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 Massime della sentenza

 (segnalazione e massima dott. De Marco)

 

Tribunale di Messina in composizione monocratica, Sez. II, del 8 ottobre 2002, Sentenza 2175

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Tribunale di Messina in composizione monocratica, Sez. II, del 8 ottobre 2002, Sentenza 2175
 

Giudice De Marco

 

SENTENZA

 

Per i reati p. e p.

P. F., S. V.:
a) reato di cui agli artt. 110, 40, 674 c.p. in quanto ciascuno nelle rispettive qualità e funzioni (il P. quale Sindaco pro tempore del Comune di Messina; la S. quale Assessore pro tempore alla Sanità ed Ambiente), non impedivano le emissioni offensive o moleste di inquinanti atmosferici (biossido di zolfo; biossido di azoto; monossido di carbonio; ozono, polveri totali sospese, con particolare riferimento alla frazione inalabile di diametro minore di 10 microgrammi denominata PM10) provocate dagli autoveicoli in circolazione nell’arteria stradale denominata viale Boccetta – attinta da eccezionale intensità di passaggi veicolari di transito dagli imbarcaderi verso gli imbocchi autostradali nazionali e viceversa , pur avendo i suddetti l’obbligo giuridico di impedire gli effetti offensivi o molesti delle emissioni inquinanti, quale derivante, in particolare da:
art. 2, 4, 6, 8 del d.m. 25/11/94;
art. 2 del d.m. 5/2/96;
art. 3 della l. 413 del 4/11/97;
in Messina dal giugno 1994 al maggio 1998


L. S. F., S. G.
b) reato di cui agli artt. 110, 40, 674 c.p. in quanto ciascuno nelle rispettive qualità e funzioni (il L. quale Sindaco del Comune di Messina; il S. quale Assessore alla Sanità ed Ambiente), non impedivano le emissioni offensive o moleste di inquinanti atmosferici (biossido di zolfo; biossido di azoto; monossido di carbonio; ozono, polveri totali sospese, con particolare riferimento alla frazione inalabile di diametro minore di 10 microgrammi denominata PM10) provocate dagli autoveicoli in circolazione nell’arteria stradale denominata viale Boccetta – attinta da eccezionale intensità di passaggi veicolari di transito dagli imbarcaderi verso gli imbocchi autostradali nazionali e viceversa , pur avendo i suddetti l’obbligo giuridico di impedire gli effetti offensivi o molesti delle emissioni inquinanti, quale derivante, in particolare da:
art. 2, 4, 6, 8 del d.m. 25/11/94;
art. 2 del d.m. 5/2/96;
art. 3 della l. 413 del 4/11/97;
artt. 3 e 4 del d.m. 23/10/98 in vigore fino alla emanazione del d.m. successivo;
artt. 1, 2 e 3 del d.m. n. 163 del 21/4/99
in Messina dal giugno 1998 ad aprile 2001


P. F., S. V.:
c) reato di cui agli artt. 110, 40, 659 c.p. in quanto ciascuno nelle rispettive qualità e funzioni (il P. quale Sindaco pro tempore del Comune di Messina; la S. quale Assessore pro tempore alla Sanità ed Ambiente), non impedivano che, a causa del rumore dovuto al passaggio degli autoveicoli a motore sull’arteria stradale di cui al capo a) – attinta da eccezionale intensità di passaggi veicolari di transito dagli imbarcaderi verso gli imbocchi autostradali nazionali e viceversa , e con l’abuso di strumenti di segnalazione acustica da parte degli stessi autoveicoli, si arrecasse disturbo alle occupazioni ed al riposo delle persone ivi residenti, pur avendo i suddetti l’obbligo giuridico di impedire gli effetti offensivi o molesti derivanti dal traffico suddetto, quale derivante, in particolare da:
art. 6 lett. e) ed f), 7, 9, 14 c. 2 lett. a) l. 447 del 26/10/95;
in Messina dal giugno 1994 al maggio 1998


L. S. F., S. G.
d) reato di cui agli artt. 110, 40, 659 c.p. in quanto ciascuno nelle rispettive qualità e funzioni (il L. quale Sindaco del Comune di Messina; il S. quale Assessore alla Sanità ed Ambiente), non impedivano che, a causa del rumore dovuto al passaggio degli autoveicoli a motore sull’arteria stradale di cui al capo a) – attinta da eccezionale intensità di passaggi veicolari di transito dagli imbarcaderi verso gli imbocchi autostradali nazionali e viceversa , e con l’abuso di strumenti di segnalazione acustica da parte degli stessi autoveicoli, si arrecasse disturbo alle occupazioni ed al riposo delle persone ivi residenti, pur avendo i suddetti l’obbligo giuridico di impedire gli effetti offensivi o molesti derivanti dal traffico suddetto, quale derivante, in particolare da:
art. 6 lett. e) ed f), 7, 9, 14 c. 2 lett. a) l. 447 del 26/10/95;
in Messina dal giugno 1998 ad aprile 2001



FATTO E DIRITTO

 

Con decreto di citazione in data 19/11/0, la Procura della Repubblica di Messina, rinviava a giudizio P.F., S.V., L.S.F., S.G. dinanzi a questo Tribunale in composizione monocratica, per rispondere dei reati di cui in rubrica. Con la costituzione di parte civile di M. C. e A. L., e con l’intervento dell’associazione WWF, a seguito dell’istruttoria dibattimentale, all’odierna udienza, sulle conclusioni delle parti sopra trascritte, veniva pronunciata sentenza, pubblicata mediante lettura del dispositivo.


Con esposto in data 19/6/2000 V. R. e M. L., nella qualità di componenti del comitato promotore La Nostra Città, segnalavano come la città di Messina, in conseguenza del collegamento navale tra la Sicilia e la Calabria, fosse attraversata giornalmente da una media di oltre 7.000 automobili e da oltre 3.500 automezzi commerciali, con conseguente superamento degli standards consentiti dalla legge in materia di inquinamento atmosferico e acustico.


A seguito di tale esposto veniva avviata indagine dalla Procura che approdava al presente procedimento.


In proposito il mar. A. C. asseriva come si fosse provveduto – con grande difficoltà in quanto il materiale non si trovava – al reperimento ed alla acquisizione della documentazione relativa alle campagne di misurazione degli inquinanti condotte ad opera della Provincia Reg.le di Messina nell’ambito dell’arteria stradale denominata viale Boccetta.


Lo stesso sottufficiale precisava di avere effettuato, nell’estate 2001, dei sopralluoghi su detta strada, constatandovi presenza costante di auto parcheggiate in doppia fila, nonché assenza di adeguato personale della polizia municipale, cose che contribuivano a determinare rallentamenti nella circolazione
1.


Sul punto deve osservarsi come dalla documentazione fotografica acquisita in atti – che risulta realizzata dalla polizia giudiziaria in vari orari della mattina e del pomeriggio, tra il 23 ed il 25 maggio 2001 e tra il 7/6/2001 ed il 28/6/2001 – si evince, effettivamente, la presenza di auto o veicoli commerciali parcheggiati in maniera irregolare, in doppia fila o in divieto di sosta. Dalla stessa documentazione, tuttavia, si rileva un traffico complessivamente modesto, o, comunque, regolare, con un numero di veicoli in transito tutt’altro che eccezionale.


N. R., dal 1998 presidente del Consiglio dell’ottava circoscrizione, all’interno della quale ricade il viale Boccetta, spiegava di essersi occupato delle condizioni di tale arteria, che era fonte di problemi per i residenti, ed in relazione alla quale sosteneva di avere inoltrato all’amministrazione diverse richieste, volte ad una migliore regolamentazione del traffico e motivate, dapprima, da questioni di sicurezza e, in un secondo momento, anche da problemi di inquinamento. Tra l’altro, intorno all’anno 1999, era stato proposto l’inserimento di fasce orarie per l’attraversamento di tale via. Parimenti era stata proposta l’installazione di sistemi semaforici intelligenti volti a fluidificare il traffico, proposta sulla quale si era aperto un dibattito all’interno del consiglio comunale essendo ritenuto, da taluni, che creare una maggiore fluidificazione del traffico ponesse dei rischi per la sicurezza.


M. C., che dall’aprile del 1999 abitava in via dei Pericolanti, traversa del viale Boccetta, sul quale prospicieva quasi interamente l’appartamento, sosteneva di avere avuto ininterrottamente fastidi per l’inquinamento acustico ed atmosferico. A causa dei rumori, infatti, gli era impossibile anche dormire; a causa delle emissioni, inoltre, non poteva tenere nemmeno le finestre aperte, dal momento che polveri nere si depositavano dovunque, nell’appartamento, in un breve arco di tempo. Per tali ragioni aveva dovuto collocare doppi vetri e un impianto di condizionamento dell’aria con una spesa complessiva di circa cinquemilioni.


Analoghi disturbi riferiva B. G., abitante, dal settembre 1996, nella via Gonfalone, adiacente al viale Boccetta con appartamento prospiciente la via Longo, il quale aveva dovuto adottare soluzioni analoghe a quelle del M..


In realtà, come specificato da I. S. – funzionario dell’amministrazione provinciale e addetto sin dal 1987 al monitoraggio della qualità dell’aria nella città di Messina – in conseguenza dei ritardi della Regione, che mai aveva provveduto ad istituire i presidi multizonali di prevenzione, la materia dell’inquinamento atmosferico da traffico veicolare era rimasta affidata alla buona volontà delle amministrazioni: così in alcune zone il compito di effettuare i rilevamenti se lo era accollato il comune, direttamente (come Catania), o tramite aziende comunali (come Palermo); in altre zone (come Messina e Siracusa) tale compito lo avevano assunto le Province.


A tal fine nel territorio cittadino erano state collocate diverse postazioni, una delle quali sul viale Boccetta nei pressi del liceo Archimede. Tramite tali postazioni si era, quindi, proceduto a delle campagne di rilevamento, i cui dati, oltre ad essere posti a disposizione di associazioni e strutture scientifiche, venivano comunicati agli organi competenti del comune di Messina o, finché era stato istituito, al cosiddetto organo tecnico. Tali comunicazioni, tuttavia, erano effettuate, solitamente, a cadenza annuale con la relazione, o, durante l’anno, in maniera saltuaria, secondo le necessità. A tutt’oggi, benché fosse stato previsto un collegamento stabile con il comune, tale da consentire la trasmissione dei dati in maniera continuativa ed in tempo reale, tale previsione non era stata ancora attuata, soprattutto a causa dei ritardi dell’impresa appaltatrice che, contestualmente, avrebbe dovuto anche mettere in opera delle insegne luminose.


La conseguenza, ovviamente, era rappresentata dal fatto che il comune non era in condizione di conoscere tempestivamente l’eventuale superamento delle soglie di attenzione o di allarme per l’adozione delle conseguenti misure. Né tale comunicazione poteva essere garantita altrimenti, dal momento che le strutture della Provincia, sia per personale che per mezzi, erano inadeguate.


Riteneva, tuttavia, che ciò non avesse determinato, né determinasse alcun danno. Infatti si era constatato come, probabilmente per le peculiarità ambientali, nella città di Messina quand’anche si fossero verificate situazioni di attenzione o di allarme, queste regredivano spontaneamente in un breve arco di tempo, senza la necessità di intervenire con misure di emergenza.


In proposito ricordava come più volte, sin dal 1995, per alcuni inquinanti, quali il monossido di carbonio (CO) o le polveri totali, fosse stato superato il livello di attenzione. I valori, tuttavia, per quanto a sua memoria, erano sempre rientrati immediatamente e mai avevano superato la soglia di allarme.


Tra tali inquinanti, comunque, quello che generava il problema principale per Messina era rappresentato dalle polveri, e, in tale ambito, dalle polveri sottili (PM10), la cui presenza era imputabile essenzialmente alle emissioni dei motori Diesel, e, quindi, al transito dei TIR. Circostanza confermata dal fatto che, quando, in occasione della protesta degli autotrasportatori, per una settimana vi era stato il “blocco”, il valore delle PM10 era notevolmente diminuito.


Con riferimento a tali inquinanti precisava che fino al 1998 le misurazioni erano state effettuate con tecnica manuale, cioè mediante campionamenti successivamente esaminati in laboratorio. Solo a partire da 1998-1999 il monitoraggio aveva avuto luogo mediante analizzatori continui automatici. Tecnica che, però, a differenza di quella manuale, benché certificata e conforme a legge, secondo recenti studi, restituirebbe risultati sottostimati del 20% rispetto a quelli reali.


Segnalava, in ogni caso, come sul viale Boccetta la situazione fosse notevolmente migliorata con l’installazione del cordolo lungo e con la separazione del traffico, oltre che, ovviamente, con l’ammodernamento del parco circolante.


L’organismo comunale cui la legge aveva demandato compiti di coordinamento in materia di inquinamento ambientale, di monitoraggio della situazione e di elaborazione delle indicazioni per migliorare il quadro atmosferico, era il cosiddetto organo tecnico, previsto dal d.m. 12/11/1992 e dal decreto del 12/12/1992 n. 1995 dell’Assessore Regionale al Territorio ed Ambiente. Questo, come risulta dalla documentazione in atti, veniva istituito a Messina con ordinanza sindacale del 4/2/93, a seguito dell’inserimento della città tra quelle a rischio di inquinamento, cessando di esistere verso il 1996, essendone venuta meno la previsione legislativa. Di esso erano componenti il sindaco, sostituito, per quel che riguarda il presente procedimento dall’allora assessore all’ambiente e vicesindaco S. V., nonché vari funzionari e consulenti (quali il dott. P.).


Risultano agli atti, in copia, i verbali di 20 riunioni dell’organo o di sottocommissioni dello stesso, tra il 2/4/93 ed il 5/1/1996, nel corso delle quali venne affrontato – o comunque se ne discusse – il fenomeno dell’inquinamento, con qualche proposta e poche soluzioni.


Sarebbe emerso, in particolare, il convincimento che l’inquinamento traesse origine essenzialmente dal traffico veicolare, manifestandosi la necessità di agire non sulle fasi acute, ma sulla prevenzione (riunione del 14/4/93). Nell’ambito delle possibili soluzioni da perseguire veniva criticata la proposta di circolazione a targhe alterne, in quanto ritenuta non idonea a risolvere il problema (riunione del 1/10/93), anche in considerazione del fatto che, quando tale soluzione era stata adottata, nella settimana tra il 19 ed il 24 dicembre 1994, il CO aveva superato una volta la soglia di allarme e 27 volte quella di attenzione (riunione del 30/12/94). Parimenti veniva esclusa la possibilità di fare ricorso a semafori intelligenti, asseritamente utilizzabili solo in città con assetto viario regolare (riunione del 28/10/94). Si suggeriva, invece, di volta in volta, il controllo dei gas di scarico delle autovetture e la limitazione della circolazione ai soli veicoli muniti di bollino attestante il rispetto dei livelli di emissione (riunione del 19/9/94); lo spostamento 100 m. più avanti del semaforo dell’Archimede e la disciplina della sosta carico e scarico al fine di velocizzare il traffico; la regolamentazione del passaggio dei camion sul Boccetta per fasce orarie (riunione del 28/10/94); l’istituzione di parcheggi a pagamento ed il potenziamento dei mezzi pubblici (riunione del 4/11/94) al fine di disincentivare l’uso del mezzo privato.


Contestualmente l’organo tecnico lamentava alcuni disservizi e ritardi dell’amministrazione. Si denunciava, in particolare, la mancata fornitura dei punti luce e quant’altro richiesto per potere completare la mappatura di zona (riunione del 19/9/94); e si evidenziava ancora una volta la cronica latitante assenza dei rappresentanti dell’Assessorato alla Viabilità, contestando la mancata proposizione, da parte dei tecnici di tale assessorato, delle misure preventive che per obbligo avrebbero dovuto suggerire (riunione del 28/10/94).


Di tale organo aveva fatto parte, in qualità di segretario, F. Fernando, dipendente della divisione ecologia del Comune, il quale ricordava, in proposito, come più volte, i tecnici avessero lamentato la mancata adozione da parte dell’amministrazione di misure, ancorché di semplice attuazione. Sicché, più in generale, aveva percepito la convinzione in capo agli amministratori che nella zona non ci fosse un serio problema di inquinamento.


Aggiungeva come, in più di una occasione, soprattutto nel 1994, erano stati rilevati superamenti della soglia di attenzione da parte del CO, superamenti che, tuttavia, potevano regredire spontaneamente di talché non si era ritenuto di dover dare corso a misure di emergenza.


Ed in effetti risulta dai verbali in atti come, nel corso della riunione del 2/3/1994, esaminando i dati relativi all’anno precedente, si segnalava come gli unici inquinanti da attenzionare erano rappresentati dal CO (che in 56 giorni per ben 117 volte aveva superato la soglia di attenzione, avvicinandosi a quella di allarme) e dalle polveri sospese totali. Situazione che migliorava nel periodo 28/2-30/10/1994 quando, pur registrandosi un superamento della soglia di allarme per il CO (con valore di 32,3 mg/mc, si riducevano a 49 i superamenti della soglia di attenzione per il CO ed a 7 per le polveri, malgrado si registrassero 202 superamenti della soglia di attenzione, di cui due della soglia di allarme, per NO2.


Secondo il prof. A. C., anch’egli componente dell’organo tecnico, nonché della commissione provinciale per l’ambiente, in realtà le lamentele dell’organismo riguardavano essenzialmente i tempi di risposta dell’amministrazione, più lenti di quelli di una struttura privata.


Nel complesso, tuttavia, il teste, così come anche il prof. P., riteneva che l’amministrazione avesse adottato parte delle proposte volte alla fluidificazione del traffico, tant’è che i parametri di inquinamento erano drasticamente diminuiti. Così, per esempio, era stata chiesta una maggiore presenza di vigili sulle strade, era stato collocato uno spartitraffico sul viale Boccetta al fine di rendere più regolare il passaggio dei veicoli. Con riferimento alla presenza della scuola Archimede, i cui studenti, attraversando disordinatamente, creavano intralcio alla circolazione, era stato proposto lo spostamento del semaforo e la realizzazione di una passerella. Richieste che l’amministrazione non aveva accolto, ovviando, però, al problema con la collocazione di ringhiere atte ad impedire l’attraversamento al di fuori degli spazi a ciò deputati.


Altre proposte, tuttavia, non erano state accolte, o lo erano state tardivamente.


Tra queste la introduzione di semafori sincronizzati, per i quali era stato fatto qualche tentativo in epoca antecedente, senza, però, ottenere risultato alcuno per le peculiarità della conformazione cittadina, con una sola strada di entrata e di uscita, con conseguente estrema difficoltà di coordinamento di tutte le afferenze.


Altre proposte, quali la regolamentazione della sosta per carico e scarico dei mezzi, per quanto a sua conoscenza non erano state attuate2, mentre altre ancora, quali la istituzione della via del mare, richiedevano per l’attuazione tempi più lunghi.


Tuttavia, in generale, circa l’inquinamento sul Boccetta il C. sosteneva che questo, in realtà, non fosse esistente. Sul punto spiegava, per un verso, che l’orografia e la conformazione dei luoghi (strada ampia e con abitazioni relativamente basse, forte pendenza, ecc.) implicava una notevole circolazione d’aria, con conseguente rilevante dispersione degli inquinanti. Per altro verso osservava come la centralina di rilevamento in realtà non fosse collocata sul viale Boccetta, ma, ad una decina di metri da tale strada, sul viale R. Margherita. Collocazione che non rendeva immediatamente riferibili i dati dei rilevamenti alla prima strada. Infatti, benché la distanza fosse breve, la diversa conformazione della seconda arteria (stretta e senza pendenza) implicava una maggiore concentrazione degli inquinanti. Ed infatti studi comparativi realizzati tra il 1992 ed il 1993 avevano restituito, tra i due luoghi, valori assolutamente diversi: in particolare i valori registrati nella postazione fissa presso l’istituto Archimede erano risultati sensibilmente superiori a quelli rilevati, nell’identico periodo, con un mezzo mobile, sul Boccetta.


Di identico avviso il consulente della difesa prof. P., il quale confermava l’esistenza di uno studio, tra il novembre ed il dicembre 1993, relativamente alla postazione ubicata presso il liceo Archimede, in esito al quale aveva constatato come i dati di detta centralina non potessero considerarsi riferibili al viale Boccetta. Ed infatti confrontando i dati di detta stazione con quelli di una postazione mobile installata a circa 20 mt., ma proprio sul viale Boccetta, si notavano significativi scostamenti, nel senso che i valori sul viale Boccetta erano inferiori. Circostanza che riguardava anche il particolato totale (PTS), ma non le PM10, che all’epoca non erano oggetto di rilevamento. Tuttavia, poiché queste ultime, statisticamente, dovrebbero rappresentare circa il 30% del particolato, riteneva che la valutazione si potesse estendere anche a tale inquinante.


Risultato che, come sostenuto dal C., riteneva di potere spiegare in ragione della maggiore circolazione d’aria, della maggiore pendenza e della maggiore larghezza di tale arteria, condizioni che consentivano una minore stagnazione dell’aria ed una minore concentrazione degli inquinanti.


La tesi, tuttavia, veniva contestata dal consulente del pubblico ministero ing. S., nonché dal consulente di parte civile ing. L. S., sul presupposto dei diversi volumi di traffico, dal momento che, come rilevava l’ing. S., sul Boccetta passano tremiladuecento TIR al giorno. Conveniva, tuttavia, quest’ultima, in ordine al fatto che, a parità di emissioni, la concentrazione degli inquinanti è tanto maggiore quanto più stretta la strada e quanto meno ventosa la zona, e che il viale Boccetta è assai più ampio e più ventilato del viale R. Margherita sul quale, direttamente, insiste la postazione di rilevamento.


In ogni caso, secondo il dott. F. B., specializzato in malattie dell’apparato respiratorio e fisiopatologia dell’apparato respiratorio, l’inquinamento atmosferico da traffico veicolare, in particolare determinato da particelle sottili, genera conseguenze negative sul corpo umano. In proposito chiariva che per PM10 si intendono tutte quelle sostanze aventi una dimensione inferiore a 10 micron. Di queste, quasi l’80% sono costituite da particelle aventi dimensione inferiore a 2,5 micron.


Le microparticelle, per le minime dimensioni, superano il filtro naturale di cui è dotato il corpo umano, raggiungendo i polmoni, i bronchi ed in generale le parti più periferiche. In tal modo possono cagionare lesioni ai macrofagi alveolari, provocando asma, bronchite, e, al limite, anche tumori. Danni che sono tanto maggiori quando il soggetto è già affetto da patologie respiratorie. Ovviamente il danno in questione è un danno statistico, nel senso che a determinati livelli vi sono persone che, per le loro difese, sono in grado di rispondere meglio, non subendo alcun danno, mentre altri, meno dotati naturalmente, sarebbero più esposti. Sicché i limiti di accettabilità rappresentano dei livelli ai quali il rischio viene considerato tollerabile.


Le conseguenze negative, tuttavia, sarebbero possibili anche nell’ipotesi di rispetto dei limiti di legge. I limiti, infatti, rappresentano solo un punto di equilibrio tra interessi contrapposti: quello alla salute umana e quello alla libertà di circolazione.


Chiariva, infine, di abitare sul viale Boccetta e di non accusare in atto alcuna patologia apparentemente correlabile a fatti di inquinamento.


Un’analisi complessiva della vicenda veniva svolta dai consulenti di parte.


L’ing. V. S., in particolare, consulente del pubblico ministero, chimico dirigente del servizio valutazione impatto ambientale della regione Sicilia sin dal 1990 e presidente del comitato di risanamento ambientale di Gela, riferiva di avere esaminato la documentazione, in parte fornitagli dalla polizia giudiziaria, in parte acquisita personalmente presso la Provincia Regionale di Messina.


Chiariva, quindi, che, in base alla legislazione vigente e, da ultimo, in base al d.p.r. 203/88, competeva al ministro dell’ambiente la fissazione dei limiti di qualità dell’aria relativi ai vari inquinanti ambientali. Ciò era stato fatto con il d.p.c.m. 28/3/83 – tuttora vigente, in quanto non erano state ancora emanate le norme di attuazione del recente d.lv. 351/99 – nonché con i d.m. 15/4/94 e 25/11/94, il primo dei quali definiva i valori di alcuni inquinanti sotto forma di limiti di attenzione e di allarme; il secondo, riferendosi ad altri inquinanti (IPA, benzene e polveri sottili PM10), fissava obiettivi di qualità dell’aria, sotto forma di medie annuali.


Tra questi inquinanti le polveri sottili costituiscono una componente delle polveri totali che, per le dimensioni, risultano particolarmente pericolose per l’uomo, depositandosi nei bronchi. Le stesse, in base ad alcuni studi dell’A.R.P.A Piemonte, rappresenterebbero circa il 30% delle polveri totali e deriverebbero principalmente dalle emissioni dei motori diesel, specie se sotto sforzo.


Quindi, con riferimento ai livelli di attenzione e di allarme introdotti con il d.m. 15/4/94, precisava che solo i secondi potevano essere considerati come valori individuanti un fenomeno di inquinamento atmosferico, mentre i livelli di attenzione costituivano delle soglie al superamento delle quali poteva sorgere per i comuni un obbligo di intervento al fine di evitare l’ulteriore evoluzione verso fenomeni acuti di inquinamento
3.


Quanto agli obiettivi di qualità dell’aria riteneva che questi fossero valori non espressamente indicativi di un fenomeno di inquinamento, ma di obiettivi da raggiungere ai fini di un miglioramento qualitativo dell’atmosfera. Gli stessi, quindi, non sarebbero dei veri e propri limiti ma … dei limiti cui tendere in prospettiva per cui se uno lo supera o è sul punto di, deve porre in essere delle azioni tali da evitare che questi obiettivi di qualità vengano superati. In particolare, come sosteneva nella relazione, essi avrebbero un valore programmatorio e rappresentano pertanto un indicatore di risultato per il Sindaco, autorità competente all’adozione di strategie di contenimento dell’inquinamento urbano, che pertanto sulla base dei dati forniti dalla Provincia avrebbe dovuto attuare tutti gli interventi necessari al raggiungimento degli obiettivi di qualità.


Complessivamente, pertanto, riteneva che, in presenza del superamento del livello di attenzione da parte di un inquinante, l’autorità comunale dovesse allertarsi, valutando l’opportunità di adottare provvedimenti finalizzati alla prevenzione. Un vero obbligo di intervento, invece, poteva ritenersi sussistente esclusivamente nel caso di superamento dei limiti di allarme. Tale obbligo, tuttavia, poteva considerarsi vigente solo a partire dalla emanazione delle norme di attuazione della l. 413/97, cioè con il d.m. 21/4/99, che disciplinavano le modalità ed i casi di intervento, sebbene in precedenza il sindaco avesse comunque la possibilità di adottare determinati provvedimenti.


Analogamente, in presenza del superamento dell’obiettivo di qualità dell’aria, rilevato annualmente o, prima del decorso dell’anno, in un periodo significativo, il comune avrebbe dovuto attivarsi con l’adozione di provvedimenti volti ad abbassare il valore dell’inquinante.


Spiegava, quindi, che in Sicilia il compito di effettuare il monitoraggio atmosferico, sin dal 1988, fosse stato affidato alle Province Regionali, mentre, per il resto, sulla materia la Regione era rimasta totalmente inadempiente
4.


Nel caso della città di Messina in effetti, dalla documentazione esaminata, aveva constatato come la Provincia avesse provveduto ai rilevamenti, comunicando i relativi dati al Comune. Tali comunicazioni, tuttavia, diversamente da quanto accadeva in altre città, erano avvenuti non in tempo reale, ma, di solito, solo annualmente. Circostanza che poteva dare luogo a problemi per le situazioni acute di superamento dei limiti di attenzione e di allarme.


Dall’esame dei dati aveva constatato, per l’area in questione, il superamento degli obiettivi di qualità dell’area per le PM10 negli anni 1996, 1997, 1999. Nell’anno 1995 non risultava una misurazione su base annua per tale inquinante, e, comunque, il limite per lo stesso non era ancora vigente. Nel periodo 1994-2001, inoltre, aveva constatato, relativamente agli altri inquinanti, in diverse circostanze, il superamento dei limiti di attenzione (…96 nel ’98, 134 nel ’97 e 227 nel ’96…relativamente a SO2…polveri sospese totali… biossido di azoto… monossido di carbonio … ozono), ma mai dei limiti di allarme.


