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Legislazione  giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

 

Consiglio Stato, sez. IV, 7 novembre 2002, n. 6109.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso n. 4442/91 proposto dalla San Rosolino s.p.a., in persona del legale rappresentante Arnaldo Larghi, rappresentata e difesa dagli avv.ti Carlo Luigi Scrosati e Aldo Ambrosi, elettivamente domiciliata in Roma, via Muzio Clementi, n. 27, presso lo studio di quest’ultimo;

contro

- il Comune di Busto Arsizio, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Umberto Pototschnig, Pier Antonio Introini e Vitaliano Lorenzoni, elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio di quest’ultimo, via Alessandria, n. 130;

- la Regione Lombardia, in persona del suo Presidente pro tempore, non costituita in giudizio;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sede di Milano, Sez. II, n. 488/91, pubblicata in data 23 febbraio 1991, resa tra le parti, con cui è stato respinto il ricorso proposto dalla S.p.a. San Rosolino, concernente adozione e approvazione variante generale al Piano regolatore generale del Comune di Busto Arsizio.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune appellato;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 9 luglio 2002 il Consigliere Giuseppe Carinci;

Uditi l'avv. Graziosi B. su delega dell'avv. Scrosati Carlo Luigi per la società appellante, e l'avv. Introini Pier Antonio, per il Comune;

Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, la società San Rosolino ha impugnato la delibera n. 700 del 19 novembre 1984 con la quale il Consiglio Comunale di Busto Arsizio ha adottato una variante generale al Piano regolatore generale della città, con le integrazioni di cui alla successiva delibera consiliare n. 91 del 16 gennaio 1985; la successiva delibera dello stesso Consiglio n. 358 del 24 luglio 1986, d’approvazione delle controdeduzioni; nonché la delibera di Giunta regionale n. 7119 del 21 gennaio 1987, d’approvazione dello strumento urbanistico.

Parte ricorrente esponeva di essere proprietaria di un’area su cui insistono immobili a destinazione industriale, area che il Comune ha nuovamente assoggettato a zona F2/c (verde quartierale urbano), reiterando i vincoli - già divenuti inefficaci per decorso quinquennio - della precedente variante urbanistica. Nel gravame sollevava vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili.

Il Tribunale amministrativo ha ritenuto infondati tutti i motivi ivi dedotti e ha respinto il ricorso.

La società non ha condiviso la decisione e l’ha appellata con atto notificato in data 3 luglio 1991, depositato il 19 dello stesso mese.

Con il gravame ha contestato la decisione impugnata e ha riproposto i seguenti motivi.

1) Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di motivazione; eccesso di potere per contraddittorietà e illogicità manifesta (primo e settimo motivo del ricorso di primo grado): premesso che il P.R.G. del 1974/78 aveva vincolato l’area di sua proprietà a zona F2/c (impugnato dal dante causa), l’appellante sostiene, in primo luogo, che il nuovo vincolo non costituisce altro che reiterazione della precedente destinazione urbanistica già opposta, su un comparto che si presenta in buono stato di manutenzione e del tutto edificato, donde la sicura fondatezza dei vizi di violazione di legge e difetto di motivazione che ingiustamente il primo giudice ha ritenuto insussistenti, non avendo l’Amministrazione data alcuna puntuale giustificazione sulla reintroduzione del vincolo e in ordine all’onerosità che la previsione comportava. Le argomentazioni svolte dal Tribunale non sarebbero valide a integrare una corretta motivazione della decisione, anche perché le indicazioni contenute nel provvedimento sarebbero di segno assolutamente generale e incomprensibili alla luce della situazione di fatto e avulse, altresì, dal contesto specifico. Il Tribunale avrebbe errato anche nel ritenere inammissibile il settimo motivo di ricorso.

