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Consiglio Stato, sez. IV, 12 novembre 2002, n. 6274.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

Sul ricorso proposto dalla società Syrom 90 S.p.A., rappresentata e difesa dai prof.ri Giuseppe Stancanelli e Romano Corsinovi, ed elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio del dott. Gian Marco Grez, lungotevere Flaminio n.46;

contro

Il Comune di Vinci, in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Fausto Falorni ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Firenze, via dell’Oriuolo n.20;

e nei confronti

del sig. Francesco Pluchino, rappresentato e difeso dagli avv.ti Rino Gracili, Enza Mannise e Piera Tonelli ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’ultima in Firenze, via dei Servi, n. 38;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana n. 2187, del 21 dicembre 2001;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’avv. Falorni e dell’avv. Gracili;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 9 luglio 2002 il consigliere Raffaele Maria De Lipsis, e uditi altresì l’avv. Stancanelli per l’appellante, l’avv. Falorni per il Comune e l’avv. Mario Sanino per delega dell’avv. Gracili;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

FATTO

Con sentenza n.2187 del 21 dicembre 2001 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sez. II°, respingeva il ricorso proposto dalle società Syrom 90 S.p.A. e Polymat avverso l’ordinanza n. 14/4 del 3 febbraio 2000, con la quale il responsabile del 4° servizio del Comune di Vinci aveva ingiunto alle citate società –ai sensi dell’art. 217 del Testo Unico delle leggi sanitarie-di presentare un piano di bonifica acustica dei loro impianti siti nel predetto territorio, in grado di riportare la rumorosità complessiva degli stessi entro i limiti di 3 dB in orario notturno ed entro i 5 dB in orario diurno.

Appellano la predetta decisione le soccombenti società, deducendo i seguenti motivi di gravame:

1) “Falsa applicazione dell’art.2, comma 3, lett. b), della legge 26 ottobre 1995, n.447, in relazione al D.P.C.M. dell’1 marzo 1991 e all’art. 8 del D.M. 14 novembre 1997.

Falsa applicazione dell’art.2, comma 6, del D.P.C.M.1 marzo 1991: violazione di legge”.

Contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., il criterio del “ valore limite differenziale”, di cui all’art.6, secondo comma, del D.P.C.M. 1 marzo 1991, adottato dall’ARPAT nei rilevamenti effettuati nel caso di specie e riportato nell’impugnata ordinanza, non sarebbe applicabile fino al momento in cui non si sia proceduto, da parte dei Comuni, alla c.d. “zonizzazione” del territorio comunale.

Inoltre, sarebbe, altresì, errata la contrapposizione effettuata dai primi giudici tra “sorgenti sonore fisse” e “sorgenti sonore mobili” e, comunque, per interpretare correttamente la citata disposizione, si dovrebbe fare riferimento alla zona in cui si trova la sorgente sonora e non a quella vicina dove il rumore si propaga.

Infine, nella specie, poiché la zona dove sono ubicati gli stabilimenti in questione è industriale, quella dove sorge l’abitazione del sig. Pluchino avrebbe dovuto essere lasciata a spazio libero ovvero a sufficiente distanza dalla prima. Pertanto, la situazione creatasi sarebbe dipesa da una errata pianificazione urbanistica dei due comuni confinanti (Vinci e Cerreto Guidi), che non si sarebbero correttamente coordinati tra di loro.

2) “ Falsa applicazione degli artt. 1 e 2 del D.M. 11 dicembre 1996 in relazione all’art. 3 dello stesso D.M.: Violazione di legge”.

Contrariamente a quanto sostenuto dal TAR nella gravata decisione, l’impianto in questione sarebbe da considerarsi “a ciclo continuo produttivo”, secondo la definizione indicata nell’art. 2 del D.M. 11 dicembre 1966, in quanto esso presenterebbe “ caratteristiche tali da consentirne la fermata produttiva nel fine settimana, ma non quella giornaliera di otto ore”.

