicati nella parte motiva del decreto e che le stesse non fanno parte di un complesso archeologico unitario, né di un complesso archeologico funerario, stante la notevole distanza dalla via Labico.
Hanno rilevato, inoltre, che non è consentito all’Amministrazione assoggettare beni alla tutela di cui alla legge n.1089/1939 sulla base di mere congetture e presunzioni sulla esistenza di presenze archeologiche e che, in ogni caso, l'imposizione del vincolo deve essere preceduto da apposite indagini ed esplorazioni ai sensi dell'art.43 della legge menzionata.
Quanto alla misura interdittiva dell'edificazione introdotta ai sensi dell'art.21 della legge n.1089/1939, oppongono che il terreno di proprietà non è posto in rapporto di contiguità con beni del patrimonio storico ed artistico e che l'imposizione di siffatto vincolo non è sostenuta da idonea motivazione, avuto riguardo all’intensità della limitazione che ne deriva per il diritto dominicale.
Hanno sostenuto, infine, che il decreto impugnato, ancorché emanato con richiamo alla legge n.1089/1939, è sostanzialmente diretto a perseguire finalità di tutela paesaggistica.
Con memorie depositate il 6 aprile e 28 giugno 1996 i ricorrenti hanno ulteriormente illustrato i motivi di impugnativa ed hanno, altresì, depositato perizia giurata circa lo stato dei luoghi interessati dal provvedimento di vincolo.
Il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, costituitosi in giudizio, ha depositato documenti inerenti all'insorta controversia e svolto considerazioni a sostegno della legittimità delle misure vincolistiche adottate.
Con la sentenza impugnata il Tar del Lazio ha accolto il ricorso ritenendo che la misura adottata, interdittiva in assoluto di ogni possibilità di utilizzazione a fini economici dell’area vincolata non appare improntata a criteri di congruità e ragionevolezza, che devono presiedere l’esercizio del potere discrezionale tecnico conferito all’amministrazione.
In particolare il giudice di prime cure ha rilevato che “il pur meritevole interesse di rilievo pubblico di salvaguardare la fruibilità visiva del Mausoleo di S. Elena, - cui è fatto riferimento nelle note difensive del Ministero convenuto – non può essere elevato fino al punto di conformare lo stato attuale dei luoghi al supposto intento dell’imperatore Costantino di far sì che gli edifici dei grandiosi complessi cristiani suburbani da lui costruiti e situati fuori dall’Urbe fossero visibili da lontano lungo le vie consolari intorno alla città”, dovendo invece bilanciarsi, secondo criteri di equità e congruità, con i concorrenti interessi relativi alla porzione di territorio presa in considerazione, così da escludere nella sfera dei privati interessi misure vincolistiche sproporzionate rispetto al fine pubblico di carattere primario perseguito ed estese a beni non in rapporto di immediata contiguità con la presenza monumentale.”
La sentenza impugnata così continua ad argomentare: “sotto altro profilo deve osservarsi che l’art.21 della legge n.1089/1939 – nel conferire all’amministrazione il potere di tutela in via indiretta dei beni contemplati agli artt.1 e 2 della legge medesima ha individuato precisi scopi cui deve essere indirizzata la misura di vincolo. Tale elencazione, in relazione al principio di riserva di legge, che condiziona l’introduzione di limiti di fatto alla proprietà privata derivante dall’art.42 secondo comma della Cost., ha carattere tassativo.
In particolare il disposto di cui alla norma anzidetta che contempla l’esigenza di tutelare le condizioni di “prospettiva” e di “luce” dei beni di interesse storico, artistico, archeologico, ecc. ipotesi nel cui ambito va ricondotta la fattispecie in esame, va correttamente inteso nel senso che l’amministrazione può in concreto individuare, in positivo, i punti prospettici per la godibilità visiva del monumento e, in negativo, inibire gli interventi che incidano sull’esposizione alla luce del bene, ma non appare suscettibile di interpretazione estensiva fino a comprendere la possibilità di raccordare il vincolo indiretto all’originaria e supposta intenzione del soggetto che ha commissionato l’opera di garantirne la percezione visiva da determinati punti di osservazione.
In ultimo si sottolinea che lo scopo di salvaguardare l’integrità naturale dell’ambito archeologico di tutti i monumenti del compendio, risulta privo di presupposto fattuale in quanto dalla planimetria allegata all’atto gravato non risultano indicate presenze archeologiche che, per la loro distribuzione sui terreni di proprietà dei ricorrenti, possano giustificare il regime di tutela.
Con ricorso in appello l’amministrazione ha rilevato che l’art.21 della legge 1089/1939 è finalizzato a dettare misure ed ogni altra prescrizione a tutela dell’integrità, prospettiva e condizione di luce, ambiente e decoro della cosa di interesse storico, artistico ed archeologico.
Ha lamentato la contraddittorietà della decisione che pure ammettendo che, ai sensi dell’art.21 citato, il Ministero per i beni culturali e ambientali possa dettare prescrizioni tese a salvaguardare la visibilità e prospettiva del bene, esclude che il vincolo di cui al D.M. impugnato sia posto correttamente.
Si evidenza nell’atto di appello che l’istruttoria svolta e le fotografie versate in atti mostrano chiaramente che prospettive assai rilevanti del monumento sono percepibili dalle aree di proprietà dei ricorrenti, ed anche all’estremità del comprensorio individuato, e risulta altresì inequivocabile che qualunque edificazione interposta nelle aree suddette danneggerebbe definitivamente tali prospettive.
