Legislazione giurisprudenza Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n.8479/2001proposto dalla FINSIEL S.P.A. CAPOGRUPPO ATI, ATI TSF S.P.A., ATI DASSAULT AUTOMATIONES TELECOMUNICATIONS S.A., ATI TELECOM ITALIA S.P.A., ATI ALPITEL S.P.A., rappresentati e difesi dall'Avv. Angelo Clarizia ed elettivamente domiciliati in Roma, Via Principessa Clotilde n.2;
contro
- l'ATM AZIENDA TRASPORTI MILANESI e FERROVIE NORD MILANO ESERCIZIO S.P.A., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Federico Sorrentino e Maurizio Zoppolato ed elettivamente domiciliati presso lo studio del primo in Roma, Lungotevere delle Navi n.30;
- la TRENITALIA S.P.A., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Federico Sorrentino e Mario Bucello ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, Lungotevere delle Navi n.30;
- il CONSORZIO ELMAC MANDATARIA ATI, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Giovanni Di Gioia e Piergiorgio Alberti ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, Piazza Mazzini n.27;
- le FERROVIE DELLO STATO S.P.A., l'ATI FIREMA TRASPORTI S.P.A., l'ATI ASCOM MONETEL S.P.A., l'ATI ASCOM ITALIA S.P.A., l'ATI ASCOM AUTELCA, l'ATI AG. S.P.A. e l'ATI ELSAG BANKLAB S.P.A., tutte non costituite;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia – Milano - Sezione III n.4386/2001, resa tra le parti, concernente: aggiudicazione gara per progettazione costruzione sistema bigliettazione magnetica;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'ATM Azienda Trasporti Milanesi, delle Ferrovie Nord Milano Esercizio S.P.A., di Trenitalia S.P.A. e del Consorzio Elmac mandataria ATI;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 14 maggio 2002 relatore il Consigliere Francesco Caringella. Uditi, altresì, l'Avv. Clarizia, l'Avv. Zoppolato, l'Avv. Bucello e l'Avv. Alberti;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza appellata i primi Giudici hanno respinto il ricorso proposto dall’odierna appellante avverso il provvedimento di aggiudicazione, in favore dell’Ati Consorzio Elmac, della gara relativa alla progettazione, costruzione, fornitura “chiavi in mano” nonché eventuale manutenzione del sistema integrato di bigliettazione magnetica ed elettronica con passaggio di prossimità per trasporto pubblico, per i parcheggi di corrispondenza e per i parcometri personali per la sosta in luogo pubblico. Giova rammentare che la gara era stata indetta dall’Azienda Trasporti Municipale di Milano, dalle Ferrovie Nord Milano Esercizio s.p.a. e da Ferrovie dello Stato s.p.a., con avviso pubblicato sulla G.U.C.E. del 3 ottobre 1996, n.232 secondo il metodo della procedura negoziata preceduta da pubblicazione del bando di gara ai sensi degli artt.11 e 12, comma 3 lettera c) del decreto legislativo 17 marzo 1995, n.158 ed il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi dell’articolo 24, comma 1, lettera b), della normativa da ultimo citata.
L’appellante contesta gli argomenti posti a fondamento del decisum.
Resistono gli enti appaltanti sopra citati ed il consorzio risultato aggiudicatario.
Le parti hanno affidato al deposito di memorie l’ulteriore illustrazione delle tesi difensive.
All’udienza del 3 maggio 2002 la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. Con il primo motivo di appello, la società ricorrente torna a lamentare che la Commissione di gara non avrebbe garantito la pubblicità delle sedute nelle quali sono state aperte le buste contenenti la documentazione amministrativa e l’offerta, con conseguente incisione dei principi generali della pubblicità, del buon andamento, della trasparenza, dell’imparzialità e della par condicio che governano le procedure concorsuali ad evidenza pubblica.
L’infondatezza della censura esonera il Collegio dallo scrutinio dell’eccezione di tardività spiegata dalle parti appellate in ragione dell’omessa rituale impugnazione della lex specialis, sul punto da intendersi come immediatamente lesiva.