2) Violazione della legge urbanistica e della legge regionale 15 aprile 1975, n. 51; eccesso di potere per travisamento dei fatti e per difetto dei presupposti e degli elaborati del Piano regolatore generale: la vera motivazione che ha indotto l’Amministrazione comunale ad adottare la variante era l’urgenza di riproporre i vincoli scaduti. Si è trattata di una delibera tampone, identica a quella venuta meno a seguito della precedente impugnazione, del tutto improvvisata e redatta sulla scorta di planimetrie che non rispecchiano il reale assetto urbanistico del territorio comunale. Non è stato tenuto conto in modo adeguato della situazione urbanistica determinatasi a seguito dell’interramento della linea ferroviaria Nord, e che il rilievo aerofotogrammetrico utilizzato risaliva al 1973, lo stesso, cioè, utilizzato 14 anni prima per la variante del 1975/78.

3) Violazione del decreto Ministeriale 2 aprile 1968, nonché della legge urbanistica, della legge regionale 15 aprile 1975, n. 51, e della legge regionale 7 giugno 1985, n. 73; eccesso di potere sotto i profili del travisamento dei fatti e del difetto di motivazione: l’Amministrazione comunale ha sottratto, senza darne alcuna specifica giustificazione, talune aree dal calcolo degli standards urbanistici, giungendo a una superfetazione di questi del tutto immotivata. Invero, secondo quanto si rileva dalla relazione tecnica, talune aree destinate ad attrezzature e impianti di interesse generale, non comprese nella zona F, non concorrono alla formazione degli standards in discussione. Trattasi di aree rilevantissime, dell’estensione di circa 2.131.752 mq. che, sottratte al calcolo in argomento, determinano una gravissima illegittimità del piano. La distinzione cui ha fatto riferimento il Tribunale amministrativo, contenuta nella scheda di controllo redatta per la Regione, non può ritenersi rilevante; mentre è chiaro che la pretesa dell’Amministrazione di vincolare le suddette aree, senza calcolarle ai fini degli standards, non solo non trova alcun presupposto normativo ma è palesemente in contrasto con il sistema vigente.

4) Omessa o insufficiente motivazione della sentenza; violazione di legge ed in particolare dell’art. 19 della legge regionale 15 aprile 1975, n. 51. Nel dimensionamento delle aree riservate a standards, non è stato tenuto conto che il metodo seguito dall’Amministrazione – di riferirsi alle stanze esistenti o previste e non agli abitanti effettivi - va seguito solo per le zone residenziali comprese all’interno dei perimetri dei centri edificati, mentre per i lotti liberi, per i comparti già edificati, ma con possibilità di incremento, e per le zone di espansione residenziale, il valore va ottenuto moltiplicando le relative superfici per i rispettivi indici di fabbricabilità massima consentita. Il Tribunale amministrativo ha osservato, in proposito, che l’Amministrazione si sarebbe attenuta a criteri logici per giungere a un dimensionamento della capacità ricettiva residenziale di 120.000 stanze circa, ma nulla ha detto sulla violazione dell’art. 19 della legge regionale citata in epigrafe, con evidente omessa o insufficiente motivazione, anche perché è pacifico il calo demografico registrato dal Comune negli ultimi anni.

In data 27 novembre 1991 si è costituito in giudizio il Comune intimato, opponendosi all’accoglimento dell’appello.

Con memoria depositata in data 26 giugno 2002, la società appellante ha illustrato ulteriormente le sue tesi e ha reso noto, tra l’altro, che l’immobile di sua proprietà, gravato da vincolo di allargamento stradale e da vincolo F2/c sia con P.R.G. del 1975/78 che con la variante in esame, è stato nuovamente assoggettato a identico vincolo con il nuovo P.R.G. del 1993/97, pure impugnato in sede giurisdizionale, con ricorso che attualmente pende presso il Tribunale amministrativo della Lombardia. Riaffermato che sussiste, comunque, l’attualità dell’interesse all’appello e ricordato che l’area di sua proprietà è quasi completamente edificata, la società ha insistito nella richiesta di accoglimento dell’appello, dopo aver ulteriormente illustrato i motivi posti a suo fondamento, con riferimento anche alla recente sentenza di questa Sezione n. 5622 del 2001.

