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CORTE
DI CASSAZIONE Civile Sez. III, 05/06/2007 (Ud. 16/02/2007), Sentenza n. 13061
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Esercizio illegittimo della funzione pubblica - Responsabilità civile della P.A. - Atto amministrativo - Annullamento - Configurabilità - Condizioni. La responsabilità della P.A. per l'esercizio illegittimo della funzione pubblica non consegue al dato obiettivo dell’emissione di un provvedimento illegittimo, dovendo il giudice ordinario svolgere una più penetrante indagine estesa anche alla condotta e alla sua qualificabilità in termini di colpa, non già del funzionario agente (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia), quanto della P.A. intesa come apparato, configurabile là dove l’adozione e l'esecuzione dell'atto illegittimo (lesivo dell'interesse del danneggiato) risulti avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione. Nell’affermare il suindicato principio, conforme all’orientamento seguito in giurisprudenza di legittimità sin dalla pronunzia Cass., Sez. Un., 22/7/1999, n. 500, che ha disatteso il contrario principio secondo cui la colpa della struttura pubblica sussiste in re ipsa in ragione del mero dato obiettivo della illegittimità dell'azione amministrativa, e nel ribadire che non può conseguentemente escludersi la rilevanza dell'errore scusabile commesso dalla P.A., la S.C. ha confermato la sentenza della corte di merito che aveva escluso la configurabilità di una condotta negligente della Ausl Avezzano-Sulmona, la quale, facendo riferimento ai dati ufficialmente comunicati dalle Amministrazioni Comunali all’uopo specificamente preposte, in assenza di elementi idonei a far insorgere dubbi circa la attendibilità dei medesimi o deponenti per la necessità di particolari verifiche e controlli al riguardo aveva adottato una delibera di determinazione di zona carente per un posto di medicina generale convenzionata nell’ambito territoriale di alcuni Comuni dell’Abruzzo, successivamente annullata dal Consiglio di Stato per vizio di eccesso di potere, essendo il dato concernente la popolazione di uno dei medesimi Comuni risultato erroneo. Presidente G. Fiduccia, Relatore L. A. Scarano. CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. III, 05/06/2007 (Ud. 16/02/2007), Sentenza n. 13061
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UDIENZA del
SENTENZA N.
REG. GENERALE N.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Omissis
ha pronunciato la seguente:
sentenza
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato il dr. Maurizio Cacchioni conveniva
avanti al Tribunale di Sulmona la locale Ausl per ivi sentirla condannare al
risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell'annullamento della delibera n.
665 del 28/8/87 di determinazione di zona carente per un posto di medicina
generale convenzionata nell'ambito territoriale dei Comuni di Anversa degli
Abruzzi, Cocullo, Bugnara ed Introdacqua, dal Consiglio di Stato pronunziato con
sentenza del 12/10/1991 per vizio di eccesso di potere consistente nell'essere
stato il provvedimento impugnato adottato sulla base dell'erroneo dato
concernente la popolazione del Comune di Bugnara alla data del 31/12/1986.
Nella resistenza della convenuta Ausl Avezzano-Sulmona l'adito giudice rigettava
la domanda, compensando le spese di giudizio, e la Corte d'Appello di L'Aquila
respingeva quindi con sentenza del 29/11/2002 il gravame interposto
dall'originario attore, che condannava alla rifusione delle spese di lite del
grado.
Avverso la suddetta decisione della corte di merito il Cacchioni propone ora
ricorso per cassazione, sulla base di 2 motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso la Ausl Avezzano-Sulmona, che ha anch'essa presentato
memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1° motivo il ricorrente denunzia «violazione e falsa applicazione dei
principi in tema di responsabilità della P.A.», nonché difetto di motivazione.
Lamenta che erroneamente la corte di merito ha ritenuto di «assolvere» nel caso
l'operato di controparte, ritenendo ad essa non ascrivibile alcuna
responsabilità da omesso controllo dei dati numerici della popolazione residente
nella zona carente fornitile dalla ( P.A. ) nella ravvisata «mancanza di
qualsiasi elemento che potesse far sorgere dubbi circa la attendibilità dei
dati», giacché costituisce principio affermato in giurisprudenza di legittimità
che il diritto del privato al risarcimento del danno patrimoniale conseguente ad
un atto amministrativo illegittimo, previo annullamento di esso da parte del
Giudice amministrativo, non postula la prova della colpa della P.A., di per sé
ravvisabile nella violazione di legge con l'emissione e l'esecuzione dell'atto
medesimo.
Si duole che il comportamento della Usl non sia stato nel caso considerato
caratterizzato, se non addirittura da dolo ( avendo tale ente «persino
manifestato la certezza di violare la legge»), quantomeno come caratterizzato da
colpa grave, per aver agito in spregio del d.p.r. n. 289 del 1986 (recante
disposizioni relative all'assunzione dei medici di medicina generale
convenzionata), recependo l'indicazione del Comune di Bugnara del numero di sole
16 persone in età pediatrica in un Comune avente una popolazione complessiva di
1221 abitanti, la cui erroneità «anche dal più distratto» non avrebbe potuto non
essere rilevata.
Il motivo è infondato.
