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RIFIUTI - Discarica abusiva -
Gestione dei rifiuti - Zona interna al luogo di produzione dei rifiuti -
Definizione di discarica - Art. 2, c. 1 lett. g), D. L.vo n. 36/2003 attuazione
Dir. 1999/3l/CE. In materia di gestione dei rifiuti, rientra anche nella
definizione di discarica, ai sensi dell'art. 2, comma I lett. g), del D. L.vo
13.1.2003 n. 36, emanato in attuazione della Direttiva 1999/31/CE, anche la zona
interna al luogo di produzione dei rifiuti destinata stabilmente allo
smaltimento degli stessi. Nella specie, è stato affermato inoltre che
l’inesistenza nel territorio della Provincia di discariche autorizzate per lo
smaltimento dei fanghi di depurazione non giustifica la realizzazione di una
discarica abusiva, risolvendosi peraltro tale carenza solo in una maggiore
onerosità e non nella impossibilità delle operazioni di smaltimento. Pres. Papa,
Est. Lombardi, Ric. Bonfiglio. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III del 9
marzo 2007 (Ud. 26/01/2007), Sentenza n. 10258
RIFIUTI - Realizzazione o gestione di discarica non autorizzata - Nozione di
discarica abusiva - Art. 51, c. 3°, D. L.vo n. 22/1997 - D.L.vo n. 152/2006.
Ai fini della configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica
non autorizzata, di cui all'art. 51, comma terzo, del D. L.vo 5 febbraio 1997 n.
22, è necessario l'accumulo, più o meno sistematico ma comunque ripetuto e non
occasionale, di rifiuti in un'area determinata, la eterogeneità dell'ammasso dei
materiali, la definitività del loro abbandono ed il degrado, anche solo
tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in
questione. (sez. III,17.6.2004 n. 27296, Micheletti, RV 229062; conf. sez. 111,
8.9.2004 n. 36062, Tornasoni, RV 229484). Pres. Papa, Est. Lombardi, Ric.
Bonfiglio. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III del 9 marzo 2007 (Ud. 26 gen.
2007), Sentenza n. 10258
P.U. del 26.1.2007
SENTENZA N. 272
REG. GENERALE N.25449/2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
III SEZIONE PENALE
composta dagli Signori:
Presidente Dott. Enrico Papa
Consigliere
Pierluigi Onorato
Ciro Petti
Alfredo Maria Lombardi
Mario Gentile
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso proposto da Bonfiglio Giuseppe, n. a Custonaci il 16.1.1956, ivi res.
via Assieni n. 272, avverso la sentenza in data 12.4.2005 della Corte di Appello
di Palermo, con la quale, in parziale riforma di quella del Tribunale di Trapani
in data 14.4.2004, venne condannato alla pena di mesi quattro di arresto ed E
3.000,00 di ammenda, pena detentiva sostituita con quella pecuniaria
corrispondente, quale colpevole del reato di cui all'art. 51, comma 3, del D.
L.vo n. 22/97.
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo Maria
Lombardi;
Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott. Guglielmo
Passacantando, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Palermo ha confermato la
pronuncia di colpevolezza di Bonfiglio Giuseppe in ordine al reato di cui
all'art. 51, comma 3, del D. L.vo n. 22/97, ascrittogli perché, quale titolare
della ditta denominata "Art Marmi di Bonfiglio Giuseppe", depositava in modo
incontrollato all'interno dell'area in cui aveva sede l'impresa un'ingente
quantità di rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da fanghi e scarti
provenienti dalla lavorazione del marmo, non raccolti e smaltiti nei tempi
previsti dalla normativa vigente, avendo realizzato in tal modo una discarica
non autorizzata di tali rifiuti.
La sentenza ha rigettato i motivi di gravame con i quali l'appellante aveva
dedotto di avere solo provveduto al deposito temporaneo dei rifiuti provenienti
dalla attività di lavorazione del marmo in attesa del loro definitivo avvio allo
smaltirnento e che l'accumulo dei predetti materiali di risulta era dovuto in
gran parte all'attività dei titolari dell'azienda che aveva operato in
precedenza nella stessa area.
I giudici di merito in particolare hanno escluso la natura temporanea del
deposito di rifiuti di cui alla contestazione, in considerazione del notevole
quantitativo di fanghi essiccati, che avevano raggiunto l'altezza di dieci metri
rispetto al livello stradale, e affermato la irrilevanza del contributo causale
dei precedenti gestori dell'azienda alla creazione della discarica, al fine di
escludere la responsabilità del prevenuto.
In accoglimento di un subordinato motivo di gravame la sentenza ha, però,
sostituito la pena detentiva con quella pecuniaria corrispondente.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato, che la denuncia con tre
motivi di gravame.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente denuncia la violazione ed
errata applicazione dell'art. 51, comma 3, del D. L.vo n. 22/97, nonché la
carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza.
Il ricorrente ripropone in sintesi le stesse doglianze formulate in punto di
fatto dinanzi alla Corte territoriale, deducendo che l'imputato non ha affatto
inteso costituire una discarica abusiva, essendosi limitato ad effettuare il
deposito temporaneo dei rifiuti derivanti dalla lavorazione del marmo in attesa
del loro avvio definitivo allo smaltimento. In proposito si osserva che nel
territorio della Provincia di Trapani non vi sono discariche autorizzate a
ricevere i fanghi di cui si tratta e tale circostanza ha reso difficile il
rispetto della normativa vigente in materia di avvio dei rifiuti allo
smaltimento, poiché l'unico sito per poterli conferire è il Ripristino
Ambientale del Consorzio Perlato di Sicilia. Si osserva inoltre che dove ha sede
attualmente l'azienda dell'imputato in precedenza svolgeva la propria attività
un'altra ditta del cui operato non può essere chiamato a rispondere il
Bonfiglio.