Il Comune ha illustrato il suo assunto con memoria depositata in data 28 giugno 2002, con la quale ha chiesto il rigetto dell’appello, ritenendo infondati tutti i motivi sollevati, facendo riferimento a precedenti pronunce di questa Sezione.

D I R I T T O

Come esposto in narrativa, la società San Rosolino - proprietaria di un’area di cui ai mappali nn. 12765, 18254, 17456, F. 22 C.T., su cui sorge un complesso immobiliare adibito ad attività produttiva - ha proposto appello avverso la decisione del Tribunale amministrativo della Lombardia, che ha respinto il ricorso con il quale la stessa aveva impugnato in quella sede gli atti di adozione e approvazione della variante urbanistica generale 1984/1987 del Comune di Busto Arsizio.

E’ utile ricordare che il suddetto immobile era stato gravato da vincolo di allargamento stradale e verde di quartierale e urbano (vincolo F2/c) già dal Piano regolatore generale adottato nel 1975 e approvato nel 1978. Essendo scaduto inutilmente tale vincolo, l’Amministrazione ha deciso di reiterarlo attraverso l’adozione della suddetta variante, con atto consiliare del 1984, approvato dalla Regione nel 1987, atti, questi ultimi, oggetto della controversia in esame. Di poi l’Amministrazione comunale ha ulteriormente riproposto gli stessi vincoli con l’adozione del nuovo piano regolatore del 1993/97, attualmente oggetto di distinta impugnazione presso il giudice di primo grado.

Sulla base delle rilevate circostanze, il Collegio ritiene, in primo luogo, che la causa debba essere decisa nel merito, non potendo ritenersi che l’ulteriore reiterazione del vincolo comporti sopravvenuto difetto di interesse alla decisione dell’appello - anche perché non può escludersi a priori – secondo le prospettazioni dell’interessata – la possibilità di un eventuale diritto al risarcimento del danno ove la decisione sia favorevole alla stessa.

Passati, quindi, all’esame del merito, si rileva che con il primo motivo la società Rosolino ha riproposto le censure già sollevate in primo grado con i motivi primo e settimo. Essa contesta le argomentazioni svolte dal Tribunale amministrativo, che avrebbe errato nel ritenere non fondati i vizi di legittimità del vincolo di destinazione a strada e a verde pubblico imposto all’area di sua proprietà, non avendo il Comune svolto un’adeguata considerazione della reale situazione di fatto della zona, e non avendo dato una motivazione idonea a giustificare la soluzione adottata. La stessa ha altresì censurato la ritenuta inammissibilità del settimo motivo del ricorso, con cui aveva contestato la scelta urbanistica sotto il profilo dell’irrazionalità, in quanto molto onerosa, e il giudice non doveva confondere gli argomenti da essa proposti con profili di merito amministrativo.

Prima di affrontare l’esame delle esposte censure, è opportuno osservare che il piano regolatore del Comune di Busto Arsizio ha già dato luogo a numerose controversie giunte presso questo Consiglio, e sono state pronunciate diverse decisioni le quali - come le stesse parti in contesa hanno ricordato - pur presentando taluni aspetti analoghi, hanno dato luogo a diverse conclusioni. La ragione va evidentemente riscontrata nella diversità dei presupposti da cui ciascun caso promana, di talchè si può osservare, ad esempio, che con decisione n. 5622/01 di questa Sezione - richiamata dall’attuale appellante - la società Essegi ha visto affermate, nella posizione di appellata, talune sue tesi; mentre con decisione n. 5207/01 di questa stessa Sezione - richiamata dal Comune appellato - la società Ezio Pensotti (ora Ennepi srl.), pure nella posizione di parte appellata, ha visto accolte le tesi dell’Amministrazione, anche in presenza di taluni aspetti analoghi a quelli della precedente decisione.

