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CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez III, 7 maggio 2004, (Ud. 6/4/2004) Sentenza n. 21679
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte di Cassazione Penale, sez III, 7
maggio 2004, (Ud. 6/4/2004) sentenza n.
21679
Pres. A. Rizzo - Est A. Fiale - Imp. Paparusso
Omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 24.2.2003 la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza
8.7.2002 del Tribunale monocratico di quella città, che aveva affermato la
responsabilità penale di Paparusso Riccardo in ordine ai reati di cui:
- all'art. 20, lett. b), legge n. 47/1985 (per avere realizzato, in assenza della prescritta concessione edilizia, la costruzione di un capannone di mt 12 x 15, con struttura in acciaio e copertura in lamiera grecata coibentata, a ridosso di altro preesistente capannone, tamponato per due lati con blocchetti di cemento, così trasformando una tettoia preesistente
- acc. in Roma, via Prenestina
- Km. 11, 200 il 17.12.1999);
- agli artt. 1, 2, 4, 13 e 14 legge n. 1086/1971; e,
riconosciute circostanze attenuanti generiche, unificati i reati nel vincolo
della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., lo aveva condannato alla pena
complessiva di mesi uno e giorni 15 di arresto ed euro 4.500, 00 di ammenda, con
ordine di demolizione dell'opera abusiva.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Paparusso, il quale ha eccepito: -
la nullità dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, ricevuto ex
art. 415 bis c.p.p., per inadeguata enunciazione del fatto contestato; -
mancanza o manifesta illogicità della motivazione in punto di esclusione delle
opere eseguite dalla categoria del "restauro e risanamento conservativo".
Con istanza del 5.11.2003, il ricorrente - poi - ha chiesto la sospensione del
procedimento, allo scopo di consentirgli di esperire la procedura di sanatoria
di cui al condono edilizio introdotto dal D.L. n. 269/2003.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, poiché manifestamente
infondato.
Manifestamente infondata é l'eccezione procedurale.
L'avviso di conclusione delle indagini preliminari, previsto dall'art. 415 bis
c.p.p., deve contenere "la sommaria enunciazione del fatto per il quale si
procede, delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo
del fatto" e, nella specie, l'atto notificato all'interessato - come esattamente
ritenuto dai giudici del merito - indicava le norme violate e, attraverso il
riferimento alla "tamponatura in blocchetti di cemento di una preesistente
tettoia", consentiva un'adeguata ricostruzione dei fatti contestati, che
venivano espressamente posti in relazione al contenuto dell'atto di sequestro
operato il 17.12.1999 e conosciuto dall'indagato medesimo, sicché esso ha
adempiuto la propria funzione, consentendo al Paparusso di esprimere un'adeguata
difesa al fine di influire sulle determinazioni dell'accusa in ordine
all'esercizio dell'azione penale.
Manifestamente infondata é altresì la doglianza di immotivata esclusione della
riconducibilità delle opere realizzate al regime del "restauro e risanamento
conservativo".
L'art. 3, 1 comma - lett. c), del TU. n. 380/2001 (con definizione già fornita
dall'art. 31, 1 comma - lett. c), della legge n. 457/1978) identifica gli
interventi di restauro e risanamento conservativo come quelli "rivolti a
conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un
insieme sistematico di opere che - nel rispetto degli elementi tipologici,
formali e strutturali dell'organismo stesso - ne consentano destinazioni d'uso
con esso compatibili.
Tali interventi, in particolare, possono comprendere: - il consolidamento, il
ripristino ed il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio;
- l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle
esigenze dell'uso;
- l'eliminazione di elementi estranei all'organismo edilizio.
La finalità é quella di rinnovare l'organismo edilizio in modo sistematico e
globale, ma essa deve essere attuata - poiché si tratta pur sempre di
conservazione - nel rispetto dei suoi elementi essenziali "tipologici, formali e
strutturali".
Ne deriva che non possono essere mutati:
- la "qualificazione tipologica" del manufatto preesistente, cioé i caratteri
architettonici e funzionali di esso che ne consentono la qualificazione in base
alle tipologie edilizie;
- gli "elementi formali" (disposizione dei volumi, elementi architettonici) che
distinguono in modo peculiare il manufatto, configurando l'immagine
caratteristica di esso; gli "elementi strutturali", cioé quelli che
materialmente compongono la struttura dell'organismo edilizio.
