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Legislazione  giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

Consiglio Stato, sez. IV, 9 Ottobre 2002, n. 5352.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso iscritto al NRG 11412 dell'anno 2001 proposto dal COMUNE di VARESE, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Liberio Losa e Enrico Romanelli, con i quali è elettivamente domiciliato in Roma, via Cosseria, n. 5;

contro

SODIVA s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Pietro Garavagli e Antonio Ruggiero, con i quali è elettivamente domiciliato in Roma, via Ingrassia, n. 21 (presso Maria Calabrese);

per l'annullamento

delle sentenze del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sez. II, n. 6253 del 3 ottobre 2001;

Visti i ricorsi in appello con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Sodiva s.r.l.;

Viste le memorie prodotte dalle parti sostegno elle rispettive difese;

Visti tutti gli atti di causa;

Relatore alla pubblica udienza del 7 maggio 2002 il consigliere Carlo Saltelli;

Uditi l’avvocato Losa per il Comune di Varese e l’avvocato Clarizia, su delega dell’avvocato Garavaglia, per la Sodiva s.r.l. ;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

F A T T O

Con sentenza n. 2030 del 29 novembre 1997 il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia (sez. II) accoglieva il ricorso proposto dalla Sodiva s.r.l. avverso la delibera n. 231 del 21 dicembre 1995 del Consiglio comunale di Varese, di rigetto del piano di lottizzazione da essa proposto per un’area di sua proprietà in via Quarnero in zona B3, annullandola per difetto di motivazione e contraddittorietà in relazione alla dichiarata non conformità alle previsioni urbanistiche e alle esigenze di sviluppo del territorio.

Pronunciandosi in sede di giudizio instaurato dalla Sodiva s.r.l. per l’esecuzione della predetta sentenza, il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia (sez. II) con sentenza n. 1213 del 4 giugno 1998 dichiarava improcedibile il ricorso per cessazione della materia del contendere, avendo l’amministrazione comunale di Varese adottato un’apposita deliberazione che, prendendo atto di alcune modifiche apportate al piano regolatore generale, aveva sospeso ogni determinazione in ordine al piano di lottizzazione avanzata dalla predetta Sodiva s.r.l.

Successivamente con sentenza n. 6253 del 3 ottobre 2001, provvedendo su un nuovo ricorso per l’esecuzione della stessa sentenza n. 2030 del 29 novembre 1997 proposto dalla citata Sodiva s.r.l. con atto depositato nella segreteria del giudice adito in data 6 giugno 2001, il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia (sez. II), ritenuta ammissibile la domanda ai sensi dell’articolo 10 della legge 21 luglio 2000 n. 205, ordinava al Comune di Varese di dare esecuzione al giudicato nascente dalla citata sentenza n. 2030 del 29 novembre 1997, assegnando a tal fine il termine di novanta giorni dalla comunicazione o dalla notificazione della stessa e nominando, per il caso di persistente inottemperanza, anche il commissario ad acta nella persona del Presidente della Giunta regionale della Lombardia o di un dirigente da questi nominato.

Ad avviso dell’adito Tribunale, infatti, l’Amministrazione comunale di Varese aveva l’obbligo – pacificamente non adempiuto - di provvedere nuovamente sulla richiesta di approvazione del piano di lottizzazione proposta dalla Sodiva s.r.l, conformandosi alle norme e ai limiti diretti ed indiretti rinvenibili nella decisione di annullamento (della cui esecuzione si trattava) che, essendo incentrata esclusivamente sull’accertato difetto di motivazione del provvedimento impugnato, non era di per sé satisfattiva dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio.

Avverso tale statuizione ha proposto appello il Comune di Varese, deducendone l’erroneità e chiedendone quindi la riforma alla stregua di quattro articolati motivi di gravame.