L’argomentazione per la quale il vincolo vorrebbe salvaguardare la prospettiva del monumento godibile in età costantiniana non sarebbe esatta. Tale argomento sarebbe stato avanzato dall’amministrazione solo come elemento successivo ed in sede di controdeduzioni, sottolineando come anche in antico tale visibilità era ritenuta elemento caratterizzante dell’eminenza del complesso monumentale
imperiale.Secondo l’appello si tratterebbe di una considerazione meramente accessoria e successiva, mentre il decreto sarebbe diretto a garantire la prospettiva e la visibilità del monumento, che dalle particelle dei ricorrenti è straordinariamente rilevante e degna di tutela.
La sentenza inoltre non considererebbe i dati di fatto e la documentazione fotografica, dalla quale si evince il valore delle prospettive che il vincolo è inteso a tutelare, mentre si limita a registrare il dato puramente fisico della distanza che non ha nulla a che fare con la visuale da tutelare.
Ancora l’appello sottolinea l’erroneità dell’assunto per il quale pur ammettendosi che è qualità degna di tutela la salvaguardia dell’integrità naturale dell’ambito archeologico di tutti i monumenti del compendio non viene ritenuta legittima l’imposizione del vincolo tesa ad evitare massicce edificazioni, che interromperebbero la continuità anche visuale di un’area che si estende dal mausoleo, all’aula basilicale attualmente inglobata in casale Ambrogetti.
Ciò senza dire che il comprensorio – secondo l’amministrazione – costituisce “un'unità storico-topografica di valore primario in tutto il territorio dell’Agro romano.”
Si contesta infine che il vincolo sia assoluto e che sia sproporzionato.
Gli appellati si sono costituiti chiedendo il rigetto
dell’appello, riproponendo in memoria i motivi assorbiti.DIRITTO
L’appello è fondato.
Avendo gli appellati riproposto in memoria i motivi assorbiti l’appello è integralmente devolutivo ed è quindi opportuno prendere le mosse dalle singole censure contenute nel ricorso di primo grado, esaminandole ordinatamente secondo il loro ordine logico.
Con il primo motivo del ricorso di primo grado si lamentava eccesso di potere per difetto assoluto, errore e falsità dei presupposti, travisamento dei fatti sotto diversi profili, difetto assoluto e carenza di motivazione.
In particolare si contestava che nella proprietà degli appellati esistesse alcuno dei reperti indicati nel decreto, nella relazione e nelle planimetrie.
Ciò avrebbe reso inapplicabile l’art.1 della legge n.1089/1939 (che richiede in vista dell’imposizione del vincolo diretto le specifiche preesistenze di valore archeologico) sia, a maggior ragione, l’art.21 della medesima legge (dal momento che il vincolo indiretto ivi previsto richiede comunque l’esistenza di un bene archeologico individuato cui si tratti di offrire ulteriore tutela).
Orbene sul punto occorre rilevare in punto di fatto quanto segue: dal decreto impugnato, dalla relazione allegata, dalle planimetrie in atti, dalla documentazione fotografica, nonché dalla relazione 23/3/1996 risulta evidente che il vincolo di cui al D.M. 18/3/1994 è inteso a tutelare il complesso archeologico esistente a ridosso della via Labicana antica, lungo il terzo miglio della stessa via, comprensorio che la Soprintendenza definisce ricchissimo di preesistenze.
Si tratta di un’area originariamente facente parte del praedium imperiale denominato dalle fonti antiche ad duos lauros, nel quale le fonti stesse attestano che dal terzo miglio della via Labicana l’imperatore fece costruire la basilica dedicata ai martiri Marcellino e Pietro ed il Mausoleo in cui fu sepolta sua madre Elena (Liber pontificalis I, 182 “eisdem temporibus fecit Augustus Constantinus basilicam beatis martyribus Marcellino presbitero e Petro exorcistae in territorio inter duas lauros set mysileum ubi mater ipsius sepolta est Melena Augusta Via Lavicana miliario III” cfr. Fonti antiche relative al compendio ad duas lauros).
Si tratta di un vincolo, quindi, teso a salvaguardare le valenze storiche ed archeologiche e l’unitarietà del comprensorio nel suo naturale ambito archeologico, ed i rapporti topografici e funzionali fra le varie parti di esso nelle sue caratteristiche storico-archeologiche e topografiche dell’antico agro romano.
Si specifica che si tratta di un’area ancora conservatasi in modo da garantire la visuale del mausoleo da ogni parte, ed il decreto ministeriale impugnato precisa che intende salvaguardare la visuale del mausoleo da tutte le possibili prospettive dell’intero comprensorio.
L’importanza eccezionale del sito coincidente con il tracciato basolato dell’antica via Labicana è ben descritta inoltre dalla relazione, essa faceva parte del praedium imperiale ad duas lauros, del grande possesso imperiale sono ancora riconoscibili il nucleo delle necropoli e dei mausolei nonché il principale monumento che è il mausoleo di Costantino e S. Elena, con l’annessa basilica costantiniana presso la tomba dei Santi Pietro e Marcellino.
Presso la tomba poi si sviluppò lo straordinario complesso delle catacombe dei Santi Pietro e Marcellino, definito “vera e propria pinacoteca della pittura costantiniana”. Le catacombe poi si sviluppano su un’area molto più vasta di quella sinora esplorata.