Inoltre, le appellanti contestano anche l’interpretazione effettuata dai primi giudici con riferimento alle condizioni di sussistenza affinchè un impianto industriale possa essere definito a ciclo continuo, sostenendo che le condizioni all’uopo previste dal citato art.2 del D.M. del 1966 e, cioè, l’attività ininterrotta, pena la conseguenza di danni gravi all’impianto, e l’applicazione di contratti collettivi di lavoro “sulle ventiquattro ore per cicli settimanali”, andrebbero considerate come “ condizioni alternative e non aggiuntive “, con la conseguenza che il ricorrere di una sola di esse sarebbe sufficiente a qualificare l’impianto “ a ciclo produttivo continuo”. E poiché, nella specie, l’impianto de quo sarebbe regolato da contratti collettivi nazionali di lavoro “ sulle ventiquattro ore per cicli settimanali”, sarebbe pienamente dimostrato che l’impianto stesso rientrerebbe nella menzionata definizione del citato art. 2.

3) “Eccesso di potere per sviamento di potere”.

Viene reiterato il motivo di gravame articolato nel ricorso introduttivo con riferimento a quella parte dell’ordinanza impugnata in cui si afferma che” la rumorosità dell’impianto in questione risulta da anni di estrema gravità per l’igiene pubblica”. Il richiamo all’igiene pubblica sarebbe falso e tendenzioso, atteso che la zona limitrofa in cui è situata l’abitazione del sig. Pluchino sarebbe agricola e, quindi, non destinata alla residenza, per cui alcuna incidenza della contestata immissione si verificherebbe sulla “igiene pubblica”.

Lo sviamento risulterebbe direttamente dall’atto impugnato, in quanto lo scopo reale della Pubblica Amministrazione sarebbe stato quello di favorire il sig. Pluchino ed i suoi congiunti, unica “ popolazione vicina” di cui si parla nell’ordinanza.

Resisteva al ricorso il controinteressato, il quale - premesso di essere un coltivatore diretto residente, dal 1967, in una casa colonica nel comune di Cerreto Guidi al confine con il comune di Vinci - contestava analiticamente le censure e le affermazioni delle ricorrenti società, sostenendo, in particolare che:

a) ai sensi del combinato disposto dell’art. 6 del D.P.C.M. del 1991 e 4 del D.P.C.M., il criterio del limite differenziale si applicherebbe anche in assenza di zonizzazione del territorio da un punto di vista acustico;

b) il rumore (e, quindi, il limite differenziale) andrebbe misurato nella zona in cui esso è udibile e, quindi, dalla sua abitazione e non dalla zona in cui si trova lo stabilimento;

c) le aziende appellanti non potrebbero considerarsi a ciclo produttivo continuo, ai fini dell’esclusione del criterio differenziale, come chiarito dall’ARPAT, e la relazione prodotta dalle interessate – in quanto documento di parte (peraltro presentata solo in secondo grado)- non sarebbe, ex se, probante del contrario.

d) l’inquinamento acustico, nonostante le sentenze favorevoli conseguite dall’interessato in sede civile, persisteva, con grave danno alla salute.

Si costituiva anche il comune di Vinci, che insisteva per la legittimità della contestata ordinanza, adottata su precisi presupposti di fatto e pareri tecnici (A.S.L. ed A.R.P.A.T.) e concludeva per la reiezione dell’appello.

All’odierna camera di consiglio l’appello è passato in decisione.

DIRITTO

1) Come diffusamente evidenziato in narrativa, la controversia all’esame del Collegio s’incentra sulla legittimità di una attività industriale di produzione di nastro adesivo, localizzata da oltre venti anni nel comune di Vinci, sotto il profilo del suo possibile inquinamento acustico per eccedenza di immissioni sonore provenienti dallo stabilimento e ritenute dannose per la salute dell’odierno resistente, abitante con la famiglia in una casa colonica posta oltre il confine comunale e precisamente nel territorio di un altro comune, quello di Cerreto Guidi.

In particolare, le contestazioni rivolte agli impianti delle società originarie ricorrenti e odierne appellanti con il provvedimento di “bonifica acustica” impugnato in primo grado riguardano il superamento dei valori limite differenziali- normativamente disciplinati dalla legge quadro sull’inquinamento acustico 26 ottobre 1995, n.447 e dai D.P.C.M 1 marzo 1991 (art.6) e 14 novembre 1997 (art. 4), che hanno introdotto i “valori limite differenziali di immissione”- e non anche il superamento dei valori assoluti.

