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Legislazione  giurisprudenza                                                      Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso


 

 

Consiglio Stato, Sezione VI,  del 5 dicembre 2002, sentenza n. 6665 .

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
 

DECISIONE


sul ricorso proposto dalla RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA persona del direttore degli Affari Legali in carica rappresentato e difeso dagli avv.ti Alfredo Contieri e Francesco Barra Caracciolo, domiciliato elettivamente presso i medesimi in Roma via Cicerone n. 28, presso lo studio dell'avv. Raffaele Izzo;
contro
il MINISTERO PER I BENI E ATTIVITÀ CULTURALI in persona del Ministro in carica nonché la SOPRINTENDENZA PER I BENI AMBIENTALI E ARCHITETTONICI DI NAPOLI e provincia in persona del Soprintendente pro tempore, entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e presso la medesima per legge domiciliati, in Roma via dei Portoghesi n. 12;
per l'annullamento
previa sospensione, della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, I sezione, n. 2938 del 27 giugno 2001;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Udita alla pubblica udienza del 21 maggio 2002 la relazione del Consigliere Santoro e uditi, altresì, l’avv. Contieri e l’avv. dello Stato Spina;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
 

FATTO


Con la sentenza appellata era stato respinto il ricorso proposto dalla odierna appellante per l'annullamento del decreto 13 ottobre 1999 del Soprintendente resistente, di annullamento del nullaosta paesistico rilasciato dal sindaco del Comune di Capri in data 27 aprile 1999 n. 11.
I provvedimenti erano stati emanati in esito alla domanda di concessione in sanatoria ai sensi dell'articolo 31 della legge n. 47 del 1985, relativa all'impianto di ripetitore televisivo della Rai in un luogo dell'isola di Capri.
Secondo il TAR, in primo luogo, la circostanza che nel 1966 (anno di realizzazione del manufatto) non occorresse la licenza edilizia, non esclude la necessità - per tutti gli interventi in zona vincolata - dell'autorizzazione prevista dall'articolo 7 della legge n. 1497 del 1939.
Inoltre, l'annullamento statale impugnato non sarebbe tardivo rispetto alla data di comunicazione all’Amministrazione appellata dell'autorizzazione sindacale, né la richiesta istruttoria avrebbe avuto carattere dilatorio.
Infine l'annullamento statale impugnato sarebbe circoscritto a profili di mera legittimità.
Con l'appello in esame la Rai contesta la motivazione della sentenza appellata e ribadisce i motivi da questa disattesi.
Si è costituita l'amministrazione statale intimata, ed ha controdedotto puntualmente al gravame.
 

DIRITTO


L'appello non è fondato.
L’ormai costante giurisprudenza amministrativa ritiene che abbia carattere non recettizio l’atto d’annullamento ministeriale del nulla osta paesaggistico (l'opposta soluzione vale per l’annullamento regionale della licenza edilizia, ex art.27 della legge urbanistica: CdS Ad. Plen. n.8/1980).
 

Nello schema normativo della tutela paesaggistica predisposta dall'art.82 D.P.R. n.616 del 1977, l'intervento ministeriale d’annullamento dell'autorizzazione regionale rilasciata ai sensi dell'art.7 l. n.1497 del 1939 costituisce un elemento costitutivo, sia pure in termini negativi ed operante nella ridotta sfera della verifica della legittimità, di una complessa fattispecie autorizzatoria sui generis, nell'ambito della quale l'autorizzazione regionale (o sub regionale) è un elemento essenziale, ma non esclusivo, al fine di rimuovere gli ostacoli giuridici per il concreto esercizio dell'attività edilizia nell'ambito delle zone sottoposte a vincoli; pertanto il decorso del termine di sessanta giorni per l'esercizio del potere d’annullamento, senza che alcun provvedimento sia stato adottato, vale a rendere definitivamente operativa l'autorizzazione, già di per sé efficace, ed ultronea qualunque pronuncia tardiva del ministro: ciò dimostra che la causa ultima della caducazione dell'autorizzazione regionale (o sub regionale) deve essere rinvenuta direttamente nella norma, la quale prevede il potere d’annullamento e ne configura l'esercizio come produttivo di per sé di effetti giuridici, a prescindere dalla partecipazione all'ente interessato degli esiti dell'esercizio di tale potere, con la conseguenza che il provvedimento ministeriale di annullamento non ha natura di atto recettizio (C. Stato, sez.VI, 19/7/1996, n.968; in senso analogo CdS VI n.421/2000; CdS Sez.II 4/6/1997 n.1249/97; CdS Sez.II 10/9/1997 n.468/1997 per una completa recente ricostruzione CdS Ad. Plen. n.9/2001).
 