Tali rilevamenti, secondo quanto constatato dalla documentazione, erano stati effettuati per il tramite di una postazione, originariamente installata presso la Soprintendenza, poi, definitivamente, collocata presso la scuola Archimede, area, effettivamente, non immediatamente prospiciente il viale Boccetta. Tale circostanza, tuttavia, non riteneva idonea ad alterare il risultato delle rilevazioni, se non al ribasso.


Parimenti aveva rinvenuto i dati relativi ad una campagna di misurazione condotta dall’Università, per un breve periodo, tra l’ottobre 1996 ed il febbraio 1997, nel corso della quale erano stati rilevati diversi superamenti della soglia di attenzione per alcuni inquinanti, tra cui le polveri totali. Non era in grado di dire se tali dati fossero stati comunicati all’amministrazione comunale, anche se aveva rinvenuto una lettera di trasmissione da parte dell’Università, la quale, però, come si evince dalla documentazione in atti, non riporta alcun timbro di ingresso del Comune.


A fronte di tali dati riteneva che l’amministrazione comunale avesse fatto poco o nulla. In particolare riteneva che la fonte principale di inquinamento nell’area del Boccetta derivasse essenzialmente dal passaggio di veicoli pesanti, e che una limitazione dell’inquinamento potesse ottenersi con una fluidificazione del traffico o con qualunque soluzione atta a ridurre il transito di tale natura su detta arteria, anche deviandolo su altre zone. Circostanza che sarebbe stata idonea – fermo restando il valore globale delle emissioni – a diluire la concentrazione degli inquinanti.


In particolare, dall’esame della documentazione, aveva constatato che il cosiddetto bollino blu, pur deliberato nel 1997, fosse stato di fatto attuato solo nel 2000, e ciò anche in relazione a problemi della Motorizzazione Civile che rivendicava l’esclusiva circa il rilascio dell’attestato per i TIR
5; parimenti aveva constatato che in data 3/7/2000 il sindaco aveva sollecitato gli uffici competenti a dare attuazione all’ordinanza del 28/7/97 relativa al controllo strumentale delle caratteristiche dei gas di scarico con verifiche che erano state effettuate all’ingresso della città, cioè agli svincoli di Divieto e Tremestieri.


Non gli risultava, invece, l’adozione di provvedimenti di circolazione a targhe alterne, di regolamentazione delle fermate, o di sincronizzazione della rete semaforica, mentre l’introduzione di fasce orarie per il transito sul viale Boccetta era stata operata solo successivamente al deposito della relazione.


Ammetteva, tuttavia, di non avere avuto conoscenza di attività inerente: l’adozione di provvedimenti atti a fluidificare la circolazione; ad istituire uno spartitraffico; a deviare parte del traffico pesante sul viale Gazzi. Tutti provvedimenti astrattamente utili alla riduzione dell’inquinamento sul viale Boccetta. Ammetteva, anche, che provvedimenti quali: la realizzazione di una diversa via di uscita dalla città; lo spostamento degli attracchi; l’utilizzo di mezzi di trasporto non inquinanti; pur deliberati, qualora attuati concretamente, sarebbero stati utili allo scopo
6.


Asseriva, comunque, che la risoluzione della questione non fosse semplice, tanto più che il blocco della circolazione, già in astratto di difficile attuazione, si presentava ancora più complesso per una città come Messina, via di transito da e per il continente. In proposito, però, non aveva rilevato l’esistenza di studi specifici che avrebbero potuto aiutare nella definizione della questione7.


Ammetteva, infine, che i valori degli inquinanti, in particolare delle PM10, avevano avuto un andamento costantemente decrescente, fino a ridursi, nel 2000, al di sotto della soglia più restrittiva di 40 vigente dal 1999. Situazione che poteva ritenersi conseguenza tanto della rinnovazione del parco circolante, quanto dell’adozione di provvedimenti utili in materia di viabilità.


Sulla falsariga del consulente del pubblico ministero si muoveva l’ing. L. S., consulente di parte civile, la quale sosteneva di avere constatato nell’area del viale Boccetta, in base alle varie campagne di rilevamenti (di cui, peraltro, denunciava alcune irregolarità avuto riguardo alla continuità delle stesse), diversi superamenti delle soglie di attenzione e di allarme per il monossido di carbonio (CO), il biossido di azoto (NO2) e, per il 1993, delle particelle solide totali; nonché il superamento dell’obiettivo di qualità per le PM10.

 

Complessivamente, come si evince dalla relazione, rappresentava il seguente quadro:

 

CO 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001
superamenti livello attenzione n. 202 129 79 4 24 2 9 1
superamenti livello di allarme  n. 3 0 0 0 3 0 0 0

 

biossido di azoto 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001
superamenti livello di attenzione 307 110 88 86 18 567 0 0
superamenti livello di allarme 2 7 0 0 0 0 0 0


Aggiungeva, inoltre, il consulente, che, a suo parere, nei periodi in esame si sarebbe anche registrato il superamento dei limiti massimi di accettabilità stabiliti dal D.P.C.M. 28/3/83 per biossido di azoto e CO, ritenendo che tali limiti fossero coincidenti con quelli di allarme e di attenzione. Dall’esame della relazione, tuttavia, l’unico riferimento a detto parametro risulta effettuato per l’anno 1999, quando, secondo il tecnico, il 98° percentile delle medie orarie di NO2 risultava pari a 115 (apparentemente, dunque, inferiore al limite fissato dal D.P.C.M. 28/3/83, che dovrebbe essere di 200 ).


Evidenziava, infine, i risultati di una campagna condotta dall’Università di Messina tra l’ottobre del 1996 ed il febbraio del 1997, mediante postazioni collocate sul viale Boccetta all’altezza della villa Mazzini, che avevano evidenziato, tra l’altro: 2 superamenti del limite di allarme e 17 del limite di attenzione per le PTS.


Di parere diverso, invece, il prof. A. P., consulente della difesa P.-S., ordinario di chimica industriale presso l’università di Messina, componente per quindici anni della commissione provinciale dell’ambiente, oltre che di vari organismi in materia.


Questi, infatti, oltre a porre in discussione l’attendibilità della campagna di rilevazione condotta dalla Provincia con riferimento alle PM10, atteso che non era precisato se fosse stato impiegato il prescritto sistema ad orologeria; sottolineava come il livello degli inquinanti fosse stato, sostanzialmente, in costante diminuzione nel corso degli anni. Inoltre precisava come, durante l’amministrazione P., pur essendo stati rilevati presso la postazione Archimede dei superamenti del livello di attenzione e, più raramente, di allarme, mai era stato raggiunto uno stato di attenzione o di allarme. Stato che, come anche precisato dal prof. C., presuppone, alla fine di un periodo di 24 ore, il superamento del livello di attenzione o di allarme in più del 50% delle postazioni di tipo A e C, cioè, nel caso di Messina, in almeno due stazioni di rilevamento. Cosa che, per quanto a sua conoscenza, non si sarebbe mai verificata.


Con riferimento, infine, ai limiti di cui al DPCM 28/3/83 riferiva che questi fossero basati sul concetto della distribuzione statistica sul lungo periodo delle concentrazioni giornaliere, venendo, quindi, calcolati su un periodo più ampio (1 anno), rispetto ai livelli di attenzione e di allarme di cui ai successivi decreti; e che in tutte le campagne di rilevamento, elaborati i dati secondo i criteri del citato decreto, non risulterebbe alcun superamento dei limiti massimi di accettabilità.


Quanto alle emissioni acustiche il prof. L. S., direttore del dipartimento di igiene dell’Università Pubblica, riferiva di avere depositato nel 1991, uno studio relativo all’inquinamento da rumore nel centro urbano di Messina, commissionato dal sindaco del tempo Bo.. L’indagine, che egli aveva coordinato, era legata all’ambiente di tutta la città con istituzione di una ventina di postazione relative alle emissioni nel periodo 1989-1990. Si era in particolare constatato che in nessuna postazione (una di queste era ubicata anche sul viale Boccetta) venivano rispettati i limiti di legge, limiti che venivano vieppiù superati di notte.


Ignorava, tuttavia, se, in esito alla relazione, fossero stati adottati provvedimenti da parte del Comune, né se i livelli di rumore si fossero modificati. In ogni caso non erano stati effettuati, successivamente, altri studi, né per conto del Comune, né di altri enti.


In merito l’ing. S. precisava di avere constatato come il piano urbano del traffico del 18/6/1997 richiamasse dei rilievi fonometrici eseguiti dall’ASL, i quali evidenziavano superamenti dei limiti di legge. Rilievi dei quali, tuttavia, egli non aveva preso visione. Aveva, invece, esaminato uno studio eseguito tra il 1999 ed il 2000 dai vigili urbani, il quale aveva rilevato nella zona in esame emissioni rumorose, connesse al traffico dei veicoli, che si attestavano intorno a 71,5 – 72,5 dB. Non era in grado di riferire, tuttavia, se tali misurazioni fossero state effettuate secondo i criteri stabiliti dalla normativa in materia, avuto riguardo alla durata della misurazione, alla collocazione dello strumento, alla distanza dalla fonte di emissione, ecc.


Riteneva che, anche in assenza di una zonizzazione acustica, il viale Boccetta dovrebbe considerarsi come zona residenziale, in cui i limiti di emissione, a norma del d.m. 14/11/97, dovrebbero essere 55 DBA dalle 6 alle 22, e 45 DBA dalle 22 alle 6. Limiti che potrebbero elevarsi di ulteriori 10 dB nelle aree classificate come a intensa attività umana, classificazione che, constatava, era stata di fatto attribuita alla zona in questione dal Consiglio Comunale con l’approvazione del piano di zonizzazione acustica.


A fronte di tale situazione aveva constatato l’emanazione da parte dell’autorità comunale solo di ordinanze sindacali volte a limitare l’uso dei dispositivi acustici, provvedimenti che riteneva insufficienti in considerazione del fatto che, a suo parere, la principale fonte di rumore derivava dalle emissioni acustiche dei motori.


Dall’esame della documentazione in atti si evince come nella relazione di sintesi al Piano Generale Urbano del Traffico redatta nel giugno 1997, si faccia riferimento ai rilievi di inquinamento acustico eseguiti dalla ASL 41-42, dai quali si deduce una generale situazione di degrado per l’intera area della città – senza distinzione – solo in parte collegata ai flussi di traffico. La relazione, tuttavia, non riporta i dati specifici relativi all’area di Boccetta, né tali dati sono stati altrimenti prodotti.


Risulta, parimenti, una relazione redatta dal settore fonometrico della Polizia Municipale al fine di avere una valutazione dell’ impatto acustico ambientale e della sicurezza della circolazione stradale, dovuto allo spostamento dell’itinerario dei mezzi pesanti diretti alla “rada S. F.”, ottenuta mediante una campagna di rilevamenti acustici per determinare il Leq (Livello equivalente) di un certo numero di postazioni, tra le quali due sul viale Boccetta.


La rilevazione condotta in orario notturno, sia pure per un limitato arco di tempo di soli 10 min., faceva emergere un valore di Leq ponderato di 71,5 dB in una postazione e di 72,5 dB nell’altra, con picchi di 108,8 dB.


Concordava con le valutazioni del consulente del pubblico ministero l’ing. S., la quale, oltre a confermare i superiori dati documentali, precisava che le rilevazioni eseguite dalla USL nel 1997 avevano restituito addirittura valori di 85 dB di giorno e 74 dB di notte, mentre l’unica misurazione attendibile, in quanto eseguita conformemente al d.m. 16/3/98 per un periodo non inferiore ad una settimana, aveva consentito di rilevare, dal 22 al 29 ottobre 2001 emissioni di 74,8 dB di giorno e 72,1 dB di notte; e, dal 14 al 21 marzo 2002, 75,1 dB di giorno e 67,7 dB di notte. Valori incompatibili con la collocazione del viale Boccetta in zona IV ad opera del piano di zonizzazione acustica.


Respingevano, complessivamente, le accuse gli imputati. In proposito occorre evidenziare come, dalla documentazione in atti, sia possibile ricostruire la composizione delle amministrazioni comunali dal 1994 al 2000.


In particolare dal giugno 1994 al maggio 1998 la carica di sindaco risulta rivestita da P. F., succedendogli, nel giugno 1998, L. S..


Con determinazione del 4/7/94 il sindaco P. assegnava a S. V. la delega per i servizi sociali e la sanità. Quindi, con provvedimento del 14/9/94, le competenze attribuite al sindaco in materia di vigilanza e difesa dall’inquinamento atmosferico, acustico, nonché la conservazione dei beni ambientali venivano confermati in capo a tale assessorato.


Nella successiva amministrazione, con determinazione del 15/6/98, il sindaco L. conferiva a B. F. la delega per la solidarietà sociale, la sanità ed i cimiteri, rientrando in essa, tra l’altro, la competenza in materia di risanamento ambientale (derattizzazione, demuscazione, ecc.). Delega che veniva estesa in data 2/8/99 all’ambiente, con competenza alla attuazione delle strategie ecologiche mediante monitoraggio dei fattori di inquinamento ed emissione di ordinanze e provvedimenti ingiuntivi in materia igienico-ambientale per quanto di competenza del Comune, nonché alle diffide ed ordinanze in materia igienico-sanitaria.


Solo nell’aprile 2000, a quanto pare, S. G. entrava a far parte della giunta comunale con la delega relativa alla sanità ed all’ambiente.


Tanto posto, P. F., sottoponendosi ad esame, sosteneva che la propria amministrazione aveva adottato una serie di provvedimenti con riferimento all’inquinamento ed al traffico relativo al viale Boccetta. In tal senso elencava una serie di iniziative:


Nel settembre del 1994 era stato riorganizzato l’ufficio che si occupava dell’inquinamento e del traffico con individuazione di responsabilità specifiche;


era stato completato un concorso, già da tempo in itinere, con la nomina di duecento vigili urbani, necessari per esercitare un maggiore controllo sulla viabilità;


era stato introdotto il senso unico nel viale R. Margherita con contestuale applicazione della svolta a destra continua dal viale R. Margherita al Boccetta, mentre non era stato attuata la pur suggerita svolta a destra continua dal viale Boccetta verso il viale R. Margherita, che era stata ritenuta controproducente per il profilo del traffico;


erano stati regolamentati i flussi di traffico, dirottando, in particolare i mezzi pesanti diretti all’imbarco delle FF.SS. sul viale Gazzi;


era stata avviata la realizzazione di due nuovi svincoli autostradali, già oggetto di precedente programmazione;


era stata progettata ed avviata la costruzione di una rete tranviaria finalizzata alla diminuzione delle emissioni inquinanti derivanti dal traffico veicolare;


era stata adottata una delibera volta alla introduzione del cosiddetto bollino blu, attuata, tuttavia, successivamente al 1998 in quanto all’epoca le officine non avevano le strutture necessarie;


era stato chiesto ed ottenuto che la Tourist Ferry-Boat provvedesse ad asfaltare con materiale fonoassorbente il tratto di strada dall’imbarco fino allo svincolo di Boccetta;


era stato predisposto un piano triennale per la tutela dell’ambiente, finanziato con fondi statali;


era stata progettata la realizzazione di una scala mobile e previsto l’acquisto di tre autobus elettrici;


era stata avviata la zonizzazione acustica del territorio comunale con la predisposizione di un piano di risanamento acustico;


era stato realizzato il cordolamento della città al fine di velocizzare ed incentivare il servizio pubblico.


Altre soluzioni, invece, erano state scartate. Per esempio quella di consentire l’accesso orario nella città. Strategia che era stata sconsigliata dai tecnici, essendosi rilevato che essa avrebbe cagionato dei picchi di inquinamento al momento dell’accesso, in massa, dei mezzi pesanti. Analogamente non era stato ritenuto opportuno chiudere il viale Boccetta al transito nelle ore notturne, in quanto ciò avrebbe avuto come conseguenza quella di distribuire l’inquinamento ed i rischi della circolazione su aree ben più ampie della città.


Onde risolvere in via strutturale il problema del traffico sul viale Boccetta, inoltre, asseriva che era stato approntato ed approvato il progetto di spostamento dell’attracco dei traghetti dalla rada S. F. alla zona di S. Raineri, con contestuale realizzazione di una nuova via di collegamento all’autostrada. Progetto che, tuttavia, era stato osteggiato dal Consiglio Comunale e dall’opinione pubblica, cosa che ne aveva impedito l’attuazione.


Parimenti non aveva avuto adeguato seguito il progetto di realizzazione di una nuova strada, mediante l’organico collegamento di tre vie già esistenti, che avrebbe consentito una maggiore differenziazione dei flussi di traffico. In proposito, infatti, era stato sottoscritto un protocollo d’intesa tra il Comune di Messina, le Ferrovie dello Stato (che ai fini dell’opera dovevano concedere una porzione di terreno) ed il Ministro dei Lavori Pubblici. Quindi il progetto esecutivo era stato inviato al CRU della Regione per l’approvazione, dove tuttavia, l’iter si era bloccato.


In ordine alle situazioni di inquinamento riteneva che, in caso di superamento dei limiti di attenzione, l’organo tecnico – al quale era stato delegato il vice-sindaco prof. S. – avrebbe potuto dare suggerimenti all’amministrazione, senza, tuttavia, che fosse necessaria l’adozione di nessun provvedimento. Nel caso, invece, di superamento del limite di allarme, ove questo avesse interessato almeno il 50% delle centraline installate, solo in tale ipotesi avrebbero dovuto essere adottati provvedimenti urgenti. Tale situazione, tuttavia, asseriva essersi verificata in una sola occasione, ipotesi in cui, però, l’allarme era rientrato spontaneamente, nel giro di brevissimo tempo, prima che fosse possibile adottare alcuna iniziativa


S. V., vicesindaco ed assessore all’ambiente ed alla sanità nell’amministrazione P., escludeva di avere mai ricevuto, nella qualità, alcuna comunicazione di verificazione di uno stato di allarme o di attenzione. Quindi spiegava di avere conosciuto, al momento dell’insediamento, di un piano di recupero ambientale che era stato ritenuto inadeguato ed era stato, pertanto, rimodulato, recuperando i relativi finanziamenti. A tal fine era stata prevista la realizzazione di scale mobili e l’utilizzo di tre autobus elettrici, oltre alla realizzazione del piano di zonizzazione acustica, che a fine mandato era stato ultimato nella versione esecutiva.


Confermava, quindi, quanto dichiarato dal P. in ordine agli interventi effettuati.


Stante la contumacia e l’assenza degli imputati L. e S., venivano prodotti ed acquisiti i verbali dell’interrogatorio reso nel corso delle indagini preliminari.


L. S., attuale sindaco di Messina, sosteneva che la propria amministrazione era più volte intervenuta in ordine al fenomeno dell’inquinamento acustico ed ambientale. Tra l’altro evidenziava come fossero state introdotte fasce orarie per regolare il transito sul viale Boccetta, mentre il Consiglio Comunale aveva approvato la proposta circa lo spostamento degli approdi dalla rada S. F., delibera che era in corso di esecuzione. Infine erano in corso di ultimazione nuovi svincoli, e si stava lavorando al progetto di ristrutturazione della via Don Blasco.


S. B. esordiva precisando di avere assunto la carica di assessore all’ambiente solo a far data dal 3/4/2000. Quindi evidenziava l’adozione di una serie di provvedimenti volti alla limitazione dell’inquinamento, quali le disposizioni sul controllo dei gas di scarico sui mezzi gommati pesanti e la introduzione del cosiddetto bollino blu, oltre all’approvazione del piano di zonizzazione acustica.


Infine gli imputati depositavano o facevano acquisire documentazione varia. Da questa risultano una serie di provvedimenti.


In data 9/5/95 la giunta deliberava di richiedere alla Regione finanziamenti, tra l’altro, per interventi miranti a contenere le emissioni da traffico autoveicolare (incentivazione mezzi di trasporto a basso impatto ambientale), consistenti nell’acquisto di bus elettrici e nella realizzazione di scale mobili di utilità urbana.


In data 12/7/96, a seguito di conferenza di servizi, il sindaco emanava ordinanza con cui provvedeva alla diversificazione degli itinerari del traffico gommato pesante in transito sul viale Boccetta diretto o proveniente dagli imbarchi, smistando quello diretto agli imbarchi delle FF.SS. sullo svincolo di Messina Gazzi.


Il successivo 17/7/96 veniva siglato un protocollo d’intesa tra il comune e le FF.SS. volto alla realizzazione di nuove modalità di approdo e di nuova viabilità. In conseguenza, in data 25/7/96, la giunta deliberava di conferire incarico di progettazione per la costruzione di una nuova strada di collegamento tra il viale Gazzi e l’approdo FF.SS. attraverso la via Don Blasco. Con decreto del 14/4/99 dell’assessore regionale territorio ed ambiente veniva, infine, autorizzato il progetto in questione.


In data 26/5/98, la giunta approvava il progetto esecutivo per la zonizzazione acustica ed il piano di disinquinamento acustico del centro urbano, che veniva, quindi, deliberato dal Consiglio Comunale in data 23/3/2001.


Con ordinanza del 7/8/2000, il sindaco disponeva l’effettuazione di controlli sui gas di scarico dei veicoli in transito attraverso il territorio comunale, con precedenza sui TIR. A seguito di tale provvedimento, nel periodo giugno 2000 – maggio 2001 venivano sottoposti a controllo 267 veicoli ed elevati n. 181 verbali.


Poi con ordinanza del 23/8/2000, annullata l’ordinanza n. 1807 del 28/7/97 recante controllo strumentale delle caratteristiche dei gas di scarico, veniva introdotto il divieto di transito nel centro abitato per tutti i veicoli con emissioni inquinanti superiori a determinati limiti e non sottoposti a verifiche periodiche (c.d. bollino blu).


Contemporaneamente, in data 9/8/2000, veniva siglato un protocollo d’intesa tra il comune e la Provincia in virtù del quale quest’ultima si impegnava ad impiegare le centraline per il rilevamento del livello di inquinamento atmosferico, trasmettendo i dati in tempo reale al Comune di Messina.


Con deliberazione dell’assessorato all’ambiente del 23/3/2001 venivano schematicamente previsti i provvedimenti da adottare, nella prospettiva della prevenzione dei fenomeni di inquinamento, per il caso del raggiungimento dei livelli di attenzione o di allarme per taluni inquinanti.


In data 13/4/2001 veniva richiesto parere legale all’avv. R. C., il quale rispondeva ritenendo che il sindaco non poteva interdire il transito dei Tir attraverso la città di Messina, essendo una simile disposizione in contrasto con eventuali esigenze di sicurezza statale e con il principio di libertà di circolazione di cui agli artt. 16 e 120 Cost., e ritenendo, altresì, che il sindaco non poteva operare come ufficiale di Governo esistendo sul territorio altri organi statali idonei all’adozione di tali decisioni.


Infine, in epoca successiva al periodo in contestazione, in data 31/5/2001, a seguito di riunione tenutasi il precedente 27/4, tra il Comune di Messina e la regione Siciliana veniva stipulato un accordo di programma volto alla messa in opera di un approdo riservato al gommato pesante da realizzare nella zona sud di Messina, nel vill. Tremestieri, ed uno da realizzare nella zona nord per i mezzi leggeri.


Infine con d.p.c.m. 19/11/2001, preso atto delle condizioni del traffico e di mobilità da parte di automezzi provenienti o diretti verso il continente che avevano determinato una grave situazione di pericolo per la sicurezza della collettività locale, a fronte della quale le misure ordinarie adottate sono risultate inadeguate a far fronte con immediatezza ai problemi di vivibilità della cittadinanza, veniva dichiarato lo stato di emergenza nella città di Messina, con conseguente attribuzione (d.m. 21/12/2001) di poteri straordinari al Prefetto di Messina finalizzati alla realizzazione di due approdi di emergenza nella zona sud della città.


In esito all’istruttoria dibattimentale gli imputati devono essere assolti dai reati rispettivamente ascritti.



I reati contestati: in generale


La contravvenzione contestata ai capi a) e b), di cui all’art. 674 c.p., rientra nella categoria dei reati di pericolo concreto avente ad oggetto la polizia di sicurezza. La stessa, infatti, è protesa a prevenire pericoli più o meno gravi alle persone derivanti dal getto o dalla emissione di cose o gas, atti ad imbrattare, molestare o offendere. Ne consegue che ai fini della configurazione del reato non è sufficiente che il getto o l’emissione avvengano, ma è anche necessario che si concretizzi il pericolo previsto dalla legge, che cioè, a prescindere dall’effettivo nocumento – l’imbrattamento, ecc. – le emissioni abbiano una portata ed una natura tale da determinare il concreto rischio per il pubblico (cfr. Cass. 13/3/86; Cass. 24/6/86; Cass. 13/4/88; Cass. 4/12/97, 739).


Quanto al concetto di emettere questo è estremamente ampio, sicché in esso può farsi rientrare anche il diffondere, comunque, polveri o gas nell’aria circostante (cfr. Cass. 22/9/93).


Trattasi di fattispecie causalmente orientata e, quanto meno nella seconda ipotesi (provocare emissioni), a condotta libera, nel senso che, ai fini della sussistenza, è determinante la verificazione dell’evento, e quindi l’idoneità del comportamento a determinare gli effetti previsti dalla norma, indipendentemente dalle modalità di tale comportamento – descritto genericamente – e dalla natura commissiva od omissiva dello stesso (cfr. Cass. 18/3/86, 7191; Cass. 17/11/93, 781; Cass. 9/1/95, 3919).


In proposito appare necessario distinguere le fattispecie descritte nelle due parti della norma. La prima si riferisce ad una condotta specifica ed attiva, caratterizzata dal getto o dal versamento di cose, di talché può desumersi che la stessa sia volta a limitare la sanzione penale alle ipotesi tassativamente e dettagliatamente descritte in forma commissiva, tanto più che condotte omissive idonee a cagionare eventi analoghi a quelli descritti dall’art. 674 c.p., sono previste e descritte in altre contravvenzioni, quali quelle previste dagli artt. 673, 675, ecc. c.p. (cfr. Cass. VI, 16/5/85, 806; Cass. I, 26/1/95, 146; Cass. I, 21/11/95, 1500).


Esiste, poi, una seconda parte della norma che si riferisce, invece, alle emissioni. Questa, a differenza della prima, come risulta chiaro dalla lettura del testo, è fattispecie a condotta libera. Il legislatore, infatti, si riferisce a colui che provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, senza in alcun modo delimitare i confini della condotta, con una tecnica normativa in tutto analoga a quella utilizzata, per esempio, per l’ipotesi di cui all’art. 575 c.p. Sicchè deve ritenersi che la sussistenza del reato può essere ipotizzata in ogni caso in cui l’emissione sia genericamente provocata dall’agente, e, quindi, sia in qualunque modo causalmente riconducibile ad un comportamento – commissivo od omissivo – posto in essere dallo stesso (cfr. Cass. 18/3/86, 7191; Cass. 17/11/93, 781; Cass. 9/1/95, 3919; Cass. 19/4/95, 756).


L’illecito in esame, inoltre, è un tipico reato a carattere istantaneo, che, cioè, si concretizza nel singolo atto di gettare o emettere. Ciò non toglie che lo stesso possa assumere i caratteri del reato permanente, quando la materia atta ad offendere venga emessa in maniera ininterrotta e meccanica, non incidendo brevi soste o fluttuazioni del tenore delle emissioni sul carattere duraturo della condotta (cfr. Cass. 25/2/89).