Ancora le emergenze archeologiche tutelate si concretano nella necropoli ad incinerazione esistente nell’area nord del lato sinistro della via Labicana, nel sepolcreto degli Equites singulares, che si estende senza soluzione di continuità fino al Campo Marzio degli Equites singulares, nonché nella villa imperiale, nei numerosissimi mausolei, e nella fitta rete di sepolcri, e di colombari da cui provengono “enormi quantità di materiali, sarcofagi ed iscrizioni” (così la relazione allegata al decreto impugnato) confluiti nei maggiori musei romani, italiani e stranieri.
L’area circostante il Mausoleo di S. Elena è occupata da strutture residenziali antiche, resti antichi sotto casali medievali e moderni (fra cui il Casale Ambrogetti).
Si tratta di un’area di rilevante interesse archeologico sia per i monumenti ancora esistenti in elevato, sia per i rinvenimenti che dimostrano una notevole consistenza archeologica, (e si pensi ai resti di strutture monumentali, inglobate nei casali, al rinvenimento di busti e sculture, all’esistenza di strutture di ville in opera reticolata - area ex Villa Marescotti, area Villa De Sanctis - alla presenza di pozzi profondi, fino al rinvenimento di ambienti costituenti resti di impianti termali).
I ricorrenti sono proprietari di immobili siti nell’area ove è previsto il vincolo indiretto a tutela della visuale del mausoleo, e ricadenti in un’area interessata da monumenti archeologici (le strutture inglobate nel casale Ambrogetti).
In queste condizioni di fatto – evidenziate dalla documentazione in atti – non si può dire che non esistano i reperti indicati nel decreto, nella relazione e nelle planimetrie, poiché tali reperti esistono e rilevano ai fini dell’imposizione del vincolo indiretto.
Si precisa inoltre in ricorso che nell’area in questione – di proprietà dei ricorrenti – non esisterebbe un complesso archeologico unitario tanto non potendo desumersi dall’esistenza di due soli episodi residenziali slegati fra loro
(Casale Ambrogetti e Villa De Sanctis).Orbene il Collegio rileva che l’unitarietà di un’area archeologica deriva dalla vastità del complesso insistente su di essa e dalla unitarietà del “praedium”, documentata dalle fonti antiche, oltre che dalle modalità, storicamente stratificatesi, di fruizione estetica e visiva dei beni del complesso archeologico medesimo.
Per quanto attiene il complesso di via Labicana, va rilevato che si tratta di un complesso unitario di vaste proporzioni, e quanto ai terreni ed ai fondi circostanti può ben affermarsi che sia suscettibile di ricadere in un vincolo indiretto l’area dalla quale si domina visivamente l’antico tracciato della via Labicana, godendosi la completa visuale del Mausoleo di S. Elena, già per questo solo fatto compresa nell’ambiente naturale del comprensorio archeologico unitario prima descritto.
Sarebbe priva di fondamento l’ipotesi – secondo un altro profilo del primo motivo di ricorso – che l’area vincolata faccia parte di un complesso archeologico funerario come dovrebbe desumersi dal fatto che nel comprensorio insistono monumenti di carattere sepolcrale ed in particolare la basilica cimiteriale con l’annesso Mausoleo di Costantino e S. Elena (più comunemente conosciuto con il nome di Tor Pignattara).
In proposito va rilevato che e’ vero che i monumenti suddetti sono strettamente connessi al tracciato di via Labicana, come è vero che si collocano nelle immediate adiacenze della medesima i cippi e le iscrizioni funerarie, come d’uso negli importanti assi viari del mondo romano.
La distanza dell’area in questione dalla via Labicana, per quanto rilevato nel ricorso, è variabile da 350 a 650 mt. circa, ma il mero dato della distanza non assume valore significativo e decisivo, in sé considerato, dovendosi valutare se le condizioni di prospettiva, luce, decoro del complesso archeologico rendano necessaria l’imposizione di un vincolo indiretto.
La giurisprudenza citata dai ricorrenti è riferibile al potere di imposizione del vincolo diretto e non al diverso potere di imposizione del vincolo indiretto (che non potrebbe mai essere concepito se fosse condizionato dalla esistenza in loco di preesistenze archeologiche).
Ed allora in relazione al potere di imposizione del vincolo diretto occorre valutare “il carattere unitario del complesso”, quale risulta “dall’affioramento di resti murari e di materiale mobile, dall’omogeneità delle strutture, dalla dimensione e dalla continuità degli allineamenti murari tra i singoli settori scavati e visibili o ricoperti e parzialmente sommersi (CdS VI 6/10/1986 n.758); con valutazione specifica dei “singoli reperti e della loro ubicazione al fine di dimostrare che essi costituiscono un complesso inscindibile” (CdS VI n.923/1983), essendo illegittima ad es. l’imposizione del vincolo su un intera collina ove non risulti valutata la notevole dimensione ed eterogeneità del comprensorio in questione (CdS Ad. Plen. n.6/1973). Non può dubitarsi che il vincolo diretto può risultare sproporzionato ove non sia stata indicata specificamente l’ubicazione dei singoli reperti nelle varie particelle catastali di una vasta area vincolata (CdS n.322/1982), potendosi ritenere legittima l’imposizione del vincolo diretto esteso ad un’area solo quando i ruderi costituiscano un complesso inscindibile (Csi n.400/1989).