Nel caso in esame, il Collegio, richiamandosi anche ai principi affermati dalla Sezione in diverse decisioni (nn. 504, 505, 506, 507, 508 del 24 giugno 1995; 2639 dell’8 maggio 2000 e 2934 del 22 maggio 2000) è dell’avviso che le esposte censure non trovino fondamento.

Inconsistente è innanzi tutto il denunciato difetto di motivazione.

Nella relazione tecnica allegata alla delibera con cui la Variante al piano regolatore è stata adottata risultano chiaramente evidenziate le ragioni che hanno indotto il Comune a decidere di dotarsi di un nuovo strumento urbanistico. In particolare, per quanto riguarda l’imposizione di vincoli di inedificabilità relativi alle aree destinate a servizi, la citata relazione, dopo aver osservato che a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 12 maggio 1982, n. 92, e dell’art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, i vincoli imposti con il precedente strumento urbanistico avevano perso efficacia, e che sussisteva - anche in base alla sentenza del Consiglio di Stato n. 7 del 2 aprile 1984 - l’obbligo di procedere a colmare il vuoto normativo che si era venuto a creare, non ha mancato di osservare che era obiettivo della variante quello appunto di corrispondere alle avvertite esigenze. Il che dà ragione del concreto motivo che ha indotto il Comune a procedere all’adozione della nuova variante. A tali indicazioni vanno poi aggiunte quelle, particolari, che la stessa Amministrazione ha fornito in sede di esame delle controdeduzioni alle osservazioni presentate dalle parti private, tra cui quella dell’attuale società appellante.

Ha osservato, a tal proposito il Comune, che “l’imposizione di vincolo pubblico sull’area in questione nasce dal riesame di tutta la complessa situazione urbanistica, nasce in altre parole dal progetto organico e articolato di variante al vigente P.R.G. ed è sorretto da una pluralità di interessi pubblici che emergono espressamente da una lettura della relazione tecnica”. Ha quindi precisato, in ordine alla situazione della ricorrente, che la proprietà in questione cade alla confluenza di due fondamentali previsioni: “l’asse viario nord-sud a prevalente carattere pedonale” e la “fascia a verde est-ovest dipartentesi da Via Magenta”, con collegamenti che vedono interessati tre quartieri, il centro scolastico di media superiore e la fascia a parco urbano di sud (la prima previsione) e una essenziale attrezzata di verde pubblico sulla quale sono attestate significative attrezzature scolastiche e di interesse comune (la seconda previsione).

Non può ritenersi – come sostenuto da parte appellante – che le indicazioni date a giustificazione della reiterazione del vincolo in argomento siano generiche e valide per ogni circostanza. Esse, piuttosto, si rivelano idonee a spiegare i motivi che hanno indotto il Comune a rinnovare l’imposizione del vincolo di inedificabilità contestato, anche per i riferimenti forniti in ordine alla realizzazione nella zona di importanti attrezzature, talune già realizzate (Liceo Scientifico e Palestra) e altre in corso di realizzazione (spostamento della stazione ferroviaria e la sistemazione del tracciato delle ferrovie del Nord).

Attraverso tali indicazioni, il Comune ha inoltre dato prova della persistente attualità delle esigenze urbanistiche sottese alla scelta, con osservazioni riferite anche alle profonde modificazioni intervenute medio tempore nella zona. Non può quindi ritenersi che la situazione di fatto sia stata ignorata dall’Amministrazione comunale.