Con il primo, intitolato “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, travisamento dei fatti, erroneità, illogicità della motivazione”, l’amministrazione appellante ha evidenziato innanzitutto che i primi giudici avevano erroneamente dichiarato non costituito in giudizio il Comune, il quale invece non solo aveva depositato in segreteria sin dal 6 luglio 2001 il proprio fascicolo di costituzione in giudizio con ampia documentazione, per quanto aveva depositato in segreteria in data 9 luglio 2001 apposita memoria difensiva ed era stato addirittura presente all’udienza in camera di consiglio del 10 luglio 2001 a mezzo del proprio difensore che aveva anche ritualmente svolto le proprie difese.

Tale macroscopico errore viziava irrimediabilmente la sentenza impugnata che, come si ricavava dalla sua lettura, aveva esaminato ed accolto solo le tesi della società ricorrente.

Con il secondo motivo, denunciando “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, erroneità, illogicità della motivazione, travisamento, violazione del principio del contraddittorio”, il Comune di Varese puntualizzava che il vizio denunciato col primo motivo aveva comportato la violazione del principio del contraddittorio, proprio perché non avevano trovato alcuna considerazione le eccezioni proposte e la documentazione prodotto a dimostrare l’infondatezza della pretesa avanzata dalla società ricorrente.

Con il terzo motivo di gravame, lamentando “violazione e falsa applicazione di norme di diritto, travisamento dei fatti, erroneità, illogicità della motivazione e violazione del principio del contraddittorio”, il Comune di Varese ha riproposto tutte le difese svolte in primo grado (non esaminate in ragione della sua presunta mancata costituzione in giudizio) deducendo: a) l’inammissibilità del ricorso per l’esecuzione, sotto un duplice profilo, sia perché esso era stato solo depositato presso la segreteria del giudice adito, ma non anche notificato all’amministrazione intimata, sia perché esso non era stato preceduto dalla rituale diffida ad adempiere, a tanto non potendo supplire quella notificata il 18 febbraiordo alla improcedibilità del ricorso.

Con un quarto motivo, “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, travisamento dei fatti, erroneità, illogicità della motivazione” l’Amministrazione comunale di Varese ha evidenziato che, contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, per un verso la sentenza della cui esecuzione si trattava non aveva potuto eliminare la discrezionalità di cui essa era titolare nell’approvazione dei piani di lottizzazione e che, per altro verso, l’esame del piano di lottizzazione proposto dalla s.r.l. Sodiva non poteva in ogni caso prescindere dalla vigente disciplina urbanistica, conseguente variante adottata con delibera consiliare n. 233 del 28 dicembre 1995.

La s.r.l. Sodiva si è costituita in giudizio chiedendo il rigetto dell’avverso gravame, di cui ha contestato puntualmente ogni singolo motivo.

Con ordinanza n. 260 del 15 gennaio 2002 questa Sezione ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata.

D I R I T T O

I. La controversia portata all’esame della Sezione investe la correttezza della sentenza n. 6253 del 3 ottobre 2001 del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sezione II, che, accogliendo il ricorso proposto dalla S.r.l. Sodiva, ha ordinato all’amministrazione comunale di Varese di dare esecuzione alla propria precedente sentenza n. 2030 del 29 settembre 1997 nel termine di novanta giorni dalla sua comunicazione o notificazione ed ha anche nominato, per il caso di eventuale persistente inadempienza, il commissario ad acta.

Di tale statuizione il Comune di Varese lamenta l’erroneità alla stregua di quattro articolati motivi di gravame, denunziando gravi vizi sia di ordine processuale che di merito, che ne impongono la riforma, con conseguenziale rigetto del ricorso per l’esecuzione della prefata sentenza n. 2030 del 29 settembre 1997.

Resiste al gravame la Sodiva S.r.l., insistendo per il suo rigetto.