Tutto ciò – in ogni caso - non può rilevare quando si tratta di valutare la legittimità dell’imposizione di un vincolo indiretto che può fondarsi su una mera situazione di adiacenza o vicinanza del bene indirettamente vincolato all’immobile da tutelare.
Ne deriva l’infondatezza del primo motivo di ricorso costruito sul presupposto che il vincolo in esame sia un vincolo diretto, mentre si tratta - in parte qua - di un vincolo indiretto.
Quanto al secondo motivo del ricorso di primo grado esso è incentrato sulla violazione e falsa applicazione della legge n.1089/1939 sotto il profilo dell’apposizione del vincolo sulla base di mere ipotesi o congetture in ordine al bene archeologico da tutelare; nonché sulla violazione dell’art.43 della l. n.1089/1939.
Si lamenta in sostanza la mancata considerazione di un
fondamentale criterio il criterio per il quale il vincolo deve essere basato su certezze e non su semplici congetture, ossia è necessario acquisire la certezza dell’esistenza delle cose da tutelare, esattamente delimitando la zona da proteggere, per evitare inutili sacrifici della proprietà privata.Si rileva che la distanza dalla via Labicana della proprietà dei ricorrenti è tale da fare escludere, in forza di consolidate acquisizioni scientifiche, la connessione con i monumenti adiacenti la ridetta via antica.
Si rileva che l’amministrazione avrebbe dovuto usare degli strumenti offerti dall’art.43 della legge n.1089/1939, prima perimetrando la zona archeologica e poi determinando la fascia di rispetto, effettuando previe ricerche archeologiche invece di imporre vincoli che presuppongono certezze già acquisite.
In ordine alla mancanza di accertamenti giova osservare che le importanti emergenze dell’antica via Labicana sono una realtà indiscutibile degna di tutela vincolistica, e che l’unità dell’area è comprovata da attività di rilevazione anche molto risalenti nel tempo (evidenziate nella relazione allegata al decreto) nonché dalla fonti storiche che descrivono il predio imperiale (depositate in atti), sicché si deve ritenere che l’area sia di enorme interesse storico –archeologico, anche per la parte non interessata direttamente da reperti in ragione di elementi storico-induttivi (Tar Lazio II 18/3/1983 n.247) di identità dell’antico praedium imperiale, pure valorizzabili nel giudizio tecnico che costituisce la necessaria premessa all’imposizione del vincolo.
In particolare poi si deve considerare che il provvedimento nella parte in cui interessa le proprietà degli appellati è di costituzione di un vincolo indiretto ossia di vincolo che si esplica su beni diversi da quelli dotati di pregio artistico e storico, ma solo funzionalmente connessi con i primi. Di qui l’irrilevanza della presenza diretta dei reperti sul fondo o di ricerche di essi, per farli venire alla luce ed il valore decisivo dell’ubicazione del fondo contiguo, anche non direttamente interessato da emergenze archeologiche o storico-artistiche.
Si tratta di un vincolo che mira a prescrivere distanze, misure ed altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità delle cose immobili soggette alla tutela artistica e storica, che ne sia danneggiata la prospettiva o la luce, o che ne siano alterate le condizioni di ambiente e decoro (art.21 l. n.1089/1939).
Si tratta di un provvedimento impositivo di un limite legale della proprietà, costituzionalmente legittimo in ragione della funzione sociale della proprietà, non soggetto ad indennizzo.
La discrezionalità dell’amministrazione è una discrezionalità tecnica, soggetta a sindacato debole sulla discrezionalità tecnica, ossia censurabile solo per macroscopiche incongruenze ed illogicità (CdS VI 24/8/1992 n.615; CdS VI 4/11/1996 n.1437), per l'elasticità e l'indeterminatezza dei parametri tecnici delle discipline storiche ed archeologiche, rilevanti ai fini della valutazione e del giudizio dell’attinenza del bene con l’interesse pubblico specifico (tutela dei beni storico- archeologici) demandato alla cura dell’amministrazione e consistente nella conservazione del bene culturale.
Il bene culturale poi è la nozione che sostituisce ormai le vecchie categorie di cose d’interesse artistico o storico, di cose d’arte, di cose d’antichità, realizzando una considerazione unitaria della materia.
Il bene “culturale” viene protetto per ragioni non solo o non tanto estetiche, quanto per ragioni storiche, così sottolineandosi l’importanza dell’opera o del bene per la storia dell’uomo e per il progresso della scienza.
Si deve ritenere abbandonata, nell’intentio legislatoris e nella prassi amministrativa, nonché nell’interpretazione giurisprudenziale costituzionalmente orientata (artt.9 e 33 Cost. ) una concezione estetizzante (o estetico-idealistica) del bene culturale (come del bene paesaggistico-ambientale), che era alla base della legge fondamentale del 1939, in favore dell’evoluzione della nozione che ne valorizza il significato di documento del tempo e dell’ambiente in cui è sorta.
Si è anche notato che la nozione di bene culturale passa da un’accezione di tipo materialistico, legata alle cose quae tangi possunt ad una diversa connotazione, di tipo immateriale, che vede nel bene un valore espressivo di un ambiente storico e sociale.
