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Legislazione  giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

 

Consiglio Stato, Sezione V,  del 2 dicembre 2002, sentenza n. 6618 .

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ha pronunciato la seguente

decisione

sul ricorso in appello n. 8364/99, proposto da Porto Torre s.p.a., Basileus s.r.l. ed Ernesto Frabboni Impresa di Costruzioni s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., tutte rappresentate e difese dall’avv. Giuseppe Lavitola, ed elettivamente domiciliate presso il suo studio in Roma, v. Costabella n. 23,

contro

il Comune di Roma, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Enrico Lorusso, ed elettivamente domiciliato in Roma presso l’Avvocatura Comunale, v. del Tempio di Giove n.21,

e nei confronti

di Investimenti Immobiliari Lombardi s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Lavitola, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, v. Costabella n. 23,

per l’annullamento

della sentenza parziale del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, II bis, 9 aprile 1999, n. 1100, resa inter partes, con la quale in parte è stato respinto, in parte sono stati ordinati incombenti istruttori, il ricorso proposto dalle attuali appellanti per il riconoscimento del diritto all’esonero dal pagamento degli oneri concessori, peraltro già versati, relativi alla realizzazione di un complesso immobiliare originariamente destinato a sede ministeriale.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune intimato e della società Investimenti Immobiliari Lombardi, avente causa di una delle appellanti, l’impresa Frabboni;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 25 giugno 2002 il Consigliere Gerardo Mastrandrea; uditi i difensori delle parti come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso esperito dinanzi al TAR Lazio, le società appellanti contestavano la richiesta di pagamento di oneri concessori, nella misura di £. 22.056.480.000 per oneri di urbanizzazione e di £. 7.037.853.195 per costo di costruzione, peraltro già versati, e relativi ad un complesso immobiliare realizzato in base alla concessione edilizia n. 296/C del 2 aprile 1991 (e successiva variante n. 2059/C del 23 dicembre 1991), rilasciata alle società Roma Ovest Costruzioni s.r.l. e Basileus s.r.l., danti causa delle altre ricorrenti.

Il predetto complesso immobiliare, sito in Roma - località Magliana Vecchia – Parco de’ Medici, doveva essere destinato, in origine, a sede del Ministero della sanità, in base ad atti d’obbligo notarili nei confronti del Comune di Roma del settembre 1990 e del dicembre 1991, ed in vista di tale utilizzazione i costruttori avevano usufruito di rilascio gratuito del titolo concessorio, a norma dell’art. 9, lett. f), della l. 10/77.

2. Successivamente, essendo venuta meno la previsione di utilizzo sopra indicata, a seguito della rinunzia del Ministero della sanità, e quindi di fronte al rischio di decadenza delle concessioni, veniva sottoscritto dalle società costruttrici, in data 25 marzo 1997, un nuovo atto d’obbligo, nel quale si assumeva un impegno di destinazione del fabbricato conforme alle utilizzazioni ricomprese nell’art. 14 delle N.T.A. del p.r.g. per le zone M1 (servizi pubblici o gestiti da enti pubblici).

Con la delibera di Giunta impugnata in prime cure (n. 1190/97), il Comune di Roma esprimeva il proprio benestare in rapporto a quanto sopra, ma pretendeva, anche alla stregua delle pronunzie di questo Consiglio, il pagamento dei contributi sopra specificati (pagamento che, come accennato, veniva effettuato, senza tuttavia alcuna rinuncia da parte delle imprese costruttrici alla tutela delle ragioni poi avanzate in via giudiziale).

