N. 3075/02 R.G. notizie di reato
PROCURA DELLA REPUBBLICA
presso il Tribunale di Udine
DECRETO DI RIGETTO DI RESTITUZIONE DI COSE SEQUESTRATE
artt. 262, 263, commi 4 e 5, c.p.p., 84 D.Lv. 271/89
Il Pubblico Ministero dott. Luigi LEGHISSA, Sost. Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Udine,
Visti gli atti del procedimento penale indicato in epigrafe in riferimento alla sussistenza del reato
di cui all'art. 51 D.Lvo n. 22 del 1997 in relazione all'esercizio di una attività di smaltimento di rifiuti ferrosi in assenza della/e prescritta/e autorizzazioni;
Lette le istanze di restituzione dei rottami ferrosi sequestrati presentate da:
(omissis)
Osservato che nelle istanze sopra indicate si chiede la restituzione dei rottami ferrosi sequestrati alle varie parti interessate sostanzialmente allegando le "novità" introdotte dal testo dell'art. 14 del c.d. D.L. "omnibus" 8.07.02 n. 138 di "interpretazione autentica della definizione di rifiuti di cui all'art. 6, comma 1, lett. a) del D.Lvo n. 22 del 1997;
ritenuto di non poter aderire alla richiesta di dissequestro sopra indicata per le considerazioni che qui brevemente si riassumono.
Anche alla luce delle nuove disposizioni introdotte dall'art. 14 del D.L. n. 138 del 2002, evidentemente adottato ad hoc non si ritiene di dover modificare il precedente orientamento interpretativo seguito da questo ufficio e dal Tribunale del Riesame in sede di impugnativa del disposto sequestro, le cui motivazioni appaiono tuttora valide e condivisibili (ci si riferisce ad esempio all'ordinanza del Tribunale del riesame di Udine del 14.06.02 adottata nel proc. pen. N. 3075/02 RGNR che si allega al presente provvedimento di cui costituisce parte integrante).
Mancata integrazione dei presupposti di cui all'art. 14 D.L. n. 138/2002
In primo luogo deve osservarsi che non paiono integrati nemmeno gli elementi descritti nel citato art. 14 del D.L. Omnibus per escludere la nozione di rifiuto ai rifiuti ferrosi oggetto di sequestro: invero non vi è alcuna prova che l'utilizzazione del rottame nel ciclo produttivo, senza preventivo intervento di trattamento avvenga "senza recare pregiudizio per l'ambiente"; la natura composita del materiale ferroso proveniente da precedenti attività di rottamazione dello stesso, la confusione del rottame ferroso con altri materiali di diversa natura, la mancanza di ogni controllo tale da escludere la presenza di inquinanti pericolosi sono tutte circostanze di fatto che impediscono di ritenere provata la clausola di riserva di "tutela ambientale" indicata dall'art. 14, comma 2, lett. a) D.L. citato.
Attesa la esigenza di tutela del diritto alla salute e la portata interpretativa della norma definitoria introdotta è evidente che si impone una interpretazione rigorosa e costituzionalmente orientata (art. 32 cost.) della stessa tale da imporre che la condizione negativa indicata deve essere pacificamente provata e costituire quindi un elemento costitutivo che essere positivamente provato per escludere la esistenza del rifiuto: la mancata o insufficiente prova della inesistenza di rischio ambientale impedisce di ritenere il materiale come merce, e impone di qualificare lo stesso come rifiuto, trattandosi di sostanza di cui la parte si è disfatta;
Disapplicazione dell'art. 14 del D.L. n. 138 del 2002
In secondo luogo si ritiene che la definizione di rifiuti quale introdotta dall'art. 14 del D.L. n. 138 del 2002 sia in contrasto con la nozione di rifiuto quale definita dalle norme comunitarie e dalle sentenze della Corte di Giustizia Europea (sentenze della Corte di Giustizia ricordate dall'allegata ordinanza del Giudice del riesame cui ci si richiama).
Deve poi rilevarsi che in materia di spedizioni e trasporto di rifiuti all'interno degli Stati membri della Comunità Europea trova immediata applicazione il Regolamento CEE n. 259/93 che all'art. 2 lett. a) rinviando all'art. 1 lett. a) della direttiva n. 75/442, direttiva che ha fissato i principi cardine in materia di rifiuti, (poi modificata dalla direttiva n. 91/156 CEE) ha istituito una definizione di rifiuto unitaria che si applica direttamente alle spedizioni di rifiuti all'interno di qualsiasi stato membro (cfr. a riguardo sentenza Corte di giustizia del 25.06.1997 Tombesi e altri, citata anche nell'ordinanza del tribunale di riesame allegata e sentenza CGCE 25.06.1998 causa C - 192/96).
La nozione di rifiuto elaborata dalla predetta norma comunitaria, direttamente applicabile nell'ordinamento interno senza la necessità di alcun atto attuativo interno, (nozione di rifiuto ampiamente riportata dal tribunale del riesame, cui ci si richiama), è pacificamente in contrasto con quanto definito dalle nuove disposizioni introdotte dal D.L. n. 138 cit..
Se le considerazioni sopra svolte sono corrette ne discende, per conseguenza, che le norme del nuovo decreto legge, in quanto in contrasto con le sentenze della Corte di Giustizia e con norma di Regolamento CEE, deve essere disapplicata dal giudice nazionale.
Infatti è principio ormai consolidato, in dottrina e giurisprudenza, che un eventuale contrasto tra norma di legge nazionale e norma di regolamento comunitario, deve essere risolto con la mancata applicazione della norma nazionale derogatoria, che non può essere applicata dal giudice nella risoluzione della controversia al suo esame.
"L'eventuale conflitto tra il diritto comunitario direttamente applicabile e quello interno, proprio perché suppone un contrasto tra quest'ultimo con una norma prodotta da una fonte esterna avente un proprio regime giuridico e abilitata a produrre diritto nell'ordinamento nazionale entro un proprio ambito di competenza, non dà luogo a ipotesi di abrogazione o di deroga, né a forme di caducazione o di annullamento per invalidità della norma interna incompatibile, ma produce un effetto di disapplicazione di quest'ultima ..." (Cfr. Corte Cost. n. 389 del 11.07.1989, in Foro ital. 1991, I, p. 1076; analogamente Corte Cost. n. 170 del 5.06.1984, in Foro It., 1984, I, p. 2062).