Il termine perentorio di sessanta giorni per l’adozione del provvedimento ministeriale di annullamento di nulla osta paesistico, inizia a decorrere solo da quando la documentazione perviene, completa, all’organo competente a decidere (C. Stato, sez. IV, 4 dicembre 1998, n. 1734), che è il Ministro, e non gli organi periferici dell’amministrazione dei beni culturali e ambientali (C. Stato, sez. VI, 3 marzo 1994, n. 241).
 

Ai fini della decorrenza del dies a quo, pertanto, non rileva l’arrivo degli atti alla Soprintendenza, occorrendo invece che gli atti pervengano al Ministero, inteso come amministrazione centrale.
 

Al contrario, non interessa che una circolare del Ministero dei beni culturali e ambientali stabilisca che le pratiche relative a nulla osta paesistici siano inoltrate al Ministro per il tramite delle locali Soprintendenze, in quanto le circolari non possono essere ritenute vincolanti se contrarie alle leggi.
 

Nella specie, l’art. 82, D.P.R. n. 616 del 1977, stabilisce che le Regioni devono trasmettere le autorizzazioni paesistiche rilasciate <<al Ministero>>, e non già alle periferiche Soprintendenze, e che dall’arrivo degli atti al Ministro decorre il termine di sessanta giorni per l’esercizio del potere di annullamento.
Pertanto, la circolare in questione non è idonea né ad alterare il regime del dies a quo del termine, né a modificare l’organo destinatario degli atti.
 

I nullaosta paesistici devono essere inoltrati direttamente all’amministrazione centrale, ed il termine di sessanta giorni per l’annullamento ministeriale decorre, pertanto, da quando gli atti arrivano all’amministrazione centrale, atteso che competente a provvedere è il Ministro.
 

D’altro canto, la parte interessata può sempre pretendere che le Soprintendenze trasmettano gli atti immediatamente all’amministrazione centrale, senza trattenere gli stessi per l’istruttoria, ovvero presentare direttamente gli atti a quest’ultima, in tal modo attivando la decorrenza del termine di sessanta giorni per l’esercizio del potere ministeriale di annullamento; e conseguentemente dedurre in giudizio la superfluità dell’operato delle Soprintendenze dal momento in cui gli atti pervengono all’amministrazione centrale. In difetto di tale contestazione specifica in giudizio, nella specie mancante, la parte non può lamentarsi della circostanza che, presentati gli atti alla Soprintendenza periferica, questa li trattenga per l’istruttoria del caso e li trasmetta all’amministrazione centrale solo quando la documentazione è completa, in tal modo spostando in avanti la decorrenza del termine di sessanta giorni.
 

Se il termine di sessanta giorni deve considerarsi iniziare soltanto da quando la documentazione pervenga, completa, all’organo competente a decidere (C. Stato, sez. IV, 4 dicembre 1998, n. 1734), non può coerentemente considerarsi idonea a far iniziare la decorrenza del termine in questione, la presentazione di documentazione incompleta, e dunque inidonea a consentire il corretto esercizio del potere di controllo attribuito all’amministrazione per i beni culturali e ambientali in materia paesistica (C. Stato, sez. VI, 14 febbraio 1996, n. 209), ed essendo necessario, ai fini del corretto esercizio del potere di controllo attribuito all’amministrazione, che a questa pervenga una documentazione completa, deve coerentemente ammettersi che possano essere chieste le necessarie integrazioni istruttorie (C. Stato, sez. VI, 14 febbraio 1996, n. 209.
 