Ai fini della configurabilità del reato in questione, infine, l’espressione «nei casi non consentiti dalla legge» utilizzata dalla norma con riferimento alla emissione di gas, vapori o fumi atti a molestare le persone, costituisce una precisa indicazione circa la necessità che tale emissione avvenga in violazione delle prescrizioni fissate dalla legge, nel caso di specie individuabili in quelle che regolano l’inquinamento atmosferico, e quindi, in primo luogo, in quelle derivanti dal d.p.r. 203/88 (ora d.lv. 351/99). Invero, come evidenziato, il reato in questione è reato di pericolo concreto, il quale si manifesta non con il solo evento, consistente nella emissione di gas, ecc., ma anche con il raggiungimento di una soglia tale da porre in pericolo la pubblica incolumità. Sicchè non ogni emissione, ancorchè molesta, può dare luogo al reato in questione, ma solo quelle emissioni che la legge considera dannose. Del resto si verterebbe in ipotesi di contraddittorietà ove si dovesse ritenere penalmente illecita una condotta che, in altra parte dell’ordinamento, viene ritenuta lecita o, comunque, tollerata. Ne consegue che, poichè la legge contiene una sorta di presunzione di legittimità delle emissioni di fumi, vapori o gas che non superino la soglia fissata dalle leggi speciali in materia, ai fini dell’affermazione di responsabilità per il reato indicato non basta che le emissioni stesse siano astrattamente idonee ad arrecare fastidio, ma è indispensabile la puntuale e specifica dimostrazione che esse superino gli “standards” fissati dalla legge (cfr. Cass. 16/6/2000, 8094).

Quanto alla contravvenzione di cui ai capi c) e d), consistente nella violazione dell’art. 659 c.p., trattasi di reato posto a tutela dell’ordine pubblico e della tranquillità pubblica, la cui realizzazione è collegata alla emissione di rumori aventi natura tale da determinare il disturbo di una pluralità diffusa di persone. Anche questo è reato di pericolo concreto, dal momento che ai fini della sua sussistenza non è necessario accertare che una o più persone siano state effettivamente disturbate, essendo sufficiente la verifica della astratta potenzialità lesiva della condotta (cfr. Cass. 11/11/85; Cass. 3/3/93). Si tratta, infine, di reato, per così dire, a forma vincolata, dal momento che la norma descrive dettagliatamente le modalità della condotta da cui possa scaturire l’evento (schiamazzi, urla, abuso di mezzi sonori, strepito di animali).



La commissione mediante omissione


Entrambe le fattispecie sono state contestate non in forma commissiva, bensì in forma omissiva.


La nozione di reato omissivo improprio muove dalla c.d. clausola di equivalenza disciplinata dell’art. 40 cpv. c.p., in base alla quale non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. In sostanza all’agente viene attribuita la responsabilità per un evento, non in base ad un comportamento positivo posto in essere in violazione di un divieto, ma in conseguenza dell’omesso compimento di un’azione, imposta da un comando, avente, solitamente, origine extrapenale.


Deve osservarsi che l’art. 40 cpv. c.p. non costituisce una norma incriminatrice autonoma e diretta, tale, cioè, da rendere penalmente sanzionabile, trasformandola in reato, la violazione di qualsiasi obbligo di agire. Essa, invece – e non a caso è parte di un articolo intitolato al rapporto di causalità – costituisce una disciplina giuridica del nesso di causale. La norma, cioè, opera una finzione giuridica, dichiarando sussistente il rapporto eziologico tra una condotta omissiva ed un determinato evento, allorché sia ipotizzabile un comportamento positivo che, sostituito all’omissione, sarebbe stato astrattamente idoneo ad impedire il verificarsi dell’evento medesimo (cfr. Cass. 5/11/83, 9176).


Pertanto tale norma non può essere utilizzata come fonte autonoma di incriminazione, tale, cioè, da consentire la creazione di nuovi tipi di reato, non contemplati nell’ordinamento, così trasformando senz’altro e genericamente obblighi di natura extrapenale in obblighi penali; ma può unicamente inserirsi, nell’ambito di reati di evento, quale criterio normativo di attribuzione dell’evento stesso, cioè di ricostruzione del nesso causale. Ne consegue che, perché un reato descritto in forma commissiva, possa, attraverso il filtro dell’art. 40 c.p., proporsi nella forma omissiva, è necessario che l’ipotesi base si configuri come reato di evento a condotta libera, tale che, cioè, il legislatore incentri la lesività sull’evento prodotto e non anche su una particolare modalità comportamentale. La clausola di equivalenza, per contro, si deve ritenere incompatibile con tutti quegli illeciti la cui verificazione dipende da una condotta specificamente descritta dalla norma o espressamente riferibile ad un soggetto determinato, ovvero nei casi in cui sia la stessa formula incriminatrice di base ad attribuire rilevanza penale ad alcune specifiche condotte omissive, con ciò escludendo tutte le altre.


In tali casi, infatti, è evidente che l’illiceità sia connotata non solo in funzione dell’evento, ma anche delle modalità della condotta posta in essere dall’agente, ritenuta dal legislatore determinante per la sussistenza del reato. Di talché ai fini della configurazione dell’illecito non è sufficiente il rapporto di causalità tra la condotta dell’agente e l’evento, ma anche che la condotta dell’agente si connoti di modalità particolari, restando tutte le altre estranee al reato. Con la conseguenza che, ancorché fosse riconducibile all’agente l’evento, secondo la formula di cui all’art. 40 cpv. c.p., comunque il comportamento di questo resterebbe estraneo alla fattispecie punibile.


Estendere in tali casi l’illiceità alle ipotesi omissive non contemplate, equivale ad estendere l’area di rilevanza penale a settori che implicitamente, ma univocamente, sono stati esclusi dal legislatore. Se, infatti, il legislatore ha descritto specificamente le modalità della condotta cui collegare una sanzione penale, evidentemente ha ritenuto di volere punire solo quei comportamenti e non altri. I quali, pertanto, non possono essere sanzionati con l’utilizzo surrettizio di altra disposizione generica.


In tale ottica, mentre appare compatibile con il regime dell’art. 40 cpv. c.p. la contravvenzione di cui alla seconda parte dell’art. 674 c.p. – come sopra evidenziato a condotta libera – tale compatibilità non è ravvisabile con la contravvenzione di cui all’art. 659 c.p., la quale, come si è detto, è reato a condotta vincolata, ed inoltre, contempla nella stessa fattispecie base una specifica condotta omissiva (non impedire strepiti di animali), con la implicita conseguenza di ritenere estranee alla punibilità le altre eventuali possibili omissioni.


La clausola in esame, inoltre, posta l’equivalenza tra inerzia e condotta positiva ai fini del nesso di causalità, limita ulteriormente l’estensione del punibile alle sole ipotesi in cui l’agente avrebbe l’obbligo giuridico di impedire l’evento. Perché, dunque, la causazione diretta ed il mancato impedimento di un evento siano penalmente equivalenti, è necessaria la individuazione di uno specifico obbligo giuridico di impedire l’evento. A tal fine, ovviamente, anche avuto riguardo alla natura penale delle conseguenze ed ai criteri di legalità e determinatezza che devono governare il diritto penale (25 Cost.), non è sufficiente fare riferimento al generale principio del neminem laedere o ad una generica posizione di garanzia, né, tanto meno ad un generico potere di impedire l’evento, ma è necessario individuare un obbligo giuridico specifico, derivante da una norma che ponga l’agente in una posizione di protezione, garanzia e salvaguardia rispetto al bene protetto. Posizione che può discendere: da una norma di legge riconducibile a qualunque ramo del diritto, civile, penale o amministrativo; dalla esistenza di particolari rapporti giuridici; ovvero dalla precedente attività propria che, in quanto abbia generato un pericolo od un affidamento, imponga all’agente l’obbligo di impedire gli eventi negativi conseguenti (cfr. Cass. 14/4/83, 2619; Cass. 23/6/89; Cass. 21/5/90).



Il traffico veicolare causa di inquinamento


Tanto premesso, tornando all’esame del caso concreto, appare evidente – e non si reputa necessario spendere ulteriori parole in merito – che astratte limitazioni dei flussi veicolari nella zona in esame avrebbero potuto determinare una riduzione significativa delle emissioni inquinanti o rumorose. Le quali, infatti, come accertato, avevano origine in via esclusiva, o, comunque, prevalente, proprio dal traffico veicolare. La circostanza – per vero in sé assolutamente ovvia e ribadita dai tecnici in corso di istruttoria – risulta ulteriormente confermata dalle rilevazioni effettuate dagli organi competenti. Ed infatti, come emerge dalla relazione sulla qualità dell’aria per l’anno 2000, la concentrazione di PM10 rilevata dalla postazione prospiciente il viale Boccetta, scendeva significativamente al di sotto della media annuale nella settimana in cui gli autotrasportatori, per protesta, attuavano un blocco; per poi schizzare sensibilmente al di sopra della media annuale nel momento in cui il blocco veniva revocato, con conseguente concentrazione massiccia dei mezzi pesanti in transito sull’arteria in questione.


Appare, pertanto, di tutta evidenza come proprio il traffico veicolare sia cagione della presenza di inquinanti e, di conseguenza, come eventuali azioni dirette a ridurre il traffico veicolare, avrebbero potuto incidere sulla qualità dell’aria e sulla quantità di rumore. Tuttavia la sussistenza di un nesso di causalità – sia pure improprio, come sopra giuridicamente ricostruito – tra una serie generica di condotte asseritamente non realizzate (e, peraltro, neppure puntualmente individuate) da parte dell’autorità amministrativa e le condizioni ambientali del viale Boccetta, non è circostanza sufficiente a ritenere integrate le fattispecie contestate.


In proposito, infatti, è necessario, nell’ordine, verificare: se tali fattispecie possano rappresentarsi in forma omissiva; se in capo agli imputati potesse ravvisarsi l’obbligo di impedire l’evento; se un evento penalmente significativo si sia effettivamente verificato; se, infine, gli imputati fossero in grado di agire diversamente e, comunque, se fosse ravvisabile in capo agli stessi quanto meno il profilo della colpa.



Le ipotesi di cui ai capi a) e b)


Quanto alle ipotesi di cui ai capi a) e b) si è già detto che la contravvenzione contestata appare compatibile con la clausola stabilita dall’art. 40 cpv. c.p. Si è, infatti, in presenza di un illecito a condotta libera ed incentrato sull’evento, il quale, pertanto, può essere imputato all’agente anche nell’ipotesi in cui questi, avendone l’obbligo, non ne abbia impedito la verificazione.


Nel caso di specie si fa discendere l’evento, cioè un fenomeno di inquinamento, da condotte genericamente omissive dell’autorità amministrativa, la quale non si sarebbe attivata per impedirne la verificazione.
Il fenomeno, dunque, deriverebbe da una serie di condotte attive, poste in essere da terzi, cioè dai conducenti di veicoli. Tali condotte astrattamente lecite, ove in sé considerate, diventerebbero penalmente significative in quanto considerate nella loro globalità, e cioè nella misura in cui, non venendo adeguatamente gestito il volume del traffico – sotto la specie della quantità, dell’intensità o della fluidità – da parte di chi aveva il potere di farlo, con provvedimenti variamente limitativi, la somma di tali condotte avrebbe dato luogo ad un fenomeno nuovo e complesso, generando una serie di emissioni, nell’insieme idonee ad alterare significativamente le condizioni atmosferiche. Agli imputati, pertanto, viene rimproverato non il fatto di non avere impedito la commissione di uno o più reati, ma di non avere regimentato un fenomeno – il traffico veicolare in una specifica zona della città – così dando luogo ad un autonomo evento, imputabile agli agenti in virtù della clausola di equivalenza.



L’obbligo di impedire l’evento: la rilevanza giuridica dell’inquinamento


Prima di verificare se, nel caso in esame, possa effettivamente configurarsi l’evento del reato contestato, occorre soffermarsi su un altro aspetto fondamentale della fattispecie, e cioè sulla sussistenza in capo agli agenti di un obbligo giuridico di impedire fenomeni di inquinamento aventi origine specifica nel traffico veicolare, e quindi di tutelare l’ambiente dalle emissioni inquinanti degli autoveicoli in transito nel territorio comunale.


Sul punto, preliminarmente, deve osservarsi che un eventuale obbligo di intervento, astrattamente, sarebbe tutt’altro che in contrasto con i principi costituzionali, ed in particolare con quello della libera circolazione. Al contrario esso discenderebbe da principi costituzionali di rango superiore, assolutamente preminenti, quale è quello fondamentale del diritto alla salute, costituente valore primario ed assoluto (v. C. Cost. 30/12/87, 641), diritto fondamentale dell’individuo ed interesse della collettività (v. Cass. III, 20/1/83), la cui attuazione, pertanto, non può essere in alcun modo compressa da altri valori, ancorché costituzionali, di rango inferiore.


Tanto premesso si osserva come l’accusa fa discendere un tale obbligo da una serie di norme, confusamente indicate in rubrica, inerenti la disciplina e la eventuale limitazione del traffico veicolare.


Pur condividendosi in astratto l’assunto, si ritiene non del tutto corretto il percorso logico.


In proposito, infatti, incombe sul sindaco una posizione di garanzia adeguatamente specifica, la quale discende da diversi contesti normativi, che, insieme, convergono nel senso sopra indicato.


Il primo aspetto che va evidenziato è rappresentato dalla rilevanza che la legge attribuisce all’inquinamento.


Infatti, sin dall’ormai datato d.P.R. 24/7/77 n. 616, si riconosce allo Stato il compito di fissare, per tutto il territorio nazionale, i limiti inderogabili di accettabilità delle emissioni inquinanti. Criterio poi ripreso dalla l. 23/12/78 n. 833 di riforma sanitaria (che, all’art. 4, stabilisce che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri … sono fissati e periodicamente sottoposti a revisione i limiti massimi di accettabilità delle concentrazioni e i limiti massimi di esposizione relativi ad inquinamenti di natura chimica, fisica e biologica e delle emissioni sonore negli ambienti di lavoro, abitativi e nell’ambiente esterno). Quindi dalla l. 8/7/1986 n. 349 istitutiva del Ministero dell’ambiente (che all’art. 2 c. 14 stabilisce che il Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro della sanità, propone al Presidente del Consiglio dei ministri la fissazione dei limiti massimi di accettabilità delle concentrazioni e i limiti massimi di esposizione relativi ad inquinamenti di natura chimica, fisica e biologica e delle emissioni sonore relativamente all’ambiente esterno e abitativo di cui all'articolo 4 della L. 23 dicembre 1978, n. 833…). Ed, infine, dal d.P.R. 203/88.
In attuazione di tale principio veniva emanato il fondamentale d.p.c.m. 28/3/1983 con il quale sono stati fissati (e successivamente aggiornati con il d.P.R. 203/88) i limiti massimi di accettabilità delle concentrazioni ed i limiti massimi di esposizione relativi ad inquinanti dell’aria nell’ambiente esterno ed i relativi metodi di prelievo.


Da questa normativa e dal menzionato decreto, derivano limiti posti a presidio della salute pubblica, considerati assoluti e inderogabili, non suscettibili di discrezionalità nell’attuazione, e rappresentanti, perciò, la soglia ultima ed invalicabile, oltre la quale deve ritenersi sussistente un vero e proprio evento dannoso per la pubblica incolumità, vale a dire un fenomeno di inquinamento pericoloso per la salute pubblica.


L’ordinamento, dunque, riconoscendo nell’inquinamento atmosferico un fatto dannoso per la salute pubblica, in attuazione dei principi costituzionali, fissa dei limiti massimi di immediata attuazione perché attinenti ad una risorsa immediata della vita (cfr. Cass. III, 24/11/87, Irollo), configurando, quindi, il superamento degli stessi come un vero e proprio evento di danno.



L’obbligo di impedire l’evento: la disciplina del traffico urbano


Posta detta premessa si osserva come spetta sostanzialmente al sindaco, quale organo amministrativo, il compito di regolamentare il traffico urbano. In particolare, in base al d.lv. 285/92 (codice della strada), la disciplina della circolazione all’interno dei centri abitati è compito attribuito ai comuni e, per essi, al sindaco, il quale provvede con ordinanza. Sicché, all’interno delle aree urbane è il sindaco che ha il potere ed il compito di disciplinare la circolazione stradale. Attività che viene espletata con ampio margine di discrezionalità – come tale insindacabile – ma nel rispetto dei principi e dei limiti dettati dalla legge.


Tra i principi che devono ispirare l’azione dell’amministrazione comunale, vi è certamente quello della tutela della salute pubblica dall’inquinamento. Tale principio, invero, è enunciato già all’art. 1 c.d.s., ove espressamente si stabilisce che le norme e i provvedimenti attuativi del codice della strada perseguono gli obiettivi … della protezione dell’ambiente. Concetto che – a prescindere dalla mancata emanazione delle direttive da parte del Ministero dei Lavori Pubblici – viene ribadito al successivo art. 7 c.d.s con cui si specifica che i sindaci, nei centri abitati, hanno il potere di limitare il traffico in determinate zone anche per accertate e motivate esigenze di prevenzione degli inquinanti. Stesso concetto in qualche modo già sviluppato dal d.P.R. 10/1/1992 (di cui infra) che all’art. 2, stabiliva che le restrizioni generalizzate della circolazione, ivi compresa quella a targhe alterne, sono adottate, ove non sussista altra misura alternativa, dai comuni o dalle autorità competenti, sulla base di accertamenti che rivelino condizioni generali di comprovata gravità.


Del resto lo stesso art. 104 del d.P.R. 24/7/1977 n. 616, in attuazione della delega volta al trasferimento di competenze alle regioni, così come sostanzialmente ribadito dal successivo art. 32 l. 23/12/78, n. 833 (in materia di riforma del servizio sanitario nazionale) precisava come fosse competenza dei comuni il controllo, in sede di circolazione, dell’inquinamento atmosferico … prodotto da auto e motoveicoli. Sicché, pur riconducendosi alle regioni il potere di adottare il piano di risanamento regionale in materia, spetta sempre al comune il controllo concreto dell’inquinamento atmosferico nell’ambito cittadino e la gestione dell’ambiente a tutela dell’igiene e della sanità pubblica nel territorio municipale (cfr. T.a.r. Lazio, II, 16/2/89, 198).


Già dall’esame della predetta normativa appare evidente l’attribuzione al sindaco di una specifica posizione di garanzia, rispetto alla gestione del traffico urbano, con riferimento all’inquinamento atmosferico.


A questi, infatti, è attribuito dall’ordinamento un ampio potere di regolamentazione che incontra una serie di limiti – uno dei quali è rappresentato dalla tutela dell’ambiente dall’inquinamento – che devono informare l’azione amministrativa. Con la conseguenza che ogni condizione determinante in base alla legge pericolo per la salute – cioè ogni superamento di limiti di concentrazione di inquinanti ritenuto tassativo per legge – se derivante da traffico urbano, diviene imputabile al sindaco, nella misura in cui lo stesso non abbia provveduto (potendovi ed essendo consapevole del fatto) a regolamentare la circolazione in maniera tale da ridurre le emissioni inquinanti.


Deve osservarsi come su tale posizione di garanzia e su tale, conseguenziale, responsabilità, nessuna incidenza può avere la mancata emanazione delle direttive menzionate nell’art. 7 c.d.s. al fine di definire i criteri per la limitazione della circolazione, non essendo a queste assimilabili i vari decreti in materia ambientale, promananti da organi diversi (Ministero dell’Ambiente o della Sanità) da quelli previsti dal menzionato art. 7 c. 1 lett. b) (Ministero LL.PP. sentiti il Ministro dell’ambiente, il Ministro per i problemi delle aree urbane ed il Ministro per i beni culturali ed ambientali). Tali direttive infatti hanno esclusivamente la funzione di disciplinare puntualmente il potere del sindaco con riferimento ad alcune situazioni tipiche. Le stesse, una volta emanate, implicherebbero, se dettagliate e puntuali, il sorgere di un obbligo di adozione un determinato provvedimento (il blocco del traffico, ecc.) al verificarsi di determinate condizioni (per esempio uno stato di allarme), al punto da potere ipotizzare, astrattamente, in caso di violazione – trattandosi di ragioni di igiene e sanità – la sussistenza di una omissione penalmente rilevante.


La mancata emanazione di tali direttive, tuttavia, non fa venire meno né i generali poteri di regolamentazione del traffico da parte del sindaco; né il fine di tutela ambientale, stabilito dal menzionato art. 1 c.d.s., che deve, comunque, ispirarne l’esercizio e, quindi, improntare l’azione amministrativa in materia costituendone primario criterio informatore (cfr. Tar Lazio 9/6/89. 802).


Del resto la tutela dall’inquinamento come linea guida dell’azione dell’amministrazione comunale, è concetto che appare ribadito e rielaborato dalla ulteriore normativa in materia ambientale, in vario modo succedutasi nel tempo, ed in parte richiamata dall’accusa. A prescindere dalla concreta efficacia precettiva di tale insieme di norme (argomento su cui si tornerà in seguito: v. pag. 2), va subito evidenziato come questo, per ciò che qui riguarda, non modifica il quadro delle conseguenze in ipotesi di fenomeni di inquinamento, dettando, invece, una serie di regole – talora confuse o disorganiche e spesso contraddittorie (basti pensare al sovrapporsi di criteri di misurazione e rilevazione degli inquinanti) – in materia di competenze per gli interventi preventivi.


A tal fine questa si incentra sulla introduzione delle soglie e degli stati di attenzione e di allarme, identificanti valori di agenti inquinanti che, pur non superando i limiti di accettabilità, a questi si avvicinino, così imponendo o sollecitando interventi volti a prevenire il superamento dei limiti massimi di accettabilità della concentrazione e di esposizione fissati dal D.P.C.M. 28 marzo 1983 e dal d.p.r. 24 maggio 1988 n. 203 (come recita il d.m. 15/4/94, di cui infra), e, quindi, il rischio di evoluzioni negative determinanti il superamento dei limiti massimi di cui al citato d.p.c.m., gli unici veramente ritenuti legislativamente invalicabili.


Infatti, in attuazione dei principi sopra evidenziati e del d.P.R. 203/88 (dettante norme per la tutela della qualità dell’aria ai fini della protezione della salute e dell’ambiente), procedendo cronologicamente, veniva emanato, tra l’altro, il d.m. 20/5/1991, il quale si poneva lo scopo di definire i criteri per la raccolta dei dati inerenti la qualità dell’aria, il riordino delle competenze per la vigilanza, il controllo, la gestione e l’esercizio dei sistemi di rilevamento pubblici, nonchè la regolamentazione delle situazioni di inquinamento atmosferico che determinano stati di allerta e/o di emergenza.


In tale contesto, all’art. 9, si attribuiva al Ministero dell’ambiente il compito di definire, appunto, i livelli di attenzione e di allarme e si ribadiva l’assegnazione alle autorità regionali del compito di individuare zone del territorio per le quali, a causa del manifestarsi di condizioni meteorologiche sfavorevoli persistenti ed alla presenza di sorgenti fisse o mobili con rilevante potenzialità emissiva, possono verificarsi episodi acuti di inquinamento atmosferico da SO2, particelle sospese, NO, CO ed ozono. Si attribuiva, infine, alle province o, nel caso delle aree metropolitane, al sindaco, il compito elaborare, per tali zone, piani di intervento operativo nell’ambito di criteri generali stabiliti con decreto del Ministero dell’ambiente di concerto con il Ministero della sanità entro centoventi giorni dalla data del presente decreto. Stabilendo che nei suddetti piani operativi venissero fornite indicazioni sui possibili provvedimenti da prendere per ridurre i livelli di inquinamento e le conseguenze sulla popolazione e sull’ambiente, e venisse anche definita l’autorità preposta alla gestione della situazione di allerta.


Il quadro normativo si faceva più delineato in conseguenza del d.p.r. 10/1/92, costituente Atto di indirizzo e coordinamento in materia di sistemi di rilevazione dell’inquinamento urbano, con cui, ritenuta, tra l’altro, la necessità che le regioni adottino con urgenza i piani di risanamento anche con misure particolari per la tutela della qualità dell'aria nelle grandi aree urbane, si sollecitavano queste ultime alla adozione dei piani con particolare riferimento alle città di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia; quindi, come sopra evidenziato, in generale, all’art. 2, si stabiliva che le restrizioni generalizzate della circolazione, ivi compresa quella a targhe alterne, sono adottate, ove non sussista altra misura alternativa, dai comuni o dalle autorità competenti, sulla base di accertamenti che rivelino condizioni generali di comprovata gravità. Ai fini della individuazione delle misure necessarie, anche alternative a restrizioni generalizzate della circolazione, i comuni e le autorità competenti possono avvalersi della commissione tecnicoscientifica di cui all’art. 5 della ordinanza del Ministro dell'ambiente in data 28 dicembre 1991.


In materia la Regione Sicilia interveniva con decreto del 12/12/1992 n. 1995 dell’Assessore al Territorio ed ambiente, con cui, nell’ambito delle competenze individuate dalla normativa nazionale, il territorio comunale della città di Messina veniva inserito tra le zone particolarmente a rischio di inquinamento atmosferico, individuando nel sindaco l’autorità competente per l’adozione dei provvedimenti conseguenti all’insorgenza dello stato di attenzione e di allarme, e prevedendo la istituzione di un organo tecnico di cui l’amministrazione comunale avrebbe dovuto avvalersi per l’espletamento dei relativi compiti.


Dopo che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 113/94 annullava – in sede di risoluzione di conflitto di attribuzioni – il d.m. 12/11/1992 (decisione che si rifletteva sullo stesso decreto regionale 1995/92 sopra citato), veniva emanato il successivo d.m. 15/4/1994 con cui si definivano i livelli di attenzione e di allarme per gli inquinanti atmosferici nelle aree urbane e nelle zone individuate dalle regioni ai sensi del menzionato art. 9 del d.m. 20/5/91, stabilendosi i criteri di individuazione degli stati di attenzione e di allarme in base ai quali adottare provvedimenti per prevenire episodi acuti di inquinamento atmosferico e per rientrare nei limiti della norma nel caso in cui i livelli di attenzione o di allarme siano stati superati, anche al fine di prevenire il superamento dei limiti massimi di accettabilità della concentrazione e di esposizione fissati dal D.P.C.M. 28 marzo 1983 e dal d.p.r. 24 maggio 1988 n. 203.


Il decreto definiva, quindi, per stato di attenzione quella situazione di inquinamento atmosferico che, se persistente, determina il rischio che si raggiunga lo stato di allarme, stato, a sua volta, consistente in una situazione di inquinamento atmosferico suscettibile di determinare una condizione di rischio ambientale e sanitario. Mentre per livelli di attenzione e di allarme intendeva le concentrazioni di inquinanti atmosferici che determinano lo stato di attenzione e di allarme, stati che vengono di norma raggiunti quando, al termine del ciclo di monitoraggio, si rileva il superamento per uno o più inquinanti dei rispettivi livelli di attenzione e di allarme in numero di stazioni di rilevamento pari o superiore a quello indicato nella tabella II dell'allegato 1, anche se non contemporaneamente. Quindi, all’art. 4 c. 4 precisava che ove, al termine del ciclo di monitoraggio, si verifichi lo stato di attenzione o di allarme, l’autorità competente adotta tempestivamente i provvedimenti che ritiene necessari, adozione di provvedimenti che deve essere comunque attuata quando lo stato di attenzione perduri per almeno tre giorni consecutivi e le condizioni meteorologiche possano far prevedere il raggiungimento dello stato di allarme. L’autorità competente, poi, viene individuata in quella competente alla adozione dei provvedimenti conseguenti alla insorgenza dello stato di attenzione o di allarme, di cui al menzionato art. 9 d.m. 20 maggio 1991, cioè in quella individuata nei piani regionali, ovvero nelle province o, per le aree metropolitane, nei sindaci.


Gli stessi livelli di attenzione e di allarme venivano modificati con il successivo D.M. 25/11/94, nel quadro di una normativa volta ad adeguare i sistemi e le procedure di rilevamento dei dati di qualità dell’aria all’orientamento consolidato in ambito comunitario, a tal fine aggiornando i valori di attenzione e di allarme di anidride solforosa e delle particelle sospese totali. Allo scopo all’art. 2 si impone alle autorità competenti delle aree urbane a maggior rischio di inquinamento da benzene, idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e frazione respirabile delle particelle sospese (PM10), di predisporre sistemi permanenti di monitoraggio delle concentrazioni di tali sostanze entro e non oltre il 30 settembre 1995, con priorità nelle città indicate nell’allegato III (tra le quali veniva inserita Messina).