E’ noto, peraltro, che la giurisprudenza non ritiene che la presenza su un’area di taluni manufatti possa ingenerare nel privato il convincimento che la stessa non sia suscettibile di destinazione pubblica, ove un interesse della collettività lo richieda, e che la situazione di fatto possa costituire un limite all’attività pianificatoria della Pubblica Amministrazione. In particolare, è stata ritenuta legittima la reiterazione di vincoli urbanistici decaduti ex lege 19 novembre 1968, n. 1187, se corredata – come appunto nel caso in esame – da una congrua motivazione in ordine alla persistente attualità dei pubblici interessi che a suo tempo determinarono la previsione dei vincoli stessi (Cons. St., Sez. IV, n. 305 del 12.3.1996).

Quanto, poi, alla denunciata mancanza di valutazioni con riferimento ad altre aree circostanti – che nella fattispecie mancherebbero - va semplicemente osservato che in materia di localizzazione di pubblici servizi, l’Amministrazione possiede ampia scelta discrezionale. In ogni modo, per quanto riguarda il caso in esame, è evidente che il vincolo imposto sull’area della ricorrente non costituisce frutto di una localizzazione dettata dal caso o da motivi estranei alle ragioni di interesse pubblico, ma piuttosto di una scelta ragionata, determinata da una pluralità di interessi che l’Amministrazione non ha mancato di evidenziare.

Quanto al rilievo riferito alla ritenuta inammissibilità, nella decisione di primo grado, del settimo motivo di ricorso, è evidente che l’eventuale onerosità della scelta operata dal Comune è questione affidata alle valutazioni di merito della stessa Amministrazione, e in tal senso, non sembra che la decisione assunta sul punto dal Tribunale amministrativo sia da ritenere errata. In ogni caso, come facilmente si desume dalle osservazioni svolte in precedenza e dalle spiegazioni contenute nella relazione tecnica allegata alla Variante, nonchè dalle controdeduzioni alle osservazioni, la scelta non presenta elementi di irrazionalità, anche se può comportare spese di una certa entità, tenuto conto che trattasi della realizzazione di servizi di primaria importanza, posti al centro della città, la cui localizzazione si appalesa quasi vincolata.

Non è esatto, poi, contrariamente a quanto dedotto dall’appellante con il secondo motivo, che il Comune non abbia tenuto conto della nuova situazione urbanistica e abbia basato le proprie decisioni su presupposti superati e non rispondenti alla situazione di fatto.

Già nella risposta all’osservazione presentata dalla società San Rosolino ai sensi dell’art. 9 della legge urbanistica, il Comune aveva osservato che nella redazione della variante sono state utilizzate le planimetrie del piano regolatore del 1975, dopo averle “aggiornate con l’edificazione intervenuta sul territorio comunale dalla data di allestimento della cartografia aerofotogrammatica, fino all’attualità, almeno nelle parti oggetto della variante”. L’indicazione dà plausibile spiegazione del metodo seguito e non si rivela inficiato da vizi di ordine logico. Né può ritenersi che il Comune, ogni volta che procede a operare una variante allo strumento urbanistico vigente, sia tenuto a operare rilievi particolari, essendo sufficiente che lo stesso operi sulla base di elementi attuali; come deve ritenersi appunto nel caso in esame, in cui dagli atti del procedimento si desume che il Comune ha assunto le proprie decisioni dopo aver proceduto all’aggiornamento di tutti i dati geometrici attinenti al territorio, operando “un’ampia e approfondita disamina di tutti i dati più significativi attinenti allo sviluppo insediativo, l’andamento demografico e delle attività, come si sono effettivamente venuti evolvendo rispetto a come ipotizzati dal P.R.G. del 1975”.

Infondata è pure la censura con cui è stato sollevato un ulteriore profilo di illegittimità della variante nel fatto che le aree per le attrezzature a servizi pubblici non concorrerebbero alla formazione degli standards urbanistici, ma determinerebbero, invece, un’immotivata superfetazione di questi.