3. A sostegno dell’impugnativa dinanzi al Tribunale amministrativo le ricorrenti deducevano argomentazioni ricondotte, in via sistematica, a quattro serie di censure:

a) non esistono parametri normativi di riferimento che consentono di rilasciare concessioni edilizie onerose in zona M/1 di p.r.g., anche perché in essa possono insediarsi solo strutture pubbliche o d’interesse generale, realizzabili quindi in base a titoli gratuiti, senza possibilità alcuna di ricorrere ad applicazioni analogiche quale quella in contestazione (contributi per zona M2, relativa a servizi privati, per interventi in zona M1);

b) in ogni caso il soggetto destinatario del bene è, nel concreto, la Telecom Italia s.p.a., a quel tempo concessionario esclusivo del servizio nazionale di “telefonia fissa” e quindi ente istituzionalmente competente alla cura di interessi generali;

c) inesistenza di sopravvenienze giuridicamente rilevanti rispetto alla situazione esistente all’epoca del rilascio delle originarie concessioni edilizie del 1991, tali da poter giustificare la postuma richiesta dei contributi concessori;

d) in via del tutto subordinata e residuale, la mancata applicazione, nel calcolo del contributo richiesto, e versato, del doveroso scomputo delle opere di urbanizzazione direttamente realizzate dalle società titolari delle concessioni edilizie, nonché di quelle realizzate dal consorzio di urbanizzazione della zona cui le medesime società appartengono.

4. Con la sentenza parziale impugnata, in epigrafe indicata, il TAR del Lazio, affermata la natura di giudizio di accertamento (sulla debenza ed entità dei contributi concessori) devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ha concluso nel senso dell’infondatezza delle censure di violazione di legge formulate nei primi tre motivi di gravame, non ravvisando nella fattispecie in esame i presupposti applicativi dell’art. 9, lett. f), l. 10/77, ai fini della gratuità della concessione.

Con specifico riguardo ad alcune altre specifiche prospettazioni difensive, relative alle modalità di determinazione e di calcolo degli oneri concessori in area M1, il Tribunale di prima istanza ha ritenuto opportuno disporre alcuni approfondimenti istruttori, ed in particolare una produzione documentale integrativa redatta nel contraddittorio delle parti, assistite da tecnici di fiducia, in relazione alle opposte argomentazioni prospettate ed alle perizie giurate di parte depositate nel luglio 1997.

Analogamente ha provveduto quanto alla domanda subordinata di cui al quarto ed ultimo motivo del gravame introduttivo, riferita al mancato scomputo del valore delle opere di urbanizzazione direttamente eseguite, in questo caso chiedendo che venissero puntualizzati alcuni elementi circa la prospettata possibilità dello stesso scomputo.

5. Le originarie reclamanti (due di esse, Immobiliare Naviglio s.r.l. e Immobiliare Parco s.r.l., incorporate dalla impresa Frabboni s.p.a.) hanno interposto l’appello in trattazione avverso la prefata pronunzia parziale, di cui hanno contestato in pieno le ricostruzioni fattuali e giuridiche poste alla base delle conclusioni (in parte) reiettive delle loro pretese.

6. L’Amministrazione comunale intimata si è costituita in giudizio per resistere all’appello, controdeducendo.

7. A pieno sostegno delle ragioni delle originarie appellanti è intervenuta e si è costituita in giudizio, per il tramite del medesimo patrono delle reclamanti, la Investimenti Immobiliari Lombardi s.p.a., società nata, a sua volta, dall’incorporazione della Frabboni s.p.a. e della Basileus s.p.a.

Le parti hanno depositato memoria.

Alla pubblica udienza del 25 giugno 2002 il ricorso in appello è stato introitato per la decisione.

DIRITTO

1. L’appello non merita accoglimento.

Per quanto si è accennato in narrativa, in virtù dell’appello proposto dalle intestate società costruttrici avverso la menzionata sentenza parziale emessa dal TAR Lazio, è sottoposta all’attenzione del Collegio la possibilità di ottenere, da parte delle medesime società, il rimborso degli oneri concessori (per la cospicua cifra di oltre 29 miliardi di lire) versati in relazione ad un grosso complesso immobiliare, realizzato in zona M1 (destinata a servizi pubblici e/o d’interesse generale) sulla base di due concessioni edilizie (una di variante) rilasciate nel 1991, ed originariamente destinato a sede del Ministero della sanità, poi definitivamente ceduto alla società Telecom Italia, che vi avrebbe impiantato la sede della direzione generale.