Analogamente sono da ritenersi vincolati per lo stesso legislatore nazionale le decisioni della giurisprudenza comunitaria trattandosi di decisioni di immediata applicazione anche nel nostro ordinamento giuridico, come affermato da Corte Cost. con la sentenza del 23.04.1985, n. 113 (in Foro Ital. 1985, I, 1560). Ne consegue il dovere del giudice di immediata disapplicazione della norma nazionale configgente con la normativa comunitaria quale interpretata dalla Corte di Giustizia, dovendosi per conto applicare la norma generale in materia di smaltimento di rifiuti quale introdotta dal legislatore in conformità ed esecuzione delle direttive comunitarie.
Alla luce dei principi sopra illustrati relativi al rapporto tra le fonti di produzione del diritto nell'ordinamento nazionale deve così concludersi che le norme introdotte dal recentissimo decreto legge n. 138 del 2002 non possono trovare applicazione nell'ordinamento giuridico italiano in quanto contrastanti con l'art. 2 del Regolamento CEE n. 259/1993 e con i principi affermati dalle sentenze della Corte di Giustizia Europea sulla nozione di rifiuto quale stabilita dalle norme comunitarie.
La legge di interpretazione autentica dell'art. 6 lett. a) del D.Lvo n. 22 del 1997 - decreto di attuazione delle Direttive CEE 91/156 sui rifiuti; n. 91/689 sui rifiuti pericolosi - non può pertanto trovare applicazione
P.Q.M.
Visti gli artt. 262, 263 comma 4 c.p.p. e 84 D.Lvo 271/89;
RIGETTA le sopra menzionate richieste di restituzione dell'indicato bene in giudiziale sequestro.
DISPONE che copia del presente decreto sia notificata alle parti richiedenti il dissequestro;
a mezzo dei Carabinieri del N.O.E. di Udine con facoltà di subdelgare, ciò al fine di consentire l'esercizio del diritto di opposizione di cui all'art. 263, comma 5, c.p.p. avverso al presente decreto.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.
Udine, 18 luglio 2002
IL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
(dott. Luigi LEGHISSA - Sost.)
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N. 3075/02 R.G. notizie di reato
N. 11704/02 R.G. G.I.P.
TRIBUNALE DI UDINE
UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
ORDINANZA (art. 263 c.p.p.)
Il Giudice dott.ssa Serenella Beltrame,
- Letti gli atti del procedimento n. 11704/02 R.G. G.I.P. nei confronti di (omissis);
- Con atti depositati in data 31.07.2002 l'avv. (omissis), in qualità di difensore di (omissis) e nell'interesse delle (omissis)., nonché di difensore di (omissis) e nell'interesse delle (omissis)., presentava opposizione avverso il provvedimento di data 18.07.2002 del Pubblico Ministero con il quale veniva rigettata l'istanza di restituzione dei rottami ferrosi contenuti in carri ferroviari sequestrati in data 28.06.2002 dai Carabinieri per la Tutela dell'Ambiente - NOE di Udine, in esecuzione del decreto di sequestro del Pubblico Ministero di data 27.06.2002;
- Con atto depositato in data 09.08.2002 l'avv. (omissis), in qualità di difensore di (omissis), legale rappresentante del (omissis) presentava opposizione avverso il provvedimento di data 18.07.2002 del Pubblico Ministero con il quale veniva rigettata l'istanza di restituzione dei rottami ferrosi sequestrati in data 28.06.2002 e 01.07.2002 presso la banchina del (omissis), Porto Marghera, dai Carabinieri per la Tutela dell'Ambiente - NOE di Udine, in esecuzione del decreto di sequestro del Pubblico Ministero di data 27.06.2002;
- Sentite le parti all'udienza del 14.10.2002 e sciogliendo la riserva formulata all'esito della stessa;
- Ritenuta, preliminarmente, la competenza di questo Ufficio a provvedere sull'istanza de qua, aderendo la scrivente all'indirizzo giurisprudenziale per cui "in caso di sequestro probatorio l'istanza di dissequestro deve essere proposta al p.m.. al diniego del quale deve seguire opposizione al g.i.p. la cui decisione è ricorribile per cassazione; la competenza del tribunale del riesame è esclusa posto che il giudizio di opposizione costituisce vero e proprio giudizio di impugnazione per cui, stante la tipicità dei rimedi, non è dato derogare alle previsioni di legge" (cfr. Cass. 12.10.1994, Turchetti, in C.E.D. Cass. rv 2000065; conf. Cass. 5 marzo 1992, A., Giust. pen. 1992, III, 300).
Premesso in fatto che in data 28.06.2002 i Carabinieri del NOE di Udine presso lo scalo ferroviario di Gorizia procedevano al sequestro di nr. 37 carri ferroviari contenenti rottami ferrosi e di acciaio, conforme alle specifiche CECA, corredate da lettere di vettura e certificato radiometrico come si desume dalla documentazione in atti, e provenienti prevalentemente dalla Romania e in parte dalla Slovenia.
Il sequestro veniva eseguito in esecuzione del decreto del Pubblico Ministero di data 27.06.2002 con il quale venivano qualificati come <<rifiuti>> i rottami ferrosi di diversa provenienza e tipologia importati a mezzo trasporto ferroviario e, quindi, le operazioni di gestione di tali rifiuti
comportavano "l'applicazione delle procedure autorizzative semplificate di cui agli artt. 31 e 33 D. Lgs. n. 22/97 e l'applicazione del regolamento CEE e direttiva 75/442 sulla importazione".
Il vettore Trenitalia S.p.a. non risultava autorizzato al trasporto dei rifiuti e, quindi, veniva ravvisato sussistente nei confronti del legale rappresentante di tale Centro il reato di cui all'art. 51, comma 1, D. Lgs. n. 22/97.
Tali rottami erano destinati ad aziende metallurgiche fra le quali le Acciaierie (omissis) S.p.a. e le (omissis) S.p.a. che li avevano acquistati. Dette società non erano in possesso di autorizzazione alla gestione dei rifiuti, ritenendo che il materiale fosse classificabile non come rifiuto ma come merce.
