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Legislazione  giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

 

Consiglio Stato, sez. V, 11 Ottobre 2002, n. 5502.

così anche: C.d.S. Sez. V,11.10 2002 n. 5501-5500

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la seguente

decisione

sul ricorso in appello R.G. 38/1996 proposto dal Comune di Milano in persona del Sindaco in carica rappresentato e difeso dagli avvocati Maria Rita Surano, Giovanni Sindaco e Maria Redondi dell’Avvocatura comunale e dall’avvocati Francesco Pirocchi presso il quale ultimo elettivamente domicilia in Roma, al Largo Temistocle Solera 7/10

contro

l’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza Medici in persona del Presidente in carica rappresentato e difeso dagli avvocati Ercole Romano e Ugo Ferrari presso il quale ultimo elettivamente domicilia in Roma, in Via P.A. Micheli n. 78

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – sede di Milano Sezione Seconda n. 1157/1995 pubblicata mediante deposito il 29 settembre 1995

Visto l’appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Empam;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti di causa;

Nominato relatore per l’udienza del 5 marzo 2002 il Consigliere Filoreto D’Agostino e udito l’Avv. B. Pirocchi su delega dell’Avv. F. Pirocchi;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue

Ritenuto in fatto

Viene in decisione l’appello avverso la sentenza in epigrafe indicata con la quale il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha ritenuto che illegittimamente il Comune di Milano richiedesse, per il rilascio di concessione edilizia in sanatoria a favore dell’Empam, un contributo di concessione in dichiarata applicazione delle tariffe comunali vigenti al momento della richiesta (cioè all’anno 1994) anzi che di quelle operanti al momento della domanda di sanatoria.

L’Empam si è costituito e ha controdedotto alle tesi del Comune, concludendo per la reiezione del gravame.

All’udienza del 5 marzo 2002 parti e causa sono state assegnate in decisione.

Considerato in diritto

L’appello è infondato.

La questione sottoposta a giudizio è la seguente: se per le concessioni edilizie rilasciate in sanatoria a’ sensi degli articoli 31 e seguenti della legge 28 febbraio 1985, n. 47, i contributi di concessione vadano calcolati ai sensi dell’articolo 11 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (con riferimento, cioè, al momento del rilascio) ovvero con riguardo al tempo di presentazione della istanza.

Il Giudice di prime cure ha concluso per la non applicabilità dell’articolo 11 della citata legge n. 10 del 1977 in base alle seguenti considerazioni:

la materia del condono edilizio è disciplinata da una normativa speciale (il capo IV della legge n. 47 del 1985 e le leggi regionali collegate) con caratteri di autonomia rispetto all’ordinario regime edilizio;

l’articolo 37, comma secondo della citata legge n. 47 del 1985 non contiene un rinvio dinamico alle norme che regolamentano la corresponsione di contributi per l’ordinaria attività edilizia;

questa interpretazione è stata recepita dalla legge della Regione Lombardia 10 giugno 1985, n. 77 (art. 1 c. 2) in dichiarata applicazione dell’articolo 37 della legge n. 47 del 1985;

indiretta conferma si consegue dall’esegesi di altra norma di settore (l’articolo 39 comma 10 della legge 23 dicembre 1994, n. 725), che ancora il computo per il pagamento degli oneri ai parametri in vigore al 30 giugno 1989, in evidente riferimento al termine ultimo per l’esame della pratica da parte del Comune, vale a dire nei ventiquattro mesi successivi alla data del 30 giugno 1987, (entro cui spirava il rinnovato termine per la presentazione delle domande di condono).

Le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale amministrativo ambrosiano vanno pienamente condivise.

E’ indubbio che la materia de qua agitur sia regolata dall’articolo 37 della legge n. 47 del 1985, che così recita: “Le regioni possono modificare, ai fini della sanatoria, le norme di attuazione degli articoli 5, 6 e 10, L. 28 gennaio 1977, n. 10. La misura del contributo di concessione, in relazione alla tipologia delle costruzioni, alla loro destinazione d'uso ed alla loro localizzazione in riferimento all'ampiezza e all'andamento demografico dei comuni, nonché alle loro caratteristiche geografiche, non può risultare inferiore al 50 per cento di quello determinato secondo le disposizioni vigenti all'entrata in vigore della presente legge.”

Il precetto è di assoluta chiarezza: le leggi regionali non possono determinare una misura del contributo di concessione per immobili soggetti a sanatoria che risulti inferiore alla metà di quello determinabile giusta le disposizioni vigenti al momento di entrata in vigore della medesima legge n. 47 del 1985.

Ne consegue che quest’ultimo computo costituisce il limite massimo di esposizione per la determinazione del contributo di concessione.

Questo solo argomento sarebbe di per sé ragione necessaria e sufficiente per la conferma della sentenza impugnata.

Va aggiunto per mera completezza che la ratio della disposizione trova nell’impianto della legge (e nel principio di ragionevolezza) ulteriori motivi di sostegno.

