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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006



CORTE DI CASSAZIONE Sezione Lavoro, 04/07/2007, Sentenza n. 15047

 

 

LAVORO - Infortuni sul lavoro - Incidente verificatosi per mera curiosità - C.d. rischio elettivo - Indennizzabilità - Esclusione - Fattispecie. In materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro costituisce rischio elettivo la deviazione, puramente arbitraria ed animata da mere finalità personali, dalle normali modalità lavorative, comportante rischi diversi da quelli inerenti le usuali modalità di esecuzione della prestazione. Nella specie, la S.C., ribadendo il consolidato orientamento, ha confermato la decisione della corte territoriale che aveva negato l'indennizzabilità dell'infortunio occorso al lavoratore, partecipante ad un corso di perfezionamento antincendio, il quale, durante la pausa-caffè, per osservare da vicino il vano del discensore dei vigili del fuoco, si era avvicinato tanto da perdere l'equilibrio e precipitarvi dentro. Presidente S. Ciciretti, Relatore A. De Matteis, Ric. Perini. CORTE DI CASSAZIONE Sezione Lavoro, 04/07/2007, Sentenza n. 15047

LAVORO - Nozione di rischio elettivo - Individuazione - Criteri - Distinzione del rischio elettivo dall'atto lavorativo compiuto con colpa. E’ qualificato come “rischio elettivo” una deviazione puramente arbitraria dalle normali modalità lavorative per finalità personali, che comporta rischi diversi da quelli inerenti alle normali modalità di esecuzione della prestazione (Cass. 18 agosto 1977 n. 3789; Cass. 24 luglio 1991 n. 8292; Cass. 17 novembre 1993 n. 11351; Cass. 3 febbraio 1995 n. 1269; Cass. 3 maggio 1995 n. 6088; Cass. 1 settembre 1997 n. 8269; Cass. 4 dicembre 2001 n. 15312). Esso viene configurato come l'unico limite che incide sulla occasione di lavoro, escludendola (Cass. 19 aprile 1999 n. 3885; Cass. 2 giugno 1999 n. 5419; Cass. 9 ottobre 2000 n. 13447; Cass. 8 marzo 2001 n. 3363). Sicché, il rischio elettivo può essere individuato attraverso il concorso simultaneo dei seguenti elementi caratterizzanti: a) vi deve essere non solo un atto volontario (in contrapposizione agli atti automatici del lavoro, spesso fonte di infortuni), ma altresì arbitrario, nel senso di illogico ed estraneo alle finalità produttive; b) diretto a soddisfare impulsi meramente personali (il che esclude le iniziative, pur incongrue, ed anche contrarie alle direttive datoriali, ma motivate da finalità produttive, come nella fattispecie esaminata da Cass. 25 novembre 1975 n. 3950, la quale ha ritenuto non costituire rischio elettivo, ma infortunio sul lavoro connotato eventualmente da colpa del lavoratore, quello di un fattorino che, contrariamente alle direttive aziendali, si attrezzi con un proprio ciclomotore per provvedere ad una più rapida consegna dei plichi della quale è incaricato); c) che affronti un rischio diverso da quello cui sarebbe assoggettato, sicché l'evento non abbia alcun nesso di derivazione con lo svolgimento dell'attività lavorativa. Questi elementi concorrono a distinguere il rischio elettivo dall'atto lavorativo compiuto con colpa, costituita da imprudenza, negligenza, imperizia, nel quale permane la copertura infortunistica. Presidente S. Ciciretti, Relatore A. De Matteis, Ric. Perini. CORTE DI CASSAZIONE Sezione Lavoro, 04/07/2007, Sentenza n. 15047


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UDIENZA del

SENTENZA N.

REG. GENERALE N. 26639/2004


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:


Omissis


ha pronunciato la seguente:


sentenza

omissis


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Il sig. Perini Marco, mandato dal proprio datore di lavoro a frequentare un corso di perfezionamento antincendio presso la sede del Corpo Permanente dei VV.FF. di Trento, è caduto, il 9 aprile 2002, nel vano per il discensore dei vigili del fuoco, cui si era avvicinato per curiosità, riportando lesioni.


La sua domanda di condanna dell'Inail alle prestazioni infortunistiche, proposta con ricorso depositato in data 5 maggio 2003, accolta dal Tribunale di Rovereto, con sentenza del 25 marzo 2004, è stata respinta dalla Corte d'Appello di Trento con sentenza 15/20 luglio 2004 n. 53.


Il giudice di appello ha riconosciuto che l'incidente è avvenuto in ambiente di lavoro e durante lo stesso, perché nel periodo lavorativo va ricompressa anche la necessaria pausa del caffè, accordata dal docente in funzione anche delle eventuali esigenze fisiche dei partecipanti al corso, durante la quale è avvenuto l'incidente; ma ha ritenuto che la caduta del Perini è stata la conseguenza di un rischio elettivo, costituito dalla sua incauta curiosità di voler osservare da vicino il vano nel quale era allocato il discensore per i vigili, avvicinandosi tanto da perdere l'equilibrio e così cadere nello stesso.