E’ agevole opporre, in proposito, quanto già osservato da questo Consiglio con decisione n. 5622/01 del 20 ottobre 2001, cioè che le aree di cui trattasi sono quelle relative a strutture universitarie, a enti di ricerca, a carceri, a difesa militare, a pubblica sicurezza, a fiere e mercati, ecc., ad aree, cioè, con destinazione a scopi che non consentono di computarle ai fini degli standards. Invero è irragionevole che la presenza di un carcere o di impianti compresi tra quelli sopra indicati consenta la riduzione degli standards per verde pubblico o scuole.

Peraltro, la censura è inammissibile nella parte in cui contesta la scelta, ampiamente discrezionale, di non considerare le aree per attrezzature e servizi pubblici ai fini della formazione degli standards urbanistici obbligatori. Questi ultimi, oltre che riferirsi a differenti tipologie di servizi, sono stati programmati nella misura minima. Sotto tale profilo, come ricordato dall’Adunanza Plenaria con decisione n. 24 del 22.12.1999, sono atti dovuti - ex art. 41 quinquies, comma 8, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e D.M. 2 aprile 1968 - al fine di realizzare i rapporti di legge tra spazi destinati agli insediamenti, residenziali e produttivi, e spazi pubblici o destinati ad attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi (Cons. St., Sez. IV, n. 5622/01 del 20 ottobre 2001).

L’appellante sostiene ancora che nel dimensionamento delle aree riservate a standards, l’Amministrazione ha fatto riferimento alle stanze esistenti o previste e non agli abitanti effettivi. Il metodo sarebbe in contrasto con i criteri previsti dall’art. 19 della legge regionale 15 aprile 1975, n. 51, e avrebbe errato il Tribunale amministrativo nel ritenere che il Comune si sia attenuto a criteri logici per giungere a un dimensionamento della capacità ricettiva residenziale di 120.000 stanze circa, senza nulla dire in ordine alle previsioni del citato art. 19.

Anche tali censure si applesano infondate.

E’ esatto che l’art. 19 della legge regionale 15 aprile 1975, n. 51, richiamata dall’appellante, dà indicazione che per le aree edificate si assume, come capacità insediativa, il numero degli abitanti. Ove ben si osservi, però, il criterio utilizzato dal Comune, nel calcolo della capacità insediativa teorica, anche se fa menzione delle stanze potenziali da realizzare, è comunque riferito alla popolazione effettiva. Questa Sezione ha già osservato, nella richiamata decisione n. 5207/01 del 3 ottobre 2001 - che ha deciso su identica questione – che il metodo seguito non può ritenersi errato. L’Amministrazione comunale ha infatti chiarito che il dimensionamento operato con riferimento a 120.000 stanze – quelle, cioè, prese a base dei calcoli svolti – è esattamente corrispondente, come indicato nella relazione tecnica, al numero degli abitanti insediabili., cioè di 84.000, tenuto conto che l’indice di affollamento è stato previsto in 0,70 ab/stanza (120.000 x 0,70 = 84.000). Tale dato non si appalesa incongruo, tenuto conto degli abitanti insediati indicati nella stessa relazione alla data del 31 dicembre 1983 e dell’incremento ipotizzato in relazione alle previsioni di sviluppo demografico del Comune, secondo le indicazioni riferite alla relazione tecnica.

Tutto ciò dà sufficiente conto, a parere del Collegio, che nella determinazione della capacità insediativa ai fini dell’adozione della variante in contestazione – la quale, peraltro, non innova sul punto, ma si limita a operare un aggiustamento delle indicazioni contenute nel P.R.G. (Cons. St., Sez. IV, n. 5207 del 3.10.2001) – la via seguita dal Comune per giungere al dimensionamento della capacità ricettiva residenziale del piano non si discosta dai criteri di logica e di adeguatezza. Le indicazioni, peraltro, sono altresì valide a dare adeguata ragione dei risultati evidenziati, e resta così escluso anche il dedotto difetto di motivazione, sotto l’ulteriore profilo prospettato. Ogni altra doglianza, in particolare quelle riferite alla individuazione dei dati parametrici di espansione residenziale e sulle zone da comprendere all’interno dei perimetri dei centri edificati, è riferita a valutazioni riservate esclusivamente all’Amministrazione, e investono, come tali, il merito dell’azione amministrativa.