II. Al riguardo la Sezione osserva quanto segue.

II.1. Possono essere esaminati congiuntamente i primi due motivi di appello con i quali, denunciando rispettivamente “violazione e falsa applicazione di norme di diritto, travisamento dei fatti, erroneità, illogicità della motivazione” e “violazione e falsa applicazione di norme di diritto, erroneità, illogicità della motivazione, travisamento, violazione del principio del contraddittorio”, il Comune di Varese deduce l’erroneità della sentenza impugnata deliberata dai primi giudici nell’erronea convinzione, smentita dalla documentazione esibita, della sua mancata costituzione in giudizio e quindi senza esaminare le relative documentate difese.

I motivi prospettati sono fondati.

Invero, come emerge dalla documentazione versata in atti, risulta che il Comune di Varese si costituì effettivamente innanzi al Tribunale amministrativo regionale della Lombardia nel giudizio ex art. 33 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 instaurato dalla Sodiva S.r.l. per l’esecuzione della sentenza n. 2030 del 29 novembre 1997 dallo stesso Tribunale amministrativo regionale, sez. II, depositando in data 6 luglio 2001 (come si ricava dal timbro apposto dall’Ufficio accettazione del predetto organo giudiziario sul relativo atto) apposito controricorso, corredato della relativa documentazione.

Risulta inoltre che in data 9 luglio 2001 il difensore della predetta amministrazione comunale di Varese depositò (circostanza anch’essa confermata dall’apposito timbro di ricevimento dell’Ufficio Accettazione) una apposita memoria difensiva a confutazione dell’ammissibilità e della fondatezza della pretesa della società ricorrente.

Ciò premesso, la Sezione rileva che, poiché nessun accenno viene fatto nella sentenza impugnata circa un eventuale vizio della costituzione in giudizio del Comune di Varese, non vi può essere alcun dubbio sulla ritualità e sulla tempestività della predetta costituzione in giudizio (peraltro neppure genericamente contestata dalla controparte), atteso non solo il rito seguito (procedimento in camera di consiglio), ma anche la stessa data di deposito nella segreteria del giudice adito del ricorso per l’esecuzione (25 giugno 2001), di cui danno atto gli stessi giudici di prime cure nella decisione impugnata.

E’ appena il caso di rilevare che la violazione del termine di venti giorni entro cui l’amministrazione intimata nel giudizio di ottemperanza può presentare le proprio osservazioni non implica alcuna decadenza in ordine alla costituzione in giudizio, che può avvenire in qualsiasi momento fino a quando la causa non viene trattenuta in decisione.

Del tutto erroneamente quindi il Tribunale, come risulta dall’epigrafe della sentenza impugnata, ha dichiarato non costituito in giudizio il Comune di Varese.

Tale errore non si esaurisce in un mero lapsus calami, ma si riflette sulla sentenza impugnata, che, essendo stata deliberata nell’erronea convinzione della mancata costituzione in giudizio del Comune di Varese e senza esaminarne le relative deduzioni difensive, ha violato i fondamentali principi del diritto di difesa e del contraddittorio che non possono soffrire compressioni né in ragione del rito (camera di consiglio), né in ragione della materia (esecuzione delle sentenza non sospese, ai sensi dell’articolo 33 della legge 6 dicembre 1971 n. 1074).

Esso, tuttavia, non costituisce vizio di procedura o di forma cui si ricollega, ai sensi dell’articolo 35 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, l’annullamento della sentenza con rinvio al primo giudice (C.d.S., sez. V, 23 maggio 1997 n. 543), ma impone al giudice di appello di esaminare direttamente la controversia nel merito, tenendo ovviamente conto anche delle tesi difensive prospettate dalla parte erroneamente dichiarata non costituita in giudizio.

II.2. Passando, pertanto, proprio all’esame delle tesi difensive prospettate dal Comune di Varese, la Sezione osserva che quest’ultimo aveva contestato l’ammissibilità e la fondatezza del ricorso proposto dalla S.r.l. Sodiva per l’esecuzione della sentenza n. 2030 del 26 novembre 1997 del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, svolgendo preliminarmente eccezioni di rito che, insieme a quelle di merito, sono state riproposte in appello con la formulazione del terzo e quarto motivo di gravame.