Ha disatteso la valutazione del primo giudice, il quale aveva escluso che il comportamento del Perini nell'avvicinarsi al vano del "discensore" fosse arbitrario, perché era "ragionevolmente emerso in fase istruttoria che le segnalazioni di pericolo in allora presenti in loco non erano così chiare come quelle riportate nelle fotografie prodotte da parte convenuta".


Ha rilevato in contrario che le due testimoni Poli hanno riferito della presenza, comunque avvertita nonostante la scarsa illuminazione, di una barra più piccola e non colorata come quella apparente nelle foto prodotte dall'INAIL; e che il Perini, nell'occasione (pur rendendosi conto dell'esistenza del vano), vinto dalla curiosità di andare a vedere cosa vi fosse in quel posto, si avvicinò pericolosamente alla botola con il "discensore", tanto da precipitarvi.


Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il Perini, con due motivi.


L'Istituto intimato si è costituito con controricorso, resistendo, illustrato da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..


Motivi della decisione


Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 66 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124; 2087 cod.civ.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.).


Prende le mosse dalla valutazione della sentenza impugnata, di fatto e di diritto, che l' infortunio è avvenuto in ambiente di lavoro e durante lo stesso. Ricorda la giurisprudenza di legittimità in tema di occasione di lavoro, di colpa cosciente, e di rischio elettivo. Rileva che i partecipanti al corso non erano stati avvisati della pericolosità del luogo, sicché il Perini non disponeva degli elementi di conoscenza necessari per valutare il rischio; afferma che il rischio concretizzatosi con l'infortunio non è altro che il rischio proprio dell'ambiente lavorativo nel quale egli era collocato in quel momento; sostiene che il suo comportamento può essere considerato imprudente, ma non abnorme, sì da configurare il rischio elettivo che esclude la indennizzabilità dell'evento.


Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell'articolo 115 c.p.c., in relazione agli articoli 2 e 66 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c.), rileva che trattandosi di incidente avvenuto in ambiente di lavoro, la sentenza impugnata avrebbe dovuto valutare con particolare rigore l'interruzione del nesso causale tra l'attività lavorativa e l'infortunio, rispetto alle ipotesi di infortunio occorso al di fuori dell'orario e dell'ambiente di lavoro come per esempio negli infortuni in itinere.


L'Istituto convenuto, ritualmente costituito, sostiene in contrario che il caso non va trattato sul piano dell'elemento soggettivo del Perini, nel senso di ricercare il dolo eventuale o la colpa cosciente, bensì sul piano oggettivo dell'assenza del presupposto dell'occasione di lavoro, perché il Perini ha determinato, con la propria scelta, una situazione diversa da quella inerente all'attività lavorativa, ponendo così in essere una causa interruttiva di ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento.


I due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, non sono fondati.


La presente causa concerne il problema delle cautele specifiche dovute per coloro che per ragioni di lavoro frequentano ambienti lavorativi diversi da quelli propri, nei quali sussistono rischi specifici per i lavoratori ivi addetti. Non c'è dubbio che vi è un obbligo a carico del proprio datore di lavoro di informazione e di prevenzione particolare per questi lavoratori inviati in ambienti di lavoro diversi da quello abituale (argomento ex art. 5 d.p.r. 27 aprile 1955 n. 547 sull'obbligo di informazione dei lavoratori autonomi dei rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro in cui siano chiamati a prestare la loro opera; art. 21 d.lgs. 19 settembre 1994, n 626).


Nel caso di specie il vano discensore (quel vano con pertica centrale attraverso il quale i vigili si calano con maggiore celerità al piano sottostante, in caso di urgenza) costituisce una esigenza operativa per la caserma dei vigili del fuoco (ed in causa non si discute minimamente che esso fosse conforme a legge), ed un rischio specifico del quale i frequentatori del corso dovevano essere avvertiti.


Costituisce valutazione di fatto, adeguatamente motivata con le risultanze testimoniali, che la presenza di questo rischio specifico era avvertita dai frequentatori del corso, i quali, come risulta dalla deposizione del Cainelli riportata dallo stesso ricorrente, erano attratti in buon numero dall'apertura esistente, chiaramente visibile, ed interessati a valutare la profondità del vano del discensore. Lo stesso Perini, come risulta dalle deposizioni delle due testi Poli, riportate dalla sentenza impugnata, si era reso conto della esistenza del vano, ed aveva invitato le testi ad avvicinarsi per valutarne la profondità.


Lo scopo dell'obbligo di informazione era quindi raggiunto con tale consapevolezza della presenza del vano discensore, la cui pericolosità si identifica con la sua esistenza statica.