Giova premettere, in sintesi, che il predetto complesso immobiliare, sito in Roma - località Magliana Vecchia – Parco de’ Medici, alla luce della destinazione originaria a sede del Ministero della sanità, consacrata in appositi atti d’obbligo, aveva usufruito di rilascio gratuito del titolo concessorio, a norma dell’art. 9, lett. f), della l. 10/77.

Successivamente, essendo venuta meno la previsione di utilizzo sopra indicata a seguito della rinunzia del Ministero della sanità, e di fronte al rischio di decadenza dalle concessioni, veniva sottoscritto dalle società costruttrici, in data 25 marzo 1997, un nuovo atto d’obbligo, nel quale si assumeva un generico impegno di destinazione del fabbricato conforme all’art. 14 delle N.T.A. del p.r.g. per le zone M1 (servizi pubblici o gestiti da enti pubblici).

Con la delibera di Giunta impugnata in prime cure (n. 1190/97) il Comune di Roma esprimeva il proprio benestare in rapporto a quanto sopra, ma pretendeva il pagamento dei contributi innanzi specificati (pagamento che, come accennato, veniva effettuato, senza tuttavia alcuna rinuncia da parte delle imprese private alla tutela delle ragioni poi avanzate in via giudiziale).

2. Viene, quindi, in discussione la spinosa tematica dell’esenzione dal pagamento dei contributi di concessione per le “opere pubbliche o di interesse generale, realizzate dagli enti istituzionalmente competenti”, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della l. 10/77.

Come più volte evidenziato dalla dottrina e della giurisprudenza, lo sgravio contributivo di cui trattasi pretende il concorso di due presupposti, e cioè uno oggettivo, ovvero l’ascrivibilità del manufatto oggetto di concessione edilizia alla categoria delle opere pubbliche o di interesse generale (nel senso che deve trattarsi di opere che, quantunque non destinate direttamente a scopi propri della P.A., siano comunque idonee a soddisfare i bisogni della collettività, anche se realizzate e gestite da privati), e l’altro soggettivo, ovvero l’esecuzione delle opere da parte di Enti istituzionalmente competenti, vale a dire da parte di soggetti cui sia demandata in via istituzionale la realizzazione di opere di interesse generale (cfr. C.G.A.R.S. 20 luglio 1999, n. 369; Cons. Stato, V, 6 dicembre 1999, n. 2061), ovvero da parte di privati concessionari dell’Ente pubblico (cfr. Cons. Stato, V, 7 settembre 1995, n. 1280), purché le opere siano inerenti all’esercizio del rapporto concessorio.

Il Comune è, peraltro, tenuto ad accertare d’ufficio tali presupposti indipendentemente dalla domanda del privato, non prevista dalla legge.

Il fine dell’applicazione della norma, fondata dunque sul presupposto oggettivo della natura delle opere e su quello soggettivo della qualità dell’ente realizzatore, è chiaramente quello di assicurare una “ricaduta” del beneficio dello sgravio a vantaggio della collettività: nel senso che la gratuità della concessione si traduce in un abbattimento dei costi, a cui corrisponde, in definitiva, un minore aggravio di oneri per il contribuente.

E’ stato chiarito che le opere per cui può ipotizzarsi lo sgravio dagli oneri concessori devono avere carattere direttamente satisfattivo dell’interesse della collettività, di per sé – poiché destinate ad uso pubblico o collettivo – o in quanto strumentali rispetto ad opere del genere anzidetto, o comunque perché immediatamente collegate con le funzioni di pubblico servizio espletate dall’Ente (cfr. Cons. Stato, V, 8 giugno 1998, n. 777).