Un primo apparente riordino della disciplina derivava dalla l. 4/11/1997 n. 413 in materia di misure urgenti per la prevenzione dell'inquinamento atmosferico da benzene. Con tale normativa, mentre viene limitato il tenore massimo di benzene e di idrocarburi aromatici totali nelle benzine, all’art. 3 si ribadisce che: i sindaci possono adottare le misure di limitazione della circolazione di cui all’articolo 7, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, per esigenze di prevenzione dell’inquinamento atmosferico. Quindi, a differenza del codice della strada, si attribuisce il compito di definire i criteri ambientali e sanitari al Ministro dell’ambiente, di concerto con il Ministro della sanità, che avrebbe dovuto operare con decreto da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. In tal modo, pertanto, si forniva una risposta alle indicazioni che erano provenute dalla Corte Costituzionale, ed insieme si recuperava, quanto meno per il futuro, la validità dei decreti in precedenza emanati dal Ministro per l’Ambiente.


Il primo dei decreti emanati in base a tale legge è quello portante la data del 23/10/98, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 6/11/98, il quale, tuttavia, per vizi di forma, veniva immediatamente sostituito dal d.m. 21/4/99 n. 163 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 11/6/99). Questo fissa, ai sensi dell’art. 3 della legge 4 novembre 1997, n. 413, i criteri ambientali e sanitari in base ai quali i sindaci adottano le misure di limitazione della circolazione di cui all'art. 7, comma 1, lettere a ) e b ) del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, stabilendo che sono tenuti ad applicare tali misure i comuni individuati all’allegato III del decreto 25 novembre 1994 (tra i quali, come già detto, Messina), secondo i criteri fissati dal presente decreto, ai sensi dell'articolo 3 della legge 4 novembre 1997, n. 413, e, quale misura preventiva possono vietare la circolazione nei centri abitati per tutti gli autoveicoli che non abbiano effettuato il controllo almeno annuale delle emissioni secondo le procedure previste dal decreto 5 febbraio 1996 del Ministro dei trasporti e della navigazione.


In particolare, come statuito dall’art. 2, al fine dell’adozione dei provvedimenti di cui all'art. 1, i sindaci … avvalendosi del supporto tecnico dell’ARPA (agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) e dell’AUSL: entro un mese dalla data di entrata in vigore del presente decreto, provvedono all’effettuazione di una valutazione preliminare della qualità dell'aria del territorio comunale…; al termine di ogni anno solare, e comunque entro il 31 gennaio dell’anno successivo, provvedono alla predisposizione di un rapporto secondo le indicazioni di cui all'allegato 2 al presente decreto. Analisi da diffondere tra il pubblico e da inviare al Ministero dell’ambiente e al Ministero della sanità.


Sicché discende da tale norma l’obbligo per i sindaci di effettuare immediatamente una valutazione preliminare della qualità dell’aria e, quindi, entro il 31 gennaio di ogni anno, un rapporto contenente, tra l’altro: un quadro dei dati raccolti nel corso dell'anno mediante i sistemi di rilevamento e le campagne di misura effettuate; le mappe della concentrazione degli inquinanti in relazione al loro andamento nel corso dell'anno ottenute integrando eventualmente le misure con le simulazioni modellistiche; la valutazione della qualità dell'aria e dei fattori meteoclimatici ed antropici coinvolti; la valutazione dell’estensione delle aree interessate, delle sorgenti di emissione e della popolazione ivi presente coinvolta; le misure di prevenzione attuate ed un'analisi critica dei risultati conseguiti in termini di riduzione delle emissioni e di miglioramento della qualità dell'aria con particolare riferimento alle zone oggetto dei provvedimenti di cui all’art. 1 ed a quelle che comunque possono avere subito effetti negativi in conseguenza di detti provvedimenti (es. aree limitrofe).


In base a tali valutazioni, poi, a norma dell’art. 3 i sindaci … in fase di prima applicazione e successivamente entro il 1º febbraio di ogni anno, dispongono le misure programmate, permanenti o periodiche, di limitazione o divieto della circolazione ai fini della prevenzione dell’inquinamento atmosferico, secondo quanto indicato dal successivo art. 4. Inoltre qualora non siano disponibili i dati necessari alla valutazione preliminare ovvero qualora la valutazione preliminare non venga predisposta in tempo utile, in fase di prima attuazione i sindaci, sentite l'ARPA e l'AUSL, adottano comunque, in via precauzionale, le misure di cui al comma 1 nelle zone a maggiore congestione di traffico.


Tali misure … devono essere adottate in zone del centro abitato per ridurre i livelli di inquinamento nelle aree individuate dalla valutazione preliminare e, successivamente, dal rapporto annuale, sulla qualità dell'aria, in cui sia dimostrato il superamento, anche per un solo inquinante, del valore obbiettivo di qualità di cui all'allegato IV del decreto 25 novembre 1994 del Ministro dell'ambiente. Le zone del centro abitato in cui vengono applicate le misure devono essere di estensione tale da coinvolgere le sorgenti di emissione significativamente correlate con le concentrazioni rilevate nell'area di superamento tenendo conto della esigenza di non determinare situazioni critiche in altre aree. Ove la valutazione preliminare e successivamente, il rapporto annuale sulla qualità dell'aria individui aree in cui si verificano nell'arco dell'anno superamenti significativi e frequenti dei livelli di attenzione di cui all'allegato I al decreto 25 novembre 1994 del Ministro dell'ambiente, i sindaci adottano le misure di limitazione della circolazione di cui ai commi 1 nelle zone di cui al comma 2 applicando criteri analoghi a quelli indicati nel comma 2 e nell'articolo 4, commi 3, 5, 6 e 7. Le misure hanno efficacia, almeno annuale, e possono essere modificate nel corso dell'anno sulla base delle previsioni di miglioramento, ovvero di peggioramento, dello stato della qualità dell'aria in relazione ai dati raccolti in un periodo rappresentativo.


In particolare provvedimenti limitativi della circolazione dei veicoli (a seconda dei casi, con motore ad accensione comandata o ad accensione spontanea) devono essere adottati dal sindaco quando il valore medio annuo di concentrazione del benzene in atmosfera, o il valore medio annuo di concentrazione degli idrocarburi policiclici aromatici, con riferimento al benzo(a) pirene, o il valore medio annuo rilevato per le particelle sospese PM10 in atmosfera, nelle aree individuate dalla valutazione preliminare e, successivamente, dal rapporto annuale sulla qualità dell'aria, supera il valore obbiettivo di cui al decreto 25 novembre 1994 del Ministro dell'ambiente.


La materia, infine, riceveva un ulteriore (definitivo ?) riordino con il d.lv. 4/8/99 n. 351, che concentrava le competenze in capo alle regioni, in attuazione della quale veniva emanato, da ultimo, il D.M. 2 aprile 2002 n. 60. Normative sulle quali non appare utile soffermarsi più di tanto in questa sede, dal momento che gli effetti delle stesse hanno cominciato a spiegarsi, per lo più, in epoca successiva al periodo in contestazione.


In conclusione, dall’esame della superiore normativa, si può dedurre, confermando quanto già sopra affermato, che la tutela dall’inquinamento da autoveicoli deve rappresentare una delle linee guida principali nell’esercizio dell’attività amministrativa, tale da orientare la disciplina e la gestione del traffico veicolare. Detto potere, già a priori discrezionalmente vincolato allo scopo, ha avuto nel corso degli anni una serie di discipline, atte a limitare la discrezionalità, vincolandola non solo nello scopo – la tutela dell’ambiente – ma anche nelle modalità operative, cioè definendo normativamente alcune condizioni in presenza delle quali divenga obbligatorio l’intervento preventivo dell’amministrazione e specificando, in vario modo il contenuto di tale intervento.


La definizione normativa di tali condizioni, tuttavia, non fa venire meno la posizione di garanzia del sindaco, né esclude che, al di fuori delle ipotesi specificamente normate, questi debba esercitare i propri poteri in materia di circolazione veicolare perseguendo l’obiettivo di contenere l’inquinamento atmosferico, e di evitare il superamento dei limiti legali degli inquinanti.



L’obbligo di impedire l’evento: la tutela dell’incolumità pubblica


A questa fonte di obblighi, connessa alla funzione amministrativa, se ne aggiunge un’altra. Deve, infatti, osservarsi come al sindaco, quale ufficiale di governo, sia conferito, dall’art. 38 l. 8/6/1990 n. 142, il compito di adottare, con atto motivato e nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti in materia di sanità ed igiene, edilizia e polizia locale al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini. Compito da ritenere obbligatorio al punto che lo stesso art. 38 prevede, in caso di inadempimento, che sia il prefetto a provvedere con propria ordinanza.


Ne consegue che, dinanzi ad un fatto oggettivamente lesivo della salute pubblica il sindaco dovrebbe e potrebbe attivarsi con l’adozione di provvedimenti urgenti volti al ripristino delle condizioni di salubrità, senza che tali poteri siano venuti meno in virtù del d.P.R. 203/88 (cfr. Cons. Stato V, 26/1/2000, 337).


Per un verso, dunque, in base a tale normativa è possibile riscontrare in capo al sindaco, quale autorità governativa, il potere di adottare i provvedimenti necessari a fronteggiare il fenomeno, anche al di là di quelli propri dello stesso quale organo amministrativo. Per altro verso è possibile anche ravvisare un obbligo specifico di intervenire, in presenza di un fenomeno acuto o cronico idoneo a porre in pericolo la salute pubblica.


Sicchè l’omessa osservanza da parte del Sindaco dei propri doveri funzionali di tutela della salute pubblica comporta che a questi debbano essere imputate – a titolo di dolo o di colpa – le conseguenze della relativa omissione (cfr. Cass. 2/10/85, 8465).


Un’ultima notazione sul punto viene sollecitata dalla difesa degli imputati L. e S., la quale sostiene che, comunque, ancorchè responsabilità vi fosse nel caso in esame, questa andrebbe circoscritta ai soli dirigenti, residuando in capo agli amministratori, ed al sindaco in particolare, funzioni meramente politiche. La tesi va respinta apparendo quanto meno riduttiva. Sebbene la competenza in ordine ad alcuni atti amministrativi sia attribuita per legge o per delega (ma non certamente i poteri di cui alla l. 142/90) ai dirigenti ed ai funzionari, ciò non esclude il mantenimento in capo agli organi politici del potere-dovere di controllo e vigilanza, sicchè l’esclusione della responsabilità potrebbe operare solo nell’ipotesi in cui l’organo politico dimostrasse di essere rimasto totalmente ed incolpevolmente ignaro della situazione di fatto.


Invero, in base all’art. 3 del dlv. 29/93 ai dirigenti, soggetti distinti rispetto agli organi di direzione politica, spetta la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, compresa l’adozione di tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane e strumentali e di controllo. Essi sono responsabili della gestione e dei relativi risultati. Lo stesso d.lv. 29/93 regola le modalità di conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale nell’ambito di tutte le amministrazioni pubbliche, con i correlativi tempi e modi per la individuazione degli organi e degli uffici in ragione della rilevanza e complessità delle funzioni, e della quantità di risorse umane, finanziarie e strumentali assegnate.


Peraltro già la l. 142/90 aveva innovato radicalmente il funzionamento degli enti locali responsabilizzando i dirigenti degli uffici, consentendo al sindaco di delegare molte funzioni agli assessori dallo stesso nominati, ed attribuendo al sindaco ed agli assessori il compito di individuare gli obiettivi politico-amministrativi da perseguire, demandando, invece, ai dirigenti la esecuzione degli atti deliberativi assunti.


Ciò, tuttavia, non porta ad escludere la responsabilità degli organi politici sovraordinati, non potendosi invocare l’esistenza di una sorta di dicotomia tra profili organizzativi, esecutivi e di vigilanza, da un lato, che rientrerebbero nella sfera di competenza dei dirigenti preposti a ciascun ramo dell’amministrazione e, quindi al personale amministrativo; ed il potere di indirizzo, dall’altro, che apparterrebbe alla sfera politica, come se i due piani fossero assolutamente indipendenti e privi di collegamenti. In realtà la natura elettiva della carica non può esonerare da responsabilità penale (cfr. Cass. 23/6/94, 7301), così come l’eventuale delega conferita ai funzionari non è da sola idonea ad escludere completamente la responsabilità dei vertici dell’amministrazione: per un verso, infatti, questi ultimi rispondono sempre personalmente per l’omesso esercizio dei poteri propri (di vigilanza, di direzione, al limite di revoca della delega: cfr. Cass. 3/4/92, 3844); per altro verso gli stessi rispondono per tutti quei poteri che, non essendo stati delegati, anche perché non delegabili, devono essere esercitati personalmente (cfr. Cass. 8/4/93, 3448; Cass. 6/12/95, 11961; ecc.).


Ed infatti, perché possa trasferirsi la responsabilità dal politico al dirigente, come si desume agevolmente dalla lettura dell’art. 3 dlv. 29/93, è necessario che a quest’ultimo siano stati attribuiti effettivamente tutti i poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane e strumentali e di controllo necessarie per la realizzazione dell’attività richiesta dalla legge. Sicchè il dirigente non potrà rispondere dell’omissione di quelle attività che, comunque, non avrebbe potuto realizzare non avendone i relativi poteri. A maggior ragione nel caso in cui l’organo politico sia stato espressamente portato a conoscenza della situazione (cfr. Cass. 3/4/92, 3844).


A ciò aggiungasi che al sindaco continua certamente a competere la sorveglianza sul corretto andamento della amministrazione e, quindi, anche sulla attività svolta dagli assessori ai quali siano state rilasciate deleghe, ed ai funzionari, assumendo, nei confronti dell’operato di questi, una sorta di posizione di garanzia. Cosa che, ovviamente, non significa che dall’obbligo di sorveglianza, in maniera automatica, discenda una responsabilità penale del sindaco e/o degli assessori preposti, per le eventuali inadempienze degli amministratori. La sorveglianza, infatti, deve essere efficace, ma non presuppone affatto la conoscenza da parte del sindaco o degli assessori di ogni singolo atto e di ogni attività compiuta nell’ufficio da essi amministrato, o delle vicende che ivi si verifichino.


Sicchè una non corretta vigilanza potrà certamente determinare responsabilità di carattere politico e/o amministrativo. Ma sussisterà anche responsabilità penale, quanto meno a titolo di concorso, quando il sindaco o gli assessori fossero a conoscenza della vicenda, sicchè il mancato intervento non sia riconducibile ad una mera inefficienza nel controllo, ma ad una inerzia consapevole (cfr. Cass. 16/3/2000, 8615; Cass. III, 24/11/2000, 257).


Ne deriva che gli organi politici potranno risultare esenti da responsabilità esclusivamente nell’ipotesi in cui i delegati abbiano tutti i necessari poteri, e delle loro eventuali inadempienze i primi siano incolpevolmente estranei non essendo di esse nemmeno informati (cfr. Cass. III, 2/6/2000, 8585).


In capo al sindaco, dunque, per ben due ordini di ragioni, è dato ravvisare la sussistenza di una posizione di garanzia volta a tutelare la collettività dalle emissioni inquinanti che derivino dal traffico urbano dei veicoli.


Pertanto, ove in dipendenza delle condotte colpose o dolose, commissive od omissive, del sindaco, o delle persone da questi delegate, si verifichino eventi di inquinamento tali da porre in pericolo la pubblica incolumità, di essi il sindaco potrà essere chiamato a rispondere.

 


Inquinamento: i vari limiti


Una volta affermato il predetto principio generale occorre verificare se nel caso in esame si siano verificati – e quando – episodi di emissioni moleste, derivanti dal traffico di autoveicoli, al di là dei limiti imposti dalla legge, tali, quindi, da integrare un evento di danno per l’ambiente e di pericolo per la collettività.


Si è già osservato (v. pag. 2) come, ai fini della sussistenza del reato in questione, non sia sufficiente una qualsiasi emissione, né una emissione comunque molesta, essendo, invece, necessario che l’emissione sia vietata dalla legge o, comunque, non consentita.


Tale considerazione vale a maggior ragione nel caso di emissioni derivanti da traffico veicolare. La circolazione dei veicoli, infatti, è attività lecita. Essa, tuttavia, è tipicamente fonte di emissione di gas, polveri e rumori di per se inquinanti e certamente fastidiosi. Tuttavia, proprio in quanto attività consentita essa non può costituire direttamente ed immediatamente reato. Perché possa configurarsi un reato è necessario il raggiungimento di un livello di emissioni che sia espressamente vietato dalla legge.


Richiamando quanto sopra esaminato occorre evidenziare come per inquinamento l’art. 2 del d.p.r. 203/88 intenda ogni modificazione della normale composizione o stato fisico dell’aria atmosferica, dovuta alla presenza nella stessa di uno o più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da alterare le normali condizioni ambientali e di salubrità dell’aria; da costituire pericolo ovvero pregiudizio diretto o indiretto per la salute dell'uomo; da compromettere le attività ricreative e gli altri usi legittimi dell’ambiente; alterare le risorse biologiche e gli ecosistemi ed i beni materiali pubblici e privati.


In tal senso, come sopra si è accennato, la legislazione è intervenuta in vario modo individuando una serie di sostanze inquinanti e stabilendo varie gradazioni di limiti. Tuttavia gli unici valori che si possano considerare rilevanti ai fini della nozione giuridica di emissioni non consentite sono rappresentati dai limiti massimi di accettabilità e di esposizione (o valori limite di qualità dell’aria), fissati con il d.p.c.m. 28/3/83.


Tale norma, la cui validità è stata ribadita dal d.p.r. 203/88, che ha in parte aggiornato i valori, e, più di recente, dal d.lv. 351/99, ha previsto dei limiti massimi di accettabilità di alcuni inquinanti dell’aria nell’ambiente esterno.


In particolare, per quel che concerne il presente procedimento, la normativa in esame stabiliva i seguenti limiti:
 

biossido di zolfo 80 µg / m3 mediana delle concentrazioni medie di 24 ore nell’arco di un anno
250 µg / m3 98° percentile delle concentrazioni medie di 24 ore rilevate nell’arco di un anno
130 µg / m3 mediana delle concentrazioni medie di 24 ore rilevate durante l’inverno
biossido di azoto 200 µg / m3 98° percentile delle concentrazioni medie di 1 ora rilevate durante l’anno
ozono 200 µg / m3 concentrazione media di un’ora da non raggiungere più di una volta al mese
monossido di carbonio 10 µg / m3 concentrazione media di 8 ore
40 µg / m3 concentrazione media di un’ora
particelle sospese 150 µg / m3 media aritmetica di tutte le concentrazioni medie di 24 ore rilevate nell’arco di un anno
300 µg / m3 95° percentile di tutte le concentrazioni medie di 24 ore rilevate nell’arco di un anno

   

Con il d.p.r. 203/88 si introducevano i concetti di valori limite e valori guida di qualità dell’aria, individuando i primi come i limiti massimi di accettabilità delle concentrazioni e limiti massimi di esposizione relativi ad inquinanti nell’ambiente esterno, ed i secondi come i limiti delle concentrazioni e limiti di esposizione relativi ad inquinamenti nell’ambiente esterno destinati alla prevenzione a lungo termine in materia di salute e protezione dell’ambiente ed a costituire parametri di riferimento per l’istituzione di zone specifiche di protezione ambientale per le quali è necessaria una particolare tutela della qualità dell’aria. Rinviando, quindi, a successivi decreti la fissazione dei predetti valori, facendo salvi, nelle more, quelli di cui al predetto decreto.


Deve, pertanto, ritenersi che proprio tali limiti individuino le soglie massime consentite di inquinanti nell’atmosfera, superate le quali si debba parlare di evento dannoso per la salute pubblica.


Si è anche evidenziato come, con i decreti ministeriali 15/4/94 e 25/11/94, siano stati introdotti i livelli di attenzione e di allarme, definendosi per stati di attenzione e di allarme quelli in base ai quali adottare provvedimenti per prevenire episodi acuti di inquinamento atmosferico e per rientrare nei limiti della norma nel caso in cui i livelli di attenzione o di allarme siano stati superati, anche al fine di prevenire il superamento dei limiti massimi di accettabilità della concentrazione e di esposizione fissati dal D.P.C.M. 28 marzo 1983 e dal d.p.r. 24 maggio 1988 n. 203.


Il primo di tali decreti introduceva i seguenti parametri:
 

 

inquinante   livello di attenzione livello di allarme
biossido di zolfo (media giornaliera) µg / m3 125 150
particelle sospese (media giornaliera) µg / m3 150 300
biossido di azoto (media oraria) µg / m3 200 400
monossido di carbonio (media oraria) µg / m3 15 30
ozono (media oraria) µg / m3 180 360


Con il secondo decreto (d.m. 25/11/94), che si presentava come un aggiornamento del primo, veniva fissato all’art. 4 l’obiettivo di qualità dell’aria, inteso come valore medio di riferimento su base annuale, per la frazione delle particelle sospese PM10, il benzene, e gli IPA, con riferimento al 1° gennaio 1996 ed al 1° gennaio 1999.

In particolare:
 

inquinante   obiettivo di qualità ‘96-‘98 obiettivo di qualità dal ‘99
benzene (media annuale) µg / m3 15 10
PM10 (media annuale) µg / m3 60 40
IPA (media annuale) µg / m3 2,5 1



Singolare – e sintomatico della confusione regnante in materia – come tale decreto intenda aggiornare il precedente e poi, di fatto, introduca anche una voce (obiettivo di qualità dell’aria) che, in realtà, non ha precedenti normativi (trovando una definizione legislativa solo con il d.lv. 351/99).


Come si evince, tuttavia, dal tenore della normativa – e come sopra anticipato – questi ultimi limiti non individuano un vero e proprio fenomeno di inquinamento, cioè non rappresentano una soglia legale invalicabile, ma, nell’ambito di una legislazione volta a disciplinare gli interventi prodromici e, quindi ad anticipare la tutela, regolamentando l’adozione di misure preventive, essi – così come, del resto, si legge chiaramente all’art. 1 c. 2 d.m. 15/4/948 – rappresentano delle soglie di allerta alle quali collegare una serie di interventi, più o meno obbligatori, aventi la funzione di impedire l’evoluzione negativa dello stato ambientale e, quindi, il verificarsi dell’evento dannoso rappresentato dal superamento dei limiti massimi di accettabilità di cui al summenzionato d.p.c.m. 28/3/83, gli unici, veramente inderogabili, i quali corrispondono a valori che, ove superati, incidono con certezza sull’integrità della salute umana.


Con l’introduzione dei livelli e degli stati di attenzione e di allarme e degli obiettivi di qualità dell’aria, pertanto, si è inteso regimentare la discrezionalità degli organi preposti, in sede locale, alla tutela dell’ambiente, stabilendo le soglie in relazione alle quali devono scattare gli interventi volti a prevenire il superamento dei limiti inderogabili, evento questo che, infatti – come anche osservato dal consulente del pubblico ministero – comporterebbe un grave nocumento per la salute; mentre il superamento delle soglie prodromiche – e tra queste vi è anche da considerare l’obiettivo di qualità dell’aria relativo alle PM10 – oltre a fungere da campanello d’allarme, inciderebbe essenzialmente sulla qualità della vita9. Ed infatti quando il legislatore ha inteso recepire e normare tale concetto, all’art. 2 d.lv. 351/99, ha chiarito che per valore obiettivo deve intendersi il livello fissato al fine di evitare, a lungo termine ulteriori effetti dannosi per la salute umana o per l’ambiente nel suo complesso. Livello che deve essere raggiunto per quanto possibile nel corso di un dato periodo, a differenza del valore limite, il quale deve tassativamente essere raggiunto in un determinato periodo e in seguito non superato, e che, solo, rappresenta quello idoneo ad arrecare effetti dannosi sulla salute umana o per l’ambiente nel suo complesso.


Del resto che tale concetto di limite si debba ricondurre all’intento legislativo di intervenire in forma preventiva, piuttosto che allo scopo di porre una soglia massima e non superabile, si deduce dal fatto che questo sia stato introdotto non con un atto del Consigli dei Ministri e come modifica o integrazione del più volte citato d.p.c.m. 28/3/83, bensì con un decreto ministeriale e come integrazione del d.m. 15/4/94.


Per completezza deve, comunque, aggiungersi come sia necessario dubitare seriamente circa l’efficacia precettiva delle soglie imposte con i d.m. 15/4/94 e 25/11/94, almeno fino all’approvazione della l. 4/11/1997 n. 413. Con tali atti, invero, il governo, come sopra evidenziato, ha inteso porre dei criteri generali volti a regolamentare gli interventi preventivi dei vari enti locali. Una simile funzione di indirizzo, come del resto precisato dalla stessa Corte Costituzionale nella sentenza n. 113/94, dovrebbe essere attuata, conformemente al disposto della l. 400/88 e del menzionato d.p.r. 203/8810, mediante deliberazione del Consiglio dei Ministri, e non con decreto ministeriale, atto con il quale, fino all’approvazione della l. 413/97, avrebbero potuto essere disciplinate solo le materie di cui al comma 2 dell’art. 3 d.p.r. 203/88.


Con la conseguenza che tali decreti, emanati senza una copertura legislativa, anzi in contrasto con le disposizioni vigenti, non avrebbero potuto vincolare gli amministratori locali. Al punto da indurre il legislatore ad un intervento – operato con la menzionata l. 413/97 – che, riqualificando il ruolo del Ministero dell’Ambiente, operava una sorta di sanatoria, quanto meno per il futuro, della predetta normativa.


In conclusione, posto che, come sopra osservato, il reato per cui si procede è reato di pericolo concreto collegato ad un evento e ad un livello di emissioni non consentito dalla legge, si può affermare che solo il superamento dei limiti di qualità dell’aria (limiti massimi di accettabilità) determina la realizzazione di un fatto di inquinamento sanzionabile a norma dell’art. 674 c.p., restando gli altri valori (obiettivi di qualità; livelli di attenzione e livelli di allarme) solo delle soglie prodromiche di pericolo, volte ad anticipare l’eventuale successiva verificazione del danno.


Ne consegue che, ai fini della sussistenza del reato contestato, occorrerà verificare se, nel periodo in esame, siano stati superati da parte di alcuni inquinanti i predetti limiti massimi, i soli per i quali è possibile rinvenire un vincolo assoluto di legge. Mentre il superamento delle soglie d’allarme o di attenzione, che pure avrebbe potuto o dovuto determinare l’intervento degli organi competenti a fini preventivi, ove non seguito dal superamento dei limiti massimi, non darebbe luogo all’evento di cui al reato per il quale si procede.



L’inquinamento sul viale Boccetta


Prima di procedere ad ulteriori considerazioni deve osservarsi come la contestazione concerna esclusivamente i fenomeni di inquinamento nell’area di Boccetta, restando estranee al processo altre aree che pure, dalla documentazione prodotta, risulterebbero interessate da fenomeni analoghi e forse più consistenti.


Ciò premesso, nel caso in esame, come risulta dall’istruttoria dibattimentale, la situazione atmosferica relativa all’area del viale Boccetta sarebbe stata monitorata, (più o meno) conformemente alle disposizioni di cui ai menzionati decreti, a cura della Provincia Regionale. Tale ente, in particolare, avrebbe provveduto ad installare alcune stazioni di rilevamento nel territorio del comune di Messina. Una di queste (denominata Archimede) sarebbe stata collocata sul viale Boccetta (in realtà ad una decina di metri da tale strada).


Risulta altresì che monitoraggi discontinui – come tali inidonei ai fini dell’applicazione della normativa sopra esaminata, ma utilizzabili solo a fini indicativi – sarebbero stati effettuati, in varie epoche, a cura dell’Università di Messina.


Di tali dati solo parzialmente si ha contezza diretta, risultando, per lo più, gli stessi o dalle relazioni riassuntive, ovvero dai riferimenti indiretti forniti dai consulenti.


Comunque, in base a tali emergenze, è possibile operare una ricostruzione – sia pure incompleta – della situazione ambientale dell’area in questione. In proposito, per le argomentazioni sopra svolte, appare opportuno distinguere, le PM10 dagli altri inquinanti.