In data 28.06.2002 e 01.07.2002 i Carabinieri del NOE di Venezia presso il canale denominato "Industriale Ovest" di Venezia, Porto Marghera, sulla banchina del (omissis) S.p.a. procedevano al sequestro di cinque distinti cumuli di rottami ferrosi accatastati alla rinfusa ammontanti a circa ottomilacinquecento tonnellate.
Il primo cumulo di rottami sbarcato dalla motonave "Alex 1" e proveniente dalla Tunisia era destinato alle (omissis) ; il secondo sbarcato dalla motonave "Kros Istambul" e proveniente dalla Turchia era destinato alle (omissis); il terzo ed il quinto sbarcati dalle motonavi "Volgobalt 137" e "Alexino", provenienti dalla Russia, e destinati alle (omissis) ; il quarto sbarcato dalla motonave "Cirrus" era destinato alle (omissis).
Il sequestro veniva eseguito in esecuzione del decreto del Pubblico Ministero di data 27.06.2002 con il quale venivano qualificati come <<rifiuti>> i rottami ferrosi di diversa provenienza e tipologia importati a mezzo trasporto marittimo e, quindi, le operazioni di gestione di tali rifiuti comportavano "l'applicazione delle procedure autorizzative semplificate di cui agli artt. 31 e 33 D. Lgs. n. 22/97 e l'applicazione del regolamento CEE e direttiva 75/442 sulla importazione".
Il (omissis) non risultava autorizzato alla gestione dei rifiuti e, quindi, veniva ravvisato sussistente nei confronti del legale rappresentante di tale Centro il reato di cui all'art. 51, comma 1, D. Lgs. n. 22/97.
Rispettivamente, in data 1, 9 e 11 luglio 2002, le società (omissis) presentavano presso la locale Procura della Repubblica istanza di dissequestro invocando l'applicazione dell'art. 14 D. L. n. 138/2002 (G.U. n. 158 dell'08.07.2002).
Il Legislatore nazionale con l'art. 14 D. L. n. 138/2002 (G.U. n. 158 dell'08.07.2002), convertito in L. n. 178 dell'08.08.2002, ha introdotto l'"interpretazione autentica della definizione di rifiuto di cui all'art. 6, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22", indicando per i termini "si disfi", "abbia deciso di disfarsi" o "abbia l'obbligo di disfarsi" il seguente significato:
<<a) "si disfi": qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22;
b) "abbia deciso": la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22, sostanze, materiali o beni.
c) "abbia l'obbligo di disfarsi": l'obbligo di avviare un materiale, una sostanza, o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza o del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'allegato D del decreto legislativo n. 22;
2. Non ricorrono le fattispecie di cui alle lettere b) e c) del comma 1, per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni:
a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente;
b) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo, in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n. 22>>.
Il Pubblico Ministero, disattendendo con il provvedimento impugnato l'istanza di restituzione dei materiali in sequestro avanzata dalla difesa, che riteneva applicabile al caso di specie l'art. 14, comma 2, lett. a), anzi indicato, in primis ha osservato che manca la prova "che l'utilizzazione del rottame avvenga <<senza recare pregiudizio all'ambiente>> e che, quindi, lo stesso deve qualificarsi come rifiuto; in secundis, il P.M. rileva che:
"in materia di spedizioni e trasporto di rifiuti all'interno degli Stati membri della Comunità Europea trova immediata applicazione il Regolamento CEE n. 259/93 che all'art. 2 lett. a) rinviando all'art. 1 lett. a) della direttiva n. 75/442, direttiva che ha fissato i principi cardine in materia di rifiuti (poi modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE) ha istituito una definizione di rifiuti unitaria che si applica direttamente alle spedizioni di rifiuti all'interno di qualsiasi stato membro" (cfr. a riguardo sentenza Corte di giustizia 25.06.1997 Tombesi e altri, citata anche nell'ordinanza del tribunale del riesame allegata e sentenza CGCE 25.06.1998 causa C-192/96). La nozione di rifiuto elaborata dalla predetta norma comunitaria, direttamente applicabile nell'ordinamento interno senza la necessità di alcun atto attuativo interno ....è pacificamente in contrasto con quanto definito dalle nuove disposizioni introdotte dal D.L. n. 138 cit.. Se le considerazioni sopra svolte sono corrette ne discende, per conseguenza, che le norme del nuovo decreto legge, in quanto in contrasto con le sentenze della Corte di Giustizia e con norma di Regolamento CEE, deve essere disapplicata dal giudice nazionale".
Gli odierni opponenti, in estrema sintesi, ritengono applicabile alla fattispecie in esame l'art. 14, della L. n. 178 dell'08.08.2002, osservando che la legge nazionale non può essere disapplicata in quanto non contrasta con la norma sovranazionale.
Il C.I.A. chiede, altresì, l'autorizzazione al fine di consentire lo sgombero della banchina dai rottami in sequestro "a cura e spese dei proprietari delle merci".
Inquadramento della fattispecie.
Premesso che, come osservato dal Tribunale del riesame relativamente a fattispecie omologhe alla presente, "i rottami ferrosi rientrano appieno nel concetto di rifiuto di cui all'art. 6 lett. a) D. Lgs. n. 22/97 (per cui per "rifiuto" s'intende "qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi"), trattandosi "da un lato di materiali riconducibili alle categorie di cui all'all. A (ed in particolare di rifiuti di ferro, rottami alla rinfusa, provenienti da attività di demolizione) dall'altro di beni di cui l'originario detentore, l'Ente ferrovie Rumeno, diverso dalla società destinataria ed utilizzatrice finale, si è disfatto, demandandone la demolizione ad altra società rumena, come risulta dalla documentazione prodotta dalla difesa.
E' ben vero che il rifiuto si definisce in quanto vi sia un detentore che di esso si disfi, o abbia intenzione di disfarsi: occorre però avere riguardo all'origine della sostanza e quindi al ciclo produttivo che l'ha generata e non già all'utilizzatore finale.