Il beneficio della gratuità della concessione deriva non tanto dalla natura pubblica o privata dell’Ente che ha realizzato l’opera, quanto piuttosto dall’interesse perseguito, ponendosi l’accento sul connotato “generale” di tale interesse; quindi, il beneficiario può essere anche un soggetto non pubblico, purché però sia un “ente istituzionalmente competente” (cfr. Cons. Stato, V, 20 luglio 1999, n. 849).

Esso non spetta, pertanto, a soggetti privati per gli immobili ove esercitino una mera attività lucrativa di impresa, indipendentemente dalla rilevanza sociale dell’attività stessa (cfr. Cons. Stato, V, 21 gennaio 1997, n. 69). Al fine dell’individuazione dell’anzidetto requisito di ordine soggettivo, la giurisprudenza richiede, di norma, quanto meno il possesso della qualità di concessionario, operante per conto di un Ente pubblico (Cons. Stato, V, 7 settembre 1995, n. 1280, cit.).

3. Nel recente panorama giurisprudenziale, il beneficio è stato negato:

- ad una società per azioni relativamente alla concessione di ampliamento della clinica gestita dalla stessa (Cons. stato, V, 16 gennaio 1992, n. 46);

- all’impresa che, senza alcun collegamento di concessione da parte di un ente pubblico, svolga un’attività assistenziale, in quanto l’agevolazione in parola implica, come accennato, il possesso del requisito non solo oggettivo (impianti, attrezzature, opere pubbliche o di interesse generale), ma pure soggettivo (ente pubblico o soggetto concessionario di pubblico servizio o di opere pubbliche : cfr. Cons Stato, V, 10 maggio 1999, n. 536);

- alle cooperative edilizie, in quanto curano in primo luogo l’interesse dei soci;

- al privato che realizza impianti sportivi, anche se la loro utilizzazione è oggetto di convenzione con il Comune;

- per la realizzazione di uffici direzionali di un’azienda creditizia;

- per la costruzione di scuole non previste tra le opere di urbanizzazione dallo strumento urbanistico;

- alla società concessionaria del servizio distributivo del gas, per la costruzione di una nuova sede (cfr. TAR Lombardia, Brescia, 18 marzo 1999, n. 217);

- (caso particolarmente interessante e conferente) per le opere realizzate da un privato, su proprietà e con capitali privati, pur se in vista di un contratto di locazione con la P.A. (cfr. TAR Lombardia, II, 1° luglio 1997, n. 1074; TAR Puglia, I, 1° settembre 1999, n. 1018).

E’ stato però d’altra parte precisato che “realizzatore” dell’opera deve intendersi non soltanto chi provvede materialmente all’edificazione, ma anche il soggetto cui l’opera è riferibile dal punto di vista sia progettuale che della destinazione finale (Cons. Stato, V, 8 giugno 1998, n. 777, cit.).

4. Ciò posto, si può convenire con i primi giudici circa i forti connotati di peculiarità della fattispecie in esame; connotati che confortano, in effetti, una pronunzia reiettiva, in parte qua, delle pretese delle società ricorrenti.

Le attuali ricorrenti sono senza dubbio società private, esercenti attività di impresa nel ramo costruzioni edili, in parte aventi causa dalle originarie società costruttrici che avevano realizzato il complesso immobiliare di cui trattasi in base ad accordi con il Ministero della sanità, ottenendo lo sgravio degli oneri, a norma dell’art. 9, lett. f), l. 10/77, in forza di un atto d’obbligo che vincolava l’utilizzo del medesimo complesso alle esigenze di nuova localizzazione della citata Amministrazione ministeriale.

Le successive vicende che hanno portato alla mancata attuazione degli accordi anzidetti sono state oggetto di pronunzie giurisdizionali (tra cui Cons. Stato, IV, 26 giugno 1998, n. 990), che hanno riconosciuto le ragioni delle società costruttrici in relazione agli atti con cui l’Amministrazione aveva frapposto ostacoli alla definitiva conclusione della procedura negoziale ed all’efficacia degli accordi.