Al riguardo, giova preliminarmente evidenziare in termini generali che il sistema previsto dall’art. 6 della richiamata legge presuppone il preventivo azzonamento acustico del territorio comunale ed è onere del Comune predisporre i c.d. piani di zonizzazione, con un preciso contenuto tecnico stabilito dalla citata normativa e con una particolare attenzione a quelle specifiche situazioni di fatto che- come nel caso di specie- meritano, principalmente a cagione della loro vetustà e delle possibili conseguenze dannose alla salute, di essere valutate e disciplinate in maniera non illogica.

Orbene, nella situazione in cui il comune di Vinci ha operato, non è stato ancora adottato alcun piano di zonizzazione acustica, strumento necessario ad individuare sia quelle aree sulle quali possono essere consentiti più elevati strumenti di rumorosità ovvero gli spazi necessari a garantire un adeguato abbattimento del rumore stesso, in relazione alle sorgenti sonore presenti ed ai livelli di rumorosità da esse prodotte, sia le eventuali “fasce- cuscinetto” tra zone diversamente classificate.

D’altra parte, proprio l’art. 4 della menzionata legge n.447/1995 prevede esplicitamente che le regioni – nel fissare con legge i criteri di classificazione da rispettarsi da parte dei comuni- devono stabilire “ il divieto di contatto diretto di aree, anche appartenenti a comuni confinanti, quando tali valori si discostano in misura superiore a 5dBA di livello sonoro equivalente misurato secondo i criteri stabiliti dal D.P.C.M. 1° marzo 1991”, stabilendo altresì, che “qualora nell’individuazione delle aree nelle zone già urbanizzate non sia possibile rispettare tale vincolo a causa di preesistenti destinazioni d’uso, si prevede l’adozione dei piani di risanamento di cui all’art. 7”, piani che, peraltro, debbono essere approvati dal consiglio comunale.

Pertanto, nella specie, per verificare effettivamente quali possano essere gli effettivi limiti di rumorosità che dovranno essere rispettati dagli operatori, appare necessario la preventiva predisposizione della zonizzazione acustica, allo stato mancante.

2) Quanto sopra premesso, di deve ora procedere all’esatta interpretazione dell’art. 2 del richiamato D.M. 11 dicembre 1996, che contiene la definizione di “impianto a ciclo produttivo continuo”, caratteristica che le odierne appellanti assumono essere posseduta dall’impianto de quo, contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza impugnata.

Stabilisce la citata disposizione: “si intende per impianto a ciclo produttivo continuo:a) quello in cui non è possibile interrompere l’attività senza provocare danni all’impianto stesso, pericolo di incidenti o alterazioni del prodotto o per necessità di continuità finalizzata a garantire l’erogazione di un servizio pubblico essenziale;

b) quello il cui esercizio è regolato da contratti collettivi nazionali di lavoro o da norme di legge, sulle ventiquattro ore per cicli settimanali, fatte salve le esigenze di manutenzione”.

Sul punto, affermano i primi giudici che, ai fini della corretta definizione di uno stabilimento industriale come “impianto a ciclo continuo”, le condizioni previste dal citato art. 2 del D.M.del 1996 debbano sussistere entrambe. Sostengono, invece, le società ricorrenti che i menzionati presupposti sono tra loro alternativi, nel senso che basterebbe la sussistenza di uno di essi per identificare l’impianto nella categoria in questione.

La tesi dell’alternatività dei citati presupposti merita di essere condivisa.

Induce a tale conclusione l’interpretazione logico-letterale della disposizione in esame.