La legge n. 47 del 1985 ha la dichiarata finalità di ripristinare, in presenza di determinate condizioni, la legalità violata nel settore edilizio – urbanistico attraverso una procedura che, diversamente da quella di rilascio della concessione edilizia ex lege n. 10 del 1977, presuppone l’esistenza dell’immobile, in quanto edificato entro una determinata data.

La procedura in questione è preordinata:

alla prova dell’esistenza dell’immobile e della sua edificazione nei termini indicati dal legislatore (per assicurare un rapporto tra realtà effettuale e determinazioni amministrative);

all’accertamento della conformità urbanistica o, quanto meno, dell’inesistenza di insuperabili vincoli di inedificabilità, dell’intervento ancorché non assistito da atti di assenso dell’Amministrazione (per legittimare il successivo atto di concessione in sanatoria).

La concessione in sanatoria è così destinata a rivestire di legittimità un fatto al quale è intrinsecamente correlata: senza il fatto (cioè l’immobile abusivo) non si determinerebbe un esame ex post (e una tantum) della qualificazione giuridica (cioè della possibile sanabilità).

Si intende cioè sottolineare come, diversamente che nella legge n. 10 del 1977, il fatto (la costruzione) precede e non segue il rilascio della concessione.

Da questa osservazione scaturisce come proprio la prospettiva su dati di fatto non omogenei e disciplinati da diversi precetti giuridici (dalla quale il Giudice di prime cure ha fatto discendere l’applicazione del principio di specialità) impedisce l’ipotesi assimilativa, fatta propria dal Comune appellante.

D’altro canto, la previsione del combinato disposto degli articoli 3 e 11 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 collega il rilascio della concessione edilizia (anche senza condizionarne la legittimità: C.d.S., V, 15 aprile 1996, n. 426) alla corresponsione di contributi per un’attività futura di edificazione, nonché di predisposizione delle opere di urbanizzazione. Al momento del rilascio i contributi vanno a gravare su un immobile ancora non esistente: è pertanto ragionevole il collegamento tra momento del rilascio della concessione e tariffe comunali vigenti a quell’epoca in quanto l’effetto conformativo del territorio è già completamente prefigurato nei suoi aspetti ideali.

E’ evidente che, nell’ambito della legislazione di sanatoria, tutte queste considerazioni vengono meno: l’effetto si è già verificato e non in ragione del titolo rilasciato dall’Amministrazione ma proprio in assenza di quest’ultimo.

E’ perciò coerente con il principio di ragionevolezza individuare una data entro la quale scaturiscano gli effetti giuridici utili per la conformazione del fabbricato, data che non può essere in ogni caso del tutto svincolata da quella di ultimazione dell’opera (1° ottobre 1983).

Diversamente opinando, si creerebbe un forte squilibrio tra momento idealmente risarcitorio del vulnus (atto di sanatoria) e situazione di fatto, con una divaricazione non solo temporale contraria ai principi:

di uguaglianza nella soggezione alle prestazioni patrimoniali imposte (art. 3 e 23 Cost.), ben potendo due identiche violazioni urbanistico – edilizie, contemporaneamente ultimate, essere sanate con la corresponsione di oneri di diverso importo;

di buon andamento della pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.), rimettendosi alle scelte discrezionali in sede organizzativa del Comune la facoltà di determinare la tariffa applicabile al caso;

di affidamento del privato nel corretto esercizio delle attribuzioni da parte dei soggetti pubblici (artt. 3 , 24 e 97 Cost.), per quest’ultimo dovendosi intendere lo svolgimento nei termini prescritti (id est nei ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda) delle attività istruttorie necessarie per il completamento della pratica: nel caso di specie è, per contro, avvenuto che l’iter abbia richiesto ben nove anni.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quinta respinge l’appello.

Condanna il Comune di Milano a rifondere all’Empam le spese del giudizio che, comprensive di diritti e onorari liquida in complessivi 2000 euro (diconsi duemila euro).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma addì 5 marzo 2002 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quinta riunito in camera di consiglio con l’intervento dei Signori:

Claudio Varrone                         Presidente      

Corrado Allegretta                      Consigliere      

Goffredo Zaccardi                       Consigliere      

Filoreto D’Agostino                     Consigliere estensore   

Claudio Marchitiello                     Consigliere   

   

 

L'ESTENSORE                                           IL PRESIDENTE                                           IL SEGRETARIO

f.to Filoreto D’Agostino                                f.to Claudio Varrone                                       f.to Luciana Franchini

 

 

 

 