Nonostante tali pronunzie, tuttavia, il previsto trasferimento della sede del Ministero della sanità nei fabbricati di cui trattasi non si verificava, ed il Comune di Roma accettava sì un diverso insediamento, compatibile con le caratteristiche dell’area, ma riteneva al contempo venuti meno i presupposti della gratuità della concessione, essendo la stessa esplicitamente connessa al permanere della destinazione dell’opera come sede del citato Ministero.

Nell’aderire al nuovo atto d’obbligo del marzo 1997, il Comune impegnava le parti private a versare gli oneri concessori, cosa puntualmente avvenuta.

Del resto lo sgravio del contributo concessorio era stato espressamente sottoposto a condizione risolutiva, operante in caso di cessazione dell’utilizzo originariamente previsto da parte del Ministero della sanità.

Orbene, non è il caso di dilungarsi su come la nuova destinazione del complesso immobiliare a sede della società Telecom Italia, nonché l’evoluzione che ha contraddistinto nel tempo la posizione giuridica dell’originaria concessionaria esclusiva del servizio di telefonia fissa vadano ad incidere sul requisito oggettivo posto alla base dell’esenzione degli oneri.

5. E’, infatti, la carenza dell’elemento soggettivo ad assumere rilevanza decisiva.

La società di telefonia, in quanto mera locataria subentrante del complesso immobiliare realizzato dalle ricorrenti, assume nella vicenda un ruolo estremamente defilato.

Come evidenziato dal Comune resistente, infatti, particolarmente problematico è ipotizzare una fattispecie nella quale il locatore chieda l’esenzione dagli oneri concessori in ragione della qualità giuridica di concessionario di pubblico servizio detenuta dal suo conduttore (divenuto a partire dal gennaio 1998 solo uno dei gestori del servizio universale), subentrato però nella titolarità del bene dopo diverso tempo e che nulla ha mai preteso al riguardo.

Non appare sufficientemente integrato il sopra descritto momento soggettivo.

Il legislatore richiede che le opere – ammesse allo sgravio contributivo - siano “realizzate” dagli enti istituzionalmente competenti, con conseguente necessità che sussista un ben preciso vincolo relazionale tra il soggetto abilitato ad operare nell’interesse pubblico ed il materiale esecutore della costruzione: la giurisprudenza prevalente ha identificato tale vincolo nella concessione di costruzione di opera pubblica o in altre analoghe figure organizzatorie (Cons. Stato, V, 19 maggio 1998, n. 617; 7 settembre 1995, n. 1280; 13 dicembre 1993, n. 1280; 20 novembre 1989, n. 752).

Deve cioè trattarsi di attività compiuta da un concessionario, o più in generale da un soggetto che curi istituzionalmente (è dunque questo l’elemento chiave) la realizzazione di opere d'interesse generale per il perseguimento delle specifiche finalità cui le opere stesse sono destinate; in tal senso non ricade nell'esenzione dal contributo l'opera costruita da un imprenditore per la propria attività d'impresa, considerato che il fine dell'esenzione è quello di evitare una contribuzione intimamente contraddittoria (quale sarebbe quella per opere costruite a carico della collettività) e non quella di esonerare gli imprenditori dai costi d'impresa.

La fattispecie in argomento presentava fin dall’inizio connotati di indubbia atipicità, anche se in qualche modo l’edificazione del complesso era stata ab origine ricondotta, anche in sede di delibazione giurisdizionale, alle esigenze ed all’azione propulsiva del Ministero della sanità.

Dopo la ricordata rottura contrattuale il panorama della vicenda ha visto le imprese costruttrici impegnate nell’esplicazione di una normale attività imprenditoriale, e quindi nella libera ricerca di un’utilizzazione commerciale del fabbricato, ovviamente perseguendo fini di lucro, sia pure nei limiti consentiti dalla ristretta gamma di utilizzazioni possibili dell’area.