Reputa la Sezione che la regola generale della pubblicità della gara, segnatamente con riguardo al momento dell’apertura delle buste, sia nella specie derogata dalla prevalente legislazione speciale operante nei settori ex esclusi ai sensi del decreto legislativo 17 marzo 1957, n.158, di recepimento delle direttive 90/531 e 93/28 CEE. Giova in particolare rimarcare che detta normativa, volta alla regolazione complessiva di procedure attinenti a settori (acqua, energia elettrica, gas, energia termica, trasporti, telecomunicazioni), non solo non sancisce expressis verbis l’obbligo di pubblica apertura delle buste contenenti le offerte e la documentazione ma esclude che, nel caso di procedure ristrette e negoziate, si debba dare notizia della data, del luogo e dell’ora di apertura delle buste. Tanto si ricava, in particolare, dall’analisi comparativa delle schede A, B e C, dell’allegato XII del decreto legislativo: mentre infatti la prima, relativa alle procedure aperte, al punto 11, contempla l’indicazione, in senso al bando di gara, di data, ora e luogo dell’apertura delle offerte in sede aperta al pubblico, la seconda e la terza, rispettivamente concernenti le procedure ristrette e negoziate, omette ogni riferimento alla fase dell’apertura ed alle formalità relative. Se si considera, poi, che l’allegato in parola, al quale rinvia il dettato dell’art.11, comma 1, dello stesso decreto, reca la puntuale e completa indicazione del contenuto del bando di gara nelle esposte tipologie di procedure risulta evidente che sia la normativa comunitaria sia la legislazione nazionale, la quale ultima si è uniformata alle regole europee senza dettare norme integrative in subiecta materia, hanno inteso sottrarre le procedure diverse da quelle cd. “aperte” all’esplicazione del principio generale di pubblicità della seduta dedicata all’apertura delle offerte. La ratio di tale opzione normativa e, a valle, della condotta delle stazioni appaltanti, può essere facilmente colta, con riferimento al caso di specie, se solo si considera che si è al cospetto di una procedura negoziata ex lettera c) dell’articolo 12 del citato decreto legislativo n. 158/1995, ossia di una procedura che, pur divergendo in modo sensibile dal modello della tradizionale trattativa privata integralmente deproceduralizzata, conserva margini di snellezza e di elasticità che giustificano la sottrazione a regole formali operanti con riferimento alle gare sottoposte ad un più intenso tasso di pubblicità e di formalismo. La circostanza poi, a più riprese ribadita dall’appellante, secondo cui il principio che impone la pubblicità dell’atto di apertura delle offerte, desunto dalla normativa contenuta nel regolamento generale di contabilità dello Stato (art.89, comma 4, r.d. 23 maggio1924, n.827) avrebbe valore generale nelle procedure ad evidenza pubblica, non incide poi sulla possibilità che a detta regola, non dotata di sanzione costituzionale, possa derogarsi da parte del legislatore nazionale con una disciplina che in modo ragionevole calibri il regime di pubblicità in rapporto al tipo di procedura ed alle esigenze che la caratterizzano. Si deve osservare d’altronde, a sostegno della caratterizzazione non rigida del principio e della possibilità di apportavi temperamenti modulati in funzione della specificità della procedura, che la stessa giurisprudenza, con riferimento peraltro a procedure non interessate da normative speciali, ha reputato che il principio di pubblicità della gara può essere derogato, in relazione all’apertura dei plichi contenenti la documentazione di gara e le offerte, nell’ambito delle procedure – quale la presente- regolate dal criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, stante la necessità per la commissione giudicatrice di procedere ad una specifica valutazione tecnica delle offerte (Cons. Stato, sezione V, 14 aprile 2000. n.2235, la quale ha ritenuto che la deroga deve ritenersi consentita anche rispetto alle offerte economiche, considerato che la loro consistenza risulta da atti scritti ai quali, insieme ai verbali da cui risulta la loro comparazione, la legge assicura l’accesso a chi vi abbia interesse; Cons. Stato, sezione V, 23 agosto 2000. n.4577, ove si sottolinea la possibilità di derogare al principio di pubblicità della gara per quanto attiene all’apertura dei plichi contenenti la documentazione richiesta dal bando di gara e dalla lettera di invito alla licitazione privata, ferma restando la necessità del rispetto delle inabdicabili garanzie di imparzialità, correttezza e trasparenza cui devono essere improntate le pubbliche gare; CGA 28 gennaio 2002, n.58, ove parimenti si ammette la deroga al principio di pubblicità quando la Commissione debba procedere ad una specifica valutazione tecnica delle offerte, il che si verifica nell’ipotesi dell’appalto concorso, ovvero quando si debba procedere all’aggiudicazione secondo il principio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e sia prevista anche la possibilità di proporre varianti ed integrazioni).