Non è quindi alla finalità e volontà delle due società acquirenti dei rottami che occorre far riferimento per accertare se il materiale sia rottame, ma alla sua origine, verificando il suo percorso dopo che il soggetto detentore originario, se ne è disfatto" (v. ord. Trib. riesame di Udine di data 15.06.2002 in atti).
Dopo aver richiamato i principi posti dalla giurisprudenza della Corte Europea, e delle finalità perseguite dalle direttive comunitarie in materia di rifiuti, cui si è conformata la legislazione nazionale con il D.lvo n 22/97, il Tribunale afferma che "non vi sono quindi dubbi che i rottami di ferro provenienti da demolizioni di carri ferroviari, siano materiali di cui gli originali detentori si siano disfatti, anche se avviandoli ad una attività di recupero, indifferente essendo che detti materiali siano ancora suscettibili di riutilizzazione economica (cfr. anche Sentenze della Corte Europea 28.3.90 causa C-359/88 Zanetti ed altri), e/o che si tratti di sostanze inserite, direttamente o indirettamente, in un processo di lavorazione industriale (cfr. CGCE sentenza 18.12.97 in causa C-129/96)"; la Corte udinese aggiunge che "Ove il rottame ferroso sia scarto o risulta di produzione della stessa società e vi sia reimpiego diretto senza necessità di trattamento, certamente non è applicabile la disciplina dei rifiuti. Non è però il caso del rottame proveniente dalla Romania, che è la risulta della demolizione di carri ferroviari, rivenduto tal quale, dopo la separazione delle parti riutilizzabili, come merce viaggiante, senza che tra il soggetto che si è disfatto dei rottami e le società acquirenti si sia interposta l'attività di recupero del rifiuto ad opera di soggetto autorizzato".
Va precisato che, a differenza di quanto sopra indicato, la fattispecie de qua pare vada inquadrata nella violazione dell'art. 53 D. Lgs. n. 22/97, che prevede "Chiunque effettua una spedizione di rifiuti costituente traffico illecito ai sensi dell'articolo 26 del regolamento (CEE) n. 259/93 del Consiglio, del 1° febbraio 1993, o effettua una spedizione di rifiuti elencati nell'allegato II del citato regolamento in violazione dell'articolo 1, comma 3, lettere a), b), c) e d), del regolamento stesso, è punito con la pena dell'ammenda da 1.549 euro a 25.822 euro e con l'arresto fino a due anni. La pena è aumentata in caso di spedizione di rifiuti pericolosi".
L'art. 26 del Regolamento stabilisce varie ipotesi che costituiscono traffico illecito di rifiuti e, fra queste, sono ricomprese, qualsiasi spedizione di rifiuti:
"d) non concretamente specificata nel documento di accompagnamento, o
e) che comporti uno smaltimento o un ricupero in violazione delle norme comunitarie o internazionali ".
Le fattispecie concrete individuate dal Pubblico Ministero paiono agevolmente inquadrabili in tali ipotesi considerando, da un lato, che i rottami sono stati importati in territorio nazionale come merci anziché come rifiuti (qualificazione che, nella specie, si ritiene corretta per i motivi di seguito indicati oltre a quelli già menzionati del Tribunale del riesame), e poiché quest'ultima classificazione non compare nel documento di accompagnamento al pari della numerazione e della tipologia previste dagli allegati al Regolamento, il fatto integra l'ipotesi sub d) dell'art. 26 cit.; dall'altro lato, i detentori dei rottami sono sprovvisti di autorizzazione alla gestione dei rifiuti e tale condotta integra pacificamente l'ipotesi sub e) dell'art. 26.
Allo stato degli atti, atteso che sinora non risultano effettuati né prelievi e/o campionamenti né analisi, l'eterogenietà del materiale in giudiziale sequestro e la carenza di elementi certi in ordine alla sua composizione e provenienza non consentono di classificare lo stesso secondo gli elenchi contenuti negli allegati al Regolamento CEE n. 259/93; la circostanza che gli elementi per una corretta classificazione dei rottami in sequestro sono allo stato carenti è ben comprensibile in quanto la presente fase processuale è quella delle indagini preliminari ed il sequestro probatorio è istituzionalmente preposto all'accertamento dei fatti, ex art. 253 c.p.p., proprio al fine di acquisire elementi di riscontro in ordine alle modalità e sussistenza del reato ipotizzato; ne deriva che, nella specie, trattandosi di materiali di provenienza da diversi Paesi extraeuropei, trova piena applicazione il Regolamento CEE n. 259/93 che si applica, in base al suo primo articolo, "alle spedizioni di rifiuti all'interno della Comunità, nonché in entrata e in uscita dalla stessa" e solo dopo che si sarà potuto acquisire riscontri attendibili in ordine alla tipologia dei rifiuti sequestrati si potrà inquadrare gli stessi secondo la classificazione descritta negli allegati al Regolamento stesso e, quindi, stabilire eventualmente, se i materiali sono assoggettabili al regime derogatorio di cui all'art. 1, comma 3, del Reg. cit..
Nella c.d. Lista verde figurano diverse tipologie di rottami come pure nella c.d. Lista ambra, anche se in minor misura ma, sul punto, va evidenziato che nell'introduzione alla lista verde dei rifiuti, si legge che "indipendentemente dal fatto che figurino o meno in tale lista, i rifiuti non possono essere spediti come rifiuti della lista verde se risultano contaminati da altri materiali in modo tale che a) i rischi associati ai rifiuti aumentino tanto da giustificarne l'inserimento nella lista ambra o rossa, o che b) non sia possibile ricuperare i rifiuti in modo sicuro per l'ambiente".
Nella specie, come osservato anche dal Pubblico Ministero nel provvedimento impugnato, "la natura composita del materiale ferroso proveniente da precedenti attività di rottamazione dello stesso, la confusione del rottame ferroso con altri materiali di diversa natura, la mancanza di ogni controllo tale da escludere la presenza di inquinanti pericolosi" costituiscono tutti elementi che, allo stato, non consentono di pervenire ad una corretta classificazione del rifiuto secondo la disciplina comunitaria, né la difesa sul punto ha fornito alcun riscontro utile ai fini dell'inquadramento dei rifiuti in una delle liste prescritte.