Con riferimento al monossido di carbonio (CO) ed al biossido di azoto (NO2), risulta agli atti una nota della Provincia, inoltrata al Comune di Messina in persona del dott. P., con la quale, facendo seguito alla riunione del 31/10/96, venivano trasmessi i dati riepilogativi per l’anno 1996 (gennaio settembre) comparati a quelli del 1995.
Dall’esame della stessa si evincono, per la stazione Archimede i seguenti dati:

 

monossido di carbonio 1994 1995 1996
valore massimo mg/mc 47,4 28,8 24,1
superamenti livello di attenzione (15mg/mc) n. 314 129 23
superamenti livello di allarme (30 mg/mc) n. 6 0 0

 

biossido di azoto 1994 1995 1996
valore massimo µg/m3 508 671 320
superamenti livello di attenzione 309 103 83
superamenti livello di allarme 2 7 0



Dagli ulteriori documenti risulta che nell’anno 1999 venivano rilevati due superamenti del livello di attenzione per il CO, e nessuno per quanto riguarda gli altri inquinanti (biossido di azoto, ozono), mentre la concentrazione media del benzene risultava ampiamente al di sotto dei limiti.


Nell’anno 2000, invece, nove risultavano i superamenti del livello di attenzione per il CO.


In base ai dati riportati dal consulente di parte civile ed asseritamente rilevati dal rapporto della Provincia di Messina, per gli anni 1997-1999 si avrebbero le seguenti rilevazioni:
 

monossido di carbonio 1997 1998 1999
superamenti livello di attenzione (15mg/mc) n. 4 24 2
superamenti livello di allarme (30 mg/mc) n. 0 3 0


 

biossido di azoto 1997 1998 1999
superamenti livello di attenzione 86 18 567
superamenti livello di allarme 0 0 0

 

Corre l’obbligo di evidenziare come i dati riferiti dal consulente per il periodo 1994-1996 non coincidono per molti versi con quelli di cui alla predetta nota della Provincia presente in atti.


Più dettagliati gli elementi acquisiti con riferimento alle polveri sottili (PM10). Risulta, in primo luogo, che in data 8/8/95, dal Settore Ambiente della Provincia Regionale, venivano inoltrati al Sindaco di Messina ed al Capo Servizio Igiene Pubblica, in ottemperanza al D.M. 25/11/94, i risultati analitici relativi alla prima campagna di monitoraggio eseguita, sostanzialmente in via sperimentale, in attuazione del D.M. 25/11/94. La relazione, peraltro, precisava che, per carenza di strumentazione, non era possibile valutare la concentrazione della frazione respirabile delle particelle sospese (PM10) su base annuale, contemporaneamente nelle diverse stazioni dislocate nell’area urbana, sicchè si attribuiva all’indagine un carattere conoscitivo, oltre che sperimentale.


L’esito dell’osservazione, condotta tra il 23/5/95 ed il 12/6/95, tramite una postazione collocata a circa 26 mt. più in alto rispetto al viale Boccetta, evidenziava che in un solo giorno la concentrazione dei PM10 aveva superato il valore di riferimento (che, peraltro, sarebbe entrato in vigore solo a partire dal 1/1/96) di 60 , attestandosi sul livello di 66,5 , mentre negli altri giorni esso restava abbondantemente al di sotto del limite, per una media, nel periodo, di 42,8.


Successivamente, in data 11/1/96, veniva inoltrata una nuova relazione al Sindaco, all’Assessore all’Ambiente e, per conoscenza, alla Soprintendenza Beni Culturali. Il documento si riferiva alle misurazioni effettuate tra il luglio e l’ottobre 1995 mediante una postazione ubicata sul viale Boccetta. L’esito delle misurazioni evidenziava che i valori degli inquinanti (benzene e PM10) si discostavano in eccesso dall’obiettivo di qualità. Pertanto, sebbene la campagna non avesse portata annuale, si invitava il Comune a definire le strategie di prevenzione per l’inquinante preso in considerazione.


In data 16/1/97, per eventuali provvedimenti di competenza, veniva trasmessa la relazione conclusiva relativa al monitoraggio su base annuale di PM10 ed IPA, effettuato dalla medesima postazione di Boccetta, evidenziandosi che la media annuale dei dati relativi all’inquinante PM10 (polveri fini) pari a 70,6 std supera l’obiettivo di qualità previsto dal D.M. 25/11/94.


La situazione appariva sensibilmente migliorata nel periodo successivo. Invero, con nota del 23/2/98, veniva inoltrata la relazione inerente il monitoraggio avvenuto tra il gennaio ed il dicembre 1997. Le concentrazioni, espresse come media giornaliera, delle PM10 evidenziano frequentemente il raggiungimento e talora il superamento del valore di 60 std (media annuale) previsto come obiettivo di qualità dell’aria, attestandosi, tuttavia, su una media annuale di 60,27 , ed essendo stato superato il valore limite di 60 nei mesi invernali di gennaio, febbraio, novembre e dicembre.


Quanto agli I.P.A. si precisava che il benzo(a)pirene, ritenuto dalla comunità scientifica internazionale cancerogeno per l’uomo, è stato riscontrato su 30 campioni di PM10 (frazione più leggera del particolato totale) in concentrazione variabile da un minimo di 0,2 ng/m3. Sicché, tenuto conto che questi valori sono stati riscontrati su una frazione del particolato e, per di più, in una postazione non immediatamente adiacente all’arteria stradale (altezza circa 4 metri) è quanto mai necessario procedere a degli interventi di contenimento del traffico cittadino, evidenziandosi, peraltro, che per il benzo(a)pirene è previsto un obiettivo di qualità pari a 2,5 ng/m3 e, a partire dal 1/1/99, di 1 ng/m3.


Nel corso del 1998 l’indagine relativa alle PM10, a quanto pare, veniva effettuata in altri siti, sicchè, dalla documentazione in atti, nessun dato sarebbe in possesso della Provincia con riferimento al viale Boccetta.


Il monitoraggio sul viale Boccetta veniva ripreso nel 1999 (verosimilmente con l’uso di analizzatori continui automatici). Nel corso dell’anno, come si evince dalla relazione inviata al Sindaco in data 14/2/2000, nella stazione collocata nei pressi di tale strada veniva rilevata una concentrazione media di PM10 pari a 41,6 , superiore al limite di 40 in vigore a partire dal 1/1/99, ma evidentemente inferiore al valore rilevato nel 1997.


La relazione inviata in data 21/2/2001 evidenziava come, nel corso dell’anno 2000, la media annuale della concentrazione dei PM10 era stata di 34 , entro i limiti di qualità.


Quanto, infine, al 2001, secondo i dati forniti dal consulente di parte civile, la concentrazione delle PM10 si sarebbe attestata a 36.


In definitiva, sulla base di tali dati e delle altre risultanze istruttorie, la situazione potrebbe essere riassunta in questi termini:
• nell’anno 1994 venivano rilevati, per il CO, n. 314 superamenti del livello di attenzione e n. 6 di allarme con punte di concentrazione che raggiungevano i 47,4 mg/mc; per il NO2 n. 309 superamenti del livello di attenzione e n. 2 di allarme, con punte di concentrazione che raggiungevano i 508 .
• nell’anno 1995, con misurazioni in realtà condotte solo per alcuni mesi, veniva rilevato il superamento dell’obiettivo di qualità dell’aria – peraltro in vigore solo dal successivo 1/1/96 – di 60 per le PM10, registrandosi una media annua di 66,5 . Nello stesso anno veniva rilevato un valore massimo di CO di 28,8 mg/mc con 129 superamenti della soglia di attenzione di 15mg/mc; nonché un valore massimo di 671 di biossido di azoto con 103 superamenti della soglia di attenzione e 7 superamenti della soglia di allarme.
• nell’anno 1996, sempre con riferimento alle PM10, veniva rilevato un valore medio annuale di 70,6 . Veniva poi registrato un valore massimo di CO di 24,1 mg/mc con 23 superamenti della soglia di attenzione, nonché un valore massimo di biossido di azoto di 320 con 83 superamenti della soglia di attenzione.
• nell’anno 1997, con riferimento alle sole PM10 si constatava un valore medio annuale di 60,27 ; mentre, secondo quanto riferito dal consulente di parte civile, 4 volte sarebbe stata superata la soglia di attenzione per il CO e 86 per il biossido di azoto;
• nell’anno 1998, secondo i dati forniti dal consulente della parte civile, 18 volte sarebbe stato superato il livello di attenzione per il biossido di azoto e 24 volte per il monossido di carbonio che, in tre circostanze, avrebbe superato anche il livello di allarme;
• nell’anno 1999, il valore medio annuale per le PM10 si attestava su 41,6 , a fronte dell’obiettivo di qualità, in vigore dal gennaio 1999, di 40 . Nel medesimo periodo in due occasioni l’ossido di carbonio superava i livelli di attenzione, mentre il biossido di azoto, secondo l’ing. S., superava tale soglia 567 volte, dato, però, non segnalato dalla Provincia.
• nell’anno 2000 gli unici superamenti riguarderebbero – secondo i dati della parte civile – il CO che, in nove occasioni avrebbe oltrepassato il livello di attenzione.
• nell’anno 2001, secondo il consulente di parte civile, si registrerebbe solo un superamento del limite di attenzione per il CO.



La valutazione dei dati – il superamento dei limiti di attenzione e di allarme


L’istruttoria avrebbe, dunque, evidenziato (il condizionale è d’obbligo dal momento che non sono stati prodotti tutti i dati delle misurazioni, ma questi sono stati, per lo più, solo oggetto di testimonianza, sicchè non è possibile fornire una valutazione in ordine agli aspetti controversi di tali testimonianze: basti confrontare i dati sintetici comunicati dalla Provincia con la relazione della consulente di parte civile), per un verso, lungo tutto l’arco temporale oggetto di contestazione, il superamento dei limiti di attenzione e, talora, di allarme, sostanzialmente da parte di due inquinanti: il monossido di carbonio ed il biossido di azoto (nel 1994, nel 1995, nel 1996, nel 1999 e nel 2000).


Tale circostanza, tuttavia, non può essere intesa come idonea ad integrare il reato contestato. Infatti, a prescindere dalla riferibilità di questi dati (attinti dalla postazione “Archimede”) all’area del viale Boccetta, si è già osservato (v. pag. 2) che il reato per cui si procede, in relazione alle emissioni inquinanti, si configura solo allorché vengano violati i limiti di legge. Tali limiti, nel caso di specie, come sopra evidenziato, devono essere individuati nei limiti massimi di accettabilità di cui al d.p.c.m. 28/3/83 (denominati valori limite di qualità dell’aria secondo l’art. 2 c. 2 d.P.R. 203/88).


Per contro i livelli di attenzione e di allarme (di cui al d.m. 15/4/94 ed al successivo d.m. 25/11/94), a prescindere dal loro carattere precettivo, non individuano un limite inderogabile ai sensi dell’art. 674 c.p., ma solo una soglia anticipata di tutela, che muove dalla necessità di tipizzare tecniche e condotte preventive, volte ad impedire il superamento dei limiti massimi di accettabilità, uniformi per tutto il territorio dello Stato; nonché a responsabilizzare le amministrazioni locali di fronte al fenomeno dell’inquinamento, mediante la previsione di soglie normative al raggiungimento delle quali diventa necessario un certo tipo di intervento in chiave preventiva.


Se ne desume come al verificarsi di tali condizioni non possa attribuirsi il significato giuridico di un evento di danno, il quale si verificherebbe, invece, ove, oltre al superamento dei vari limiti di attenzione e di allarme, venissero superati anche i limiti di accettabilità. Parimenti i limiti in questione non possono considerarsi limiti assoluti, ma solo soglie alle quali si collega un obbligo di intervento a scopo preventivo.


Nel caso in esame per i predetti inquinanti sarebbero stati superati i limiti di attenzione e, raramente, i limiti di allarme, senza, tuttavia, che, al superamento di tali limiti, conseguisse anche il superamento dei limiti massimi di accettabilità, e senza, pertanto, che possa dirsi integrato il reato contestato.


Invero di sussistenza del reato si sarebbe potuto parlare nel caso in cui si fossero superati i predetti limiti di accettabilità. Tale superamento, però, al di là dell’apodittica affermazione del consulente di parte civile, non risulta essersi verificato. Dall’istruttoria compiuta, in particolare, un simile evento non emerge, non essendo stato rilevato né in alcun documento ufficiale, né in alcuna relazione dei periti, che, anzi, lo hanno escluso. È stato, invece, affermato in sede di istruttoria, solo dall’ing. S.11, senza, peraltro, che di tale assunto si sia dato conto nella relazione dalla stessa depositata. Deve ritenersi, però, che tale conclusione (v. pag. 2) sia priva di supporto, anzi, apparentemente, smentita proprio dallo stesso tecnico, in sede di istruttoria (quando si dice che il 98° percentile relativamente al biossido di azoto è stato rilevato nella norma), e nella propria relazione, dove l’unico riferimento alla misurazione del limite di qualità dell’aria, riferita al 1999 per il biossido di azoto, appare nei limiti di legge. Ed in realtà il consulente di parte civile è giunto alla conclusione del superamento di tali limiti sulla base di un probabile equivoco: lo stesso, infatti, ha affermato che i limiti di accettabilità e quelli di attenzione o di allarme coincidono. Ed infatti ha anche sostanzialmente sostenuto che il superamento di tale soglia si sarebbe verificato anche per le PM10, per le quali, tuttavia, non esiste disciplina nel d.p.c.m. 28/3/83, e non è previsto un limite massimo di accettabilità.


In realtà i limiti di accettabilità non coincidono con quelli di attenzione o di allarme. Infatti, a prescindere dal valore numerico, diversi sono i criteri di calcolo o di misurazione, facendo, i primi, riferimento a medie ponderate o corrette, per di più relative a periodi di tempo assai più ampi. Così, per esempio, il superamento del limite di attenzione per il biossido di azoto (200 come media oraria), non implica automaticamente il superamento del limite di accettabilità, il quale è sì pari a 200 , ma calcolato, sostanzialmente, come media annua (98° percentile delle concentrazioni medie di un’ora rilevate durante l’anno). Sicché non appare corretto dire, nel caso del biossido di azoto, che «il novantottesime percentile, … è inferiore…» al limite di legge; «però sui valori orari … ci sono i superamenti». Ciò, in quanto il valore deve essere calcolato su base annua e non su base oraria, ed il superamento di un valore in un determinato istante, non vuol dire che tale valore venga superato costantemente o mediamente per tutto l’anno.


Si può, pertanto, ribadire come nel caso di specie non risulti il superamento dei limiti massimi di accettabilità e, conseguenzialmente, non possa ritenersi integrato il reato in esame per i predetti inquinanti.


Per completezza, tuttavia, occorre svolgere ulteriori considerazioni.


In primo luogo ci si deve soffermare sugli asseriti obblighi che si fanno discendere dal superamento dei limiti di attenzione o di allarme. In realtà, a ben vedere, fino al 1999, in base alla normativa vigente – e sempre prescindendosi dalla reale efficacia precettiva dei d.m. 15/4/94 e 25/11/94 – la necessità di adottare provvedimenti e la correlata situazione di pericolo, vengono collegati non al mero superamento, da parte di un inquinante, del livello di attenzione o di allarme; bensì al verificarsi di quello che viene definito stato di attenzione o di allarme. Condizione che, in particolare, si verifica quando al termine del ciclo di monitoraggio (di 24 ore), si rileva il superamento per uno o più inquinanti dei rispettivi livelli di attenzione e di allarme in un certo numero di stazioni, anche non contemporaneamente. Essa, pertanto, si realizza quando nella medesima giornata, anche se non contemporaneamente, per un determinato inquinante si registra, in un certo numero di stazioni della rete (in percentuale sul numero complessivo installato), il superamento, del livello di attenzione o di allarme. Per contro il superamento di tale livello in una sola stazione non è condizione idonea a fare scattare lo stato di attenzione o di allarme.


La medesima normativa, poi, pur nell’affermare la generale esigenza di intervento, in realtà non specifica quali siano i provvedimenti da adottare, limitandosi ad imporre l’obbligo di informare la collettività (che, ovviamente, nessun rilievo assume nel procedimento in questione, non essendo atto in alcun modo idoneo ad incidere sul livello delle emissioni), e quello, assolutamente generico, di adottare quei provvedimenti che l’autorità competente ritiene necessari, lasciando, però, sul punto, ampia e illimitata discrezionalità.


Ebbene, secondo quanto emerso dall’istruttoria, nel caso in esame, pur essendosi registrati nel tempo vari superamenti del livello di attenzione o di allarme, mai questi avrebbero interessato, nell’ambito del medesimo ciclo, altre stazioni oltre quella ubicata presso l’Archimede. Sicché mai si sarebbe verificato uno stato di attenzione e, men che mai, di allarme.


Non corretta appare, sul punto, l’affermazione del consulente di parte civile12, la quale sostiene che, in particolare nel 1996, il superamento dei livelli di attenzione avrebbe interessato, addirittura, il 100% delle stazioni. L’assunto, in realtà, appare frutto di un equivoco, essendo fondato sull’erroneo presupposto della presenza, lungo il viale Boccetta, di più stazioni di rilevamento della Provincia. Circostanza inesatta. Dalle risultanze emerge, infatti che la Provincia ha provveduto ad installare un’unica stazione sul viale Boccetta, come sopra detto presso il Liceo Archimede; mentre altre sono state dislocate in diverse parti della città (Istituto Jaci; v.le della Libertà; Minissale; villa Dante). Le diverse stazioni cui, invece, fa riferimento il consulente, corrispondono, verosimilmente (del resto è lo stesso consulente ad ammetterlo), a delle postazioni mobili, installate per qualche tempo, a fini di studio, dall’Università di Messina. Quanto, invece, alla postazione che il consulente riferisce all’istituto Buon Pastore, essa è sì una installazione della Provincia, ma risulta relativa esclusivamente alle misurazioni manuali delle sole PM10 (e non degli altri inquinanti), e sarebbe stata mantenuta in vita fino all’introduzione, verosimilmente presso l’Archimede, di un sistema di rilevazione automatico.


É evidente che la sussistenza di uno stato di allarme o di attenzione va correlata solo ed esclusivamente al raggiungimento degli omologhi livelli presso le stazioni della rete di rilevamento dell’organo istituzionalmente preposto; restando ininfluenti le eventuali rilevazioni effettuate autonomamente da altri soggetti, pubblici o privati, che, però, nessun rapporto istituzionale hanno, in proposito, con il Comune, e che sono estranei alla rete di rilevamento.


In base a tali considerazioni, si dovrebbe, pertanto, concludere che, a prescindere dalla integrazione del reato contestato, comunque, nessun obbligo sarebbe gravato sul Comune, neppure in applicazione dei menzionati decreti ministeriali, non risultando mai verificato alcuno stato di attenzione né di allarme, e non determinando, comunque, un tale stato l’obbligo di adottare una misura specifica.


Si aggiunga, poi, che i superamenti dei livelli di attenzione e di allarme, come chiarito nel corso dell’istruttoria, non sarebbero stati neppure tempestivamente notificati al Comune. In proposito non può sfuggire come l’organizzazione della rete di monitoraggio sia risultata più che precaria ed approssimativa, nell’ambito di una generale inefficienza del settore, tanto a livello regionale, che provinciale. Sicché, comunque, non si vede in che modo il comune avrebbe potuto adottare misure d’urgenza.


Né muta di molto il quadro, ai fini del presente procedimento, con l’approvazione della l. 413/97 e dell’attuativo d.m. 163/99, in base ai quali si impone l’adozione di misure limitative della circolazione solo in quelle zone in cui, in conseguenza della valutazione preliminare e dei successivi rapporti annuali, si rilevino, nell’arco dell’anno, superamenti frequenti e significativi dei livelli di attenzione. Lasciandosi, dunque, agli organi competenti, ampi margini di valutazione circa la individuazione dei presupposti per l’attuazione obbligatoria delle misure, per la cui sussistenza si richiede che i superamenti dei livelli di attenzione siano, contemporaneamente, frequenti e significativi (cioè non di modesta entità).
In proposito deve rilevarsi che gli stessi tecnici escussi hanno evidenziato come, in tutto l’arco temporale in esame, i vari superamenti dei livelli di attenzione o di allarme registrati, avrebbero avuto sempre carattere occasionale, regredendo spontaneamente nell’arco di breve tempo e senza necessità di interventi.


Lo stesso pubblico ministero, in sede di conclusioni, ha ammesso che mai si sarebbe verificato un fatto implicante l’adozione delle misure repressive di cui, tra l’altro, al d.m. 163/99. Salvo, però, sostenere ugualmente la responsabilità degli imputati, collegandola alla omessa adozione di misure preventive. Tuttavia, posto che si procede per un reato di evento e non di mera condotta, non è dato comprendere in cosa si sarebbe sostanziata la responsabilità se, pur non essendo state adottate misure preventive, comunque, mai si è verificato l’evento che si mirava a prevenire.
 


Gli obiettivi di qualità: le polveri sottili


Diverso e più articolato il discorso con riferimento alle polveri sottili. Le PM10, o micropolveri, polveri aventi diametro inferiore a 10 micron, sono, come noto, considerate pericolose in quanto, depositandosi negli alveoli polmonari, possono interferire con il passaggio dell’ossigeno nel sangue. L’emissione di tali polveri deriva principalmente dai vecchi motori diesel, prodotti ed immatricolati in epoca anteriore al 1996, ed in particolare dai motori più grossi, quali quelli dei veicoli pesanti.


Con riferimento a tale inquinante, come sopra osservato, solo a partire dal 1996 è stato introdotto nella legislazione italiana un parametro di riferimento. Infatti il d.m. 25/11/94, all’art. 4, individuava l’obiettivo di qualità dell’aria, inteso come valore medio su base annuale, per la frazione delle particelle sospese PM10, con riferimento al 1° gennaio 1996 ed al 1° gennaio 1999, fissando, per la prima data, come limite per la frazione respirabile, il valore di 60 e, per il periodo successivo al 1/1/99, il valore di 40.


Tale normativa, peraltro, si limitava a fissare l’obiettivo di qualità su base annua, come media dei valori giornalieri, senza, però, porre obiettivi o limiti a scadenza più ridotta (giornalieri, orari, ecc.). Solo di recente, con il D.M. ambiente 2 aprile 2002 n. 60, sono state recepite le direttive comunitarie 99/30/CE e 00/69/CE con le quali vengono fissati nuovi limiti, da rispettare a partire dal 1/1/2005 e dal 1/1/2010, nonché un limite giornaliero con un certo numero di possibili superamenti ammesso nell’arco dell’anno. Con tale decreto, in particolare, viene introdotto un valore limite per le PM10 che, a partire dal 2005, è fissato in 40 come media annuale. Prima di tale momento, a partire dal 19/7/99, tale limite viene innalzato attraverso una soglia di tolleranza pari a 8 , che viene ridotta costantemente, di anno in anno, fino ad azzerarsi nel 2005. Sicché, di fatto, per l’anno 2000, il valore limite doveva ritenersi fissato in 48.


Rispetto all’obiettivo stabilito dal d.m. 25/11/94, nel corso degli anni, come sopra osservato, sono stati rilevati diversi superamenti mediante postazioni direttamente (o indirettamente) ubicate sul viale Boccetta. Fenomeno, peraltro, comune a tante altre città, come si evince dai dati forniti dal consulente del pubblico ministero.


Anche qui, però l’evento va escluso con riferimento agli anni 1998, 2000 e 2001. Quanto al 1998, infatti, non risultano rilevazioni dell’inquinante nella zona in esame, sicché non sussiste alcuna prova della verificazione dell’episodio contestato. Quanto al 2000 ed al 2001, poi, questo risulta chiaramente escluso dai dati forniti dalla Provincia che non hanno evidenziato il superamento dell’obiettivo nell’area in questione. Né giova la considerazione che, secondo quanto osservato dalla stessa Provincia Regionale e dal consulente di parte civile, il metodo utilizzato per tale periodo, benché conforme a quanto previsto dalla legge, restituirebbe, forse, valori sottostimati del 20%. Per un verso, infatti, la metodologia di campionamento e misura era quella conforme a legge. Per altro verso di tale difetto – almeno secondo quanto emerso nel presente processo – vi sarebbe solo un sospetto, fondato su uno studio condotto dall’ARPA di Torino (o dal CNR), ma, a quanto pare, non una prova scientifica. Con la conseguenza che non è possibile affermare con certezza che la concentrazione rilevata dalla Provincia Regionale di Messina per gli anni 2000 e 2001 fosse effettivamente sottostimata, e, men che meno, l’entità dello scostamento del dato rilevato rispetto a quello reale. Né, comunque, tale discrasia all’epoca dei fatti doveva essere necessariamente nota agli amministratori.


Sicché, una simile considerazione, può solo indurre a considerare tali dati col beneficio del dubbio13. Dubbio che, ovviamente, è cosa assai diversa dalla prova del fatto.


A ciò aggiungasi come, in virtù della direttiva comunitaria 99/30/CE sopra menzionata, entrata in vigore il 19/7/99, nonché della direttiva comunitaria 2000/69/CE, e del d.m. 2/4/2002 n. 60 (che, tra l’altro, ha abrogato il d.m. 25/11/94), per l’anno 2000 il valore limite annuale (ai sensi del d.lv. 351/99) per le PM10 doveva ritenersi stabilito in 48 , quindi superiore al valore registrato, ancorché quest’ultimo corretto in aumento del 20%.


Ad analoga conclusione deve pervenirsi con riferimento al 1994 ed al 1995. Invero l’obiettivo di qualità dell’aria di 60 per le PM10 venne introdotto solo a partire dal 1996, sicché, per le ragioni in precedenza espresse, il superamento di tale valore quando lo stesso non era stato ancora posto, non può dare luogo al reato contestato. Tanto più che nessuna rilevazione risulta per l’anno 1994; mentre per l’anno 1995 esiste solo una rilevazione parziale, effettuata in alcuni mesi (e non per tutto l’anno), ed in via sperimentale, quindi, comunque, inidonea a fornire un valore giuridicamente rilevante.
Diversa la questione con riferimento agli altri periodi, nei quali, sono stati registrati scostamenti, più o meno sensibili, della concentrazione di PM10 rispetto al valore obiettivo. Sebbene, in realtà, l’unico superamento realmente rilevante si realizza solo nel 1997, risultando, invece, estremamente modesto negli altri anni.


Sul punto si è osservato in precedenza come l’unico parametro esistente con riferimento a tale inquinante è rappresentato dall’obiettivo di qualità dell’aria fissato con d.m. 25/11/94. Si è già detto sopra (v. pagg. 2 e ss.) – e qui va ribadito – che tale valore non può essere considerato un limite assoluto, almeno fino al 2000, alla stregua dei limiti massimi di accettabilità, ma solo un obiettivo da raggiungere e rispettare in quanto possibile. Ne consegue che, per le ragioni sopra esposte, il superamento di tale parametro non può costituire, di per sé, condotta idonea ad integrare gli estremi del reato di cui all’art. 674 c.p., norma che – si è più volte ribadito – richiede che il livello di emissioni sia non consentito dalla legge.


Né, a tal fine, può invocarsi la disciplina di cui al d.m. 21/4/99 attuativo della l. 413/97 (peraltro applicabile solo successivamente al 1999 e, quindi, non imputabile alle condotte precedenti), con cui, sostanzialmente, si impone ai sindaci di alcune città (tra le quali Messina) di adottare provvedimenti limitativi della circolazione, tra l’altro, nel caso in cui il valore medio annuo delle PM10 sia superiore al valore obiettivo di cui al decreto 25/11/94. Tali misure, infatti sono imposte non in quanto venga attribuito all’obiettivo di qualità il valore di un limite legale insuperabile, ma, come chiarisce l’art. 3 del medesimo decreto, ai fini della prevenzione dell’inquinamento atmosferico, cioè, conformemente a quanto, successivamente, stabilito dal d.lv. 351/99, al fine di evitare, nel lungo periodo, una degenerazione dell’aria ambiente. Il valore obiettivo, dunque, rimane indicativo di una condizione migliorativa della qualità della vita, senza assurgere a livello idoneo a generare un danno per la salute o per l’ambiente, e senza che allo stesso possa essere attribuito il significato di un limite assoluto, invalicabile per legge.