3. Non è fondata neanche la doglianza con la quale la società appellante lamenta che la stazione appaltante, in deroga rispetto alle regole generali in materia di evidenza pubblica, avrebbe consentito, in sede di negoziazione diretta, al solo consorzio risultato meglio classificato all’esito della prima fase della procedura, di apportare consistenti modifiche all’iniziale offerta, praticando uno sconto di ben 63 miliardi di lire.
Il Collegio è consapevole dell’orientamento interpretativo, emerso sia in ambito nazionale che in sede comunitaria, alla stregua del quale nelle procedure di evidenza pubblica va considerata illegittima ed esclusa “qualsiasi negoziazione, anche in fase successiva all’aggiudicazione, con il candidato risultato aggiudicatario al fine di evitare l’introduzione di elementi distorsivi della concorrenza, in violazione dei principi comunitari in materia. In effetti, con parere motivato, reso il 23 marzo 1998 all'indirizzo della Repubblica Italiana, ai sensi dell'art.169 del Trattato CE, la Commissione CE ha sottoposto a censura il comportamento di un'amministrazione pubblica che, all'esito di una licitazione privata, aveva proceduto a rinegoziare con l'impresa risultata aggiudicataria i termini e i prezzi d’offerta (procedura d’infrazione n.95/4646).
Con parere reso dall'adunanza della Commissione speciale il 12 ottobre 2001, n.1084/2000, il Consiglio di Stato ha confermato l'indirizzo contrario alla rinegoziazione successiva all’aggiudicazione, segnatamente con riguardo alla prassi seguita da alcune amministrazione di chiedere sconti economici alle imprese aggiudicatarie.
A sostegno dell’assunto il Consiglio ha osservato che:
a) la rinegoziazione dell'offerta, dopo l'aggiudicazione, può indurre l'impresa aggiudicataria a recuperare l'ulteriore sconto sul prezzo incidendo negativamente sulla qualità del servizio o del prodotto fornito e ponendosi in contrasto con la ratio della disciplina legislativa in materia di controllo del fenomeno delle offerte basse in misura anomala;
b) lo stesso meccanismo proprio delle procedure “ad evidenza pubblica” è già fisiologicamente diretto all'individuazione del miglior contraente possibile, ossia di colui che ha formulato l'offerta marginalmente più congrua, oltre la quale l'impresa potrebbe non avere più interesse ad effettuare il servizio o la fornitura richiesti. Rinegoziando l’offerta dopo l’aggiudicazione, si verrebbe a trasformare un'originaria procedura aperta (ovvero ristretta) in una negoziata, passando così sostanzialmente allo schema della trattativa privata;
c) un’eventuale rinegoziazione si pone in contrasto con la procedura originariamente individuata e sulla cui base sono state specificamente formulate le offerte, ponendosi in contrasto con i limiti posti dal legislatore europeo al fine di delimitare la possibilità di ricorso alla procedura negoziata. Si introdurrebbe, in sostanza, un elemento distorsivo della stessa funzione della gara, nella misura in cui i concorrenti verrebbero indotti ad inglobare nelle offerte il rilievo economico insito nel successivo meccanismo della rinegoziazione.
L’avviso del Consiglio di Stato risulta recepito dalla circolare 15 novembre 2001, n.12727, della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per le politiche comunitarie, avente ad oggetto per l’appunto il “divieto di rinegoziazione delle offerte nelle pubbliche gare dopo l'aggiudicazione” (G.U. n.8 del 10 gennaio 2002).