In questo quadro conta il valore di civiltà inerente un bene od un compendio al fine dell’affermazione di un'esigenza conservativa, mentre la proiezione del bene nell’attività di esecuzione di ricerche archeologiche riguarda solo i beni sottoposti a vincolo diretto.
Si deve quindi ritenere che per la legittimità del provvedimento amministrativo che impone un vincolo indiretto non occorra accertare dirette presenze archeologiche nell’area, pure considerata parte di un compendio considerabile un unitario bene culturale sulla base di fonti storiche, né occorre far precedere l’atto impositivo del vincolo da indagini ed esplorazioni ai sensi dell’art.43 della legge fondamentale n.1089 del 1939.
Si devono invece indicare con precisione il bene oggetto del vincolo, le cose in funzione delle quali il vincolo indiretto è imposto, il rapporto di complementarietà fra le misure limitative ed il fine pubblico perseguito, le ragioni di adozione della misura limitativa.
Tanto esclude che il vincolo indiretto debba trovare il suo presupposto in reperti insistenti sull’area e già venuti alla
luce, essendo un vincolo su bene contiguo al bene culturale.Tuttavia le argomentazioni avanzate con il secondo motivo di ricorso si appalesano ispirate ad una troppo rigida concezione del presupposto impositivo anche con riguardo al vincolo diretto, poiché, per un orientamento giurisprudenziale consolidato è sufficiente, per la legittimità del vincolo, la probabilità di rinvenimento di reperti di significativo valore, valutata secondo un motivato giudizio tecnico –discrezionale (CdS VI 19/2/1992 n.674), spettando all’amministrazione l’attenta valutazione di tutte le circostanze di fatto esistenti in loco, nonché delle diverse intensità e modalità della presenza dei beni archeologici in un determinato territorio da sottoporre a vincolo.
In particolare si è riconosciuta ampia discrezionalità all’amministrazione nella valutazione della presunta disseminazione dei reperti archeologici e, in particolare, dei ruderi, anche se non ancora portati alla luce, poiché l’imposizione del vincolo non richiede che i reperti siano stati già trovati o portati alla luce (CdS VI 18/11/1991 n.874). Deve quindi ritenersi che il vincolo dell’antico ed importante predio imperiale – documentato dalle fonti storiche - sia legittimo con riferimento alle preesistenze sotterranee esistenti in loco, anche quale vincolo diretto, se non fosse che l’amministrazione ha imposto un vincolo indiretto sulle aree degli appellati.
Ed allora, in relazione al vincolo indiretto, si deve rilevare che il provvedimento di tutela delle aree prospicienti e circostanti via Labicana antica, che sono in rapporto di complementarietà con i beni di interesse storico ed archeologico ivi esistenti (che possono essere letti come una categoria omogenea ed unitaria ai fini della valutazione dei presupposti del vincolo indiretto) non necessita di accertamenti istruttori, trattandosi di valutare una situazione perfettamente evidente e già conosciuta dall’amministrazione (Tar Lazio Sez.II 21/11/1991 n.1781) (diversa poi essendo la questione della proporzionalità del vincolo rispetto alla consistenza dei beni da tutelare).
Ne consegue il rigetto del secondo motivo di ricorso, costruito anch’esso sul presupposto che si tratti di imposizione di un vincolo diretto e comunque infondato per quanto innanzi osservato.
Il terzo ed il quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente essendo censure dirette avverso il vincolo indiretto e volte a contestarne la legittimità e la proporzionalità.
Con il terzo motivo del ricorso di primo grado si parte dalla constatazione che la giurisprudenza ammette l’imposizione del vincolo su immobili adiacenti ad un complesso monumentale (CdS IV n.707/1966), o alle cose vicine all’oggetto tutelato (CdS VI n.188/63), agli immobili anche non contigui, ma pur sempre vicini, i quanto separati da una via pubblica o da un giardino (CdS IV n.711/66).
Si ricorda la sentenza del Tar del Lazio II n.1376/1985 che ha ritenuto illegittimo un vincolo indiretto di inedificabilità assoluta nella fascia di rispetto profonda mt. 21 che circonda Villa Torlonia in Roma, si rileva l’abnormità del vincolo posto ad una distanza davvero notevole dal complesso archeologico.
Si sostanzia la censura sotto altro profilo per difetto di motivazione, fondandola sull’orientamento interpretativo della giurisprudenza teso a richiedere un’apposita congrua motivazione con riferimento all’ampiezza della fascia di rispetto, ai valori ed interessi secondari tutelati, alla giustificazione del sacrificio del diritto del proprietario (CdS VI n.26/1984), che va tenuto in considerazione specie quando si tratti di vietare del tutto l’edificazione (CDS VI n.301/1984); si sottolinea, in ultimo la necessità di una motivazione autonoma rispetto a quella che sorregge l’imposizione del vincolo diretto (CdS VI n.353/1985; CdS VI n.619/1989; CDS VI n.806/1987; CdS VI n.706/1988).
La motivazione sarebbe carente sotto diversi profili: 1) difetterebbe di autonomia; 2) difetterebbe di specificità in relazione all’ampiezza e lunghezza della fascia di rispetto; 3) sarebbe carente per omessa considerazione della destinazione urbanistica dell’area.