Invero, appare agevole ritenere che alla lett. a) del menzionato art. 2 sono state considerate alcune situazioni tecniche (interruzione d’attività provocante danni all’impianto, mancata continuità d’esercizio finalizzata all’erogazione di un servizio pubblico essenziale, ecc.), la cui possibile evenienza vale a qualificare indirettamente l’impianto di riferimento quale “impianto a ciclo produttivo continuo”; mentre, con la lett. b) dello stesso articolo, si è inteso completare la fattispecie, stabilendo che in tutte le ipotesi in cui si applica all’esercizio il contratto collettivo nazionale di lavoro “ sulle ventiquattro ore per cicli settimanali”, per ciò stesso, in maniera diretta ed automatica, l’impianto sia da ritenere a ciclo produttivo continuo.

3) Stabilita l’alternatività (e non la sussistenza cumulativa) dei menzionati presupposti, bisogna, ora, esaminare se i medesimi siano posseduti dallo stabilimento colpito dall’ordinanza contestata.

In ordine al requisito sub a), esso- a parere del Collegio- deve essere escluso, atteso che- come correttamente rilevato dal T.A.R. sulla base di quanto risultato dagli accertamenti tecnici compiuti dalla A.S.L. e dalla A.R.P.A.T.- nella specie, “l’unico impianto funzionante realmente di continuo è la centrale termica, oltre che- in particolari periodi dell’anno- la centrale frigorifera”.

Ne consegue che lo stabilimento in questione non può essere ricondotto, sotto l’esaminato profilo, alla menzionata tipologia dell’impianto a ciclo continuo, con particolare riferimento alla “impossibilità di interrompere l’attività produttiva senza provocare danni all’impianto stesso”.

4) Per quanto concerne, invece, il secondo dei predetti requisiti, relativo alla vigenza, nel caso di specie, di un contratto collettivo nazionale di lavoro, contenente disposizioni relative ai lavoratori impiegati con il sistema delle “ventiquattro ore per cicli settimanali”, esso, allo stato degli atti, non risulta provato, di tal che, ai fini del decidere, sul punto occorre disporre specifica istruttoria per accertare preliminarmente la sussistenza o meno della suddetta circostanza di fatto.

A tal uopo, il Collegio ritiene necessario richiedere alle società ricorrenti copia conforme del richiamato contratto collettivo di lavoro.

Il su indicato documento dovrà essere depositato nella Segreteria della Sezione entro il termine in dispositivo fissato.

Nel frattempo,va sospesa ogni ulteriore determinazione in rito,nel merito e sulle spese.

P. Q. M:

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale(Sezione Quarta), impregiudicata ogni altra questione,come da motivazione,richiede alle società appellanti di depositare nella Segreteria della Sezione il menzionato documento entro il termine di 30 (trenta) giorni dalla comunicazione in forma amministrativa della presente decisione o dalla sua notificazione a cura della parte più diligente.

Ordina che la su estesa decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Rinvia la causa all’udienza del 10 dicembre 2002;

Così deciso in Roma, dalla Sezione IV del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 9 luglio 2002, con l’intervento dei signori:

Gaetano Trotta - Presidente

Raffaele Maria De Lipsis - Consigliere estensore

Carmine Volpe - Consigliere

Marinella Dedi Rulli - Consigliere

Giuseppe Carinci - Consigliere

 