Ora, osserva la Sezione, in disparte i profili di inammissibilità della censura per difetto di interesse, che la stessa analisi dei principi posti a fondamento del divieto di rinegoziazione nelle procedure ad evidenza pubblica, ne esclude l’applicazione al caso di specie.
In primo luogo, nella specie non è pertinente l’addebito relativo alla surrettizia conversione di una procedura di evidenza pubblica in procedura negoziata esorbitante dai limiti all’uopo posti dalla normativa europea, posto che al contrario la medesima disciplina comunitaria, al pari della normativa in terna di recepimento, prevede una procedura bifasica, constante di una prima fase di gara pubblica e di un secondo stadio impegnato dalla negoziazione diretta (vedi art.12, lettera c, del decreto legislativo n.158/1995).
Si deve, del pari, escludere che la negoziazione diretta con il migliore offerente, con correlativa esclusione delle altre imprese, sia lesiva della par condicio e comporti un’alterazione del gioco concorrenziale. In prima battuta, rimarcato che la par condicio risulta rispettata nel corso dello svolgimento della prima fase della procedura, ossia la gara in senso stretto, all’esito della quale si individua il migliore offerente. In seconda battuta, si deve rilevare che la possibilità di una negoziazione diretta è insita nella stessa natura della procedura di che trattasi, ossia una procedura negoziata, pur se preceduta dalla pubblicazione del bando di gara. Infine, è agevole replicare che in senso contrario ad un presunto obbligo di estendere la rinegoziazione a tutte o almeno ad alcune delle imprese partecipanti si pongono: a)l’esplicito riferimento del legislatore alla possibilità di rinegoziare con uno solo dei candidati, che assume un particolare significato a contrario se rapportato alle diverse disposizioni (vedi artt.37 bis e seguenti della legge n.109/1994, come modificati dalla legge n.166/2002, in materia di finanza di progetto) che impongono, sempre in seno a procedure bifasica, una negoziazione a valle della gara expressis verbis estesa a tre soggetti; b) l’illogicità di una scelta interpretativa che imponesse l’estensione della fase negoziata a tutte le imprese partecipanti, sì da svuotare il significato pratico della gara vera e propria; c)l’assenza e l’opinabilità di un criterio capace di orientare l’amministrazione, in mancanza di una prescrizione legislativa e di un'indicazione in seno alla lex specialis, nell’individuazione del numero delle imprese da ammettere a negoziazione.
Quanto, infine, al profilo della violazione delle regole in materia di anomalia è sufficiente osservare, per un verso, che anche le offerte che maturano in seguito a rinegoziazione sono suscettibili di un controllo di affidabilità e plausibilità analogo a quello disciplinato dalle norme in materia di anomalia; per altro assorbente profilo che una fase di rinegoziazione, con conseguente miglioramento economico dell’offerta a vantaggio dell’amministrazione, è nella specie espressamente prevista dal legislatore in ragione della specificità della procedura.
Si deve allora concludere che la rinegoziazione con l’impresa risultata la migliore offerente sia compatibile con un quadro normativo che detta opzione prevede in relazione alla specificità di una procedura caratterizzata da profili di specialità in relazione al settore ed alla complessità tecnica. La scelta di limitare al solo miglior offerente la rinegoziazione non necessita, poi, di specifica motivazione in quanto costituisce la soluzione fisiologicamente praticabile, alla stregua degli argomenti prima esposti, in mancanza di una diversa indicazione in seno alla lex specialis.
Una volta ammessa la legittimità, ed anzi la sostanziale doverosità in assenza di una diversa prescrizione nella lex specialis, della scelta dell’amministrazione di limitare la rinegoziazione ad una sola impresa offerente, la società ricorrente perde interesse a contestare l’entità delle modifiche apportate all’esito della rinegoziazione, posto che dalla declaratoria della illegittimità di dette alterazioni dell’offerta originaria non conseguirebbe alcune effetto utile a fronte della legittima decisione di aggiudicare alla società che abbia formulato la migliore offerta.
3.1. Alla stregua di detto ultimo ordine di considerazioni, si appalesa inammissibile per difetto di interesse anche la censura con la quale si lamenta che la scelta di procedere alla rinegoziazione sarebbe stata assunta dalla commissione giudicatrice e non dalla stazione appaltante.