Il quarto motivo in modo specifico contesta che il vincolo
possa fondarsi sulla necessità di salvaguardare la visuale del Mausoleo di S. Elena dalle prospettive possibili dell’intero comprensorio, contestando la mancanza di proporzione e ragionevolezza dell’imposto limite legale che pretende di assicurare in area urbana una visuale di 650 metri. Si lamenta la violazione del canone di bilanciamento tra interesse pubblico e privato.Si ripropongono poi censure già avanzate in precedenza relative all’inesistenza di un complesso archeologico unitario.
Si rileva che si è utilizzato il potere per finalità paesaggistiche, esulando dalla normativa archeologica, e che non sarebbe giustificata l’imposizione dell’inedificabilità assoluta, misura estrema, non sorretta da sufficiente motivazione.
In realtà risulta dal provvedimento impugnato la motivazione del vincolo, ove si rileva che “è necessario salvaguardare l’integrità dell’intero complesso e garantire la piena tutela e valorizzazione delle importanti valenze storiche ed archeologiche in esso presenti nei rapporti topografici e funzionali fra le varie parti che lo compongono nel naturale ambito archeologico” e che “è necessario salvaguardare la libera visuale del Mausoleo di S. Elena dalle prospettive possibili dell’intero comprensorio”.
Ciò perché (come indicato nella relazione allegata al decreto) appare oltremodo necessario “salvaguardare gli ultimi avanzi del praedium imperiale delle fondazioni costantiniane e precostantiniane del possesso ad duas lauros, e di tutti i resti archeologici compresi nell’area tra la via Labico e la via dei Gordiani e dei loro rapporti topografici e funzionali.
E’ altresì indispensabile salvaguardare l’integrità del naturale ambito archeologico di tutti i monumenti del compendio, nonché la visuale del Mausoleo di S. Elena, fulcro dell’intero compendio, che, con i suoi oltre 22 metri di altezza domina l’intero comprensorio con la visuale, percepibile da ogni parte dello stesso, del tamburo superiore del monumento articolato da nicchioni finestrati e culminante con una cornice in travertino ornata di mensole, mole che, anche in antico, intonacata e dipinta, costituiva l’elemento dominante, visibile per lunghissima distanza nel complesso imperiale ad duas lauros e che ancora oggi è l’elemento monumentale più significativo di una vasta area del suburbio ad est di Roma che da essa prende il nome: Tor Pignattara.”
Non ha rilievo la circostanza che il provvedimento impugnato non contenga solamente l’imposizione di vincolo indiretto sul comprensorio, riguardando anche il vincolo diretto (come da planimetria allegata al decreto e facente parte integrante di esso) infatti i diversi provvedimenti impositivi del vincolo possono anche essere adottati contemporaneamente in un unico atto versato in un unico documento, senza che ciò escluda l’autonomia delle relative motivazioni a sostegno dei
diversi vincoli.Deve quindi ritenersi che sia nella specie irrilevante la circostanza dell’adozione simultanea di più vincoli con un unico provvedimento, stante la ricchezza del percorso motivazionale citato, in parte riferibile al vincolo indiretto in modo autonomo ed esaustivo.
Si lamenta poi che il provvedimento difetterebbe di specificità in relazione all’ampiezza ed alla distanza dell’area sottoposta a vincolo indiretto e si contesta il rilievo dato dall’amministrazione alle fonti storiche che evidenziano come le condizioni di fruibilità dell’area monumentale dell’antica via Labicana siano sempre state tali da garantire una visuale completa anche a lunghissima distanza del complesso monumentale e dei mausolei.
Si tratta senza dubbio del punto centrale della controversia ossia la censura che lamenta il difetto di proporzionalità del vincolo in relazione alla distanza di 650 mt. dal complesso archeologico di alcuni dei terreni vincolati.
In proposito si deve rilevare che il mausoleo di S. Elena è il fulcro del compendio imperiale, e che – come sottolineato dalla relazione tecnica del 23/3/1996 della Soprintendenza Archeologica di Roma – tale monumento si è sempre connotato per essere visibile a lunghissima distanza, a testimonianza della vastità ed imponenza dei possedimenti imperiali, scelti per la costruzione del mausoleo dinastico, nonché per la collocazione di innumerevoli tombe degli equites singulares (la guardia imperiale a cavallo). La tomba imperiale era percepibile in antico dal palazzo imperiale costantiniano (ossia dall’odierna S. Croce in Gerusalemme), e, sottolinea la relazione, in uno studio del R. Krautheimer (Roma e Costantino in Roma, profilo di una città), si ricorda la volontà di Costantino che gli edifici dei grandiosi complessi cristiani suburbani dell’urbe fossero visibili da lontano lungo le vie consolari intorno alla città.
Le fotografie in atti mostrano visuali del monumento tratte dalle più lontane prospettive del compendio (i punti visuali da cui sono state effettuate le riprese fotografiche sono visibili in pianta) che consentono di percepire il monumento nella sua interezza, garantendo altresì “la visuale della Tor Pignattara”.
La documentazione allegata fa riferimento anche all’esistenza di stampe del Piranesi, raffiguranti la veduta della Tor Pignattara e dei ruderi oggi inglobati nel Casale Ambrogetti, circostanza questa significativa della costante fruizione, nel corso del tempo, di un’area di interesse culturale che ha suscitato interesse negli artisti e negli uomini di cultura di diverse epoche.
Si tratta di una situazione, documentata anche dalle stampe e dai documenti prodotti sul compendio imperiale, avente pregio sotto il profilo storico, per il riferimento storico-culturale alle modalità di percezione del monumento conservatesi nel tempo, colte da studiosi e da artisti e come tali meritevoli di protezione.