In questo modo, però, è definitivamente venuto meno quel vincolo relazionale tra soggetto abilitato ad operare nell’interesse pubblico e materiale esecutore della costruzione (nella specie vincolo fin dall’origine dai caratteri atipici), che deve contrassegnare fin dall’inizio la realizzazione dell’assentito intervento edificatorio, al fine di ottenere la gratuità della concessione.

La evidente connessione legislativa tra gli elementi dell’”ente istituzionalmente competente” e della “realizzazione” non può essere dilatata al punto da esporre l’Amministrazione comunale a richieste di sgravio contributivo, e quindi per lo più ad istanze di rimborso di oneri già acquisiti al patrimonio comunale, sulla base di utilizzazioni intervenute e concordate in un secondo momento, frutto dell’attività imprenditoriale o commerciale dell’impresa costruttrice e comunque del tutto esulanti dagli specifici intenti realizzativi iniziali, e questo seppur l’intervento edilizio riguardi zone tendenzialmente destinate ad interventi edificatori di interesse generale.

Non si può, in definitiva, recuperare ex post il legame tra soggetti realizzatori e finalità pubbliche che, seppur con moduli organizzatori non del tutto tipizzati, deve contraddistinguere l’intervento edilizio ab initio.

6. Alla stregua di quanto in via più generale affermato, non può inoltre ritenersi, in via semplicistica e con riguardo a situazioni contingenti, che il possibile insediamento di una sede Telecom in area M1 implichi di per sé l’esonero dai contributi di concessione, e che la richiesta di sgravio postumo sia ulteriormente rinfrancata dalla mancata previsione, per la medesima zona, di tabelle di riferimento per il calcolo degli oneri concessori (ad ogni modo, sulle modalità di determinazione e di calcolo degli oneri concessori in area M1, il Collegio di primo grado, nell’ambito della pronunzia parziale avversata, ha ritenuto di dover disporre alcuni approfondimenti istruttori).

Né, essendo chiaramente venuto meno l’anello di congiunzione relazionale preteso dalla legge, è il caso di dilungarsi, ancora una volta, su natura e status giuridici della società telefonica destinata a divenire l’effettiva utilizzatrice del complesso immobiliare.

7. Alla luce delle considerazioni sopra riportate, l’appello in epigrafe non può essere oggetto di favorevole considerazione.

Resta, ovviamente, impregiudicata la questione dello scomputo dagli oneri versati del valore delle opere di urbanizzazione direttamente eseguite, sulla quale il Tribunale di prima istanza ha, parimenti, disposto incombenti istruttori da espletarsi nel contraddittorio delle parti.

Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite, con riferimento al presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo rigetta.

Spese del presente grado di giudizio compensate tra le parti.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2002, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), in camera di consiglio, con l'intervento dei seguenti Magistrati:

Alfonso Quaranta Presidente

Paolo Buonvino Consigliere

Aldo Fera Consigliere

Francesco D’Ottavi Consigliere

Gerardo Mastrandrea Consigliere est.

 

L'ESTENSORE                                                IL PRESIDENTE                                          IL SEGRETARIO

f.to Gerardo Mastrandrea                                  f.to Alfonso Quaranta                                    f.to Francesco Cutrupi

 


 

M A S S I M E

1) Definizione di “realizzatore” di opera - sgravio contributivo - vincolo relazionale tra il soggetto abilitato ad operare nell’interesse pubblico ed il materiale esecutore della costruzione. “Realizzatore” dell’opera deve intendersi non soltanto chi provvede materialmente all’edificazione, ma anche il soggetto cui l’opera è riferibile dal punto di vista sia progettuale che della destinazione finale (Cons. Stato, V, 8 giugno 1998, n. 777, cit.). Il legislatore richiede che le opere – ammesse allo sgravio contributivo - siano “realizzate” dagli enti istituzionalmente competenti, con conseguente necessità che sussista un ben preciso vincolo relazionale tra il soggetto abilitato ad operare nell’interesse pubblico ed il materiale esecutore della costruzione: la giurisprudenza prevalente ha identificato tale vincolo nella concessione di costruzione di opera pubblica o in altre analoghe figure organizzatorie (Cons. Stato, V, 19 maggio 1998, n. 617; 7 settembre 1995, n. 1280; 13 dicembre 1993, n. 1280; 20 novembre 1989, n. 752). Consiglio di Stato Sezione V del 2 dicembre 2002 n. 6618 