Per le su esposte considerazioni, l’appello si appalesa infondato e va respinto.

Sussistono, tuttavia, valide ragioni per compensare le spese del presente giudizio.

P. Q. M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quarta, respinge l’appello specificato in epigrafe.

Compensa le spese del giudizio di secondo grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma il 9 luglio 2002, dalla IV Sezione del Consiglio di Stato, riunita in camera di consiglio con

l’intervento dei seguenti signori:

Gaetano TROTTA Presidente

Raffaele DE LIPSIS Consigliere

Carmine VOLPE Consigliere

Dedi RULLI Consigliere

Giuseppe CARINCI Consigliere est.

 

M A S S I M E

1)  Formazione degli standards urbanistici obbligatori - insediamenti, residenziali e produttivi, e spazi pubblici o destinati ad attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi. La censura è inammissibile nella parte in cui contesta la scelta, ampiamente discrezionale, di non considerare le aree per attrezzature e servizi pubblici ai fini della formazione degli standards urbanistici obbligatori. Questi ultimi, oltre che riferirsi a differenti tipologie di servizi, sono stati programmati nella misura minima. Sotto tale profilo, come ricordato dall’Adunanza Plenaria con decisione n. 24 del 22.12.1999, sono atti dovuti - ex art. 41 quinquies, comma 8, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e D.M. 2 aprile 1968 - al fine di realizzare i rapporti di legge tra spazi destinati agli insediamenti, residenziali e produttivi, e spazi pubblici o destinati ad attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi (Cons. St., Sez. IV, n. 5622/01 del 20 ottobre 2001). Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6109

2) L’imposizione di vincoli di inedificabilità relativi alle aree destinate a servizi - l’obbligo di procedere a colmare il vuoto normativo - la presenza su un’area di taluni manufatti non può ingenerare nel privato il convincimento che la stessa non sia suscettibile di destinazione pubblica. L’imposizione di vincoli di inedificabilità relativi alle aree destinate a servizi, la relazione, dopo aver osservato che a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 12 maggio 1982, n. 92, e dell’art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, i vincoli imposti con il precedente strumento urbanistico avevano perso efficacia, e che sussisteva - anche in base alla sentenza del Consiglio di Stato n. 7 del 2 aprile 1984 - l’obbligo di procedere a colmare il vuoto normativo che si era venuto a creare, non ha mancato di osservare che era obiettivo della variante quello appunto di corrispondere alle avvertite esigenze. Il che dà ragione del concreto motivo che ha indotto il Comune a procedere all’adozione della nuova variante. A tali indicazioni vanno poi aggiunte quelle, particolari, che la stessa Amministrazione ha fornito in sede di esame delle controdeduzioni alle osservazioni presentate dalle parti private, tra cui quella dell’attuale società appellante. La giurisprudenza non ritiene che la presenza su un’area di taluni manufatti possa ingenerare nel privato il convincimento che la stessa non sia suscettibile di destinazione pubblica, ove un interesse della collettività lo richieda, e che la situazione di fatto possa costituire un limite all’attività pianificatoria della Pubblica Amministrazione. In particolare, è stata ritenuta legittima la reiterazione di vincoli urbanistici decaduti ex lege 19 novembre 1968, n. 1187, se corredata – come appunto nel caso in esame – da una congrua motivazione in ordine alla persistente attualità dei pubblici interessi che a suo tempo determinarono la previsione dei vincoli stessi (Cons. St., Sez. IV, n. 305 del 12.3.1996).  Consiglio di Stato, Sezione IV, del 7 novembre 2002 sentenza n. 6109

 

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