A fronte di questo la mera circostanza della distanza fisica non può avere valore significativo di una violazione del principio di proporzionalità, non esistendo un criterio assoluto per la determinazione dell’ampiezza e della lunghezza della fascia di rispetto attorno ad una zona monumentale, ma dovendosi fare riferimento alla situazione storicamente determinatasi relativa alle condizioni della prospettiva e della visuale di un monumento dalla aperta campagna.
L’imposizione della visuale poi garantisce non solo l’integrità e la visibilità del monumento ma anche l’integrità dell’ambiente circostante ed il decoro.
La continuità dell’area non deve essere intesa in senso solo fisico, né richiede necessariamente una continuità stilistica o estetica fra le aree (data ad es. dalla presenza, pure esistente nella specie, di ruderi quali quelli inglobati nel Casale Ambrogetti, nella fascia di rispetto) ma può essere posta anche a tutela della continuità c.d. storica fra monumento ed insediamenti circostanti (rilevabile dalle fonti e dall’iconografia riscontrabile nelle varie epoche, per opera degli artisti che hanno dedicato all’ambiente vincolato l’attenzione espressiva delle esigenze dello spirito che il vincolo è volto a tutelare) (CdS VI 21/4/1999 n.493); proprio nel caso della vasta porzione di territorio, di interesse paesistico e culturale, qualificabile comprensorio non rileva il mero rapporto di contiguità fisica dei terreni ai fini dell’inclusione dei terreni nell’area vincolata (CdS VI 14/10/1998 n.1391).
Tale irrilevanza del dato fisico deve comportare una dequotazione dell’importanza del requisito della distanza che può essere indice di sproporzione del vincolo solo quando il fondo si trova in lontananza tale dal bene considerato da fare considerare del tutto irragionevole l’imposizione del vincolo.
Al contrario nel caso di specie le fotografie attestano che, nonostante la distanza di 650 mt. circa, la visuale è significativa, da più punti limite dell’area vincolata, sicché il mero dato fisico della distanza non può essere considerato indice rilevante di sproporzione del vincolo in presenza dei requisiti di continuità storica della visuale e delle esigenze di mantenimento dell’integrità ambientale dell’area.
Nei limiti evidenziati deve ritenersi possa rilevare non tanto la supposta originaria intenzione del soggetto che ha commissionato l’opera di garantirne la percezione visiva da determinati punti di osservazione, quanto lo stato originario dei luoghi, voluto dal committente e per avventura conservatosi nel tempo sostanzialmente intatto e fruito nei secoli da generazioni di studiosi e di artisti.
Volontà di tutelare le condizioni di prospettiva e luce, l’integrità del contesto, il mantenimento di speciali punti di vista da una distanza non irragionevole (comunque inferiore al chilometro per un complesso di straordinaria importanza), esigenza di conservazione dell’unità storica e stilistica del comprensorio e decoro ambientale (CdS VI 7/12/1994 n.1745; CdS VI 9/21989 n.102; Csi 24/12/1994 n.475; CdS VI 2/3/1999 n.233; Csi 7/4/1999 n.147; Cass. pen. III 3/4/1995 n.9860) sono le ragioni fondanti il vincolo in discussione, quali emergono dalla documentazione in atti, a fronte delle quali recede l'eventuale destinazione urbanistica dell’area che non necessita di espressa considerazione nel provvedimento di vincolo diretto alla tutela del bene culturale indipendentemente dalla disciplina urbanistica del sito.
Né si dica che la considerazione della disciplina urbanistica non può mancare in quanto si tratta di effettuare un bilanciamento fra interesse pubblico ed interesse privato, nell’individuazione delle misure idonee a salvaguardare il bene.
Infatti è vero che il sacrificio del privato deve essere orientato al minimo (CdS VI 25/3/1999 n.330), ma ciò in rapporto alle esigenze di tutela del bene culturale, nel senso che nel provvedimento deve essere stabilita una disciplina vincolistica che sappia graduare le misure adottate in rapporto all’importanza del bene oggetto della tutela, alla sua natura, alle sue caratteristiche, alla sua ubicazione (CdS VI 7/10/1987 n.806).
In proposito si è rilevato che, ove la specificità della situazione di fatto e la peculiarità del contesto in cui si inserisce si presentino in termini esemplari, anche una motivazione sintetica è idonea a giustificare la scelta dell’amministrazione (CdS VI 21/4/1999 n.482) e che il vincolo può variare fino a consistere nell’inedificabilità assoluta non avendo il provvedimento un contenuto prescrittivo tipico (CdS VI 14/10/1999 n.1379) per cui può comprendere qualsiasi prescrizione idonea allo scopo (CdS VI 25/3/1999 n.330).
La scelta dell’inedificabilità assoluta è ben motivata quando siano indicate le finalità che si è inteso perseguire e le circostanze che, avuto riguardo alla natura del bene ed alla sua ubicazione hanno condotto al tipo di scelta adottata (CdS VI 10/2/1999 n.122).
Nella specie l’importanza del comprensorio giustifica la misura adottata, mentre va rimarcato che sono possibili utilizzazioni a fini economici dell’area diverse dall’edificazione, previo nulla-osta della Sovrintendenza.