Ciò che deve ritenersi non consentito, stante la perentorietà del termine, è che lo stesso venga sospeso, interrotto o prorogato arbitrariamente, cioè al di fuori di una necessaria istruttoria (C. Stato, sez. VI, 16 marzo 1995, n. 279), e tanto nell’ottica del principio di leale cooperazione, che per Corte Cost. 18 ottobre 1996, n. 341, non opera in modo unidirezionale, perché al dovere regionale di informazione immediata e completa corrisponde il dovere statale di non determinare ingiustificati aggravamenti del procedimento con richieste di documentazione pretestuose, dilatorie o tardive, suscettibili di menomare l’esercizio delle attribuzioni regionali in materia di tutela del paesaggio. Sotto questa angolazione prospettica, la Consulta ha ritenuto costituzionalmente legittimo l’art. 82, co. 9, D.P.R. n. 616 del 1977, nella parte in cui non prevede alcun preciso e univoco referente temporale per la decorrenza del termine di sessanta giorni entro cui il Ministero può annullare il nulla osta paesistico regionale (C. Cost., 4 giugno 1997, n. 170). Quest’ultima pronuncia ha anche osservato che in caso di inerzia amministrativa l’interessato può tutelare la propria situazione soggettiva attivando anche le misure per un sollecito inoltro della pratica e comunque può rivolgersi direttamente al Ministero per i beni culturali e ambientali; inoltre le regole procedimentali sul responsabile del procedimento e sui diritti di partecipazione e di accesso assicurano il rispetto del buon andamento.
 

Deve aggiungersi che, presupponendo il termine di sessanta giorni per l’esercizio del potere di annullamento che la pratica sia pervenuta completa di tutta la documentazione, se tale completezza documentale non sussiste, deve ritenersi possibile la richiesta di integrazione istruttoria nel medesimo termine di sessanta giorni.
 

D’altro canto, come già osservato, la parte interessata può sempre pretendere che le Soprintendenze trasmettano gli atti immediatamente all’amministrazione centrale, senza trattenere gli stessi per l’istruttoria, ovvero presentare direttamente gli atti a quest’ultima, in tal modo attivando la decorrenza del termine di sessanta giorni per l’esercizio del potere ministeriale di annullamento; e conseguentemente dedurre in giudizio la superfluità dell’operato delle Soprintendenze dal momento in cui gli atti pervengono all’amministrazione centrale. In difetto di tale contestazione specifica in giudizio, nella specie mancante, la parte non può duolersi della circostanza che, presentati gli atti alla Soprintendenza periferica, questa li trattenga per l’istruttoria del caso e li trasmetta all’amministrazione centrale solo quando la documentazione è completa, in tal modo spostando in avanti la decorrenza del termine di sessanta giorni.
 

Ciò premesso, deve osservarsi, in fatto, che il potere di annullamento risulta tempestivamente esercitato, atteso che le richieste istruttorie non appaiono né tardive né dilatorie, in quanto il decreto di annullamento è del 13 ottobre 1999, mentre l'integrazione documentale risulta pervenuta al Ministero in data 23 agosto 1999, e perché inoltre la pratica risultava incompleta per carenza sia del modello del condono, sia di una documentazione fotografica del manufatto.
 

Né infine, può convenirsi che l'annullamento statale impugnato sia entrato nel merito delle scelte di competenza dell'autorità locale.
 

Il Collegio ricorda che la materia ha trovato recente sistemazione nel fondamentale arresto dell’Ad. Plen. n.9/2001 che ha escluso, con complesso argomentare, l’esistenza di un potere di controllo statale sull’autorizzazione regionale, ricostruendo il sistema dei poteri regionali e statali anche alla luce dei lavori preparatori della legge n.431/1985, dei principi costituzionali della materia ambientale e di tutela del paesaggio (invero senza riferimento al nuovo titolo V della Carta fondamentale che demanda la “tutela” dell’ambiente allo Stato e la mera “valorizzazione” alle regioni, con scelta che potrebbe essere preludio anche di un ruolo più incisivo dello Stato nella materia), delle disposizioni degli statuti delle regioni a statuto speciale, e della valenza della normativa di cui alla citata legge n.431/1985 ricostruita dalla Corte Costituzionale adita in via diretta dalle regioni a statuto speciale.
 

Esclusa la sussistenza di un potere di controllo l’Ad. Plen. ha ritenuto configurabile un potere di riesame dell’atto per qualsiasi vizio di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere.
 

Il controllo di merito amministrativo, e quindi l’annullamento del nulla osta paesaggistico per vizio di merito rimane quindi precluso: per comprendere i limiti di tale nozione, specie con riferimento alla fattispecie, a confine, di sviamento per obiettiva deroga del vincolo ossia all’uso strumentale dell’autorizzazione è necessario effettuare alcune precisazioni.
 

In dottrina sulla nozione di merito amministrativo si sono da sempre avute varie opinioni e tentate differenti ipotesi ricostruttive.
 