Come le Sezioni Unite di questa Corte, a componimento di contrasto in precedenza
insorto in giurisprudenza di legittimità, hanno avuto modo di affermare, ove
risulti come nella specie proposta (avanti al giudice ordinario) una domanda
risarcitoria ex art. 2043
c. c. nei confronti della P.A. per illegittimo esercizio della funzione
pubblica, al fine di stabilire se la fattispecie concreta sia o meno
riconducibile nello schema normativa delineato dall'art. 2043 c.c. il giudice è
tenuto procedere, in ordine successivo, alle seguenti indagini: a) accertare la
sussistenza di un evento dannoso; b) stabilire se l'accertato danno sia
qualificabile come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un
interesse rilevante per l'ordinamento, che può essere indifferentemente un
interesse tutelato nelle forme del diritto soggettivo (assoluto o relativo),
ovvero nelle forme dell'interesse legittimo (quando questo risulti cioè
funzionale alla protezione di un determinato bene della vita, poiché è la
lesione dell'interesse al bene che rileva ai fini in esame), o altro interesse
(non elevato ad oggetto di immediata tutela, ma) giuridicamente rilevante (in
quanto preso in considerazione dall'ordinamento a fini diversi da quelli
risarcitori, e quindi non riconducibile a mero interesse di fatto); c)
accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei criteri generali,
se l'evento dannoso sia riferibile ad una condotta (positiva o omissiva) della
P.A.; d) stabilire se il detto evento dannoso sia imputabile a dolo o colpa
della P.A..
La colpa (unitamente al dolo) costituisce in particolare componente essenziale
della fattispecie della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.
Ai fini del relativo accertamento non è pertanto invocabile il principio secondo
il quale la colpa della struttura pubblica sussiste in re ipsa nel caso
di esecuzione volontaria di atto amministrativo illegittimo.
Tale principio, enunciato dalla giurisprudenza di questa S.C. con riferimento
all'ipotesi di attività illecita, per lesione di un diritto soggettivo, secondo
la tradizionale interpretazione dell'art. 2043 c.c. (v. Cass., 27/8/1999, n.
9004; Cass., 3/7/1998, n. 6509; Cass., 1/9/1997, n. 8297; Cass., 13/5/1997, n.
4186; Cass., 9/6/1995, n. 6542) è stata infatti ritenuta non conciliabile con la
più ampia lettura della suindicata disposizione svincolata dalla lesione di un
diritto soggettivo. Con la conseguenza che l'imputazione non può avvenire sulla
base del mero dato obiettivo della illegittimità dell'azione amministrativa,
dovendo il giudice ordinario svolgere una più penetrante indagine non limitata
al solo provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile ma estesa
anche alla valutazione della colpa. Non del funzionario agente (da riferire ai
parametri della negligenza o imperizia), quanto della P.A. intesa come apparato
(in tal senso, v. già Cass., 24/5/1991, n. 5883), configurabile laddove
l'adozione e l'esecuzione dell'atto illegittimo (lesivo dell'interesse del
danneggiato) risulti avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di
correttezza e di buona amministrazione, cui l'esercizio della funzione
amministrativa deve ispirarsi, e che ben può il giudice ordinario valutare,
ponendosi quali limiti esterni alla discrezionalità (v. Cass. Sez. Un.,
22/7/1999, n. 500, e successivamente, Cass., 28/3/2000, 3726; Cass., 23/7/2002,
n. 10739; Cass., 23/4/2004, n. 7733; Cass., 4/4/2003, n. 5259; Cass.,
29/3/2004, n. 6199; Cass., 18/6/2005, n. 13164; Cass., 21/10/2005, n. 20358;
Cass., 4/7/2006, n. 15259; Cass., 22/12/2006, n. 27498).
Ne consegue che non può in linea di principio escludersi la rilevanza
dell'errore scusabile commesso dalla P.A., da valutarsi con riferimento al caso
concreto in base ad accertamento da effettuarsi ex ante dal giudice del
merito, incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione
(v. Cass., 9/2/2004, n. 2424).
Orbene, come dalla corte di merito con stringata - ma non per questo incongrua-
motivazione posto in rilievo, una condotta negligente della Ausl
Avezzano-Sulmona non è nella specie invero ravvisabile in relazione all'adozione
della delibera in questione, avendo la medesima fatto riferimento ai dati
ufficialmente comunicati dalle autorità (le Amministrazioni Comunali) all'uopo
specificamente preposte, in assenza d'altro canto di elementi deponenti per la
necessità di particolari verifiche e controlli al riguardo.
Con il 2° motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione
dell'art. 345 c.p.c. (nella formulazione ante novella n. 353 del 1990) in
relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.
Lamenta che erroneamente la corte di merito ha dichiarato inammissibile, in
quanto dedotta per la prima volta in appello, l'eccezione secondo cui la
delibera de qua è viziata anche “a motivo della violazione dell'art. 5
del D.P.R. 289/87>>, trattandosi di giudizio cui non si applica il divieto
sancito dall'art. 345, 2° co., c.p.c. novellato, in quanto introdotto
anteriormente al 30 aprile 1995. Con conseguente ammissibilità della
proposizione, anche per la prima volta in sede di gravame, di nuove eccezioni in
senso proprio.
Il motivo è infondato.
Pur essendo applicabile il vecchio rito, diversamente da quanto sostenuto dal
ricorrente correttamente la corte di merito ha nel caso ritenuto la novità della
domanda, essendo stata la relativa causa petendi in se de di gravame
dall'odierno ricorrente fondata su elementi e circostanze in precedenza non
prospettati, con conseguente mutamento dei fatti costitutivi del diritto
azionato ed introduzione nel processo di nuovo tema di indagine e decisione (v.
Casa., 20/12/1997, n. 12940. V. anche Cass., 6/12/1996, n. 10894).
All'infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 2.100,00, di cui
euro 2.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.
Roma, 16/2/2007
DEPOSITATO IN CANCELLERIA 5/6/2007
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