Ne consegue che, sino a quando le indagini non perverranno ad elementi certi dai quali desumere la classificazione del rifiuto, è ovvio che i materiali in sequestro soggiacciono al regime ordinario stabilito dal Regolamento n. 259/93.
Il Regolamento n. 259/93 e la giurisprudenza della Corte di giustizia.
Ciò posto, va ricordato che dopo l'introduzione di detto regolamento, operativo a decorrere dal 6 maggio 1994, poichè quest'ultimo rinvia per la definizione di rifiuto all'art. 1, lett. a), dir. 75/442/CEE, tale concetto, così come individuato dal giudice comunitario, è direttamente applicabile negli Stati membri come precisato, da ultimo, nella sentenza 25 giugno 1998, causa C - 192/96, punto 27 (Cfr. CGCE, sent. 25 giugno 1998, causa C - 192/96, Beside BV e altro c. Minister van Volkshuisvesting, Ruimtelijke Ordening en Milieubeheer, in Guida al dir. Sole - 24 ore, 1998, n° 28, p. 95).
Per chiarire l'ambito di operatività di tale nozione all'interno dei singoli ordinamenti, la stessa Corte europea ha evidenziato che:
"Ai termini del suo art. 1, n. 1, il regolamento n. 259/93 si applica alle spedizioni di rifiuti all'interno della Comunità, nonchè in entrata e in uscita dalla stessa. Sotto il titolo III (Spedizioni di rifiuti all'interno degli Stati membri), l' art. 13, n. 1, precisa che i titoli II (Spedizioni di rifiuti all'interno della Comunità), VII (Disposizioni comuni) e VIII (Altre disposizioni) non si applicano alle spedizioni di rifiuti all' interno di uno Stato membro.
Si deve pertanto concludere che, al fine di garantire che i sistemi nazionali di sorveglianza e di controllo delle spedizioni di rifiuti rispettino criteri minimi, l'art. 2, lett. a), del regolamento n. 259/93, rinviando all'art. 1, lett. a), della direttiva 75/442, come modificata, ha istituito una definizione comune di rifiuti che si applica direttamente, anche alle spedizioni di rifiuti all'interno di qualsiasi Stato membro" (Cfr. CGCE, sez. VI, sent. 25.06.1997, Tombesi ed altri, punti 44, 45 e 46, in Riv. Pen. 1997, fasc. 6, p. 625).
Sempre in quest'ultima decisione (v. punto 44), che si riferiva a fatti che quando erano stati commessi "potevano essere puniti in base al diritto nazionale e che i decreti legge che li hanno sottratti all'applicazione delle sanzioni risultanti dal D.P.R. n. 915/82 sono entrati in vigore soltanto successivamente", il giudice sovranazionale prima di sancire l'immediata applicabilità della nozione di rifiuto in base al Regolamento some sopra precisato, afferma che "Pertanto, non vi è motivo di esaminare le conseguenze che potrebbero derivare dal principio di legalità delle pene per l'applicazione del regolamento n. 259/93".
In sintesi, nel caso anzi menzionato in cui l'intervento della decretazione d'urgenza ha modificato la norma extrapenale preesistente restringendo il concetto di <<rifiuto>> (in contrasto con il Regolamento comunitario a differenza della disciplina previgente) e determinando una riduzione della punibilità a fatti prima penalmente rilevanti, il giudice sovranazionale ha ritenuto ammissibile la questione pregiudiziale interpretativa posta dal giudice italiano in quanto compatibile con i limiti posti dal rispetto del principio di legalità proprio perché all'epoca in cui i fatti erano stati commessi integravano già ipotesi di reato e veniva in rilievo l'immanente operatività del Regolamento n. 259/93 (per sua natura direttamente applicabile all'interno dell'ordinamento di tutti gli Stati membri, v. C. Cost. sent. 05.06.1984 n. 170, Soc. Granital c. Ministero Finanze, in Foro it. 1984, I, 2062, e C. Cost. sent. n. 389 dell'11.07.1989, Provincia di Bolzano c. Pres. Cons. ministri, Conflitto di attribuzione, in Foro it. , 1991, I, p. 1076) e, quindi, esplicante la sua piena efficacia caducatoria (o di disapplicazione) anche in riferimento ad eventuali regole di diritto interno con esso incompatibili adottate (nel caso concreto) successivamente ai fatti oggetto del procedimento.
Relativamente alla discussa e spinosa problematica dell'incidenza del diritto comunitario sul diritto penale interno e, in particolare, in merito ai casi in cui la fonte comunitaria interviene sugli elementi normativi della fattispecie rimanendo immutata la predeterminazione legale del tipo di illecito, secondo la dottrina "Quanto agli elementi normativi della fattispecie - che possono essere compresi solo sul presupposto logico di una norma (giuridica o extragiuridica) - l'intervento di una normativa comunitaria che si sostituisca o comunque integri la normativa extrapenale richiamata può ben determinare una diversa estensione dell'ambito dell'incriminazione. Ferma rimanendo l'efficacia limitativa della responsabilità penale, è da ritenere - in maniera non dissimile da quanto detto circa le norme penali in bianco - che la norma successiva possa produrre anche effetti estensivi dell'incriminazione, senza violare il principio di legalità. Sostenendo infatti che le norme di qualificazione degli elementi normativi non aggiungono nulla al tipo di illecito, né lo specificano, la riserva di legge è rispettata nel momento in cui l'elemento normativo, che esprime <<il senso del divieto>>, venga previsto in una norma di legge interna" (Cfr. G. Mazzini, Il Diritto dell'Unione Europea, n. 2/2000, p. 349 e segg,, che alla nota 65, "come esempi di elementi normativi soggetti alla determinazione da parte delle norme comunitarie si ricordano nella dottrina le nozioni di <<genuinità>> dei prodotti, <<colpa>>, <<rifiuti>>" ecc.).