Per una prima opinione il merito amministrativo non esisterebbe dal momento che ogni attività svolta dall’amministrazione nell’esercizio di un potere di merito sarebbe pur sempre giuridicamente apprezzabile, sia allo scopo di far valere una responsabilità dell’agente sia allo scopo di dichiarare un vizio dell’atto.
 

Secondo un’altra opinione il merito sarebbe il risultato dell’attività di valutazione discrezionale di una fattispecie, ossia il merito sarebbe il contenuto dell’atto amministrativo all’esito di una valutazione discrezionale, con la conseguenza che fra merito e legittimità non vi sarebbe una differenza sostanziale, trattandosi solo di tecniche e modalità di rilevazione dei vizi (appuntandosi la legittimità al controllo del modo di esercizio della discrezionalità e non direttamente al risultato di quell’esercizio).
 

È coessenziale alla nozione di merito amministrativo, il richiamo al concetto di opportunità o al momento interno della ponderazione degli interessi, o al momento pregiuridico della ponderazione.
 

In sostanza, l'ambiguità della materia (riflettentesi in tutti i casi in cui, come per il potere di annullamento ministeriale dei nulla-osta paesaggistici vi sia da distinguere merito e legittimità) deriva dal fatto che sia la discrezionalità (tecnica o amministrativa) che il merito amministrativo presentano un’intrinseca problematicità in forza del loro muoversi fra due poli quello del vincolo rispetto al fine pubblico e quello della libertà nella ricerca dei mezzi per soddisfarlo.
 

Si tratta della ricerca del confine – sempre da definire e sempre in movimento nella varietà dei casi pratici - della discrezionalità ed autonomia dell’amministrazione, rispetto al sindacato di legittimità.
 

Il fenomeno del merito è quello della libertà ed anche della libertà del potere: esso travalica l’ambito di attività della p.a. per coincidere come è stato osservato con la sostanza delle scelte di ogni agire giuridicamente rilevante, la sua area d’incidenza è quella delle posizioni giuridiche intese nel senso più ampio; sono di merito le scelte del proprietario rispetto al bene di cui è titolare, le scelte dell’imprenditore nell’esercizio della sua attività d’impresa, le scelte del legislatore nell’attività legislativa o di indirizzo politico.
 

Non c’è libertà tuttavia senza “giuridicità”: in particolare, al di là dei limiti e delle conformazioni delle situazioni giuridiche soggettive si sviluppano negli ordinamenti moderni diritti e poteri funzionalizzati, a favore di soggetti deboli, di interessi collettivi, di interessi pubblici.
 

Si è distinta, nel potere funzionalizzato, la cura dell’interesse dalla sua gestione ottimale, ritenendo che la prima sia controllabile per eccesso di potere la seconda sia rimessa alla valutazione insindacabile dell’amministrazione sulla scelta più opportuna fra quelle consentite nell’ambito della cura dell’interesse pubblico.
 

Di qui la definizione tradizionale ed ancora valida – per la dottrina che riconosce l’autonomia della nozione - del merito amministrativo quale azione libera, non controllabile, non sindacabile, irrilevante sul piano dei valori giuridici, non soggetta al rispetto di criteri predeterminati, non oggetto di qualificazione da parte dell’ordinamento giuridico.
 

Naturalmente la nozione di merito non vive nel vuoto ed è condizionata dal modo in cui il diritto vivente intende la discrezionalità amministrativa, la discrezionalità tecnica (si pensi a quanto deciso da CdS IV 9/4/1999 n.601), il vincolo procedimentale, l’agire obiettivato e vincolato della pubblica amministrazione, ed in ultimo dall’incidenza del sindacato giudiziario e delle autorità preposte ai controlli o titolari – come nella specie - di un potere di riesame.
 

Si deve registrare, in questa ottica, anche per gli influssi comunitari, una tendenza alla riduzione dell’area delle valutazioni amministrative insindacabili, per effetto del controllo di proporzionalità, del passaggio di parte del merito alla discrezionalità tecnica, per la costante esigenza di verifica della legalità sostanziale delle attività amministrative mediante l’usuale tecnica del sindacato sui vizi sintomatici dell’eccesso di potere.
 