II.2.1. Le eccezioni processuali si imperniano sull’asserita erroneità del rito applicato al caso di specie, ritenendo il Comune di Varese che il ricorso per l’esecuzione della sentenza non poteva essere semplicemente depositato nella segreteria del giudice adito, non essendo sufficiente ai fini del contraddittorio la mera comunicazione di tale deposito fatta dalla segreteria del tribunale, ma doveva essere invece debitamente notificato, e che esso, comunque, doveva essere preceduto dalla rituale diffida ad adempiere, che nel caso di specie era mancata.

Esse, ad avviso della Sezione, sono fondate.

Il primo comma dell’articolo 10 della legge 21 luglio 2000 n. 205, aggiungendo un comma all’articolo 33 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, ha inteso fornire al cittadino vittorioso in primo grado in una controversia contro la pubblica amministrazione un adeguato strumento per conseguire effettivamente, nelle more del giudizio di appello, il bene della vita riconosciutogli dal giudice, quando il giudice d’appello non abbia sospeso l’efficacia della relativa sentenza: si è voluto dare concretezza al principio di esecutività delle sentenze di primo grado, espressamente sancito dallo stesso legislatore, evitando che l’Amministrazione, in violazione peraltro dei principi costituzionali sanciti dagli articoli 97 e 113, potesse arbitrariamente sottrarsi alle pronunce giurisdizionali.

Il cittadino quindi può direttamente chiedere allo stesso giudice di primo grado quindi, ad avviso della Sezione, è caratterizzata dalla provvisorietà del godimento del bene della vita riconosciuto dalla sentenza stessa in contrapposizione alla definitività della situazione che si ricollega all’esecuzione del giudicato; di conseguenza anche i poteri del giudice dell’esecuzione, in relazione alla nomina del commissario d acta ed all’eventuale attività di sostituzione dell’amministrazione inadempiente, non possono spingersi fino a delineare un assetto definitivo ed immutabile degli interessi in gioco, tale da neutralizzare o rendere inutile la successiva pronuncia giurisdizionale, nel cui alveo procedimentale si inserisce l’esecuzione della sentenza non sospesa dal Consiglio di Stato.

Alle delineate differenze strutturali e sostanziali fra l’azione di esecuzione e quella di ottemperanza non possono non ricollegarsi, ad avviso della Sezione, anche differenze in rito, funzionali all’essenza stessa dei due diversi tipi di azione.

In mancanza, dunque, di un’espressa previsione normativa che estenda anche all’azione di esecuzione delle sentenze di primo grado, non sospese dal Consiglio di Stato, la puntuale disciplina del giudizio di ottemperanza, la Sezione è dell’avviso che l’azione di esecuzione delle sentenze non sospese non può ritenersi correttamente introdotta con il solo deposito del ricorso nella segreteria del giudice adito, in quanto tale modalità introduttiva del giudizio non consente la corretta e completa instaurazione del contraddittorio, dovendo limitarsi il segretario del giudice adito a comunicare all’amministrazione intimata solo l’avvenuto deposito del predetto ricorso.

Tale modalità, che ben si giustifica in presenza di un giudicato che ha già fissato l’assetto definitivo degli interessi, pubblici e privati, coinvolti, così che è ragionevole richiedere all’amministrazione intimata solo di presentare memorie per far conoscere al giudice adito l’attività intrapresa ai fini dell’esecuzione e per fare il punto sulla eventuale attività sostitutiva da svolgere, non può ritenersi ragionevole nel caso di esecuzione di sentenze non sospese, ove invece bisogna assicurare la pienezza del contraddittorio onde consentire all’amministrazione di svolgere adeguatamente le proprie difese proprio per la delicatezza della fase in atto, in cui gli assetti pubblici e privati in gioco, che sono ancora in itinere, devono essere salvaguardati al fine di conservarli per quanto possibile integri ed effettivi per la concreta attuazione della decisione finale.