Un altro autore osserva: "Consideriamo, ora, talune ipotesi normative <<notevoli>> in quanto ben si prestano a rappresentare i modelli suscettibili di subire gli esiti più appariscenti di tale dominio (del diritto comunitario, n.d.r.). Si pensi a fattispecie incriminatrici che rinviino direttamente alla fonte comunitaria, come il recente art. 53 d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, o a fattispecie che comunque tutelino espressamente beni giuridici comunitari, come quelle contemplate nel codice penale agli artt. 316 bis (malversazione a danno delle comunità europee) e 640 bis (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni comunitarie). Nel processo di internormatività penale che queste previsioni hanno chiaramente e pienamente attivato, il diritto comunitario pretende la decisione ultima. Si può fondatamente dubitare, p. es., che tale diritto non interferisca affatto nell'ipotesi in cui per i cennati reati lo Stato intenda creare una causa di non punibilità, o disporre un'amnistia o un indulto" (v. S. Riondato, Riv. Trim. Dir. Pen. Econ., 1997, n. 4, p. 1135 e segg.).
La nozione di rifiuto nella giurisprudenza comunitaria e nazionale.
A conferma di un orientamento ormai consolidato, il giudice sovranazionale ha affermato che "la nozione di rifiuto, ai sensi dell' art. 1 delle direttive 75/442 e 78/319, non dev' essere intesa nel senso che esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica. Una norma nazionale che adotti una definizione della nozione di rifiuto escludente le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica non è quindi compatibile con tali direttive" (cfr. CGCE, sent. 10.05.1995, causa C - 422/92).
Sempre sul punto, viene ribadito che "la nozione di <<rifiuti>> figurante all' art. 1 della direttiva 75/442, come modificata, cui rinviano l' art. 1, n° 3, della direttiva 91/689 e l' art. 2, lett. a), del regolamento n° 259/93, non deve essere intesa nel senso che essa esclude sostanze od oggetti suscettibili di riutilizzazione economica, neanche se i materiali di cui trattasi possono costituire oggetto di un negozio giuridico, ovvero di una quotazione in listini commerciali pubblici o privati.
In particolare, un processo di inertizzazione dei rifiuti finalizzato alla loro semplice innocuizzazione, l' attività di discarica dei rifiuti in depressione o in rilevato e l' incenerimento dei rifiuti costituiscono operazioni di smaltimento o di recupero che rientrano nella sfera d' applicazione delle precitate norme comunitarie. Il fatto che una sostanza sia classificata nella categoria dei residui riutilizzabili senza che le sue caratteristiche e la sua destinazione siano precisate è al riguardo irrilevante. Lo stesso vale per la triturazione di un rifiuto" (v. CGCE, sez. VI, sent. 25.06.1997, Tombesi ed a., Racc. pag. 1-3561).
Il Collegio sovranazionale, dopo aver premesso che, come si desume in particolare dagli artt. 4, 9 - 11 della direttiva 75/442, quest'ultima "si applica non solo allo smaltimento e al ricupero dei rifiuti da parte delle imprese specializzate nel settore, ma del pari allo smaltimento e al ricupero di rifiuti ad opera dell'impresa che li ha prodotti nel luogo di produzione", statuisce che "il mero fatto che una sostanza sia inserita, direttamente o indirettamente, in un processo di produzione industriale non la esclude dalla nozione di rifiuto ai sensi dell' art. 1, lett. a), della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE relativa ai rifiuti, come modificata" dalla direttiva n. 91/156/CEE. Questa conclusione, tuttavia, "non pregiudica la distinzione, che occorre effettuare......tra il ricupero dei rifiuti ai sensi della direttiva 75/442, come modificata, e il normale trattamento industriale di prodotti che non costituiscono rifiuti, a prescindere peraltro dalla difficoltà di siffatta distinzione" (CGCE, sent. 18.12.1997, in causa C - 129/96, Inter-Environnement Wallonie, Racc. pag. I-7411); "a questo proposito va rilevato anzitutto che, anche se un rifiuto è stato oggetto di un'operazione di ricupero completo la quale comporti che la sostanza di cui trattasi ha acquisito le stesse proprietà e caratteristiche di una materia prima, cionondimeno tale sostanza può essere considerata un rifiuto se, conformemente alla definizione di cui all'art. 1, lett. a) della direttiva, il detentore della sostanza se ne disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene. - Come è stato ricordato supra, il metodo di trasformazione o le modalità di utilizzo di una sostanza non sono determinanti per stabilire se si tratti o no di un rifiuto. Infatti la destinazione futura di un oggetto o di una sostanza non ha incidenza sulla natura di rifiuto definita, conformemente all'art. 1, lett. a), della direttiva, con riferimento al fatto che il detentore dell'oggetto o della sostanza se ne disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene" (CGCE, 15 giugno 2000, proc. riuniti c-418/97 e c-419/97, Arco, Chemie Nederland e a., Racc. pag. I-4475).
Infine, secondo quanto statuito recentemente dalla Suprema Corte comunitaria:
"26. La Commissione considera le operazioni di smaltimento e recupero di una sostanza o di un oggetto alla stregua di manifestazioni della volontà di "disfarsene" ai sensi dell'art. 1, lett. a), della direttiva 75/442. In effetti, a suo parere, gli artt. 4, 8, 9, 10 e 12 della direttiva 75/442 qualificherebbero tali operazioni come modalità di trattamento dei rifiuti. Tra tali operazioni figurano il deposito sul o nel suolo, come la messa in discarica (punto D 1 dell'allegato II A) e il deposito preliminare ad un'altra operazione di smaltimento (punto D 15 dell'allegato II A), il deposito preliminare ad un'operazione di recupero (punto R 13 dell'allegato II B). I detriti, ammassati nel luogo di estrazione o nel luogo di deposito, sarebbero pertanto oggetto di un'operazione di smaltimento o di recupero.
27. Tuttavia la distinzione tra operazioni di smaltimento o recupero di rifiuti e il trattamento di altri prodotti è spesso difficile da cogliere. Così la Corte ha già statuito che dalla circostanza che su una sostanza venga eseguita un'operazione menzionata nell'allegato II B della direttiva 75/442 non discende che l'operazione consista nel disfarsene e che quindi tale sostanza vada considerata rifiuto (sentenza ARCO Chemie Nederland e a., cit., punto 82). L'esecuzione di un'operazione menzionata nell'allegato II A o nell'allegato II B della direttiva 75/442 non permette dunque, di per sé, di qualificare una sostanza come rifiuto" (cfr. CGCE, Sesta Sezione 18 aprile 2002, proc. C-9/00, Palin Granit Oy).