Nella fattispecie in esame, invece, non é ravvisabile un'attività di
conservazione, recupero o ricomposizione di spazi, secondo le modalità e con i
limiti dianzi delineati, bensì la realizzazione di un "edificio" al posto di una
preesistente tettoia, con stravolgimento di elementi tipologici e formali e
creazione "ex novo" di volumetria.
L'inammissibilità dei ricorso - la cui declaratoria deve considerarsi
pregiudiziale:
- non consente di applicare la sospensione del procedimento, ex art. 44 della
legge n. 47/1985, in relazione alla possibilità di sanatoria (ed. condono
edilizio) riconosciuta dall'art 32 del D.L. 30.9.2003, n. 269, convertito con
modificazioni dalla legge 24.11.2003, n. 326, con espresso richiamo (commi 25 e
28), per quanto in esso non previsto, alle "disposizioni compatibili" dei capi
4^ e 5^ della stessa legge n. 47/1985 e dell'art. 39 della legge 23.12.1994, n.
724 (vedi già, in tal senso, Cass., Sez. 3^ 13.11.2003, Sciaccovelli; 9.3.2004,
Modica).
Appare opportuno ricordare, in proposito, che le Sezioni Unite di questa Corte
Suprema.
- con la sentenza 26.2.1976, n. 2553, ric. Delle Donne, hanno affermato il
principio secondo cui, in caso di inammissibilità genetica dell'impugnazione
resta preclusa la possibilità di valutare l'eventuale applicabilità di
disposizioni sopravvenute più favorevoli al reo;
- con la sentenza 3.11.1998, n, 11493, ric. Verga, hanno affermato che il
ricorso inammissibile é inidoneo a mantenere in vita il rapporto processuale;
- con la sentenza 21.12.2000, n. 32, ric. De Luca, hanno ricostruito
l'inammissibilità dell'impugnazione come categoria unitaria, riconoscendo la
regola della prevalenza della declaratoria di ogni causa di inammissibilità
prevista dalla legge su quelle di non punibilità. In particolare, secondo tale
pronuncia, il rapporto ammissibilità-fondatezza, come delineato dalla legge,
"non ammette l'introduzione di zone grigie, cosicché la manifesta infondatezza,
collocata nell'alveo dell'inammissibilità, resta in quest'ambito definita da
dati di ordine qualitativo che ne provocano l'assimilazione - sul piano della
struttura e della funzione - agli altri casi di inammissibilità previsti dalla
legge";
- con la sentenza 11.9.2001, n. 33542, ric. Cavalera, hanno ribadito la
prevalenza della declaratoria dell'inammissibilità del ricorso su quella di
non-punibilità prevista nell'art. 129 c.p.p..
Nella giurisprudenza delle Sezioni Unite, in sostanza, devono ritenersi ormai
consolidati i seguenti principi: La prescrizione dell'art. 648 c.p.p. - secondo
cui la sentenza diviene irrevocabile nel momento in cui interviene il
provvedimento dichiarativo della eventuale inammissibilità della impugnazione
non implica che sempre, fino a quel provvedimento, vi sia pendenza del
procedimento, e dunque potere-dovere, per il giudice, di fare immediata
applicazione di eventuali cause sopravvenute di non punibilità. La sentenza
11.11.1994, n. 21, ric. Cresci, ha chiarito che lo stesso art. 648 c.p.p. vale
ad identificare i criteri di maturazione del giudicato formale, e dunque a
fissare il momento e la condizione per l'eseguibilità della sentenza, mentre la
disciplina dei rapporti tra cause di inammissibilità e fattori estintivi della
punibilità va ricostruita mediante il riferimento alle norme processuali che
regolano la materia delle impugnazioni.
Tale considerazione é stata ripresa e condivisa in tutti i successivi interventi
delle Sezioni Unite sulla materia.
Il giudicato sostanziale si determina con l'insorgenza della causa di
inammissibilità, mentre il provvedimento dichiarativo di quella inammissibilità
é produttivo del giudicato formale e determina, dunque, l'eseguibilità della
sentenza (sentenza 30.6.1999, n. 15, ric. Piepoli): la norma dell'art. 648
c.p.p. interviene a regolare non il giudicato sostanziale, bensì il momento di
eseguibilità della sentenza invalidamente impugnata.
La chiave di lettura, per stabilire i limiti dei poteri di cognizione da parte
del giudice dell'impugnazione inammissibile, é stata individuata (sentenza
21.12.2000, n. 32, ric. De Luca) nell'art. 673 c.p.p., con riferimento alle
specifiche ipotesi della sopravvenuta "abolitio crimini" e della dichiarazione
di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, cui viene
riconosciuta l'eccezionale possibilità di incidere "in executivis" sul
provvedimento pure contrassegnato dalla formazione del giudicato formale.