M A S S I M E

1)  Sanatoria - la misura del contributo di concessione - riduzione: limite massimo - la disciplina statale e regionale. La materia de qua agitur è regolata dall’articolo 37 della legge n. 47 del 1985, che così recita: “Le regioni possono modificare, ai fini della sanatoria, le norme di attuazione degli articoli 5, 6 e 10, L. 28 gennaio 1977, n. 10. La misura del contributo di concessione, in relazione alla tipologia delle costruzioni, alla loro destinazione d'uso ed alla loro localizzazione in riferimento all'ampiezza e all'andamento demografico dei comuni, nonché alle loro caratteristiche geografiche, non può risultare inferiore al 50 per cento di quello determinato secondo le disposizioni vigenti all'entrata in vigore della presente legge.” Il precetto è di assoluta chiarezza: le leggi regionali non possono determinare una misura del contributo di concessione per immobili soggetti a sanatoria che risulti inferiore alla metà di quello determinabile giusta le disposizioni vigenti al momento di entrata in vigore della medesima legge n. 47 del 1985. Ne consegue che quest’ultimo computo costituisce il limite massimo di esposizione per la determinazione del contributo di concessione. Questo solo argomento sarebbe di per sé ragione necessaria e sufficiente per la conferma della sentenza impugnata. Va aggiunto per mera completezza che la ratio della disposizione trova nell’impianto della legge (e nel principio di ragionevolezza) ulteriori motivi di sostegno. Consiglio di Stato Sezione V, 11 ottobre 2002 n. 5502 così anche: CdS Sez. V,11.10 2002 n. 5501-5500

2) La concessione in sanatoria - condizioni - il principio di ragionevolezza - termini utili. La legge n. 47 del 1985 ha la dichiarata finalità di ripristinare, in presenza di determinate condizioni, la legalità violata nel settore edilizio – urbanistico attraverso una procedura che, diversamente da quella di rilascio della concessione edilizia ex lege n. 10 del 1977, presuppone l’esistenza dell’immobile, in quanto edificato entro una determinata data. La procedura in questione è preordinata: alla prova dell’esistenza dell’immobile e della sua edificazione nei termini indicati dal legislatore (per assicurare un rapporto tra realtà effettuale e determinazioni amministrative); all’accertamento della conformità urbanistica o, quanto meno, dell’inesistenza di insuperabili vincoli di inedificabilità, dell’intervento ancorché non assistito da atti di assenso dell’Amministrazione (per legittimare il successivo atto di concessione in sanatoria). La concessione in sanatoria è così destinata a rivestire di legittimità un fatto al quale è intrinsecamente correlata: senza il fatto (cioè l’immobile abusivo) non si determinerebbe un esame ex post (e una tantum) della qualificazione giuridica (cioè della possibile sanabilità). Si intende cioè sottolineare come, diversamente che nella legge n. 10 del 1977, il fatto (la costruzione) precede e non segue il rilascio della concessione. Da questa osservazione scaturisce come proprio la prospettiva su dati di fatto non omogenei e disciplinati da diversi precetti giuridici (dalla quale il Giudice di prime cure ha fatto discendere l’applicazione del principio di specialità) impedisce l’ipotesi  assimilativa, fatta propria dal Comune appellante. D’altro canto, la previsione del combinato disposto degli articoli 3 e 11 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 collega il rilascio della concessione edilizia (anche senza condizionarne la legittimità: C.d.S., V, 15 aprile 1996, n. 426) alla corresponsione di contributi per un’attività futura di edificazione, nonché di predisposizione delle opere di urbanizzazione. Al momento del rilascio i contributi vanno a gravare su un immobile ancora non esistente: è pertanto  ragionevole il collegamento tra momento del rilascio della concessione e tariffe comunali vigenti a quell’epoca in quanto l’effetto conformativo del territorio è già completamente prefigurato nei suoi aspetti ideali. E’ evidente che, nell’ambito della legislazione di sanatoria, tutte queste considerazioni vengono meno: l’effetto si è già verificato e non in ragione del titolo rilasciato dall’Amministrazione ma proprio in assenza di quest’ultimo. E’ perciò coerente con il principio di ragionevolezza individuare una data entro la quale scaturiscano gli effetti giuridici utili per la conformazione del fabbricato, data che non può essere in ogni caso del tutto svincolata da quella di ultimazione dell’opera (1° ottobre 1983). Diversamente opinando, si creerebbe un forte squilibrio tra momento idealmente risarcitorio del vulnus (atto di sanatoria) e situazione di fatto, con una divaricazione non solo temporale contraria ai principi: di uguaglianza nella soggezione alle prestazioni patrimoniali imposte (art. 3 e 23 Cost.), ben potendo due identiche violazioni urbanistico – edilizie, contemporaneamente ultimate, essere sanate con la corresponsione di oneri di diverso importo; di buon andamento della pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.), rimettendosi alle scelte discrezionali in sede organizzativa del Comune la facoltà di determinare la tariffa applicabile al caso; di affidamento del privato nel corretto esercizio delle attribuzioni da parte dei soggetti pubblici (artt. 3 , 24 e 97 Cost.), per quest’ultimo dovendosi intendere lo svolgimento nei termini prescritti (id est nei ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda) delle attività istruttorie necessarie per il completamento della pratica: nel caso di specie è, per contro, avvenuto che l’iter abbia richiesto ben nove anni. Consiglio di Stato Sezione V, 11 ottobre 2002 n. 5502 così anche: CdS Sez. V,11.10 2002 n. 5501-5500

 

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