Ciò è senz’altro avvenuto nel caso del vincolo impugnato per cui deve ritenersi legittimo l’operato dell’amministrazione.
Né può rilevare la circostanza di episodi di edificazione ai margini dell’ara in questione, poiché la finalità del vincolo indiretto è la necessità di evitare ulteriori compromissioni del bene culturale tutelato a seguito di un uso incontrollato del diritto di proprietà (CdS VI 9/4/1998 n.460). Del pari non ha rilievo l’esistenza di vegetazione o di qualche impianto che non diminuiscono certo in modo significativo la possibilità della visuale (CdS VI 7/10/1987 n.806).
Nella specie poi deve escludersi che il vincolo sia stato posto per assicurare uno spettacolo di godimento panoramico del bene (CdS VI 18/3/1998 n.291; CdS VI 9/4/1998 n.460), trattandosi di vincolo posto essenzialmente a tutela della continuità storica e dell’integrità e del decoro ambientale di un comprensorio – coincidente con l’antico praedium imperiale costantiniano - del massimo interesse storico-archeologico.
Si deve quindi, conclusivamente, accogliere il ricorso d’appello ed, in riforma della sentenza impugnata, respingere il ricorso di primo grado.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe ed, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado. Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2002, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di
Consiglio, con l'intervento dei Signori:Mario Egidio SCHINAIA Presidente
Alessandro PAJNO Consigliere
Chiarenza MILLEMAGGI COGLIANI Consigliere
Rosanna DE NICTOLIS Consigliere
Giancarlo MONTEDORO Consigliere Est.
M A S S I M E
1) Definizione di “unitarietà di un’area archeologica” - distanza dell’area - differenza tra vincolo diretto e vincolo indiretto. L’unitarietà di un’area archeologica deriva dalla vastità del complesso insistente su di essa e dalla unitarietà del “praedium”, documentata dalle fonti antiche, oltre che dalle modalità, storicamente stratificatesi, di fruizione estetica e visiva dei beni del complesso archeologico medesimo. Il mero dato della distanza dell’area (in specie, dalla via Labicana, per quanto rilevato nel ricorso, è variabile da 350 a 650 mt. Circa) non assume valore significativo e decisivo, in sé considerato, dovendosi valutare se le condizioni di prospettiva, luce, decoro del complesso archeologico rendano necessaria l’imposizione di un vincolo indiretto. La giurisprudenza citata dai ricorrenti è riferibile al potere di imposizione del vincolo diretto e non al diverso potere di imposizione del vincolo indiretto (che non potrebbe mai essere concepito se fosse condizionato dalla esistenza in loco di preesistenze archeologiche). Ed allora in relazione al potere di imposizione del vincolo diretto occorre valutare “il carattere unitario del complesso”, quale risulta “dall’affioramento di resti murari e di materiale mobile, dall’omogeneità delle strutture, dalla dimensione e dalla continuità degli allineamenti murari tra i singoli settori scavati e visibili o ricoperti e parzialmente sommersi (CdS VI 6/10/1986 n.758); con valutazione specifica dei “singoli reperti e della loro ubicazione al fine di dimostrare che essi costituiscono un complesso inscindibile” (CdS VI n.923/1983), essendo illegittima ad es. l’imposizione del vincolo su un intera collina ove non risulti valutata la notevole dimensione ed eterogeneità del comprensorio in questione (CdS Ad. Plen. n.6/1973). Non può dubitarsi che il vincolo diretto può risultare sproporzionato ove non sia stata indicata specificamente l’ubicazione dei singoli reperti nelle varie particelle catastali di una vasta area vincolata (CdS n.322/1982), potendosi ritenere legittima l’imposizione del vincolo diretto esteso ad un’area solo quando i ruderi costituiscano un complesso inscindibile (Csi n.400/1989). Tutto ciò - in ogni caso - non può rilevare quando si tratta di valutare la legittimità dell’imposizione di un vincolo indiretto che può fondarsi su una mera situazione di adiacenza o vicinanza del bene indirettamente vincolato all’immobile da tutelare. Ne deriva l’infondatezza del primo motivo di ricorso costruito sul presupposto che il vincolo in esame sia un vincolo diretto, mentre si tratta - in parte qua - di un vincolo indiretto. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566
2) La nozione di “bene culturale” sostituisce ormai le vecchie categorie di cose d’interesse artistico o storico, di cose d’arte, di cose d’antichità - protezione del bene “culturale”. Il “bene culturale” è la nozione che sostituisce ormai le vecchie categorie di cose d’interesse artistico o storico, di cose d’arte, di cose d’antichità, realizzando una considerazione unitaria della materia. Il bene “culturale” viene protetto per ragioni non solo o non tanto estetiche, quanto per ragioni storiche, così sottolineandosi l’importanza dell’opera o del bene per la storia dell’uomo e per il progresso della scienza. Si deve ritenere abbandonata, nell’intentio legislatoris e nella prassi amministrativa, nonché nell’interpretazione giurisprudenziale costituzionalmente orientata (artt.9 e 33 Cost. ) una concezione estetizzante (o estetico-idealistica) del bene culturale (come del bene paesaggistico-ambientale), che era alla base della legge fondamentale del 1939, in favore dell’evoluzione della nozione che ne valorizza il significato di documento del tempo e dell’ambiente in cui è sorta. Consiglio di Stato, sezione VI, 6 settembre 2002, n. 4566
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