Tanto esposto in punto di fatto, il ricorrente prosegue, mediante l'esame della
normativa di cui al D. L.vo n. 22/97, con la individuazione delle nozioni di
abbandono di rifiuti, di deposito temporaneo degli stessi presso il produttore e
di discarica abusiva, anche alla luce di quanto previsto dal D. L.vo n. 36/2003,
deducendo che tali termini sono stati considerati erroneamente sinonimi dai C.C.
e dalla pubblica accusa e che nel caso in esame non ricorrono le condizioni per
ritenere la sussistenza di una discarica abusiva.
Con il secondo mezzo di annullamento il ricorrente deduce la violazione ed
errata applicazione degli art. 132 e 133 c.p., nonché il difetto di motivazione
della sentenza sul punto.
Si deduce che la Corte territoriale ha omesso di motivare in ordine alla
graduazione della pena e che, nel caso in esame, i giudici di merito avrebbero
dovuto concedere all'imputato le attenuanti generiche in considerazione del suo
comportamento processuale e della dimostrata disponibilità a provvedere alla
bonifica dell'area.
Con l'ultimo motivo il ricorrente ripropone la precedente censura, lamentando
l'eccessività della pena inflitta.
Il ricorso, che è al limite dell'ammissibilità per essere prevalentemente
fondato su deduzioni di natura fattuale, non è fondato.
E' stato reiteratamente affermato da questa Corte in ordine alla nozione di
discarica abusiva che "In tema di gestione di rifiuti, ai fini della
configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non
autorizzata, di cui all'art. 51, comma terzo, del D. L.vo 5 febbraio 1997 n. 22,
è necessario l'accumulo, più o meno sistematico ma comunque ripetuto e non
occasionale, di rifiuti in un'area determinata, la eterogeneità dell'ammasso dei
materiali, la definitività del loro abbandono ed il degrado, anche solo
tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in
questione." (sez. III,17.6.2004 n. 27296, Micheletti, RV 229062; conf. sez. 111,
8.9.2004 n. 36062, Tornasoni, RV 229484).
Orbene, la sentenza impugnata, nell'affermare la colpevolezza dell'imputato in
ordine al reato ascrittogli, ha applicato puntualmente l'enunciato principio di
diritto, avendo i giudici di merito osservato che nella specie deve ravvisarsi
la sussistenza di una vera e propria discarica in considerazione del
considerevole quantitativo di fanghi essiccati, che avevano raggiunto l'altezza
di dieci metri rispetto al livello stradale, e della analisi del registro di
carico e scarico della ditta gestita dal Bonfiglio in ordine al mancato
conferimento dei predetti rifiuti.
Si è osservato inoltre che la realizzazione della discarica da parte della ditta
che ha gestito in precedenza l'impianto per la lavorazione del marmo non vale ad
escludere la responsabilità dell'imputato, essendo stato accertato il suo
contributo causale alla realizzazione della predetta discarica abusiva mediante
l'ulteriore deposito nell'area di ingenti quantitativi di rifiuti speciali.
Pertanto, le censure di natura fattuale dedotte nuovamente dal ricorrente sono
state già esaminate dai giudici di merito e ritenute inconferenti, al fine di
escludere l'esistenza di una discarica abusiva ed il contributo causale
dell'imputato alla realizzazione della stessa, con motivazione esaustiva ed
immune da vizi logici.
Né la definizione di discarica di cui all'art. 2, comma I lett. g), del D. L.vo
13.1.2003 n. 36, emanato in attuazione della Direttiva 1999/31/CE, contiene
elementi che contrastino con l'accertamento di fatto contenuto nella sentenza,
dovendosi rilevare che è considerata discarica, ai sensi della disposizione
citata, anche la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti destinata
stabilmente allo smaltimento degli stessi, così come accertato nel caso in esame
dai giudici di merito.
La sentenza ha inoltre affermato, con argomentazione immune da vizi logici, che
la inesistenza nel territorio della Provincia di Trapani di discariche
autorizzate per lo smaltimento dei fanghi di depurazione non giustifica la
realizzazione di una discarica abusiva, risolvendosi peraltro tale carenza solo
in una maggiore onerosità e non nella impossibilità delle operazioni di
smaltimento. Gli ultimi due motivi di ricorso, infine, sono manifestamente
infondati.
La sentenza impugnata ha motivato in modo puntuale il diniego delle attenuanti
generiche mediante i rilievi afferenti alla gravità della condotta
dell'imputato, in considerazione del danno ambientale provocato dallo stesso, ed
ai precedenti da cui è gravato.
Ha inoltre rilevato in punto di trattamento sanzionatorio che la pena detentiva
era stata già applicata nel minimo edittale e che quella pecuniaria si palesa
commisurata alla effettiva gravità del fatto, sicché non sussistono affatto la
carenza di motivazione, né la violazione di legge denunciate sul punto.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. al rigetto dell'impugnazione segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Cosi deciso in Roma nella pubblica udienza del 26.1.007.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 9 MAR 2007
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