Nel caso di sopravvenuta morte dell'imputato, inoltre, deve essere dichiarata
l'estinzione del reato a norma dell'art. 150 c.p.p., poiché, venuta meno la
componente soggettiva del rapporto processuale (per la definitiva scomparsa di
uno dei soggetti necessari), quest'ultimo va considerato risolto.
Alla stregua dei principi dianzi compendiati - oltre che del principio di
ragionevole durata del processo - deve rilevarsi che l'attratta possibilità di
usufruire del ed. "condono edilizio non é suscettibile di rilevazione in ipotesi
di inammissibilità del ricorso.
Non può condividersi l'orientamento secondo il quale la sospensione di cui
all'art. 44 della legge n. 47/1985 (che é finalizzata a consentire agli
interessati di presentare la domanda di condono edilizio) sarebbe automatica ed
andrebbe applicata a tutti i processi penali per reati urbanistici astrattamente
interessati dal condono; mentre il controllo del giudice sulla sanabilità
dell'opera potrebbe essere effettuato solo in un momento successivo, quando
l'interessato che abbia effettivamente presentato nei termini la domanda di
condono edilizio, richieda una nuova sospensione del processo ai sensi dell'art.
38 della legge n. 47/1985.
Mentre l'art. 31 della legge n. 47/1985, infatti, nella sua formulazione
testuale, prevedeva una serie di requisiti esclusivamente in relazione alla
possibilità di conseguire la concessione o la autorizzazione in sanatoria,
l'art. 32, comma 25, del DX. n. 269/2003 convertito dalla legge n. 326/2003
(come già l'art. 39 della legge n. 724/1994) subordina l'applicazione degli
interi capi 4^ e 5^ della legge n. 47/1985 all'esistenza dei requisiti
attualmente prescritti perché l'opera possa essere condonata.
L'art. 44 della legge n. 47/1985, conseguentemente, può essere applicato
esclusivamente per le opere che oggettivamente abbiano i requisiti di
condonabilità di cui all'art. 32 del D.L. n. 269/2003.
In assenza di tali "requisiti di condonabilità" neppure può essere applicato
l'art. 39 della legge n. 47/1985 (estinzione dei reati conseguente alla mera
effettuazione dell'oblazione, "qualora le opere non possano conseguire la
sanatoria"), per cui risulterebbe incongruo argomentare che la sospensione possa
essere comunque finalizzata a conseguire il beneficio già previsto da tale
ultima norma.
Deve evidenziarsi, in proposito, che dalla sentenza delle Sezioni Unite
24.11.1999, n. 22, ric. Sadini - correlata al condono edilizio previsto
dall'art. 39 della legge n. 724/1994, che é norma formulata in modo speculare a
quella posta dall'art. 32, comma 25, del DX. n. 269/2003 - può razionalmente
dedursi il principio generale secondo il quale il giudice, anche prima di
sospendere il processo ex art. 44 della legge n. 47/1985, deve effettuare un
controllo in ordine alla sussistenza dei requisiti richiesti per la
concedibilità in astratto del condono: diversamente opinandosi si
allungherebbero "inevitabilmente ed inutilmente i tempi del processo".
Nel caso in cui il giudice sospenda il processo in assenza dei presupposti di
legge, la sospensione é inesistente ed il corso della prescrizione non é
interrotto.
Nella vicenda che ci occupa, comunque, si verte in ipotesi di opere abusive non
suscettibili di sanatoria, ai sensi dell'art 32 del D.L. n. 269/2003, poiché si
tratta di nuova costruzione non residenziale, realizzata in assenza del titolo
abilitativo edilizio, che costituisce immobile integralmente abusivo
(realizzazione di un capannone attraverso la tamponatura di una tettoia
preesistente) e non si sostanzia in meri ampliamenti o addizioni (ipotesi
esclusa dal condono dal comma 25).
Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e
rilevato che, nella fattispecie in esame, non sussistono elementi per ritenere
che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della
inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle
spese del procedimento nonché del versamento di una somma, in favore della Cassa
delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella
misura di euro 500, 00.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte di Cassazione
Visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento
della somma di euro 500, 00 (cinquecento/00) in favore della Cassa delle
ammende.