M A S S I M E

1)  Inquinamento acustico - valori limite differenziali di immissione - piano di zonizzazione acustica del territorio comunale - possibili conseguenze dannose alla salute - l’adozione dei piani di risanamento - obblighi imposti ex art. 217 Testo Unico delle leggi sanitarie - piano di bonifica acustica degli impianti. Giova preliminarmente evidenziare in termini generali che il sistema previsto dall’art. 6 della legge quadro sull’inquinamento acustico 26 ottobre 1995, n.447 e dai D.P.C.M 1 marzo 1991 (art.6) e 14 novembre 1997 (art. 4), hanno introdotto i “valori limite differenziali di immissione”- e non anche il superamento dei valori assoluti. L’art. 6 presuppone il preventivo azzonamento acustico del territorio comunale ed è onere del Comune predisporre i c.d. piani di zonizzazione, con un preciso contenuto tecnico stabilito dalla citata normativa e con una particolare attenzione a quelle specifiche situazioni di fatto che- come nel caso di specie- meritano, principalmente a cagione della loro vetustà e delle possibili conseguenze dannose alla salute, di essere valutate e disciplinate in maniera non illogica. Orbene, nella situazione in cui il comune di Vinci ha operato, non è stato ancora adottato alcun piano di zonizzazione acustica, strumento necessario ad individuare sia quelle aree sulle quali possono essere consentiti più elevati strumenti di rumorosità ovvero gli spazi necessari a garantire un adeguato abbattimento del rumore stesso, in relazione alle sorgenti sonore presenti ed ai livelli di rumorosità da esse prodotte, sia le eventuali “fasce- cuscinetto” tra zone diversamente classificate. D’altra parte, proprio l’art. 4 della menzionata legge n.447/1995 prevede esplicitamente che le regioni -nel fissare con legge i criteri di classificazione da rispettarsi da parte dei comuni- devono stabilire “ il divieto di contatto diretto di aree, anche appartenenti a comuni confinanti, quando tali valori si discostano in misura superiore a 5dBA di livello sonoro equivalente misurato secondo i criteri stabiliti dal D.P.C.M. 1° marzo 1991”, stabilendo altresì, che “qualora nell’individuazione delle aree nelle zone già urbanizzate non sia possibile rispettare tale vincolo a causa di preesistenti destinazioni d’uso, si prevede l’adozione dei piani di risanamento di cui all’art. 7”, piani che, peraltro, debbono essere approvati dal consiglio comunale. (Nella specie, con sentenza n.2187 del 21 dicembre 2001 il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sez. II°, respingeva il ricorso proposto dalle società Syrom 90 S.p.A. e Polymat avverso l’ordinanza n. 14/4 del 3 febbraio 2000, con la quale il responsabile del 4° servizio del Comune di Vinci aveva ingiunto alle citate società –ai sensi dell’art. 217 del Testo Unico delle leggi sanitarie-di presentare un piano di bonifica acustica dei loro impianti siti nel predetto territorio, in grado di riportare la rumorosità complessiva degli stessi entro i limiti di 3 dB in orario notturno ed entro i 5 dB in orario diurno). Consiglio di Stato Sezione IV, 12 novembre 2002 n. 6274

2) Definizione di impianto a ciclo produttivo continuo. Stabilisce l’art. 2 del D.M. 11 dicembre 1996 che: “si intende per impianto a ciclo produttivo continuo:a) quello in cui non è possibile interrompere l’attività senza provocare danni all’impianto stesso, pericolo di incidenti o alterazioni del prodotto o per necessità di continuità finalizzata a garantire l’erogazione di un servizio pubblico essenziale;  b) quello il cui esercizio è regolato da contratti collettivi nazionali di lavoro o da norme di legge, sulle ventiquattro ore per cicli settimanali, fatte salve le esigenze di manutenzione”. Sul punto, affermano i primi giudici che, ai fini della corretta definizione di uno stabilimento industriale come “impianto a ciclo continuo”, le condizioni previste dal citato art. 2 del D.M.del 1996 debbano sussistere entrambe. Sostengono, invece, le società ricorrenti che i menzionati presupposti sono tra loro alternativi, nel senso che  basterebbe la sussistenza di uno di essi per identificare l’impianto nella categoria in questione. La tesi dell’alternatività dei citati presupposti merita di essere condivisa. Induce a tale conclusione l’interpretazione logico-letterale della disposizione in esame. Invero, appare agevole ritenere che alla lett. a) del menzionato art. 2 sono state considerate alcune situazioni tecniche (interruzione d’attività provocante danni all’impianto, mancata continuità d’esercizio finalizzata all’erogazione di un servizio pubblico essenziale, ecc.), la cui possibile evenienza vale a qualificare indirettamente l’impianto di riferimento quale “impianto a ciclo produttivo continuo”; mentre, con la lett. b) dello stesso articolo, si è inteso completare la fattispecie, stabilendo che in tutte le ipotesi in cui si applica all’esercizio il contratto collettivo nazionale di lavoro “sulle ventiquattro ore per cicli settimanali”, per ciò stesso, in maniera diretta ed automatica, l’impianto sia da ritenere a ciclo produttivo continuo. Consiglio di Stato Sezione IV, 12 novembre 2002 n. 6274

 

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