Ciò premesso su un piano generale, giova ritornare alla nozione di vizio di merito nell’ambito dei poteri di governo dei vincoli paesaggistici, al fine di valutare con precisione il tratto distintivo fra la valutazione della Soprintendenza che (inammissibilmente) sostituisce il suo giudizio a quella dell’ente locale e la valutazione che si limita a rilevare l’illegittimità del nullaosta.
 

Il merito che non può essere oggetto di sostituzione è un giudizio estetico di natura tecnico-discrezionale, demandato alle regioni ed agli altri enti sub-regionali, con ciò escludendosi il ritorno paventato da alcuni delle regie soprintendenze.
 

Ciò tuttavia non comporta alcuna insindacabilità delle valutazioni operate dalle autorità locali. L’annullamento per vizi di legittimità è comprensivo di tutti i profili dell’eccesso di potere.
 

Non v’è dubbio sulla circostanza della riconduzione all’area della legittimità del vizio d’omessa acquisizione di parere obbligatorio e vincolante o dell’insufficienza della motivazione.
 

Il caso più dubbio è quello dell’annullamento del nulla osta che si risolve in obiettiva deroga del vincolo.
 

Il Consiglio di Stato Ad. Plen. n.9/2001 ha ammesso che la domanda di autorizzazione debba essere valutata tenendo conto che la sua funzione non è quella di rimuovere il vincolo, ma di accertare in concreto la compatibilità dell’intervento col mantenimento e l’integrità di valore dei luoghi (CdS Ad. Plen. n.9/2001; CdS VI 14/11/1991 n.828). L’annullamento è giustificato, secondo un consistente orientamento, quando, per la mancata considerazione di un rilevante elemento di fatto, la valutazione di compatibilità si traduca in obiettiva deroga, in un’autorizzazione illegittima per sviamento o travisamento (C.d.S. VI 13/2/2001 n.685; C.d.S. II 10/1/2001 n.1614; C.d.S. VI 8/8/2000 n.4345; C.d.S. VI 6/7/2000 n.3793; C.d.S. II 31/3/1999 n.268; C.d.S. IV 4/12/1998 n.1734; C.d.S. VI 9/4/1998 n.460; C.d.S. VI 17/4/1997 n.609; C.d.S. VI 19/7/1996 n.968).
 

In sostanza ciò che si può intendere come obiettiva deroga del vincolo, non rientrante nella causa tipica del potere di autorizzazione ex art.7 della legge n.1497/1939, è la valutazione comunale non accorta che non prende le mosse dal vincolo per effettuare un giudizio di compatibilità, ma si sovrappone al vincolo medesimo, stabilendo una deroga o eccezione non consentita che ne oblitera la ratio, con ciò provocando un’alterazione degli equilibri ambientali e paesaggistici che il vincolo mira a conservare e proteggere.
 

Quando il Consiglio di Stato Ad. Plen. n.9/2001 ha fatto riferimento alla mancata considerazione di un rilevante elemento di fatto ha voluto sottolineare che la Soprintendenza non può ritenere l’esistenza di un’autorizzazione (illegittima) in deroga al vincolo, solo sovrapponendo il proprio giudizio estetico e tecnico al giudizio dell’autorità comunale o regionale, ma deve evidenziare carenze dell’attività procedimentale che costituiscano indice dello sviamento.
 

Nel caso di specie il provvedimento impugnato ben sottolinea la superficialità dell’atto amministrativo di assenso annullato, evidenziando che l’autorità locale non ha tenuto conto della necessità di un parere obbligatorio, non ha preso le mosse dai valori paesistici tutelati, non ha dato il giusto peso all’assenza di “qualità ambientale” del manufatto realizzato in zona vincolata, così decampando dalla valutazione di compatibilità per assentire un bene considerato compatibile solo perché necessario al servizio pubblico radiotelevisivo.
 

In sostanza la Soprintendenza prende le mosse da una difformità dell’istruttoria dallo schema legale e da carenze obiettive dell’attività procedimentale del comune, per giungere alla conclusione che l’atto di assenso non risponde alla causa tipica del potere di cui all’art.7 della legge n.1497/1939.
 

Se ne deve inferire che l’amministrazione statale si è mossa nell’ambito del suo potere di riesame per motivi di legittimità.
 

Le restanti censure attengono ai profili motivazionali di ciascun atto, comunale e statale, per cui possono essere esaminati congiuntamente.
 