L’assenza di un limite assoluto di legge per la concentrazione di PM10, tuttavia, non può tradursi nel rendere lecito qualunque livello di emissione di tale inquinante. Sicchè, mancando una soglia ritenuta illecita per legge, deve trovare applicazione la norma, residuale in materia, di cui all’art. 844 cod. civ., che sancisce il generale divieto, nei rapporti di vicinato, delle emissioni che superano la soglia della normale tollerabilità, concetto da valutare volta per volta avuto riguardo alle condizioni dei luoghi.


In base a tale norma, pertanto, in difetto di altre specifiche prescrizioni normative, devono ritenersi non consentite dalla legge, e quindi idonee ad integrare il reato in questione, tutte quelle emissioni ordinariamente intollerabili. E poiché nel caso di specie non sono emersi elementi atti a determinare una puntuale soglia di intollerabilità, salvo riscontrare la presenza nella zona di un’elevata quantità di polveri (v. dichiarazioni di M. C. e B. G.), al fine di individuare un parametro univoco ed oggettivo, appare comunque opportuno rifarsi ai limiti rappresentati dal predetto d.m. 25/11/94, i quali, pur non essendo, come sopra riferito, limiti assoluti, contengono, comunque, una valutazione negativa circa il loro superamento. Pertanto – si ribadisce in assenza di specifichi divieti assoluti – ai fini del presente procedimento, devono ritenersi non tollerabili quei livelli di emissione di PM10 che comportino il superamento delle concentrazioni medie annuali, come indicate dal d.m. 25/11/94. Ne consegue che, nel caso in esame, con riferimento a tale inquinante, deve ritenersi sussistente la fattispecie contestata – sotto il profilo della materialità del fatto – in relazione agli anni 1996, 1997 e 1999, anni in cui tale livello sarebbe stato superato.


Non appare significativa, sul punto, la circostanza che la rilevazione dei dati sia stata, in realtà, effettuata sul v.le R. Margherita, mediante una stazione posta ad una decina di metri dal viale Boccetta, e dunque non direttamente su quest’ultima strada. Tale circostanza – che, peraltro, varrebbe esclusivamente per gli anni successivi al 1998, dal momento che prima, a quanto pare, le rilevazioni del PM10 venivano effettuate sul viale Boccetta tramite la postazione ubicata presso l’istituto Buon Pastore – non modifica la sussistenza dei fatti, ma solo il luogo esatto di verificazione degli stessi. Cosa che si reputa non idonea a cagionare incertezza in ordine alla contestazione, dal momento che l’esatta ubicazione sarebbe stata puntualmente verificabile in base alla documentazione in atti e che, comunque, la relativa eccezione è provenuta principalmente proprio dalla difesa degli imputati.


È noto, in proposito, che, perché possa configurarsi una violazione del principio di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza non è sufficiente una mera difformità letterale tra contestazione e sentenza, ma è necessario che sussista una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta, tale da determinare un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione e una incompatibilità tra quanto addebitato in sentenza e l’imputazione, con conseguente pregiudizio per il diritto della difesa. Infatti le norme disciplinanti le nuove contestazioni hanno lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell’accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto della difesa dell’imputato. Ne consegue che esse non devono essere interpretate in senso rigorosamente formale, ma con riferimento alle finalità alle quali sono dirette. Sicchè modifiche minime del fatto contestato, che lasciano intatto il nucleo essenziale dello stesso, non appaiono idonee a pregiudicare il pieno esercizio delle prerogative difensive, con la conseguenza che non sussiste violazione del principio suddetto (cfr. Cass. SS.UU. 19/6/96; Cass. 18/9/97, 8417; Cass. 6/11/97, 9973; Cass. 25/6/97, 6170; Cass. 14/11/97, 10362; Cass. 8/7/99, 9957; Cass. 19/11/99, 383).


Parimenti non può ritenersi violato il principio di correlazione tra sentenza e contestazione nell’ipotesi in cui il diverso fatto ritenuto in sentenza sia la conseguenza della diversa prospettazione datane dello stesso dall’imputato quale elemento a sua discolpa; ovvero nelle ipotesi in cui l’imputato, attraverso l’iter del processo, si sia trovato comunque nella condizione di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione. Casi in cui non si verifica alcuna limitazione del diritto di difesa (cfr. Cass. 27/1/99; Cass. 15/3/2000, 5329; Cass. V, 4/12/2001, 7010).



La colpa


La sussistenza dell’evento, tuttavia, non può condurre, automaticamente, ad una pronuncia di condanna, ché altrimenti si verterebbe in ipotesi di responsabilità oggettiva. Sicché, anche in presenza di un reato contravvenzionale quale quello per cui si procede, la penale responsabilità dell’imputato non va fondata sulla mera constatazione dell’elemento materiale, ma, necessariamente, anche sull’indagine in ordine all’elemento psicologico, che pure deve essere presente nella condotta del contravventore in quanto, anche nella contravvenzione, l’antigiuridicità del comportamento non può prescindere da un coefficiente di colpevolezza (cfr. Cass. I, 14/2/86, 1476; Cass. III, 30/9/95,10021; Cass. I, 16/6/2000, 8094). Pertanto ai fini della responsabilità è necessario quanto meno individuare un profilo di colpa.


A norma dell’art. 42 c.p. nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato se non l’ha commessa con coscienza e volontà. Secondo il disposto dell’art. 43 c.p. il delitto è colposo quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si è verificato a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.


Il fatto colposo penalmente rilevante, pertanto, è sempre un atto cosciente e volontario, ma in questo caso, a differenza del delitto doloso, l’azione è voluta in tutti quei casi in cui essa sarebbe stata dominabile attraverso l’attivazione di un maggiore controllo dei fatti, imputandosi a colui che agisce il dovere di verificare attentamente i presupposti dell’azione e le conseguenze della stessa alla stregua degli astratti parametri della diligenza, della perizia, della prudenza, e del rispetto di tutte quelle regole legali, della prassi, dell’esperienza o della tecnica predisposte al fine di limitare i pericoli connessi a specifiche attività.


In sostanza l’agente è tenuto ad orientare la propria condotta in ragione della prevedibilità ed evitabilità dell’evento, sicché quest’ultimo resta imputabile ogniqualvolta egli, adeguandosi alle predette regole di comportamento, avrebbe potuto rappresentarsi come concretamente possibili le conseguenze dell’azione ed avrebbe avuto il reale potere di impedirle adottando una condotta differente (cfr. p. es. Cass 29/10/87; Cass 6/12/90).


Ovviamente tanto la prevedibilità del fatto, quanto la sua evitabilità, vanno accertate in concreto, e riportandosi al momento in cui la condotta è stata posta in essere (cfr. Cass. 6/12/90; Cass. 18/9/90). In sostanza il giudizio va formulato tenendo presente la concreta relazione esistente tra condotta pericolosa e potenziale conseguenza; vale a dire che l’evento lesivo cagionato deve appartenere al tipo di quelli che la regola di condotta mirava a prevenire. Inoltre la valutazione deve essere effettuata ex ante, cioè ponendosi dal punto di vista dell’agente nel momento in cui attuava il comportamento, e quindi prendendo come parametri i dati di cui lo stesso era in possesso o di cui, comunque, avrebbe dovuto o potuto disporre.


Sicché, in definitiva, può dirsi sussistente una situazione colposa quando un determinato evento, in base ad una valutazione ex ante, poteva essere puntualmente preveduto ed evitato. Pertanto non è sufficiente affermare la sussistenza di un nesso di causalità tra un determinato comportamento (commissivo od omissivo) ed un evento, ma deve anche verificarsi se l’agente avrebbe potuto, preventivamente, rappresentarsi le conseguenze della propria condotta ed agire in maniera diversa.


Per potersi affermare la penale responsabilità degli imputati, dunque, è necessario, per un verso, individuare una condotta che, già in teoria, fosse certamente idonea ad impedire l’evento; per altro verso dovrebbe affermarsi che tale condotta fosse, per gli agenti, insieme possibile e dovuta. Entrambi tali elementi non si reputano sussistenti nel caso concreto.


Occorre osservare come, nel caso in esame, la valutazione si prospetti assai più complessa del normale in ragione della peculiarità dei fatti per i quali si procede, in cui profili di responsabilità politica si intrecciano con responsabilità penali: collocandosi, da una parte, scelte e condotte insidacabilmente politiche, riconducibili in via esclusiva alla intangibile sfera degli amministratori, che, qualora erronee, devono essere sanzionate secondo i meccanismi della democrazia rappresentativa; dall’altra parte comportamenti imposti e vincolati, in ordine ai quali nessun margine di discrezionalità è ravvisabile.


Delicato, quindi, l’intervento del giudice che non deve prestarsi a strumentalizzazioni, ed alla tentazione di risolvere in sede penale, o comunque, giudiziaria, problemi che meccanismi di democrazia, non sempre funzionanti, non riescono a risolvere; cioè di trasformare tout court in reati quelle che sono generiche insoddisfazioni dell’opinione pubblica. In definitiva non ogni soluzione politica sbagliata (o ritenuta tale) può assumere rilevanza penale, restando, comunque, una sfera – peraltro assai ampia – di discrezionalità, intangibile alla magistratura, organo cui compete solo ed esclusivamente di applicare il diritto, e non giudicare le scelte politiche.


La peculiarità della vicenda si riflette tutta sulle contravvenzioni che vengono contestate agli imputati. Non sfugge come si sia in presenza non di specifici reati ambientali – collegati ad una condotta puntualmente descritta e prevista in funzione del bene giuridico da proteggere – ma di illeciti generici, aventi, ormai, nel complessivo impianto legislativo, natura residuale; posti genericamente a tutela dell’incolumità collettiva e calibrati essenzialmente su condotte individuali e fenomeni elementari, piuttosto che su fenomeni complessi quale quello in esame. Reati piegati – sia pur legittimamente – a perseguire scopi più grandi di quelli per i quali furono concepiti, e proprio per questo tendenzialmente inidonei a tale scopo. Del resto è chiaro come in tutta la letteratura giuridica non esistano, sostanzialmente, precedenti in tal senso.


Ciò posto nel caso in esame, come sopra si è osservato, deve ritenersi sussistente un obbligo, al limite penalmente sanzionato, in capo al sindaco ed all’amministrazione comunale, che, nella gestione del traffico urbano, sono tenuti a perseguire la tutela dell’ambiente.


Tale obbligo, tuttavia, si ripete, ha carattere generale, nel senso che non viene prevista una condotta specifica, imposta per legge (almeno fino al d.m. 163/99), la cui omessa tenuta di per sé integri un reato o, comunque, un profilo di colpa. Ne consegue che tale obbligo viene soddisfatto con qualunque condotta astrattamente idonea a raggiungere il risultato: sicchè in presenza di più soluzioni in teoria ugualmente valide, l’agente assolve il proprio compito adottandone anche una sola di esse, restando la scelta tra l’una o l’altra ascrivibile alla mera discrezionalità amministrativa; nè potendosi imputare a colpa il fatto che l’opzione adottata, astrattamente valida, non abbia, di fatto, conseguito i risultati sperati.


Tanto più che sulla scelta tra più possibili soluzioni, astrattamente più o meno idonee, pesano elementi di valutazione estremamente discrezionali, poiché connessi: a profili organizzativi della cosa pubblica; ad eventi collaterali; al bilanciamento di beni primari quali la sicurezza pubblica o la libertà di circolazione; elementi aventi, appunto, carattere esclusivamente politico, e come tali non sindacabili in questa sede. In sostanza non può ritenersi legalmente dovuto un certo modulo organizzativo della cosa pubblica – nel caso di specie dell’assetto urbano del traffico – tra più possibili moduli, spettando tale scelta insindacabilmente all’organo politico-amministrativo.


Complica ulteriormente la ricostruzione del profilo psicologico, il vertere in materia di reati omissivi impropri, in cui, pertanto, attraverso un’astrazione, dovrebbe verificasi se l’eventuale (e da individuare) condotta omessa, sarebbe stata in grado di evitare l’evento.


In tali reati, infatti, la ricostruzione del nesso di causalità si traduce nella necessità di verificare se l’evento sia conseguenza dell’omissione accertata e, quindi, se la condotta omessa sarebbe stata realmente efficace. Il che vuol dire, necessariamente, individuare in maniera puntuale la condotta positiva che, ove realizzata, avrebbe con certezza evitato il prodursi dell’evento (cfr. Cass. IV, 23/1/2002, 22568). Fermo restando che eventuali difficoltà di prova non possono mai legittimare un’attenuazione del rigore nell’accertamento del nesso causale, determinandosi, altrimenti, un’abnorme espansione della responsabilità, in violazione dei principi di legalità e tassatività della fattispecie e della garanzia di responsabilità per fatto proprio (cfr. Cass. SS.UU. 10/7/2002, 30328).


Nel caso di specie la condotta si inserisce in un fenomeno (la concentrazione di inquinanti in atmosfera) scientificamente non riconducibile ad un modello matematico certo, essendo influenzato da parametri che, in gran parte, sfuggono ad una previsione puntuale. Con la conseguenza che, in base ad una valutazione ex ante, non è possibile dire fino a che punto una certa soluzione possa, di fatto, risultare efficace.


Il tutto, infine, si colloca in un contesto di generale e sconfortante disorganizzazione nella gestione del fenomeno, che trova quale primo protagonista in negativo proprio la Regione Sicilia, ente territoriale cui pure fanno capo moltissime competenze in materia, e che, secondo quanto riferito dai testi (v. p. es. le dichiarazioni dell’I. o del S.) si sarebbe caratterizzato, nel periodo in esame, per il mancato esercizio di gran parte di tali competenze. Basti, in proposito, osservare come mai, in tale arco di tempo, siano stati attivati i presidi multizonali e, conseguentemente, la necessaria rete di rilevazione, essenziale per un puntuale esercizio del controllo ambientale; come mai siano state emanate gran parte delle norme regolamentari e gli stessi piani di risanamento con le relative norme di attuazione e prescrizioni.


Cosa che fa il paio con una legislazione in materia per niente completa. Non sfugge come, nel corso dell’istruttoria dibattimentale gli stessi tecnici ed i consulenti siano apparsi alquanto confusi in ordine alle competenze, ai vari parametri di riferimento nella misurazione degli inquinanti, alle conseguenze circa il superamento dei vari limiti, ecc. Situazione che non può sorprendere, avuto riguardo ad una normativa che si è succeduta nel tempo in maniera spesso caotica e disorganica, ispirata talora a tecniche e obiettivi diversi, a volte in contrasto tra loro, e spesso ignara dell’effettivo riparto delle competenze tra gli organi e le articolazioni dello stato (basti pensare al confuso riparto delle competenze tra Regioni e Comuni).


Poste queste premesse si osserva come, nel caso in esame, sostanzialmente, l’accusa muove dall’assioma secondo il quale: vi è inquinamento, ergo vi è responsabilità degli amministratori. Praticamente riconducendo l’evento agli agenti secondo un meccanismo di imputabilità oggettiva, incompatibile, ovviamente, con il nostro sistema giuridico e con qualunque reato, a maggior ragione in una ipotesi come quella in esame in cui, come detto, i profili dell’obbligo si intrecciano strettamente con quelli della discrezionalità politica. Un giudizio di responsabilità, invece, per le ragioni sopra evidenziate, presuppone la prova dell’assoluta inerzia degli amministratori e, per contro, della sussistenza di una specifica condotta necessaria e possibile, non adottata per negligenza dagli amministratori, la quale si potesse ritenere, astrattamente e con ragionevole grado di certezza, idonea ad impedire l’evento. Tale prova, si ribadisce, non si ritiene sia emersa.


Innanzitutto occorre osservare come risulti, in base all’istruttoria dibattimentale, che, sia pure caoticamente, sia pure in maniera non sempre lineare, il problema delle emissioni sul viale Boccetta venne affrontato dalle varie amministrazioni che si sono succedute. Le soluzioni adottate in materia di traffico – seppure discutibili, sebbene solo in parte, alla fine, si siano rivelate efficaci – comunque testimoniano l’intervento degli amministratori al fine di limitare il fenomeno dell’inquinamento nell’area in esame. La scelta tra l’una o l’altra soluzione, in assenza di uno specifico dettato normativo e di una prova della astratta inidoneità di ciascuna, apparteneva alla assoluta ed insindacabile discrezionalità politica dell’amministrazione.


In particolare, tra l’altro, è risultato che l’amministrazione comunale, al fine di fluidificare il traffico e ridurre i flussi, abbia adottato una serie di provvedimenti quali, per esempio: l’introduzione di un percorso obbligato per i mezzi pesanti diretti all’imbarco delle Ferrovie dello Stato; l’installazione di cordoli; l’introduzione di svolte obbligate; l’approvazione del c.d. bollino blu; ecc.


Tali soluzioni, come anche riconosciuto dal consulente del pubblico ministero (v. nota 1 a pag. 2), erano tutte astrattamente idonee a ridurre la concentrazione di inquinanti, sebbene non fosse possibile, ex ante, stabilirne il reale grado di efficacia. Soprattutto la separazione dei flussi appare scelta funzionale all’obiettivo, riducendo, in teoria, il carico di veicoli in transito sul viale Boccetta. Che tali provvedimenti, oltre ad essere teoricamente utili, abbiano, poi, avuto un’efficacia positiva, è dimostrato dal sensibile e costante miglioramento delle condizioni ambientali, circostanza che non può essere spiegata semplicemente con il rinnovamento del parco circolante e con le varie campagne di rottamazione, non fosse altro perché, come si è visto, e come si dirà in seguito, la gran parte delle emissioni nella zona è ascrivibile al traffico dei mezzi pesanti, mezzi che, a differenza delle automobili, hanno tempi di sostituzione assai più lunghi.


Ed infatti, per tutti gli inquinanti, nel corso dei sette anni presi in considerazione, si è registrato un costante decremento delle concentrazioni, fino a ottenere, nell’anno 2001, condizioni che, a termini di legge, devono ritenersi ampiamente positive, con il raggiungimento di tutti gli obiettivi di qualità e la pressoché totale assenza di superamenti delle soglie di attenzione o di allarme.


Già queste semplici considerazioni sarebbero sufficienti, allo stato, ad escludere la responsabilità in capo agli imputati. Gli stessi, infatti, come sopra osservato, sono tenuti ad adottare provvedimenti funzionali alla riduzione dell’inquinamento ambientale. Tra i vari possibili provvedimenti, astrattamente idonei a produrre un effetto favorevole, poi, la scelta appare assolutamente discrezionale, ed insindacabile, a maggior ragione in sede penale.


Che poi il singolo provvedimento si sia rivelato, ex post, non pienamente soddisfacente, nel senso che non è riuscito a raggiungere nell’immediatezza l’obiettivo prefisso; o che a tale provvedimento se ne potessero affiancare altri; queste non possono essere circostanze atte a fondare la colpevolezza degli imputati. Tale colpevolezza, infatti, come sopra osservato, deve essere giudicata in base ad una valutazione ex ante, occorre, cioè, valutare se il singolo provvedimento poteva ragionevolmente apparire come utile a chi lo adottava, sfuggendo, invece, per le ragioni sopra osservate, la dimensione dei risultati alla concreta possibilità di previsione.


Come riferito, in realtà, dallo stesso consulente del pubblico ministero14, e come si evince, dalle dichiarazioni degli altri consulenti, in generale appare possibile, ex ante, rispetto ad una eventuale misura, determinare, con un certo grado di probabilità, la capacità della stessa di incidere sul fenomeno (dell’inquinamento), ma non è possibile, se non ex post, per via empirica, attraverso la sperimentazione, valutare la concreta entità dei risultati. Così, per esempio, di fronte ad un provvedimento che separava i flussi di traffico, deviando una parte dei mezzi pesanti su altra arteria, è possibile, astrattamente, ritenere che questo inciderà sul futuro livello delle emissioni inquinanti; ma non è possibile, se non per gradi di massima approssimazione, stimare in quale misura esso sarà rilevante, di quanto, cioè, potrà ridurre la concentrazione di emissioni inquinanti, e quindi se, alla fine, riuscirà o meno a consentire, ed in che misura, il raggiungimento dell’obiettivo. Analoghe considerazioni possono essere svolte con tutti gli altri provvedimenti che, pure, vennero adottati. Del resto, in proposito, significativo appare che tutti i consulenti dell’accusa (del pm e delle parti civili) pur affermando la necessità di interventi, non hanno saputo dire quali sarebbero stati effettivamente adeguati e sufficienti a risolvere il problema. Non basta, sul punto, proclamare che esiste un problema e che bisogna risolverlo. Occorre anche dire come il problema deve essere risolto e se vi sono soluzioni possibili e certamente idonee. Questa risposta non l’ha data il consulente delle parti civili, e non l’ha data il consulente del pubblico ministero, salvo dire che il problema non è di facile soluzione, che bisognava studiarlo e che nessuno ha la bacchetta magica (v. nota 1 pag. 2)


Ora se i consulenti dell’accusa non sono stati in grado di individuare una soluzione certa; se una soluzione certa non è emersa nel corso dell’istruttoria dibattimentale; come si può rimproverare agli imputati – che pure, come sopra osservato, qualche intervento lo hanno adottato – e riproverarlo in termini di responsabilità non politica, ma penale, di non avere trovato ed applicato la soluzione?


Sicchè, in generale, l’avere adottato una serie di provvedimenti astrattamente idonei allo scopo, è circostanza che assolve all’obbligo di legge, restando, invece, nell’ambito dell’insindacabile discrezionalità politica, la scelta tra l’uno o l’altro provvedimento.


Né, del resto, appare possibile rimproverare agli amministratori che alcune soluzioni non siano state attuate tempestivamente. Ci si riferisce, in particolare, alla attuazione della disciplina del bollino blu (limitazione della circolazione).


Infatti, a prescindere dalla concreta rilevanza di tale condotta ai fini del presente procedimento (cosa di cui si dirà in seguito), si verte in materia che sfugge alla diretta competenza dei vertici dell’amministrazione, dal momento che l’attuazione delle delibere e delle direttive compete ai funzionari a ciò delegati, senza che, nel caso di specie, sia risultato in alcun modo dimostrato non solo che gli imputati fossero a conoscenza di eventuali inerzie, ma che le stesse inerzie si siano verificate.


In merito gli imputati hanno sostenuto che i ritardi nell’attuazione della delibera circa il bollino blu fossero imputabili essenzialmente alla oggettiva impossibilità delle officine e della stessa Motorizzazione Civile di dotarsi in tempi rapidi delle attrezzature e dell’organizzazione necessaria alle verifiche sui mezzi ed al rilascio delle certificazioni. L’affermazione non è stata in alcun modo smentita e, per contro, appare anche verosimile. Ed allora che senso avrebbe avuto imporre agli utenti di munirsi della certificazione relativa agli inquinanti, quando non vi era chi poteva rilasciare detta certificazione?


Neppure giova richiamare la disciplina del d.m. 163/99 che, al verificarsi di determinate circostanze, imponeva l’adozione di specifici provvedimenti limitativi della circolazione. L’omessa adozione di tali provvedimenti – che al limite potrebbe essere valutata come reato omissivo proprio – non assume rilevanza ai fini del presente procedimento, ed in particolare ai fini dell’evento del reato contestato. Va, infatti, osservato che, pur non essendo stati adottati nel corso del 2000 i provvedimenti limitativi che dovevano conseguire al superamento, per il 1999, dell’obiettivo di qualità dell’aria per le PM10 (per il 1998 non risulta alcuna rilevazione), alla fine del 2000 l’obiettivo di qualità per tale inquinante venne, comunque, conseguito. Sicché, la condotta omissiva in esame, ancorché contra legem, non avrebbe avuto come conseguenza la realizzazione dell’evento tipico del reato per il quale si procede, non essendone derivato il superamento di alcuno degli obiettivi di qualità dell’aria nell’anno 2000.


Per la stessa ragione non può essere attribuito rilievo al ritardo, contestato dall’accusa in sede di conclusioni, nella redazione della valutazione preliminare della qualità dell'aria – che avrebbe dovuto essere predisposta entro il luglio 1999 – e, quindi, nella redazione del rapporto annuale sulla qualità dell’aria, da predisporre, annualmente, a partire dal 2000, entro il gennaio di ogni anno.


Tali ritardi, infatti, non hanno comunque comportato superamento degli obiettivi di qualità dell’aria per il 2000 o per il 2001. Quanto al 1999, per l’anno 1998 non è risultata la presenza della misurazione della media annuale della PM10, sicché, comunque, la valutazione preliminare non avrebbe potuto tenere conto di tale inquinante per il viale Boccetta.

 
Non può, sottacersi, poi, come risulti difficile pretendere la predisposizione di tali studi dagli organi comunali, quando la Regione non aveva provveduto ad istituire i presidi multizonali o le ARPA, e quindi gli organi preposti alla rilevazione degli inquinanti; e tale rilevazione veniva effettuata, in maniera, per vero, piuttosto precaria, dalla Provincia Regionale, la quale, peraltro, non comunicava i dati in maniera continuativa.


Altra e diversa questione è, poi, quella della concreta adottabilità di provvedimenti limitativi del traffico nel caso di specie, e, dunque, della effettiva possibilità di bloccare il transito, in tutto o in parte, sul viale Boccetta.


Tale questione porta all’analisi di un ulteriore profilo, il quale, come si vedrà, costituisce conferma della impossibilità, nel caso di specie, di configurare una colpa penalmente rilevante a carico degli imputati, e, cioè, di pretendere dagli stessi un comportamento significativamente diverso da quello adottato.


Si è già detto, in maniera per vero assai banale, che la chiusura definitiva o temporanea della strada in questione al traffico avrebbe certamente determinato la riduzione delle emissioni inquinanti. È, tuttavia, altrettanto evidente come tale soluzione possa costituire solo l’estrema delle possibilità da prendere in considerazione, ma certamente né l’unica, né quella obbligata, né, forse, quella percorribile. Tra il chiudere la via al traffico e l’abbandonarla ad un traffico incontrollato, come sopra evidenziato, si potevano, almeno astrattamente, ipotizzare e sperimentare tutta una serie di soluzioni intermedie, tutte, apparentemente, ex ante, utili allo scopo.


Ma vi è di più. L’istruttoria dibattimentale, pur con ampie incertezze sotto svariati profili, ha fatto emergere una circostanza assolutamente certa: il fenomeno in questione, come osservato anche dai consulenti15, non è riconducibile al traffico urbano ordinario, ma è la diretta conseguenza della peculiare situazione geografica della città, snodo di transito obbligato per il traffico gommato da e verso il continente.


Come risulta, per esempio, dalla relazione della polizia municipale, l’arteria in questione è interessata ogni anno dal transito di oltre 900.000 veicoli pesanti. La stragrande maggioranza di questi sono diretti o provengono dal continente, e sono obbligati ad attrA.re Messina per raggiungere le mete finali.


Impedire il transito sullo Stretto – è di palmare evidenza – è soluzione impossibile, in quanto condurrebbe al sostanziale isolamento della Sicilia e sarebbe in contrasto con le norme costituzionali. E, comunque, non è scelta che potrebbe essere adottata da un’amministrazione locale.


Come si evince dalle planimetrie in atti (allegate alle relazioni) lo snodo di Boccetta costituisce per questi veicoli, almeno per quelli che si imbarcano o sbarcano dall’approdo della rada S. F., una via praticamente obbligata. Il viale Boccetta, infatti, rappresenta la bretella di allaccio alla rete autostradale più vicina all’approdo dei traghetti. L’accesso all’autostrada per altra via imporrebbe l’attraversamento di gran parte della città.


Posta questa premessa, e posto che non appare possibile impedire il transito dei veicoli pesanti nella città, è evidente come la sola ipotesi di chiudere il viale Boccetta al traffico implicherebbe, già solo a livello teorico, ripercussioni gravissime sotto tutti i profili: invero, in luogo di sacrificare al traffico pesante alcune centinaia di metri di città (l’intero viale Boccetta come si evince dalle planimetrie, misura circa un chilometro), il sacrificio verrebbe esteso a numerosi chilometri di area urbana, con il coinvolgimento di tutto il centro storico e delle arterie che attrA.no la città trasversalmente e consentono i collegamenti tra la parte nord e quella sud.