La censura è in ogni caso infondata.
Dall’esame della documentazione di gara si evince, infatti, che, a seguito della comunicazione delle risultanze della gara da parte della Commissione, la decisione di procedere alla fase ulteriore della negoziazione diretta è stata adottata dagli organismi appaltanti che ne hanno solo demandato le funzioni operative alla medesima commissione (vedi verbale 8 del 21 marzo 2000). Aggiungasi che, nell’ambito di una procedura caratterizzata da profili di complessità tecnica, è fisiologico che la negoziazione sia stata condotta dalla stessa Commissione chiamata a valutare le offerte nella fase della gara; e che, l’opzione in merito al numero dai soggetti da invitare alla rinegoziazione era
sostanzialmente vincolata alla stregua dei rilievi fin qui svolti.
In ogni caso, anche sotto detto ultimo profilo, assume valore dirimente la circostanza che dell’operato della Commissione, anche per quel che concerne lo svolgimento della fase della negoziazione, le amministrazioni si sono integralmente appropriate all’atto dell’aggiudicazione in favore del consorzio controinteressato.
4. Non è fondato neanche l’ulteriore motivo di gravame con il quale si censura l’operato della commissione sia per la genericità dei criteri di valutazione sia per la superficialità della valutazione delle offerte effettuata in poco più di dieci ore e senza la puntuale indicazione delle ragioni poste a fondamento della mera attribuzione di punteggi numerici.
Osserva in primo luogo la Sezione che lo spazio temporale che risulta pari a quindici ore, diviso per cinque separate sedute (cfr. verbali nn.3, 4, 5 e 6), se rapportato alle specifiche competenze tecniche dei membri della commissione ed al numero contenuto di offerte valide (tre), non appare ictu oculi troppo esiguo e, quindi, tale da permettere di cogliere, in sede di giurisdizione di legittimità, un indizio sintomatico della superficialità della valutazione.
Quanto, poi, al profilo del deficit motivazionale che inficerebbe la fissazione dei criteri e la conseguente assegnazione dei punteggi, si deve osservare, in punto di fatto, che la Commissione, nel corso della prima seduta, ha
individuato un rilevante numero di sottovoci, con i relativi punteggi, entro le quali ripartire i parametri di valutazione di cui alle singole voci; in sede di valutazione delle offerte è stato quindi assegnato per ciascuna sottovoce un voto che, rapportato al massimo previsto, ha determinato l’attribuzione del punteggio. L'analitica determinazione dei punteggi in relazione alle singole voci e sottovoci fra le quali è stata distinta l’analisi dei progetti tecnici consente allora, nonostante la mancanza di una motivazione discorsiva, la puntuale ricostruzione dell’iter logico percorso dalla commissione nella valutazione dei singoli aspetti dei progetti e, quindi, permette la percezione delle ragioni poste a fondamento dell’assegnazione dei punteggi complessivi sulla scorta dei quali è stata formulata la graduatoria. A sostegno della bontà dell’operato della commissione si deve richiamare l’insegnamento pretorio a guisa del quale nelle procedure di aggiudicazione basate sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, le valutazioni in ordine all’adeguatezza dei progetti, sotto i profili tecnico ed economico, espresse con punteggi corrispondenti ai parametri precostituiti nei criteri generali, non richiedono ulteriore valutazione (Cons. Stato, sezione V, 27 settembre 1996, n.1173; sezione IV, 16 febbraio 1998, n.300).
5. Con il quinto motivo di appello si deduce la violazione dei principi di segretezza, imparzialità e par condicio, per avere la commissione analizzato contemporaneamente le offerte delle diverse concorrenti anziché procedere ad un'analisi delle stesse secondo un rigido principio di progressività.
Il motivo è infondato.
Osserva la Sezione che, nel contesto di una procedura finalizzata alla scelta dell’offerta economicamente più vantaggiosa in relazione a progetti caratterizzati da significativi profili di complessità tecnica, le singole offerte sono fisiologicamente destinate al confronto con le altre. La disamina comparativa dei singoli elementi delle offerte appare allora, meglio dell’analisi atomistica dei medesimi, capace di rispondere alla finalità ultima di selezionare il progetto, sul versante tecnico-economico, più rispondente agli interessi perseguiti dalle stazioni appaltanti.