Per incidens, gli allegati II A e II B della direttiva 75/442 sono riprodotti, rispettivamente, negli allegati B e C al D. Lgs. n. 22/1997.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha da molto tempo aderito univocamente all'orientamento sopra indicato e, decidendo Sezioni Unite, con sentenza n. 5, del 29.05.1992, ud. 27.03.1992, ric. Viezzoli, ha affermato che:
"nella generale categoria dei rifiuti rientrano non solo le sostanze e gli oggetti che si possono considerare tali sin dall' origine (ad es. immondizie), ma anche quelle sostanze ed oggetti non più idonei a soddisfare i bisogni cui essi erano originariamente destinati, pur se non ancora privi di valore economico, sicchè << abbandonato o destinato all' abbandono>> va inteso non nel senso civilistico di res nullius o di res derelicta, disponibile all' apprensione di chiunque, sibbene di sostanza od oggetto ormai inservibile alla sua funzione originaria, dismesso o destinato ad essere dismesso da colui che lo detiene, anche mediante un negozio giuridico".
Le materie prime secondarie ".... proprio perchè si tratta pur sempre di sostanze di cui il detentore si disfa o ha l'intenzione di disfarsi, lungi dal rappresentare una categoria autonoma ed alternativa dei rifiuti veri e propri ne costituiscono solo una specie, sia pure particolare, attesa la loro provenienza e la loro attitudine ad essere utilizzate come materie prime in altri processi produttivi".
Più recentemente, "In tema di smaltimento di rifiuti, la definizione di rifiuto deve essere improntata al criterio oggettivo della destinazione naturale all'abbandono non rilevando l'eventuale riutilizzazione ne' la volonta' di disfarsi della sostanza o dell'oggetto, sicche' quando il residuo abbia il suddetto carattere, ogni successiva fase di smaltimento rientra nella disciplina del D.P.R. 10 settembre 1982, n.915 e, dopo la sua abrogazione, in quella del D.Lgs 5 febbraio 1997, n.22. Costituiscono, pertanto, rifiuti e non materia prima secondaria i fanghi compressi provenienti dall'esaurimento del ciclo produttivo e destinati al parziale riutilizzo mediante processi chimici da eseguire presso altro stabilimento industriale" (vedi Cass. sez. 3, sent. n. 19125, 11/05/2001, UD.09/04/2001, imp. Porcu, CED Rv. 218936; nello stesso senso, il giudice di legittimità ha precisato che "Rientra nella nozione di rifiuto di cui all'art. 6 D.Lgs. 2 maggio 1997 n. 22, ove il detentore se ne disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene, il materiale di risulta dello scavo di un traforo, in quanto riconducibile alla categoria residuale di cui al punto Q 16 dell'allegato A al predetto decreto", cfr. Cass. sez. 3, sent. n. 02419, 24/08/2000, CC.13/06/2000, Imp. Sassi L ed altri , CED Rv. 217329; ex plurimis, "In tema di smaltimento di rifiuti, la definizione di rifiuto deve essere improntata al criterio oggettivo della "destinazione naturale all'abbandono", non rilevando l'eventuale riutilizzazione ne' la volonta' di disfarsi della sostanza o dell'oggetto, sicche', quando il residuo abbia il suddetto carattere, ogni successiva fase di smaltimento rientra nella disciplina del d.P.R. 10 settembre 1982,n.915 e, dopo la sua abrogazione, in quella del D.Lgs. 5 febbraio 1997,n.22. Nella specie la S.C. ha ritenuto doversi considerare rifiuti le sostanze tossico-nocive prodotte dall'errata miscelazione di paste polimeriche e depositate, dopo la distribuzione in 113 fusti del peso complessivo di 20 tonnellate, in un magazzino esterno all'azienda, trattandosi di scarti di lavorazione la cui unica ed obiettiva destinazione non poteva essere che l'abbandono, per l'inidoneità sia a soddisfare i bisogni cui erano destinati, considerata l'espulsione dal ciclo produttivo del materiale, stoccato in un sito estraneo allo stabilimento di lavorazione, sia al reimpiego", cfr. Cass. sez. 3, sent. n. 06222, 26/06/97, UD.22/05/97, Imp. Gulpen e altro, CED Rv. 208686).
L'art. 14 D.L. n. 138/2002, convertito in L. n. 178 dell'08.08.2002.
Alla luce dei principi e parametri sopra enunciati, l'esclusione dalla nozione di <<rifiuto>> dei beni, sostanze o materiali che possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente, pare porsi in contrasto con la disciplina comunitaria che più volte ha ripetuto che "anche se un rifiuto è stato oggetto di un'operazione di ricupero completo la quale comporti che la sostanza di cui trattasi ha acquisito le stesse proprietà e caratteristiche di una materia prima, cionondimeno tale sostanza può essere considerata un rifiuto se, conformemente alla definizione di cui all'art. 1, lett. a) della direttiva, il detentore della sostanza se ne disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene", precisando che "il metodo di trasformazione o le modalità di utilizzo di una sostanza non sono determinanti per stabilire se si tratti o no di un rifiuto. Infatti la destinazione futura di un oggetto o di una sostanza non ha incidenza sulla natura di rifiuto definita, conformemente all'art. 1, lett. a), della direttiva, con riferimento al fatto che il detentore dell'oggetto o della sostanza se ne disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene".
Ciò posto, anche opinando diversamente da quanto ritenuto dalla autorevolissima giurisprudenza e dottrina più sopra richiamata che ha ritenuto applicabile direttamente nell'ordinamento interno la nozione di rifiuto nei casi disciplinati dal Reg. n. 259/93, come quello in esame, va osservato che allo stato degli atti la carenza di riscontri in ordine alla natura, composizione e, conseguentemente, alla classificazione dei materiali in sequestro e, soprattutto, l'assenza di elementi dai quali inferire che gli stessi possano essere e siano effettivamente riutilizzati "senza recare pregiudizio all'ambiente" impedisce, altresì, di poter applicare l'art. 14, comma 2, lett. re a) e b), D. L. n. 138/2002, conv. in L. n. 178/2002.