Pertanto il ricorso per l’esecuzione di una sentenza non sospesa dal Consiglio di Stato deve essere notificato, secondo le modalità proprie del procedimento ordinario, proprio per consentire all’amministrazione intimata di poter svolgere adeguatamente e completamente le proprie difese.

Alla luce di tali considerazioni il ricorso proposto dalla Sodiva s.r.l. per l’esecuzione della sentenza n. 2030 del 29 novembre 1997 del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sez. II, andava dichiarato inammissibile, non essendo stato ritualmente notificato all’amministrazione comunale di Varese, ma solo depositato nella segreteria del giudice adito.

Deve peraltro aggiungersi che proprio per le finalità che essa intende perseguire, anche l’azione di esecuzione delle sentenze non sospese dal Consiglio di Stato non può non essere preceduta dalla diffida ad adempiere, sulla falsariga di quanto avviene per il giudizio di ottemperanza, dovendosi attraverso essa raggiungersi la ragionevole prova dell’inadempimento dell’amministrazione, almeno attraverso la qualificazione del suo comportamento inerte o omissivo.

Nel caso di specie tale indispensabile presupposto processuale è mancato.

Invero, come correttamente rilevato dall’amministrazione appellante, la diffida notificata dalla Sodiva s.r.l. il 18 febbraio 1998 ha completamente esaurito i suoi effetti avendo costituito il presupposto di analoga azione di esecuzione della stessa sentenza di cui si tratta conclusasi con la sentenza n. 1213 del 4 giugno 1998, dichiarativa dell’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse in relazione all’intervenuta decisione soprassessoria dell’amministrazione di sospendere ogni determinazione sul piano di lottizzazione proposto dalla Sodiva s.r.l. nell’attesa dell’approvazione della variante al piano regolatore generale.

II.2.2. Per completezza, la Sezione ritiene di dover rilevare che con nota del 3 luglio 2001 n. 33303/1 - Area IX Urbanistica – il Comune di Varese ha comunicato alla S.r.l. Sodiva l’avvio del procedimento finalizzato all’adozione di una determinazione finale da parte dell’organo consiliare sulla proposta di piano di lottizzazione.

Anche sotto tale profilo si apprezza l’inammissibilità del ricorso proposto per l’esecuzione della sentenza n. 2030 del 29 novembre 1997 del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sez. II, in quanto quest’ultima, avendo annullato la mancata approvazione del piano di lottizzazione proposto dalla predetta S.r.l. Sodiva soltanto per un vizio di motivazione, non ha imposto all’amministrazione alcun obbligo specifico, ma ha lasciato inalterato il suo potere di approvazione dello strumento urbanistico particolareggiato, con il solo limite di precisarne le ragioni.

Pertanto, poiché nel caso di specie l’obbligo dell’Amministrazione si esaurisce soltanto nel decidere definitivamente e motivatamente sulla proposta di piano di lottizzazione presentato dalla s.r.l. Sodiva la comunicazione di avvio del procedimento a ciò finalizzato appare sufficiente alla Sezione per ritenere che l’Amministrazione abbia cominciato ad eseguire la predetta sentenza n. 2030 del 29 novembre 1997.

            III. In conclusione l’appello deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza, deve essere dichiarato inammissibile ricorso proposto in primo grado dalla Sodiva s.r.l.

            Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) accoglie l’appello proposto dal Comune di Varese e per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara inammissibile il ricorso proposto in primo grado dalla Sodiva s.r.l.

 

Condanna quest’ultima al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio che si liquidano in complessivi euro 3.000 (tremila).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 maggio 2002, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con la

 

partecipazione dei signori:

Trotta Gaetano                           - Presidente

De Lipsis Raffaele Maria             - Consigliere

Rulli Dedi Marinella                    - Consigliere

Poli Vito                                    - Consigliere

Saltelli Carlo                              - Consigliere Est.