Le considerazioni precedentemente articolate in merito alla previa determinazione delle voci e delle sottovoci, con i correlativi punteggi, dimostrano poi l’infondatezza della censura diretta a stigmatizzare il difetto della preventiva fissazione dei parametri relativi all’esame dei singoli componenti delle offerte.
Sfugge infine il nesso di relazione, paventato dall’appellante, tra la conduzione della verifica comparativa secondo il consolidato metodo del cd. confronto a coppie ed il timore di attribuzione postuma dei punteggi. Si deve in ogni caso ribadire che, secondo consolidata giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez.V, 19 marzo 2001, n.1642), il verbale di gara fa piena prova di quanto attestato salva querela di falso che nella specie non risulta proposta.
6. Si può ora passare all’esame delle censure spiegate, con l’ultimo motivo di appello, dirette a stigmatizzare la valutazione di specifiche voci delle offerte FINSIEL ed ELMAC.
La società appellante si duole in particolare:
a) dell’ingiustificato punteggio di 8/10 e 7/10 attribuito al consorzio aggiudicatario in relazione alle voci 16 e 17, concernenti lo sviluppo del software che governa l’intero sistema oggetto della gara;
b) dell’illogica attribuzione del punteggio 0 alla società appellante in relazione alla voci 3 dell’elemento di valutazione “Architettura sistemistica”, recante “Impianto emissione dei documenti, 21 (“Stazione addestrativa”) e 24 (relativa all’implementazione degli impianti);
c) dell’incongrua attribuzione all’appellante del punteggio di soli 2/10 per la voce n.10 (“parchimetro individuale”);
d) dell’incongruità della differenza di punteggio registratasi tra appellante e consorzio aggiudicatario in relazione alle voci 15 (software-configurabilità, sinottici, diagnostica), 18 (software elaborazione dati) nonché per le voci 6 (“impianti di vendita-ricarica di sportello”) e 11 (“impianti di controllo documenti nelle stazioni –
convalidatrici”).
Anche dette censure non colgono nel segno.
Il Collegio deve osservare in prima battuta che tutti i motivi di doglianza involgono il proprium della discrezionalità tecnica che compete alla stazione appaltante, e segnatamente alla sua articolazione operativa data dalla commissione giudicatrice, in sede di valutazione comparativa delle offerte. Detto giudizio, caratterizzato dalla complessità delle discipline specialistiche di riferimento e dall’opinabilità dell’esito della valutazione, sfugge, in base a costante giurisprudenza, al sindacato del giudice amministrativo in sede di legittimità laddove non vengano in rilievo indici sintomatici del non corretto esercizio del potere, sub specie di difetto di motivazione, di illogicità manifesta, di erroneità dei presupposti di fatto e di incoerenza della procedura valutativa e dei relativi esiti. Giova in particolare osservare che il potenziamento dei mezzi istruttori utilizzabili dal giudice amministrativo ai fini del sindacato sulle valutazioni di stampo tecnico-specialistico, sancito dall’innesto della consulenza tecnica ai sensi dell’art.16 della legge 21 luglio 2000, n.205, consente certo il pieno e diretto accertamento dei fatti presi in esame dall’amministrazione, ma non la sostituzione del giudice amministrativo, per il tramite del consulente tecnico, ai giudizi di tipo tecnico formulati dall’amministrazione. Con espressione sintetica si può allora dire che il controllo del g.a. sul giudizio tecnico dell’organo amministrativo, pur se divenuto intrinseco - nel senso della possibilità di accertare direttamente i fatti e di controllare la ragionevolezza delle relative analisi, se necessario con l’applicazione delle regole specialistiche già utilizzate dalla p.a. e l’ausilio della consulenza - è rimasto un controllo debole, nel rammentato senso dell’inammissibilità di una logica sostitutiva che consenta al giudice di sostituire la sua opinione all’opinione, non condivisa ma non risultante erronea, della pubblica amministrazione (vedi da ultimo, Cons. Stato, sez.VI, 23 aprile 2002. n.2199).