Nel caso di specie, non solo risulta carente la prova che i materiali "possano essere e siano effettivamente riutilizzati", ma neppure emerge alcun elemento per poter ragionevolmente ritenere che gli stessi possano essere riutilizzati senza subire "alcun intervento preventivo di trattamento" e "senza recare pregiudizio all'ambiente", come correttamente rilevato dal Pubblico Ministero, con l'ovvia conseguenza che devesi applicare il regime ordinario sui rifiuti e non quello in deroga previsto dal decreto legge.
In proposito, la giurisprudenza ha precisato che:
"la decretazione d' urgenza di modifica al D.P.R. 915/82 in materia di rifiuti, nel creare la categoria dei residui e dei materiali quotati in borsa presuppone implicitamente la necessità di una garanzia non puramente nominalistica del riutilizzo dei materiali nel senso che deve documentarsi la effettiva e inequivoca destinazione al riutilizzo il quale non può essere supposto e teorico, nè ritenuto in re ipsa per il solo fatto del cenno al tipo di materiale nel sistema degli elenchi creati dalla decretazione d' urgenza in questione (cfr. Cass. sez 3, ord. n. 6914 del 16.06.1995, ud. 3.06.1995, Di Pampero e altro, in "Guida Dir, Il sole- 24ore, 1995, n. 48, p. 73; nello stesso senso v. ex plurimis Cass. sez. III, 09.02.1998, ud. 01.12.1997 - Pres. A. Giuliano - Rel. A. Franco, P.M. in proc. Nardino, per cui <<In tema di smaltimento di rifiuti speciali, l' applicazione della normativa di cui al d.l. n° 66 del 09.03.1995, ed agli altri decreti legge reiterati in materia ed i cui effetti sono stati fatti salvi dalla l. n° 575 del 1996, è subordinata al previo accertamento, nel caso concreto, che i materiali oggetto di raccolta e stoccaggio siano destinati all' effettivo ed oggettivo riutilizzo.
In carenza di prova certa in ordine a detta destinazione dei residui, devesi applicare il regime ordinario dell'autorizzazione allo smaltimento dei rifiuti di cui al d.P.R. n° 915 del 10 settembre 1982 e, di conseguenza, le sanzioni ivi contemplate. Ai sensi dell' art. art. 1, comma 2, della l. n° 575 del 1996 (che richiama l' art. 1, comma 2, del d.l. n° 462 del 1996), nel caso in cui l' attività di autodemolizione produca residui catalogabili nell' allegato I al d.m. 5 settembre 1994 (relativo ai materiali quotati in borsa), la stessa potrà essere esclusa dal regime normativo di cui al d.P.R. n° 915 del 1982, solo a condizione che vengano acquisiti riscontri obiettivi comprovanti l'effettivo riutilizzo delle sostanze "in cicli di produzione">>).
Per quanto riguarda l'ipotesi di cui all'art. 14, comma 2, lett. b), L. n. 178, dell' 08.08.2002, che sostanzialmente esclude dalla nozione di rifiuto i beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo "se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo, in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n. 22", devesi innanzitutto precisare che queste ultime operazioni, come si desume dal dato testuale del preambolo di detto allegato e come stabilito dalla giurisprudenza comunitaria (v. supra), non hanno carattere tassativo ma semplicemente esemplificativo.
Condizione essenziale affinchè possa operare l'esimente sopra indicata, oltre all'effettivo ed oggettivo riutilizzo di cui si è già accennato, è che il rifiuto subisca un trattamento preventivo al quale non deve seguire una delle operazioni di recupero di cui all'allegato C.
Sul punto va rilevato che, secondo l'id quod plerumque accidit e secondo un dato di comunissima esperienza, al trattamento preventivo del rifiuto segue un'attività di recupero proprio perché il primo è finalizzato a trarre ulteriori utilità dal rifiuto ovvero ha per scopo la sua valorizzazione altrimenti il materiale viene, per intuibili quanto ovvie ragioni di natura economica, eliminato in altro modo senza trattamento.
L'elenco e la tipologia delle operazioni di recupero è, comunque, così ampio ed anche per taluni aspetti generico che ben può ricomprendere finanche il riutilizzo tal quale (per gli scopi originari) del materiale dismesso dopo il trattamento "preventivo".
Ne deriva, che le condizioni poste per l'operatività del regime derogatorio in esame appare ben difficile che possano presentarsi nella realtà (o, per meglio dire, appare difficile addirittura ipotizzarle come esempi teorici) proprio perché viene imposto come conditio sine qua non che il materiale, per non essere qualificato rifiuto, abbia subito un intervento "preventivo" al quale, necessariamente, non deve seguire un'operazione di recupero di quelle indicate nell'allegato C.
Nel caso de quo, va rilevato che dall'esame degli atti non emerge alcun riscontro idoneo a comprovare se c'è stato e di che tipo sia stato il trattamento "preventivo" subito dai rifiuti in sequestro, né tanto meno è dato conoscere se si sia resa, o si renda necessaria o meno, "alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n. 22" per cui, in carenza di tali elementi, anche sotto questo profilo la disposizione di interpretazione autentica non può trovare plausibile applicazione nella specie oggetto del presente procedimento, con la conseguenza che devesi ritenere operativo il regime ordinario sui rifiuti, ivi compresa la definizione di cui all'art. 6 lett. a) D. Lgs. n. 22/97, così come interpretata dalla giurisprudenza sopra richiamata.
Visto gli artt. 263, comma 5, e segg. c.p.p.
RIGETTA
Le opposizioni presentate avverso il provvedimento di data 18.07.2002 del Pubblico Ministero e sopra indicate.
Dispone
che a cura del Pubblico Ministero i rifiuti in sequestro vengano trasferiti presso i proprietari degli stessi ed a loro spese, previa acquisizione del loro consenso.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza.
Udine, 14 ottobre 2002
IL FUNZIONARIO DI CANCELLERIA
(dott.ssa Maria Nesca)
IL GIUDICE
(dott.ssa Serenella Beltrame)
Depositata in Cancelleria il 16.10.2002
IL FUNZIONARIO DI CANCELLERIA
(dott.ssa Maria Nesca)