 

 

M A S S I M E

1)  L’azione di esecuzione delle sentenze non sospese dal Consiglio di Stato - la diffida ad adempiere quale indispensabile presupposto processuale - disciplina del giudizio di ottemperanza - deposito del ricorso - necessità di notifica - la pienezza del contraddittorio. In mancanza, di un’espressa previsione normativa che estenda anche all’azione di esecuzione delle sentenze di primo grado, non sospese dal Consiglio di Stato, la puntuale disciplina del giudizio di ottemperanza, la Sezione è dell’avviso che l’azione di esecuzione delle sentenze non sospese non può ritenersi correttamente introdotta con il solo deposito del ricorso nella segreteria del giudice adito, in quanto tale modalità introduttiva del giudizio non consente la corretta e completa instaurazione del contraddittorio, dovendo limitarsi il segretario del giudice adito a comunicare all’amministrazione intimata solo l’avvenuto deposito del predetto ricorso. Tale modalità, che ben si giustifica in presenza di un giudicato che ha già fissato l’assetto definitivo degli interessi, pubblici e privati, coinvolti, così che è ragionevole richiedere all’amministrazione intimata solo di presentare memorie per far conoscere al giudice adito l’attività intrapresa ai fini dell’esecuzione e per fare il punto sulla eventuale attività sostitutiva da svolgere, non può ritenersi ragionevole nel caso di esecuzione di sentenze non sospese, ove invece bisogna assicurare la pienezza del contraddittorio onde consentire all’amministrazione di svolgere adeguatamente le proprie difese proprio per la delicatezza della fase in atto, in cui gli assetti pubblici e privati in gioco, che sono ancora in itinere, devono essere salvaguardati al fine di conservarli per quanto possibile integri ed effettivi per la concreta attuazione della decisione finale. Pertanto il ricorso per l’esecuzione di una sentenza non sospesa dal Consiglio di Stato deve essere notificato, secondo le modalità proprie del procedimento ordinario, proprio per consentire all’amministrazione intimata di poter svolgere adeguatamente e completamente le proprie difese. Consiglio di Stato, sez. IV, 9 ottobre 2002, n. 5352

2) Giudizio di ottemperanza - impugnazione per erronea convinzione della mancata costituzione in giudizio - la violazione del termine - conseguenze di procedura o di forma - l’ambito di efficacia dell’esecutività della sentenza di primo grado non sospesa non coincide con l’area del giudicato. La violazione del termine di venti giorni entro cui l’amministrazione intimata nel giudizio di ottemperanza può presentare le proprio osservazioni non implica alcuna decadenza in ordine alla costituzione in giudizio, che può avvenire in qualsiasi momento fino a quando la causa non viene trattenuta in decisione.  Del tutto erroneamente quindi il Tribunale, come risulta dall’epigrafe della sentenza impugnata, ha dichiarato non costituito in giudizio il Comune di Varese. Tale errore non si esaurisce in un mero lapsus calami, ma si riflette sulla sentenza impugnata, che, essendo stata deliberata nell’erronea convinzione della mancata costituzione in giudizio del Comune di Varese e senza esaminarne le relative deduzioni difensive, ha violato i fondamentali principi del diritto di difesa e del contraddittorio che non possono soffrire compressioni né in ragione del rito (camera di consiglio), né in ragione della materia (esecuzione delle sentenza non sospese, ai sensi dell’articolo 33 della legge 6 dicembre 1971 n. 1074). Esso, tuttavia, non costituisce vizio di procedura o di forma cui si ricollega, ai sensi dell’articolo 35 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, l’annullamento della sentenza con rinvio al primo giudice (C.d.S., sez. V, 23 maggio 1997 n. 543), ma impone al giudice di appello di esaminare direttamente la controversia nel merito, tenendo ovviamente conto anche delle tesi difensive prospettate dalla parte erroneamente dichiarata non costituita in giudizio. L’ambito di efficacia dell’esecutività della sentenza di primo grado non sospesa non coincide con l’area del giudicato. Consiglio di Stato, sez. IV, 9 ottobre 2002, n. 5352

 

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