Applicando le esposte coordinate ermeneutiche al caso di specie si deve concludere nel senso della non ricorrenza di elementi capaci di evidenziare un uso non corretto della discrezionalità tecnica sotto i profili rammentati. Il giudizio condotto dalla commissione, anche con riferimento alle voci oggetto di contestazione, si appalesa infatti congruamente motivato per effetto della attribuzione di specifici punteggi per sottovoci in relazione a criteri adeguatamente predeterminati. Non risultano per converso dedotti errori di fatto ovvero profili di illogicità ed erroneità che possano essere colti dal Giudice amministrativo in relazione a giudizi la cui opinabilità è il fisiologico precipitato della natura non esatta della disciplina specialistica di riferimento.
7. Le considerazioni che precedono impongono la reiezione dell’appello.
Le spese di giudizio possono essere integralmente compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in epigrafe indicato.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 14 maggio 2002, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Giovanni RUOPPOLO Presidente
Sergio SANTORO Consigliere
Giuseppe ROMEO Consigliere
Giuseppe MINICONE Consigliere
Francesco CARINGELLA Consigliere Est.
M A S S I M E
1) L'analitica determinazione dei punteggi in relazione alle singole voci e sottovoci - l’analisi dei progetti tecnici - la mancanza di motivazione - procedure di aggiudicazione basate sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa - punteggi corrispondenti ai parametri precostituiti - iter logico percorso dalla commissione nella valutazione. L'analitica determinazione dei punteggi in relazione alle singole voci e sottovoci fra le quali è stata distinta l’analisi dei progetti tecnici consente allora, nonostante la mancanza di una motivazione discorsiva, la puntuale ricostruzione dell’iter logico percorso dalla commissione nella valutazione dei singoli aspetti dei progetti e, quindi, permette la percezione delle ragioni poste a fondamento dell’assegnazione dei punteggi complessivi sulla scorta dei quali è stata formulata la graduatoria. A sostegno della bontà dell’operato della commissione si deve richiamare l’insegnamento pretorio a guisa del quale nelle procedure di aggiudicazione basate sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, le valutazioni in ordine all’adeguatezza dei progetti, sotto i profili tecnico ed economico, espresse con punteggi corrispondenti ai parametri precostituiti nei criteri generali, non richiedono ulteriore valutazione (Cons. Stato, sezione V, 27 settembre 1996, n.1173; sezione IV, 16 febbraio 1998, n.300). Consiglio di Stato, Sezione VI, del 4 novembre 2002, sentenza n. 6004
2) Il controllo del g.a. sul giudizio tecnico dell’organo amministrativo - errori di fatto ovvero profili di illogicità ed erroneità - giudizio condotto dalla commissione - attribuzione di specifici punteggi per sottovoci. Il controllo del g.a. sul giudizio tecnico dell’organo amministrativo, pur se divenuto intrinseco - nel senso della possibilità di accertare direttamente i fatti e di controllare la ragionevolezza delle relative analisi, se necessario con l’applicazione delle regole specialistiche già utilizzate dalla p.a. e l’ausilio della consulenza - è rimasto un controllo debole, nel rammentato senso dell’inammissibilità di una logica sostitutiva che consenta al giudice di sostituire la sua opinione all’opinione, non condivisa ma non risultante erronea, della pubblica amministrazione (vedi da ultimo, Cons. Stato, sez.VI, 23 aprile 2002. n.2199). Applicando le esposte coordinate ermeneutiche al caso di specie si deve concludere nel senso della non ricorrenza di elementi capaci di evidenziare un uso non corretto della discrezionalità tecnica sotto i profili rammentati. Il giudizio condotto dalla commissione, anche con riferimento alle voci oggetto di contestazione, si appalesa infatti congruamente motivato per effetto della attribuzione di specifici punteggi per sottovoci in relazione a criteri adeguatamente predeterminati. Non risultano per converso dedotti errori di fatto ovvero profili di illogicità ed erroneità che possano essere colti dal Giudice amministrativo in relazione a giudizi la cui opinabilità è il fisiologico precipitato della natura non esatta della disciplina specialistica di riferimento. Consiglio di Stato, Sezione VI, del 4 novembre 2002, sentenza n. 6004
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