Gli effetti negativi in termini di inquinamento atmosferico ed acustico, oltre che in termini di sicurezza per l’incolumità pubblica, sarebbero consistenti: sotto il profilo dell’inquinamento, l’intero carico di emissioni inquinanti verrebbe trasferito su una porzione infinitamente più ampia di città e di cittadini. Basti sul punto richiamare le considerazioni – peraltro fin troppo ovvie – sviluppate dalla polizia municipale, interessata, nel giugno 2000, per uno studio di valutazione di impatto acustico e di sicurezza stradale circa lo spostamento del transito dei mezzi pesanti. L’analisi, in proposito, evidenzia come la sostituzione dell’itinerario relativo al viale Boccetta con altro assai più lungo, sempre all’interno della città, non può che determinare un aumento dell’intensità del rumore e, soprattutto, dei rischi.


Nella relazione si segnala, tra l’altro, come l’itinerario Tremestieri sia poco sicuro. Il nuovo percorso proposto, confrontato con quello del Boccetta coinvolge una popolazione sicuramente maggiore, ha un numero d’incidenti (proporzionalmente ai mezzi pesanti sul km) maggiore di circa 20 volte ed infine anche una velocità di una volta e mezza superiore. Le uniche variabili che valutano positivamente il percorso Tremestieri sono la pendenza che è quasi nulla ed il numero di intersezioni su km che è minore di 3 volte circa. Considerazioni che, a lume di logica, potrebbero estendersi anche all’inquinamento ambientale, dal momento che appare ovvio come asservire una porzione assai più ampia della città al transito dei TIR implica come effetto principale quello di estendervi le conseguenze negative.


E tale considerazione potrebbe valere anche nell’ipotesi in cui l’interdizione al traffico fosse solo temporanea.


Infatti, ove questa soluzione venisse adottata con il blocco della circolazione per un certo periodo di tempo e lo stoccaggio dei mezzi in una certa area, la conseguenza, ovvia, sarebbe che, alla ripresa della circolazione, i veicoli si riverserebbero nell’area in questione in una concentrazione più massiccia. Sicchè il volume degli inquinanti resterebbe complessivamente inalterato. Tuttavia non solo è ragionevole ritenere che non si avrebbero benefici, ma addirittura è verosimile che si verificherebbero dei danni ulteriori: per un verso, infatti, la massa inquinante rimarrebbe globalmente inalterata, ma si riverserebbe nell’area in un tempo più ridotto, quindi con concentrazioni più elevate; per altro verso la maggiore concentrazione di veicoli aumenterebbe in maniera esponenziale oltre che il rumore, anche i rischi per l’incolumità pubblica.


Ove, invece, la soluzione venisse adottata deviando il traffico, per alcuni momenti della giornata, su altri percorsi – come pure è stato fatto successivamente al periodo in contestazione – ciò implicherebbe certamente una riduzione del volume degli inquinanti sul viale Boccetta, ma, per converso, trasferirebbe le emissioni inquinanti sui percorsi alternativi. E poiché tali percorsi sarebbero necessariamente – come sopra osservato – assai più lunghi di quello relativo al Boccetta, il volume degli inquinanti che verrebbe spostato su tali aree non sarebbe uguale a quello sottratto al viale Boccetta, ma assai maggiore. Così come assai maggiori sarebbero i rischi per la pubblica incolumità. Una simile scelta, pertanto, non solo potrebbe essere legittimamente giudicata gravemente inopportuna e non idonea allo scopo, ma potrebbe anche confliggere con il disposto dell’art. 3 del più volte menzionato d.m. 163/99, il quale, nell’imporre le misure limitative della circolazione, stabilisce, comunque, che queste non devono determinare situazioni critiche in altre aree della città16.


Si deve pertanto concludere che, a prescindere da qualunque giudizio politico che non compete a questa A.G., alla luce di tali considerazioni, appare francamente impossibile rimproverare, in termini penali, ad un’amministrazione comunale il fatto di non avere chiuso, in tutto o in parte, il viale Boccetta al transito; cioè considerare condotta colposa il non avere adottato una scelta che palesemente poteva ritenersi presentare, a fronte di modesti vantaggi, infiniti aspetti negativi; e che, proprio alla luce di questi, poteva essere giudicata tutt’altro che obbligata, forse, addirittura vietata.

 


Il trasferimento degli approdi


Proprio queste considerazioni fanno comprendere come la “questione Boccetta”, così come, del resto, osservato dagli stessi consulenti (v., per esempio, nota 1 alla pag. 2 e nota 1 alla pag. 2, relativamente ad alcune delle dichiarazioni rese dal consulente del pubblico ministero) non possa in alcun modo essere ridotta ad un problema di gestione della mobilità urbana.


E che la dimensione della vicenda non sia esclusivamente cittadina è comprovato dalla dichiarazione, da parte del Governo nazionale, dello stato di emergenza e dalla attribuzione ad un’autorità governativa (il Prefetto) di poteri straordinari volti alla realizzazione di soluzioni strutturali.


Come sopra evidenziato il fenomeno per cui è processo affonda le sue radici in una dinamica di flussi veicolari sovracittadini, riconducibili alla peculiare posizione geografica della città che ne fa una via di transito obbligata per i collegamenti tra la Sicilia e la Calabria. In questa ottica appare evidente come solo un’analisi di assai basso profilo possa ricondurre il problema ad una questione di viabilità interna: all’introduzione di fasce orarie; a soluzioni di fluidificazione; a controlli sulle emissioni; alla verifica delle auto in sosta abusiva; ecc.


La realtà è che il problema poteva essere risolto esclusivamente attraverso l’adozione di soluzioni strutturali, la cui realizzazione, ovviamente, non poteva e non può essere ricondotta alla mera azione di una giunta comunale.


In questa ottica le soluzioni possibili potrebbero essere infinite, e tutte perseguibili in base ad una valutazione esclusivamente politica, che in nessun modo potrebbe essere vincolata in sede giudiziaria. Tutte sono riconducibili ad un unico denominatore comune: eliminare dalla città il passaggio del traffico (principalmente pesante) diretto al continente o dal continente proveniente. Per raggiungere questo scopo sarebbe stato possibile concepire una via di transito diversa, quale un tunnel, una bretella. Oppure spostare l’approdo dei traghetti che collegano la Sicilia al continente in altra zona, esterna alla città, o comunque collegata in via esclusiva con il percorso autostradale, senza che il traffico relativo interferisse con quello urbano ed interessasse la città.


E tali soluzioni, a quanto emerso dall’istruttoria dibattimentale, sarebbero state perseguite da entrambe le amministrazioni.


È risultato, in particolare, che la giunta riconducibile al sindaco P. avviò, negli anni 19961997, la progettazione dello spostamento dell’approdo in altra zona della città, con contestuale realizzazione di una via autonoma d’accesso all’autostrada. A quanto emerso tale soluzione, benché concepita ed avviata, venne bocciata dagli altri organi competenti in ordine alla realizzazione della stessa.


Pure la giunta facente capo al sindaco L. ebbe a concepire una soluzione in tal senso, consistente, questa volta, nello spostamento degli approdi all’esterno del perimetro urbano. Anche tale soluzione non è stata ancora realizzata, e ciò malgrado per l’attuazione della stessa, poteri straordinari siano stati conferiti dal Governo al Prefetto di Messina.


In entrambe le circostanze la concreta progettazione di soluzioni strutturali e realmente – queste sì – idonee alla risoluzione definitiva del problema, è condotta che, ulteriormente, conferma l’impossibilità di configurare alcuna forma di responsabilità penale in capo agli imputati. Non è chiaro se gli stessi abbiano fatto tutto ciò che era nelle possibilità dell’amministrazione. É certo, tuttavia, che gli stessi abbiano affrontato il problema sia con soluzioni di viabilità urbana – che, come riferito dall’ing. S., potevano costituire solo palliativi – sia con soluzioni strutturali. E ciò è sufficiente, ai fini penali – indipendentemente da qualunque giudizio politico sull’operato delle giunte – ad escludere la responsabilità.


Del resto, come sopra osservato, non può farsi carico agli imputati – quanto meno in termini di responsabilità penale – se le soluzioni strutturali progettate, ed avviate per la parte di competenza, non siano state poi completate, o non lo siano state in tempi rapidi. O, comunque, una responsabilità in tal senso non è emersa nel corso dell’istruttoria dibattimentale. Per contro è evidente come la realizzazione di simili soluzioni implichi l’intervento di vari organi, ai più diversi livelli, e di un iter procedimentale complesso.


Né è risultato che indagini siano state compiute in tal senso, onde, cioè, verificare se le ragioni che hanno determinato i predetti ritardi siano meramente riconducibili a lungaggini di una burocrazia borbonica, oppure a qualcosa di diverso, ad interessi che, ove interferenti in maniera patologica nell’adozione e nella realizzazione di tali scelte, potrebbero dare luogo a reati assai diversi e ben più significativi di quelli per cui si procede.


Appare evidente come in questa ottica molte delle scelte, la cui mancata attuazione è stata rimproverata all’amministrazione – sia pure per lo più in sede di conclusioni – risultino assolutamente estranee alla soluzione del problema. Basti, per esempio, pensare al cosiddetto bollino blu, cioè alla limitazione del traffico all’interno di un’area della città a tutti i veicoli che non abbiano proceduto al controllo delle emissioni inquinanti. Ebbene è evidente che una simile soluzione – peraltro deliberata nel 1997, ma attuata solo nel 2000, a quanto pare, per profili tecnici – non può incidere più di tanto sulla risoluzione del problema, dal momento che questa difficilmente potrebbe coinvolgere i veicoli pesanti appartenenti a persone non residenti, provenienti dagli imbarchi o a questi destinati (v. p. es. nota 1 a pag. 2). Nei confronti di costoro quale scelta potrebbe essere adottata dal momento che impedire il transito, equivarrebbe ad impedire – illegittimamente – la circolazione da e per il continente?


Lo stesso utilizzo in comune dei veicoli privati, che si rimprovera di non avere incentivato – a parte che non si comprende con quali modalità una simile soluzione si potesse perseguire e che, a quanto pare, proprio alla giunta con sindaco P. sarebbe riconducibile la scelta del cordolamento della città per il potenziamento dei mezzi pubblici e l’avvio della realizzazione di una linea tranviaria – rappresenta una soluzione assolutamente ininfluente rispetto al problema per cui è processo, dal momento che, come sopra evidenziato, questo è collegato al transito dei mezzi pesanti e non al movimento urbano.


Quanto, poi, ai veicoli parcheggiati in doppia fila e, soprattutto, all’asserito omesso intervento dei vigili urbani – a prescindere dal fatto che tale circostanza sia stata, per lo più, solo apoditticamente affermata, senza che la stessa abbia avuto riscontri puntuali e attendibili; ed a prescindere dal significato da attribuire al concetto di insufficiente presenza – occorre osservare, innanzitutto, che la distribuzione del personale di polizia municipale sul territorio urbano appartiene alla competenza del Comandante del corpo; e che una eventuale inattività, in mancanza di prova specifica, non si comprende in che modo possa essere fatta risalire al sindaco o agli assessori, essendo riconducibile al singolo operatore, di volta in volta inerte, e, al limite, al comandante della Polizia Municipale, cui fa capo l’organizzazione del corpo, e per il quale la vigilanza sul territorio urbano e la rilevazione delle violazioni non costituisce attività discrezionale, ma vincolata.


In definitiva deve concludersi come, a parere di questo giudicante, l’istruttoria dibattimentale non ha fatto emergere profili di responsabilità penale in capo agli imputati. Deve ritenersi, in particolare, che – a prescindere da qualunque giudizio sulla qualità politica dell’operato – gli stessi abbiano posto in essere provvedimenti atti a contenere le emissioni inquinanti, sia con soluzioni inerenti la gestione dei flussi di traffico, sia con la progettazione e l’avvio di soluzioni strutturali, le uniche concretamente idonee a fornire una reale soluzione al problema. Deve ritenersi, parimenti, per un verso, che tali provvedimenti si siano rivelati, almeno in parte, concretamente idonei a contenere le emissioni inquinanti – che, invero, secondo i parametri di legge, appaiono non particolarmente rilevanti, soprattutto se rapportati alle situazioni di altre città, quali documentate dallo stesso consulente del pubblico ministero – le quali, infatti, sono notevolmente diminuite nel corso degli anni; per altro verso che il mancato raggiungimento immediato degli obiettivi non possa essere attribuito in termini di responsabilità penale agli imputati, attesa l’impossibilità di potere prevedere, ex ante, la puntuale misura dell’incidenza delle soluzioni adottate.


L’attuazione di tali provvedimenti – unitamente alla assoluta peculiarità del fenomeno, legato non al traffico urbano, ma al collegamento tra la Sicilia e la Calabria, e quindi non risolvibile con soluzioni interne alla città – appare condotta sufficiente ad escludere la responsabilità penale.


Con la conseguenza che gli imputati, per i fatti che si sono riconosciuti esistenti, devono essere assolti per difetto dell’elemento psicologico.
 


Le fattispecie di cui ai capi c) e d)


Con riferimento ai capi c) e d) si è già sopra osservata l’impossibilità di configurare il reato di cui all’art. 659 c.p. in forma omissiva attraverso il filtro dell’art. 40 cpv. c.p. Né muterebbe il quadro, quanto meno nel caso specifico, ove si accedesse alla tesi, pure accolta talora in giurisprudenza, (cfr. Cass. 5/2/91, 4820; Cass. 6/12/91, 1506) secondo cui l’evento cui fa riferimento il menzionato art. 40 c.p. debba intendersi non già in senso naturalistico, quanto in senso giuridico, cioè come il complesso degli elementi che individuano un reato, sicchè l’art. 40 potrebbe essere letto anche come estensione della responsabilità per un fatto reato a colui che, avendo l’obbligo, non ne impedisce la commissione: una sorta di concorso nel reato mediante omissione. In tale ipotesi, per la sussistenza della responsabilità, è necessario che alcuno, diverso dall’autore dell’omissione, commetta un fatto costituente in tutti i suoi estremi reato. Nel caso di specie, invece, agli imputati non viene rimproverato di non avere impedito la commissione di un reato, ma di avere cagionato l’evento lesivo di un reato mediante una propria condotta omissiva. Ed infatti l’evento asseritamente riconducibile all’omissione degli imputati non è l’emissione rumorosa determinata dal singolo veicolo – circostanza che, isolatamente presa, non costituisce attività illecita – ma quella determinata dal complesso di tutti i veicoli in transito: con la conseguenza che, eliminato il fatto riconducibile all’omissione degli imputati, nessuna ipotesi di reato sarebbe ravvisabile neppure sotto un profilo meramente fattuale.


Sicché, a prescindere da qualunque ulteriore considerazione sul merito, deve ritenersi che il fatto ascritto, nei termini in cui viene contestato, non è configurabile come reato a termini di legge.


Appare, comunque, opportuno evidenziare che, così come per l’inquinamento atmosferico, anche per l’inquinamento da rumore sarebbe ravvisabile in capo al sindaco un obbligo di intervento, derivante sia dal suo ruolo di Ufficiale del Governo, sia dalla specifica normativa in materia di inquinamento acustico.


Invero la l. 26/10/95 n. 447, nello stabilire i principi fondamentali in materia di tutela dell’ambiente esterno e dell’ambiente abitativo dall’inquinamento acustico, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 117 della Costituzione, individua una serie di obblighi gravanti sui comuni, ed in particolare sui consigli comunali, attribuendo a questi ultimi il compito, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, di adeguare i regolamenti locali di igiene e sanità o di polizia municipale, prevedendo apposite norme contro l'inquinamento acustico, con particolare riferimento al controllo, al contenimento e all'abbattimento delle emissioni sonore derivanti dalla circolazione degli autoveicoli e dall'esercizio di attività che impiegano sorgenti sonore.


Resta, tuttavia, attribuita ai sindaci la facoltà, qualora sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell'ambiente di ordinare, con provvedimento motivato, il ricorso temporaneo a speciali forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l'inibitoria parziale o totale di determinate attività. L’omessa adozione di tali provvedimenti, al verificarsi delle situazioni di eccezionale ed urgente necessità, potrebbe, pertanto, al limite, dare luogo ad altre ipotesi di reati omissivi, quale quello di cui all’art. 328 c.p.


Nel caso in esame, tuttavia, a prescindere dalla effettiva sussistenza di tali condizioni di necessità ed urgenza, non potrebbe non tenersi conto delle considerazioni sopra effettuate in ordine ai profili di colpa, che qui appare sufficiente solo richiamare. Del resto, per esempio, circa l’inutilità di operare lo spostamento del traffico ad altra zona (anzi la portata negativa di una tale soluzione), è sufficiente qui richiamare le valutazioni degli stessi agenti di polizia municipale cui sopra si è fatto cenno.


Considerazioni cui devono aggiungersi i dubbi in ordine alla validità delle rilevazioni acustiche (in particolare della Polizia Municipale, dal momento che le altre sono solo riferite de relato). È, infatti, emerso in corso di istruttoria, che le misurazioni non avrebbero rispettato gli standards previsti dalla normativa in materia17 (da ultimo il d.m. 16/3/98 in relazione al d.p.c.m. 1/3/91 ed al d.p.c.m. 14/11/97) con riferimento ai requisiti della strumentazione, alla ubicazione della stessa, al tempo di esposizione, ecc. Sicché a tali rilevamenti, comunque, non potrebbe essere attribuito più che un valore indicativo, sintomatico del problema, ma non idoneo a dare certezza sulla sussistenza di un superamento dei limiti di legge e sulla entità dello stesso.


Per cui, quand’anche fosse stato ammissibile ricostruire il reato contestato in termini omissivi, comunque gli imputati avrebbero dovuto essere assolti.


Omissis

 

M A S S I M E

 Sentenza per esteso

 

Getto pericoloso di cose – Emissioni moleste – Natura del reato – Reato a condotta libera – Reato di pericolo concreto – Superamento limiti di legge – Necessità – Limiti di qualità dell’aria – Disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone – Reato a condotta vincolata – Reato commissivo improprio – Clausola di equivalenza – Nozione e ambito di applicazione – Inquinamento da traffico veicolare – Posizione di garanzia del sindaco – Deleghe ai dirigenti – Esclusione della responsabilità per il sindaco – Insussistenza – Reati contravvenzionali – Colpa – Necessità – Natura – Prevedibilità ed evitabilità – Discrezionalità politica Il reato di cui all’art. 674 c.p., nella seconda parte relativa alle emissioni, è reato di pericolo concreto e a condotta libera, come tale può essere configurato in termini omissivi. Per la sua realizzazione è necessario il superamento dei limiti stabiliti dalla legge in materia di inquinamento atmosferico e solo in assenza di tali limiti può trovare applicazione il regime di cui all’art. 844 c.c. Il reato di cui all’art. 659 c.p. è reato a forma vincolata e, come tale, non può configurarsi in termini omissivi. La clausola di equivalenza di cui all’art. 40 c.p. non costituisce una norma incriminatrice autonoma e diretta, ma solo una disciplina giuridica del nesso di causale. Sicché perché un reato descritto in forma commissiva, possa, attraverso il filtro dell’art. 40 c.p., proporsi nella forma omissiva, è necessario che l’ipotesi base si configuri come reato di evento a condotta libera. Il sindaco, tanto in virtù della normativa relativa alla gestione del traffico urbano, quanto in virtù della normativa in materia ambientale, quanto, infine, in qualità di ufficiale del Governo cui compete il potere di emanare provvedimenti contingibili ed urgenti a tutela dell’incolumità pubblica, assume una posizione di garanzia con riferimento alla tutela dell’ariaambiente dalle emissioni inquinanti da traffico urbano. La relativa responsabilità non viene meno in virtù delle deleghe conferite ai dirigenti, restando in capo agli organi di direzione politica il compito di vigilare, oltre all’esercizio di alcuni poteri esclusivi. Solo i valori limite di qualità dell’aria (di cui al d.p.c.m. 28/3/83 e d.P.R. 203/88, ora valori limite secondo il d.lv. 351/99) rappresentano limiti massimi invalicabili di concentrazione degli inquinanti, restando i limiti di attenzione o di allarme e gli obiettivi di qualità dell’aria delle soglie di allarme. Anche nei reati contravvenzionali l’affermazione della responsabilità non può prescindere da un coefficiente di colpevolezza da parametrare sulla prevedibilità ex ante ed evitabilità dell’evento. Non può ravvisarsi colpa dove l’ordinamento affida alla discrezionalità politica la scelta tra più condotte. Giudice De Marco. Tribunale di Messina in composizione monocratica, Sez. II, del 8 ottobre 2002, Sentenza 2175

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Note

 

1. P.M.: Sono stati fatti, sono stati effettuati anche dei rilievi sui luoghi? Stiamo parlando appunto del viale Boccetta, rilievi fotografici?
TESTE: Sì. All’incirca per circa un mese, se non ricordo male l’estate scorsa, abbiamo effettuato saltuariamente dei controlli in orari di-versi in giorni diversi sia riprese fotografiche, sia riprese con tele-camera per far vedere il traffico, soprattutto, veicolare, macchine sostate in doppia fila e quanto altro.
P.M.: Adesso io chiederò la produzione dei rilievi. L’impressione generale, o comunque i fatti oggettivi, più che impressione genera-le, i fatti oggettivi che avete potuto ricavare da questi rilievi foto-grafici e descrittivi comunque anche attraverso riprese filmate, quali sono stati i dai di fatto? La situazione dell’arteria quale era?
TESTE: A mio modesto parere si poteva evitare di far parcheggiare le macchine sui due lati del Boccetta, perché chiaramente non c’era il divieto di sosta, poi la buona abitudine di noi messinesi parcheg-giare in doppia fila, tripla fila, venditori ambulanti e quindi chia-ramente la gente si deve fermare per forza davanti alla moto ape che vende e non magari cento metri più sopra, tutto qui.
P.M.: Questo è un fatto oggettivo che potremmo definire di mancanza di fluidità del traffico veicolare?
TESTE: Sicuramente sì, anche.
P.M.: Non ho altre domande.
GIUDICE: Parti civili, hanno domande?
AV.P.: Avete notato una sufficiente distribuzione della Polizia Municipale lungo il viale Boccetta?
TESTE: All’inizio no, poi sì. Alla fine, dopo che i giornali continuavano a parlare in continuazione tutti i giorni dell’inquinamento in genere, del Boccetta principalmente, allora ci sono stati maggiori controlli.
AV.P.: Dice “alla fine”, può fissare temporalmente cosa intende per “Alla fine”?
TESTE: Alla fine, ecco, nel mese di giugno quando noi facevamo, abbiamo fatto queste riprese, sì, c’era più controllo. Ma noi anche da prima, man mano che si andavano ad acquisire le carte già era obiettivo per noi andare a vedere noi stessi quale era il reale problema del Boccetta. Non c’erano molti controlli. Poi sì, l’estate scorsa sì, o-nestamente c’erano pattuglie su ambi i lati, fermavano. Ma questo io, comunque, non ero sempre presente, io ho coordinato questo servizio. Quelle volte che ci andavo io sì.
AV.P.: Estate 2001?
TESTE: Sì, l’estate scorsa.

 


2. tuttavia la presenza di segnaletica in tal senso è riscontrabile dai rilievi tecnico-fotografici eseguiti dalla polizia giudiziaria nel maggio 2001 (v. planimetria allegata al fascicolo fotogra-fico dalla quale si evince la presenza di segnali di divieto di sosta permanente per mezzi pesanti eccetto nell’orario compreso tra le 21,00 e le 7,00 e le 14,00 e le 15,00 con ora solare, e tra le 22,00 e le 7,00 e tra le 14,00 e le 16,00 con ora legale, per consegna merci.

 


3. ING. S. «Inquinamento abbiamo l’allarme, cioè l’abbiamo sull’allarme, l’attenzione invece qual è il problema? Che noi valutiamo una pen-denza, se abbiamo la pendenza in crescita nel momento degli inqui-nanti e allora e superiamo il livello di attenzione, dobbiamo porre in essere dei provvedimenti che facciano sì che questo trend cambi, per-ché noi dobbiamo evitare di arrivare al livello di allarme, quindi il li-vello di attenzione che di per sé non è pericoloso serve solamente per dire e parliamo qua di inquinamento industriale per esempio, se fos-simo a Milazzo se si supera i 250 di SO2 delle centraline uno dice “Caro ENEL cambia il combustibile perché senno’ superiamo i 600 e sarebbe un problema”, così qua quando come dicevo superato il livel-lo di attenzione dovrebbe scattare automaticamente un provvedimento che possa fare cambiare il trend di crescita del livello se non si fa questo uno può sperare che Dio faccia piovere, che …, che cambi il vento.»

 


4. AV.F.: A prevalente destinazione residenziale non a esclusiva destinazio-ne residenziale. Lei sa se la Regione Sicilia si è in particolar modo attivata dal profilo legislativo e normativo per dar corso a tutti i decreti attuativi di sua esclusiva competenza?
TESTE: No.
AV.F.: Assolutamente no? Non ho altre domande.
TESTE: Cioè dal ’93 in poi
AV.F.: No, non si è attivata o no non lo sa?
TESTE: No, non si è attivata.

 


5. L’ordinanza sul c.d. bollino blu prevedeva … che devono essere, cioè che se vogliono circolare in particolari aree devono essere muniti del bollino come le macchine, cioè è l’amministrazione comunale che stabilisce le aree in cui c’è la circolazione ristretta a chi ha il bollino blu e il bollino blu può essere dato da privati o da enti pubblici, per i TIR la motorizza-zione civile ha fatto sapere che era lei l’unica abilitata, ma il problema non si pone per i TIR, Messina è una città di transito, non è il TIR di Messina che passa da Messina, il problema è il TIR di Milano che passa da Messina, quindi ogni auto l’avrebbe dovuto fare. Cioè non è arriva a Messina, va alla motorizzazione e si fa fare il bollino blu e poi cammina, o ce l’ha o non ce l’ha.