1) Edilizia e urbanistica - Possibilità di sanatoria (condono edilizio) ex art. 32 D.L. n. 269/2003 - Sospensione del procedimento ex art. 44 L. n.47/1985 - Applicabilità automatica - Esclusione. La sospensione di cui all’art. 44 della legge 47/1985 non è automatica per tutti i processi penali per reati urbanistici astrattamente interessati dal condono edilizio, ma “può essere applicata esclusivamente per le opere che oggettivamente abbiano i requisiti di condonabilità di cui all’art. 32 del D.L. 269/2003, (convertito con modificazioni dalla legge 24.11.2003, n. 326, con espresso richiamo (commi 25 e 28), per quanto in esso non previsto, alle "disposizioni compatibili" dei capi 4^ e 5^ della stessa legge n. 47/1985 e dell'art. 39 della legge 23.12.1994, n. 724) (vedi già, in tal senso, Cass., Sez. 3^ 13.11.2003, Sciaccovelli; 9.3.2004, Modica). Pres. A. Rizzo - Est A. Fiale - Imp. Paparusso. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez III, 7 maggio 2004, (Ud. 6/4/2004) sentenza n. 21679
2) Edilizia e urbanistica - Sanatoria (condono edilizio) su interventi di restauro e risanamento conservativo – Presupposti – Limiti – Fattispecie. TU. n. 380/2001 L'art. 3, 1 comma - lett. c), del TU. n. 380/2001 (con definizione già fornita dall'art. 31, 1 comma - lett. c), della legge n. 457/1978) identifica gli interventi di restauro e risanamento conservativo come quelli "rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che - nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso - ne consentano destinazioni d'uso con esso compatibili. Tali interventi, in particolare, possono comprendere: - il consolidamento, il ripristino ed il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio; - l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso; - l'eliminazione di elementi estranei all'organismo edilizio. La finalità é quella di rinnovare l'organismo edilizio in modo sistematico e globale, ma essa deve essere attuata - poiché si tratta pur sempre di conservazione - nel rispetto dei suoi elementi essenziali "tipologici, formali e strutturali". Ne deriva che non possono essere mutati: - la "qualificazione tipologica" del manufatto preesistente, cioé i caratteri architettonici e funzionali di esso che ne consentono la qualificazione in base alle tipologie edilizie; - gli "elementi formali" (disposizione dei volumi, elementi architettonici) che distinguono in modo peculiare il manufatto, configurando l'immagine caratteristica di esso; gli "elementi strutturali", cioé quelli che materialmente compongono la struttura dell'organismo edilizio. (Nella fattispecie, non é stato ravvisabile un'attività di conservazione, recupero o ricomposizione di spazi, secondo le modalità e con i limiti dianzi delineati, bensì la realizzazione di un "edificio" al posto di una preesistente tettoia, con stravolgimento di elementi tipologici e formali e creazione "ex novo" di volumetria). Pres. A. Rizzo - Est A. Fiale - Imp. Paparusso. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez III, 7 maggio 2004, (Ud. 6/4/2004) sentenza n. 21679
3) Procedure e varie - Avviso di conclusione delle indagini preliminari – Contenuto - Art. 415 bis c.p.p. L'avviso di conclusione delle indagini preliminari, previsto dall'art. 415 bis c.p.p., deve contenere "la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede, delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto". Pres. A. Rizzo - Est A. Fiale - Imp. Paparusso. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez III, 7 maggio 2004, (Ud. 6/4/2004) sentenza n. 21679
4) Procedure e varie - Prescrizione dell'art. 648 c.p.p. - Immediata applicazione di eventuali cause sopravvenute di non-punibilità. La prescrizione dell'art. 648 c.p.p. - secondo cui la sentenza diviene irrevocabile nel momento in cui interviene il provvedimento dichiarativo della eventuale inammissibilità della impugnazione non implica che sempre, fino a quel provvedimento, vi sia pendenza del procedimento, e dunque potere-dovere, per il giudice, di fare immediata applicazione di eventuali cause sopravvenute di non-punibilità. (La sentenza 11.11.1994, n. 21, ric. Cresci, ha chiarito che lo stesso art. 648 c.p.p. vale ad identificare i criteri di maturazione del giudicato formale, e dunque a fissare il momento e la condizione per l'eseguibilità della sentenza, mentre la disciplina dei rapporti tra cause di inammissibilità e fattori estintivi della punibilità va ricostruita mediante il riferimento alle norme processuali che regolano la materia delle impugnazioni). Pres. A. Rizzo - Est A. Fiale - Imp. Paparusso. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez III, 7 maggio 2004, (Ud. 6/4/2004) sentenza n. 21679
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