2) L’esenzione dal pagamento dei contributi di concessione per le “opere pubbliche o di interesse generale - dottrina e giurisprudenza - l’ascrivibilità dell’opera a soddisfare i bisogni della collettività, anche se realizzate e gestite da privati - l’esecuzione delle opere - gli obblighi e i presupposti - la “ricaduta” del beneficio dello sgravio a vantaggio della collettività - esclusione - mera attività lucrativa di impresa. Come più volte evidenziato dalla dottrina e della giurisprudenza, lo sgravio contributivo di cui trattasi pretende il concorso di due presupposti, e cioè uno oggettivo, ovvero l’ascrivibilità del manufatto oggetto di concessione edilizia alla categoria delle opere pubbliche o di interesse generale (nel senso che deve trattarsi di opere che, quantunque non destinate direttamente a scopi propri della P.A., siano comunque idonee a soddisfare i bisogni della collettività, anche se realizzate e gestite da privati), e l’altro soggettivo, ovvero l’esecuzione delle opere da parte di Enti istituzionalmente competenti, vale a  dire da parte di soggetti cui sia demandata in via istituzionale la realizzazione di opere di interesse generale (cfr. C.G.A.R.S. 20 luglio 1999, n. 369; Cons. Stato, V, 6 dicembre 1999, n. 2061), ovvero da parte di privati concessionari dell’Ente pubblico (cfr. Cons. Stato, V, 7 settembre 1995, n. 1280), purché le opere siano inerenti all’esercizio del rapporto concessorio. Il Comune è, peraltro, tenuto ad accertare d’ufficio tali presupposti indipendentemente dalla domanda del privato, non prevista dalla legge. Il fine dell’applicazione della norma, fondata dunque sul presupposto oggettivo della natura delle opere e su quello soggettivo della qualità dell’ente realizzatore, è chiaramente quello di assicurare una “ricaduta” del beneficio dello sgravio a vantaggio della collettività: nel senso che la gratuità della concessione si  traduce in un abbattimento dei costi,  a cui corrisponde, in definitiva, un minore aggravio di oneri per il contribuente. E’ stato chiarito che le opere per cui può ipotizzarsi lo sgravio dagli oneri concessori devono avere carattere direttamente satisfattivo dell’interesse della collettività, di per sé – poiché destinate ad uso pubblico o collettivo – o in quanto strumentali rispetto ad opere del genere anzidetto, o comunque perché immediatamente collegate con le funzioni di pubblico servizio espletate dall’Ente (cfr. Cons. Stato, V, 8 giugno 1998, n. 777). Il beneficio della gratuità della concessione deriva non tanto dalla natura pubblica o privata dell’Ente che ha realizzato l’opera, quanto piuttosto dall’interesse perseguito, ponendosi l’accento sul connotato “generale” di tale interesse; quindi, il beneficiario può essere anche un soggetto non pubblico, purché  però sia un “ente istituzionalmente competente”  (cfr. Cons. Stato, V, 20 luglio 1999, n. 849). Esso non spetta, pertanto, a soggetti privati per gli immobili ove esercitino una mera attività lucrativa di impresa, indipendentemente dalla rilevanza sociale dell’attività stessa (cfr. Cons. Stato, V, 21 gennaio 1997, n. 69). Al fine dell’individuazione dell’anzidetto requisito di ordine soggettivo, la giurisprudenza richiede, di norma, quanto meno il possesso della qualità di concessionario, operante per conto di un Ente pubblico (Cons. Stato, V, 7 settembre 1995, n. 1280, cit.). Consiglio di Stato Sezione V del 2 dicembre 2002 n. 6618 

 

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