 


6. AV.A. L.: Lei ha avuto conoscenza di un progetto dell’amministrazione P. relativo alla realizzazione della cosiddetta strada del mare che è un’arteria che porta dallo svincolo di Gazzi all’approdo delle Fer-rovie dello Stato e di un progetto relativo a un secondo approdo nella zona di San Raineri? Cioè, in buona sostanza, transito degli automezzi dall’autostrada attraverso questa via del mare a ridosso delle Ferrovie dello Stato
TESTE: Via Don Blasco, può essere?
AV.A. L.: Esattamente, sì.
TESTE: Via Don Blasco, sì.
AV.A. L.: Lei ritiene che questo progetto è un progetto risolutivo per i problemi del traffico pesante e quindi della problematica di viale Boccetta o no?
TESTE: Io non sono un esperto in traffico, io sono un esperto in
AV.A. L.: Scusi, il concetto è semplicissimo
TESTE: di inquinamento.
AV.A. L.: Il concetto è semplicissimo. Uno strumento viario che evita che i mezzi pesanti
TESTE: Comunque, ho risposto precedentemente.
AV.A. L.: E va bè, può rispondere anche ora?
TESTE: Cioè, qualunque modo che
AV.A. L.: La domanda qua è specifica, c’è un progetto, anzi due progetti, redatti dall’amministrazione P., uno che riguarda la realizzazione di un approdo, un secondo approdo nella zona di San Raineri, poi il consiglio comunale successivo ha stabilito nella zona di Treme-stieri, comunque il concetto è lo stesso, è una via del mare che do-veva portare il traffico, ma comunque la via del mare è ancora va-lida per quanto riguarda le problematiche dei TIR che debbono transitare con le Ferrovie dello Stato
PRESIDENTE: Avvocato, la domanda.
AV.A. L.: Sì, cioè uno strumento viario che evita che il traffico autostradale dalla Sicilia al Continente e viceversa attraversi la città è un in-tervento che risolve in maniera decisiva i problemi dell’inquinamento ambientale e acustico sul viale Boccetta?
TESTE: Non sono un esperto di traffico, premesso, però come ho già detto prima qualunque soluzione che in qualche modo diluisca il traffico su più strade diminuisce la concentrazione degli inquinanti per cui sicuramente
AV.A. L.: La domanda è precisa, questi progetti fanno transitare i mezzi che debbono passare dalla Sicilia al Continente e viceversa non più dal centro cittadino ma dall’esterno della città, in conseguenza di questo il problema
PRESIDENTE: Ha risposto, ha detto che sarebbero diminuiti gli inquinanti.
TESTE: La mia risposta è molto più ampia di quella che lei ha chiesto perché chiaramente se lei mi chiede se passa da una strada diver-sa dal Boccetta e diminuisce l’inquinamento io le dico sì ma è ba-nale, non penso che lei mi ha chiesto questo, io le sto dicendo che qualunque soluzione che ripartisca il traffico su più strade è una soluzione
AV.A. L.: Lei ha avuto la possibilità di prendere in esame questi progetti della giunta P.? Ne è venuto a conoscenza in qualche modo?
TESTE: Sì, che esistevano questi progetti sì.
AV.A. L.: E come mai non ne ha fatto cenno nella sua relazione?
TESTE: Non era un problema di inquinamento sul Boccetta.
AV.A. L.: Ma, perché lei ritiene che questi progetti non hanno influenza sull’inquinamento sul Boccetta? Secondo me ne avrebbe dovuto parlare. Comunque, non è importante. Lei è a conoscenza di una ordinanza del Sindaco P. con la quale si faceva obbligo che gli au-tomezzi provenienti da Catania e diretti alle Ferrovie dello Stato avevano obbligo di uscita attraverso lo svincolo Gazzi? È venuto a conoscenza di questo provvedimento?
TESTE: Se mi dice il numero, ce l’ha?
AV.A. L.: Il provvedimento è l’ordinanza registrata al numero 1606 del 12 luglio ’96 con la quale il sindaco ordina agli automezzi pesanti provenienti dall’autostrada A 20 e A 18 diretti agli imbarchi della Ferrovia dello Stato
TESTE: No, non ero a conoscenza.
AV.A. L.: Se ne fosse venuto a conoscenza le sue conclusioni sarebbero state diverse? Sì o no? È un mezzo idoneo questo che ripartisce il traffi-co autostradale su due arterie anziché una sola quella del Boccet-ta? È un mezzo idoneo secondo lei?
TESTE: Come ho detto
AV.A. L.: Risponda però verbalmente, perché altrimenti non registra.
TESTE: Avrebbe potuto essere, cioè
AV.A. L.: Mi scusi, risponda sì o no.
TESTE: Come ho detto qualunque soluzione che ripartisce il traffico a più strade, quindi questo qua
AV.A. L.: Quindi questo provvedimento è un mezzo
TESTE: è un mezzo per diminuire le concentrazioni inquinante.
AV.A. L.: Ed ha un effetto immediato questo secondo lei o no?
TESTE: Sì.
AV.A. L.: Le risulta che l’amministrazione P. ha adottato provvedimenti in ordine alla cosiddetta fluidificazione del traffico sul viale Boccet-ta, le risulta?
TESTE: No.
AV.A. L.: Se li avesse adottati sarebbe un provvedimento idoneo ai fini che ci
TESTE: Sicuramente, l’ho detto precedentemente
P.M.: Intanto specifichiamo quali sono questi provvedimenti, se li avesse adottati ma se non diciamo quali, non è a conoscenza del consu-lente, quindi c’è opposizione alla domanda formulata generica-mente.
AV.A. L.: No, signor Pubblico Ministero, perché lei non ha curato di sottoporre al
PRESIDENTE: Va be’, le polemiche le facciamo dopo.
AV.A. L.: Il problema è che al consulente del Pubblico Ministero non sono stati sottoposti né l’interrogatorio del dottore P. né i documenti prodotti
PRESIDENTE: Va bene, li possiamo sottoporre adesso, come abbiamo sottoposto il problema della deviazione del traffico.
AV.A. L.: Mi riferisco in particolare
PRESIDENTE: Comunque, avvocato, io fra la documentazione ho visto quella della deviazione del traffico su Gazzi ma altri provvedimenti di questo genere non li ho visti, può darsi che mi ricordo male io, forse non li avete prodotti.
AV.A. L.: Comunque, sono provvedimenti che poi credo siano stati adottati, al momento in cui siamo stati sottoposti ad interrogatorio noi, il dottore P. non era più Sindaco
PRESIDENTE: Forse, dico, al limite ci sono.
AV.A. L.: No, c’è un motivo. Il dottore P. non era più Sindaco e non siamo più nelle condizioni di rintracciare questi provvedimenti come provvedimenti formali, però i provvedimenti debbono esistere per-ché ci sono gli effetti di questi provvedimenti, per esempio quello relativo alla fluidificazione del traffico riguarda innanzitutto l’installazione dello spartitraffico sul Boccetta e prima non c’era e poi della realizzazione del senso unico su viale Regina Margherita per evitare l’intasamento all’incrocio col Boccetta, sono situazioni che sono ancora in atto, sono stati messi in atto dalla giunta P. e comunque su questo ci saranno anche le dichiarazioni degli impu-tati.
PRESIDENTE: Comunque, in astratto questo tipo di provvedimenti poteva produrre benefici? Ha già risposto prima, risponda di nuovo.
TESTE: Sicuramente, tutto quello che fluidifica il traffico, fermo restando che non sono un esperto di traffico, per cui non posso dire se que-sto fluidifica il traffico, ma tutto quello che serve a fluidificare il traffico diminuisce l’inquinamento.
AV.A. L.: Lei ha registrato l’azione del bollino blu in un’epoca
TESTE: Nel 2000.
AV.A. L.: nel 2000 che probabilmente attiene a fasi successive di attuazione, però a me risulta che l’ordinanza relativa al bollino blu risale alla giunta del dottore P.. Lei ne fa cenno nella sua relazione a pagina 6, ordinanza 1807 del 28 luglio ’97 controllo strumentale delle ca-ratteristiche dei gas di scarico.
TESTE: A dare attuazione all’ordinanza, vuol dire che prima non era stata attuata.
AV.A. L.: Scusi, l’ordinanza c’è o non c’è?
TESTE: Io leggo, l’ordinanza c’è.
AV.A. L.: Una volta che c’è l’ordinanza secondo lei gli uffici sottoposti hanno l’obbligo di attuarla?
TESTE: Qua entriamo in una problematica che non è mia, non attiene al mio ruolo di consulente, sicuramente, è una problematica pretta-mente giuridica in cui io posso pure dire la mia chiaramente, su come la penso, sulle responsabilità, chi ha le responsabilità e chi non ce le ha, ma non è un problema di consulenza tecnica.
AV.A. L.: Sì, ma siccome noi stiamo discutendo di responsabilità personale.
TESTE: Sì, io nell’ordinanza del 2000 leggo, a mente perché è stata fatta un anno fa ma mi ricordo “A dare attuazione all’ordinanza prece-dente”, il che per me vuol dire che prima non era stata data attua-zione, se poi non è stata data attuazione perché il funzionario non aveva dato l’attuazione io che ci posso fare?
AV.A. L.: Ma io non sto facendo a lei un rimprovero, mi scusi, io le sto soltanto chiedendo quell’ordinanza
TESTE: Sì, mi risulta che c’era, mi risulta pure che
AV.A. L.: è un provvedimento che una sua efficacia in ordine alla problema-tica
TESTE: Da quanto si legge nell’ordinanza successiva non è stata data attuazione a quell’ordinanza, comunque sì, la mia risposta è sì, in-fatti è una delle cose che avrebbero dovuto essere fatte.
AV.A. L.: Le è stato sottoposto il piano triennale di tutela ambientale ’94 ’96 con i finanziamenti per la riduzione dell’inquinamento atmosferico da riduzione di traffico veicolare? Gliel’hanno sottoposto? È stato sottoposto in qualche modo?
TESTE: E’ stata data attuazione a quei finanziamenti?
AV.A. L.: No, mi scusi, lei risponda senza fare altre domande. Lei è venuto a conoscenza di questa delibera della giunta P.?
TESTE: No.
AV.A. L.: Dal momento che questa delibera prevede la riduzione dell’inquinamento atmosferico mediante riduzione di traffico vei-colare e in particolare mediante l’acquisto di tre bus elettrici e mediante la realizzazione di una scala mobile che dalla circonval-lazione porta in città, lei ritiene che questo provvedimento sia utile per risolvere in qualche modo le problematiche dell’inquinamento?
P.M.: C’è opposizione al modo di formulazione, il provvedimento in sé o l’applicazione di questo provvedimento? Chiediamolo.
PRESIDENTE: (fuori microfono) l’applicazione.
P.M.: Sì, ho capito, ma se non c’è stata
AV.A. L.: Scusi, signor Pubblico Ministero, i Sindaci fanno ordinanze e delibere e provvedimenti del genere e lei ha messo sotto processo il Sindaco per non avere adottato questi provvedimenti, non mi chieda che poi il Sindaco vada anche ad installare gli impianti, credo che sia un po’ troppo.
P.M.: Poi sarà in sede di discussione verificare se l’emanazione dei provvedimenti sia
AV.A. L.: Noi dobbiamo verificare in base a quello che è il capo di imputa-zione la condotta del Sindaco.
PRESIDENTE: Può rispondere alla domanda se è in grado.
TESTE: Sicuramente, cioè mezzi elettrici sicuramente per quanto riguarda l’inquinamento puntuale lo diminuiscono sono d’accordo, le scale mobili, non so è da Boccetta
AV.A. L.: No, dalla circonvallazione in città ed evita quindi
TESTE: E’ un parcheggio sopra?
AV.A. L.: No, dunque, la gente che abita in circonvallazione e deve venire al centro dovendo percorrere una strada molto lunga la percorre ov-viamente in macchina, avendo un mezzo di scala mobile che da sopra scende sotto anziché venire in macchina viene a piedi al centro.
TESTE: Da tecnico, anzi da tecnico non di traffico, però l’inquinamento che noi riscontriamo al Boccetta, fermo restando che tutte queste cose migliorano sono d’accordissimo, però l’inquinamento che noi riscontriamo a Boccetta è un inquinamento da traffico pesante.
AV.A. L.: E questo voglio che lei lo sottolinei ancora di più, quindi lei sta affermando che le problematiche di Boccetta sono determinate e-sclusivamente, dice lei, da traffico pesante. Siamo d’accordo su questo. Un’altra cosa, la giunta P. ha deliberato l’opera del tram, di installare il tram a Messina, lei ritiene che un sistema viario di trasporto come il tram sia utile che per queste problematiche?
TESTE: Torno a dire io non sono un esperto di traffico e lo ripeto ancora
AV.A. L.: Il tram è un mezzo elettrico.
TESTE: Il tram è un mezzo elettrico però se dobbiamo entrare nelle problematiche del tram a Messina usciamo fuori dai problemi di questo processo, e andiamo da qualche altra parte.
P.M.: Stiamo parlando di traffico da mezzo pesante.
AV.A. L.: Lei, signor Pubblico Ministero, fa bene a puntualizzare questo, però io gradirei che lei lo puntualizzi nel capo di imputazione, questo, se lei lo puntualizza nel capo di imputazione noi queste domande non le facciamo più, quindi la invito a fare questa pun-tualizzazione, la fa o no?
PRESIDENTE: Faccia la domanda.
P.M.: E’ una sollecitazione atipica questa.
AV.A. L.: Non è atipica.
PRESIDENTE: Lei ritiene che
TESTE: Allora, visto che per altri versi di tram me ne sono occupato, la mia opinione personalissima sul tram che doveva essere sottopo-sto al via e poi non è stato sottoposto al via
AV.A. L.: Appunto, il problema questo è, non è stato sottoposto al via, il suo ufficio.
TESTE: Allora non c’ero.
AV.A. L.: Mi scusi, il (parola incomprensibile) attiene al procedimento che non ci interessa, a noi interessa se il provvedimento che ha fatto la giunta P. con il quale ha deciso che i mezzi di trasporto pubblici che prima erano prevalentemente mezzi, erano di autobus vengano sostituiti nel centro cittadino da un tram sono provvedimenti utili per abbassare l’inquinamento atmosferico e l’inquinamento acu-stico?
TESTE: In astratto sì, nel concreto parlando del tram di Messina ma questo qua

 


7. ING. S. Sicuramente il problema come ho detto non è di facile soluzione, perché Messina è una città di transito, collega la Sicilia col resto d’Italia e il traffico pesante passa da qua, quindi il problema esiste come problema, ora cosa fare? Il problema a mio avviso è che non ci si è posti il problema di risolvere questo problema, sicuramente biso-gnava studiarlo e trovare, le soluzioni potevano essere molteplici, nessuno ha la bacchetta magica, cioè era da studiare soluzioni varie per cercare di risolvere questo problema, la limitazione del traffico, anzi io direi la prima cosa, il rispetto delle norme del codice sui divie-ti di sosta in seconda fila che venivano effettuati sul viale Boccetta, uno, sarebbe stato un palliativo però sicuramente qualche cosa a-vrebbe portato, due, cercare percorsi alternativi al viale Boccetta, tre, una limitazione oraria del traffico come quella che è stata fatta in questo momento per scaricare in qualche modo, non per risolvere il problema, no, perché se noi parliamo di inquinamento vero è che l’inquinamento resta lo stesso in termini di massa, perché gli autotre-ni che passano o passano da Boccetta o passano da Tremestieri o passano da un’altra parte sempre inquinano, quindi in termini di massa l’inquinamento sarebbe rimasto lo stesso, nel momento in cui però questo inquinamento massivo lo diluiamo su un territorio più ampio o in orari diversi noi diluiamo la concentrazione che è quella che noi andiamo a rilevare, quindi un provvedimento che porti a per-corsi alternativi anche orari sicuramente potrebbe essere un provve-dimento che dà qualche risultato, fermo restando che l’inquinamento totale in termini di … è costante, io come consulente mi sono occupa-to dell’inquinamento, sicuramente un esperto in traffico potrebbe stu-diare meglio la situazione e a questo punto c’è pure da rilevare che non ho trovato agli atti, può essere che ci siano, grossi dati sul rile-vamento del traffico se non, mentre per esempio l’Università di Mes-sina avrebbe dovuto correlare nello studio che ha trasmesso che però avrebbe dovuto fare, correlare l’inquinamento al traffico perché nella sua dotazione aveva pure una telecamera che avrebbe dovuto correla-re questo. Erano degli studi da fare…bisogna studiare il traffico per dare le soluzioni. Ce ne sono tante di soluzioni ma sono solamente al livello qualitativo che si possono dare, per darne una quantitativa e da verificare, perché poi non è detto che uno studio porti a una solu-zione buona, bisogna trovare una soluzione, studiarla, metterla in atto e poi verificare

 


8. …anche al fine di prevenire il superamento dei limiti massimi di accettabilità della concen-trazione e di esposizione fissati dal d.p.c.m. 28/3/83 e dal d.p.r. 24/5/88 n. 203.

 


9. ING. S. I PM 10 è un particolato di dimensioni inferiori a 10 micron che chiaramente non vengono filtrati né dai peli che abbiamo nel naso né da tutto il resto e quindi prima o poi ce li troviamo nei polmoni per cui è un grosso problema che esistano. Chiaramente se lei ci sta non muore però se lei respira il PM 10 a 60
PRESIDENTE: Vivo lo stesso, vivo peggio ma vivo lo stesso.
TESTE: Infatti, è un problema solo di qualità, mentre nel decreto dell’83 abbiamo dei parametri che fanno veramente male alla salute e in-fatti abbiamo l’allarme e poi.

 


10. in particolare nell’art. 3 di tale vengono stabilite le modalità di fissazione ed aggiornamento dei valori limite e valori guida di qualità dell’aria validi su tutto il territorio nazionale, precisando che questi debbano essere stabiliti con decreto del presidente del consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’ambiente, di concerto con i ministri della sanità e dell’industria, del commercio e dell’artigianato.

 


11. GIUDICE : … Ora, nel periodo di osservazione, diciamo, chiamiamolo periodo di osservazione, lei ha rilevato un superamento dei limiti massimi di accettabilità dell’aria, quali stabiliti dal Presidente del Consiglio dei Ministri dell’ottantatre?
TESTE : Si, dico, ne ho registrati diversi, sia relativamente al PM dieci che per il benzene, che per ..
GIUDICE : Il PM non è disciplinato dalla…
TESTE : ………………………… io non ho sentito l’ultima parte. Può ripetere?
GIUDICE : Dico, col DPM del marzo ottantatre venivano fissati dei limiti massimi di accettabilità per una serie di inquinanti.
TESTE : SI.
GIUDICE : Ecco, questi limiti massimi sono stati superati nel caso di specie, dal novantaquattro al duemilauno?
TESTE : Si, si, si. Anche…
GIUDICE : Per quali valori?
TESTE : Anche quelli sono stati esaminati. Io in effetti l’analisi l’ho fatta riportandomi al novantaquattro, però, ecco, i limiti non variano notevolmente; variano i metodi di campionamento.
GIUDICE : Prima ha fatto riferimento ai limiti… ai livelli di allarme, ai livelli di…
TESTE : Di attenzione.
GIUDICE : Di attenzione. A parte questo superamento di questi limiti…
TESTE : E agli obiettivi qualità peraltro.
GIUDICE : E agli obiettivi di qualità quali sono nel novantaquattro; dico, a parte questo, sicuramente, di questi valori, ci sono anche sicura-mente dei valori stabiliti dal… come limiti massimi dal decreto del Presidente del consiglio dei Ministri dell’ottantatre?
TESTE : Si, i superamenti, perché in effetti ad esempio con Biossido di azoto i livelli sono gli stessi, duecento e quattrocento, e quindi i superamenti comunque ci sono. Però, in effetti, è stato analizzato il novantottesime percentile, e il valore di quello è inferiore; però sui valori orari si, ci sono i superamenti.
GIUDICE : Cioè, nel caso del biossido di azoto il limite massimo di accettabi-lità quanto è fissato?
TESTE : Il livello di attenzione è duecento, di allarme quattrocento microgrammi a metro cubo, su media oraria da quindici quattro novantaquattro. Posso prendere…
GIUDICE : Dico, invece, per il limite massimo di accettabilità fissato dal decreto del Presidente …
TESTE : Quindi, dal duecentotre dell’ottantotto, se non erro, sempre duecento-quattrocento, si. Si, duece… si, si, duecento-quattrocento, sempre, per N02.
GIUDICE : E per questo valore… e per questo inquinante ci sono stati dei superamenti?
TESTE : Si, si, gliel’ho detto prima.
GIUDICE : E per quanto riguarda invece il Co?
TESTE : Si, anche per il Co… perché il effetti il monitoraggio relativo all’anno novantatre fa riferimento al duecentotre dell’ottantotto, e per il Co in quell’anno si misurano quattrocentotrentatre supera-menti dei livelli di attenzione, quattro dei superamenti di allarme, e l’anno novantaquattro No2 trecentosette e Co duecentodue.

 


12. AV. F.: La domanda è la seguente: lei ha verificato il superamento del livello di attenzione e di allarme in relazione ad una singola po-stazione o in riferimento al cinquanta per cento delle postazioni, così come prescrive la legge?
ING. S.: Allora, io vado per anno e per… per anno e per fonte. Se facciamo riferimento, diciamo, alla… all'Università, ad esempio, perché ol-tre a questa…
AV. F.: Mi scusi, mi scusi, lei innanzitutto lei sa quali sono le postazioni…

TESTE: Sì, contemporaneamente…
AV. F.: Così come prescrive… come prescrive il regolamento.
GIUDICE: Eh, questo lo vediamo, come prescrive.
TESTE: Come prescrive il regolamento è stato fatto, diciamo, nel novanta-sei e diciamo i superamenti si sono rilevati non nel cinquanta per cento delle stazioni, ma nel cento per cento.
AV. F.: Riferiti a quali postazioni, mi scusi?
TESTE: Riferite alle tre postazioni…
AV. F.: E cioè?
TESTE: svincolo, via ventiquattro maggio, e villa Mazzini.
AV. F.: E secondo lei questi sono… sono le postazioni delle amministra-zioni provinciali, su cui vanno fatti i criteri, vanno stabiliti i criteri di superamento di…
TESTE: sono dei monitoraggi avvenuti sui quali io in effetti ho più stazioni dove… dove fare un paragone. Se lei mi fa fare riferimento…
AV. F.: NO, mi scusi, lei ha idea dove l'amministrazione provinciale ha collocato le postazioni al…
AV. P.: C'è opposizione alla domanda, ha già riferito. C'è opposizione.
AV. F.: Perché c'è opposizione alla domanda?
GIUDICE: Avvocato, faccia fare la domanda e poi fa l'opposizione.
AV. P.: Perché ha già ha riferito.
AV. F.: Vediamo dove ha preso questi dati dalla…
GIUDICE: La domanda qual è, avvocato?
AV. F.: Se la consulente sa dove l'amministrazione provinciale ha colloca-to le varie postazioni al fine di misurare i livelli di inquinamento per la determinazione dell'eventuale superamento sia del livello di allarme che del… di quello di attenzione.
TESTE: Sì…
GIUDICE: Aspetti, ha da fare opposizione, avvocato?
AV. P.: opposizione perché ha già risposto.
TESTE: HO già risposto, ma se non mi ha ascoltato posso ripetere.
AV. F.: prego.
TESTE: In… di fronte all'Archimede, diciamo…
AV. F.: Ed è una. Poi ha nozione di altre… ha nozione di altre postazioni?
TESTE: Sì, sulla…
AV. F.: cioè?
TESTE: Sulla terrazza Buon Pastore, sovrintendenza…
AV. F.: E questa è dell'amministrazione provinciale o di un altro ente?
TESTE: La provincia, secondo ufficio…
AV. F.: Lei dice della provincia? Va bene, d'accordo.
TESTE: Le posso dare anche il protocollo di trasmissione dei dati.
AV. F.: sì… Lei sostiene che è dell'amministrazione Provinciale quello del Buon Pastore?
TESTE: Secondo ufficio dirigenziale, provincia di Messina. Sì, sopra sovrintendenza Beni Culturali, terrazza Buon Pastore.
AV. F.: Collocato quando?
TESTE: Eh, per gli anni… potrei anche aiutarmi, comunque mi sembra novantasette e… nel novantasette sicuramente… i superamenti dei sessanta virgola settanta, e settanta virgola sessanta, quindi no-vantasette… glielo dico subito, Provincia regionale secondo uffi-cio dirigenziale, sì, nell'anno novantasette e per l'anno novantasei, mi pare; un attimo che confermo il dato: sì, anno novantasette. Ot-tanta virgola sessantatré come PM dieci.
AV. F.: quindi lei… lei esclude che si tratta di quello dell'Università e dice che è quello dell'amministrazione provinciale questo!
TESTE: Allora, io le ho riferito sia quelli relativi all'Università che quelli relativi al secondo ufficio dirigenziale. Ora lei a quali vuole fare riferimento?
AV. F.: Io faccio riferimento alle postazioni installate dall'amministrazio-ne provinciale.
TESTE: Eh, terrazza Buon Pastore.
AV. F.: Lei sostiene che…
TESTE: Lungo il Boccetta.
AV. F.: …è installata dal…
TESTE: Stazione metri cinque sul terrazzo…
AV. F.: quale a… a quali altre postazioni installate dall'amministrazione provinciale ha fatto riferimento.
TESTE: Questa, questa e quella dello svincolo… dell'Archimede, sì.
AV. F.: L'avevamo già detto. e quindi questi due.
TESTE: A queste, sì.
AV. F.: Non ha fatto riferimento ad altre stazioni.
TESTE: Diciamo lungo il Boccetta no, le altre sono quelle dell'Università. Me ne vuole dire qualcuna? Non lo so, me la vuole ricordare lei? Perché mi sfugge.

 


13. v. dichiarazioni dell’ing. S., pagg. 44 e ss.

 


14.
AV.F. S.: Complessivamente, vista la sua esperienza, d’altro canto, lei è un tecnico in materia, può affermare che tutti i tentativi che l’amministrazione comunale ha posto in essere per cercare di limi-tare il malsano fenomeno di inquinamento acustico ambientale possano definirsi blandi e quindi praticamente dei meri palliativi?
PRESIDENTE: Avvocato, la domanda deve fare, non deve dare la risposta.
AV.F. S.: Io ho fatto una domanda, la risposta può essere sì o no.
PRESIDENTE: (voci sovrapposte)
AV.F. S.: Ripeto la domanda. In relazione all’opera svolta dal Comune quindi dagli amministratori del Comune pro tempore nel periodo interessato dai fatti di causa, questi tentativi sono stati effettiva-mente incisivi o no?
ING. S.: La risposta già l’ho data. Il problema è che per potere rispondere a una domanda simile, bisogna avere analizzato il problema molto a fondo e
AV.F. S.: E’ stato fatto ciò per quello che è a sua conoscenza?
TESTE: Non mi sembra.
AV.F. S.: Nessun’altra domanda, Giudice.
TESTE: Dopo di che qualunque soluzione può essere buona o brutta ma è da verificare.
AV.F. S.: Grazie.
TESTE: Se le cose funzionano va bene, se non funzionano



15. ING. S.: Da tecnico, anzi da tecnico non di traffico, però l’inquinamento che noi riscontriamo al Boccetta, fermo restando che tutte queste cose migliorano sono d’accordissimo, però l’inquinamento che noi riscontriamo a Boccetta è un inquinamento da traffico pesante.

 


16.
«…Le zone del centro abitato in cui vengono applicate le misure devono essere di estensione tale da coinvolgere le sorgenti di emissione significativamente correlate con le concentrazioni rilevate nell'area di superamento tenendo conto della esigenza di non determinare situazioni critiche in altre aree…»

 


17. per esempio il consulente del pubblico ministero così si esprime (pagg. 147 e 165-166):
AV.F.: No, mi riferivo adesso all’inquinamento acustico. I dati dei vigili urbani lei li ha riscontrati? Sa dire se quei dati sono stati raccolti in conformità a quelle che erano le prescrizioni del decreto 16 marzo ’98?
TESTE: No.
AV.F.: Non lo sa? Quindi, non sa se si è provveduto a rilevare dati per dieci minuti o quindici minuti oppure per una settimana intera?
TESTE: Dovrei rivedere la relazione però guardando la relazione
AV.F.: Può verificarlo questo dalla sua relazione?
TESTE: Dieci minuti.
AV.F.: Quindi, non si è stabilito un monitoraggio del rumore da prodotta circolazione, chiaramente parliamo dell’inquinamento acustico della circolazione non di attività industriali che sono anche per dieci minuti va bene lo stesso chiaramente, ma dal carattere della casualità della circolazione che deve essere seguito per un tempo di misura non inferiore ad una settimana? Dieci minuti.
TESTE: Era dei controlli spot.
PRESIDENTE: No, parliamo dell’inquinamento acustico.
TESTE: Acustico, no, c’è il riferimento
PRESIDENTE: C’è solo riferimento senza specificazione.
TESTE: gli unici dai sono quelli dei vigili urbani.
PRESIDENTE: Ora, se non ricordo male, il decreto ministeriale che regola la misurazione stabilisce delle discipline per quanto riguarda l’effettuazione della misurazione di questi valori.
TESTE: Sono d’accordo, non sono misure, ma al solito queste misure evidenziano l’esistenza di un problema
PRESIDENTE: Sì, però dico se la misurazione è effettuata in un modo o in un altro il valore può essere diverso?
TESTE: Certo, però se uno vede 90 sarà 80, sarà 70.
PRESIDENTE: Ma, lei ha visto come
TESTE: Il problema esiste, il problema esiste.
PRESIDENTE: Sì, ma non credo che sia soltanto una questione di tempo per quanto riguarda le misurazioni, anche della distanza dalla fonte di immissione è regolata dal decreto ministeriale no?
TESTE: Sì.
PRESIDENTE: In questo caso lei ha constatato come è stata effettuata questa misurazione?
TESTE: No, io ho letto
PRESIDENTE: Dalla relazione si evince se sono stati rispettati i parametri indicati dal
TESTE: No, non sono quelli sicuramente del, perché la finalità dello studio era diversa, era interna.