In primo luogo il TAR ha rilevato che i provvedimenti positivi di nullaosta paesaggistico devono essere motivati ed il punto appare di indubbia esattezza anche alla luce dell’art.3 della legge n.241/1990.
 

Quanto alla sufficienza della motivazione dell’atto di annullamento, di cui si assume l’illegittimità per difetto di motivazione, si deve rilevare che il Ministero ha perfettamente evidenziato le ragioni per le quali esercitava il potere di annullamento, ossia come già detto, l’inversione procedimentale (o violazione del principio di giusto procedimento), il difetto di motivazione del nullaosta paesaggistico ed il giudizio sostanzialmente derogatorio del vincolo reso dal Comune.
 

Ciascuno di questi vizi del nulla osta è già in grado di reggere autonomamente l’annullamento ministeriale.
 

Ed inoltre, in disparte la piena riconducibilità del potere esercitato dal Ministero al genus dei poteri di controllo di legittimità, a difesa estrema del vincolo, accertata per tutto quanto prima evidenziato, rimane comunque esclusa la possibilità di assorbire nel rilievo di un supposto sconfinamento nel merito dell’autorità statale, la sostanziale mancanza di argomenti a sostegno della tesi dell’insussistenza della violazione del giusto procedimento o della natura derogatoria del vincolo.
 

È agevole, infine, superare l'ultima censura, considerato che, in sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria per opere ricadenti in zone sottoposte a vincolo, l’obbligo di acquisire il parere da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo previsto dall’art.32 L. 28 febbraio 1985 n. 47, sussiste in relazione all’esistenza del vincolo medesimo al momento in cui deve essere valutata la domanda di condono, a prescindere dall’epoca della sua introduzione e, quindi, anche per le opere eseguite anteriormente all’apposizione del vincolo stesso (cfr. Ad. Plen. 22 luglio 1999, n. 20: Cons. Stato, Sez. VI, n.4812 del 2002).
 

La sentenza appellata merita dunque integrale conferma.
 

È, infine, appena il caso di ricordare che il capoverso dell'articolo 4 del D.Lgs. 4 settembre 2002 n. 198 (disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell'articolo 1, comma 2, della L. 21 dicembre 2001, n. 443), stabilisce che restano ferme le disposizioni a tutela dei beni ambientali e culturali contenute nel decreto legislativo 29 settembre 1999, n. 490 (testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1 della L. 8 ottobre 1997, n. 352).
 

Le spese di giudizio possono essere compensate.
 

P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge l'appello.
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
 

Così deciso in Roma, addì 21 maggio 2002 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sezione Sesta - riunito in camera di consiglio con l'intervento dei seguenti Magistrati:
Giorgio GIOVANNINI Presidente
Sergio SANTORO Consigliere Est.
Luigi MARUOTTI Consigliere
Pietro FALCONE Consigliere
Lanfranco BALUCANI Consigliere



 

M A S S I M E

1)  Le disposizioni a tutela dei beni ambientali e culturali contenute nel decreto legislativo 29 settembre 1999, n. 490 si applicano anche al D.Lgs. 4 settembre 2002 n. 198. Il capoverso dell'articolo 4 del D.Lgs. 4 settembre 2002 n. 198 (disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell'articolo 1, comma 2, della L. 21 dicembre 2001, n. 443), stabilisce che restano ferme le disposizioni a tutela dei beni ambientali e culturali contenute nel decreto legislativo 29 settembre 1999, n. 490 (testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1 della L. 8 ottobre 1997, n. 352). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6665.

2)  Rilascio della concessione edilizia in sanatoria - opere ricadenti in zone sottoposte a vincolo -  l’obbligo di acquisire il nulla osta anche per le opere eseguite anteriormente all’apposizione del vincolo stesso. In sede di rilascio della concessione edilizia in sanatoria per opere ricadenti in zone sottoposte a vincolo, l’obbligo di acquisire il parere da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo previsto dall’art.32 L. 28 febbraio 1985 n. 47, sussiste in relazione all’esistenza del vincolo medesimo al momento in cui deve essere valutata la domanda di condono, a prescindere dall’epoca della sua introduzione e, quindi, anche per le opere eseguite anteriormente all’apposizione del vincolo stesso (cfr. Ad. Plen. 22 luglio 1999, n. 20: Cons. Stato, Sez. VI, n.4812 del 2002). Consiglio di Stato, Sezione VI del 5 dicembre 2002, Sentenza n. 6665.

 

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