Ciò posto, occorre valutare se sia corretto in diritto la statuizione della sentenza impugnata secondo cui siffatto comportamento costituisce rischio elettivo, che esclude la copertura infortunistica.


Le premesse dommatiche della sentenza impugnata, secondo cui l'incidente avvenne in ambiente di lavoro e durante lo stesso, non valendo la pausa caffè ad interrompere il nesso causale con il lavoro, sono conformi alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 3 giugno 1985, n. 3296; Cass. 19 novembre 1983, n. 6904; Cass. 21 febbraio 1987, n. 1883; Cass. 15 gennaio 1990, n. 131; Cass. 15 febbraio 1986 n. 9W1 925; Cass. 11 maggio 1999 n. 4676) e non sono contestate dall'Inail.


Quanto alla nozione di rischio elettivo, esso è qualificato dalla dottrina e dalla giurisprudenza come una deviazione puramente arbitraria dalle normali modalità lavorative per finalità personali, che comporta rischi diversi da quelli inerenti alle normali modalità di esecuzione della prestazione (Cass. 18 agosto 1977 n. 3789; Cass. 24 luglio 1991 n. 8292; Cass. 17 novembre 1993 n. 11351; Cass. 3 febbraio 1995 n. 1269; Cass. 3 maggio 1995 n. 6088; Cass. 1 settembre 1997 n. 8269; Cass. 4 dicembre 2001 n. 15312).

Nella giurisprudenza di legittimità più recente, esso viene configurato come l'unico limite che incide sulla occasione di lavoro, escludendola (Cass. 19 aprile 1999 n. 3885; Cass. 2 giugno 1999 n. 5419; Cass. 9 ottobre 2000 n. 13447; Cass. 8 marzo 2001 n. 3363).


Con formula ormai consolidata e tralaticia, il rischio elettivo può essere individuato attraverso il concorso simultaneo dei seguenti elementi caratterizzanti: a) vi deve essere non solo un atto volontario (in contrapposizione agli atti automatici del lavoro, spesso fonte di infortuni), ma altresì arbitrario, nel senso di illogico ed estraneo alle finalità produttive; b) diretto a soddisfare impulsi meramente personali (il che esclude le iniziative, pur incongrue, ed anche contrarie alle direttive datoriali, ma motivate da finalità produttive, come nella fattispecie esaminata da Cass. 25 novembre 1975 n. 3950, la quale ha ritenuto non costituire rischio elettivo, ma infortunio sul lavoro connotato eventualmente da colpa del lavoratore, quello di un fattorino che, contrariamente alle direttive aziendali, si attrezzi con un proprio ciclomotore per provvedere ad una più rapida consegna dei plichi della quale è incaricato); c) che affronti un rischio diverso da quello cui sarebbe assoggettato, sicché l'evento non abbia alcun nesso di derivazione con lo svolgimento dell'attività lavorativa.

Questi elementi concorrono a distinguere il rischio elettivo dall'atto lavorativo compiuto con colpa, costituita da imprudenza, negligenza, imperizia, nel quale permane la copertura infortunistica.


Innumerevoli sono gli esempi, passati al vaglio della giurisprudenza, e riferiti dalla dottrina: assimilabile al caso presente è quello del lavoratore che, per mera curiosità, penetri in una cabina elettrica nella quale non aveva ragioni lavorative per entrarvi, ed ivi subisca un incidente.


Nel caso presente sussistono tutti gli elementi individuati dalla giurisprudenza di legittimità citata: la arbitrarietà, nella quale va inclusa anche la mera curiosità, come nell'esempio citato; la estraneità alle finalità lavorative; la creazione di un rischio ulteriore rispetto a dette finalità (nella specie la frequenza del corso).


Né il caso può essere ricondotto al rischio ambientale, che comprende qualsiasi fattore di rischio esistente nell'ambiente di lavoro (Cass. Sez. un. 14 aprile 1994 n. 3476) sotto due profili: a) perché in fattispecie come la presente, il rischio ambientale va circoscritto agli ambienti strettamente funzionali alla frequenza del corso (argomento di per sé non sufficiente, in quanto il discensore era lungo un corridoio per il quale frequentatori del corso potevano passare); b) perché la copertura del rischio ambientale non esclude che il lavoratore possa creare al suo interno un rischio elettivo (si pensi al caso del lavoratore che usi le attrezzature aziendali per produrre un oggetto per uso personale, oppure di quello che si introduca per motivi non lavorativi in un luogo di maggior rischio interdetto alla generalità dei lavoratori, come nel caso citato supra della cabina elettrica).


Il ricorso va pertanto respinto.


Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell'art. 152 d.a.c.p.c., nel testo anteriore a quello di cui all'art. 42, comma 11, del d.I n. 269 del 30 settembre 2003, convertito in Legge 24 novembre 2003, n. 326, nella specie inapplicabile "ratione temporis"; infatti le limitazioni di reddito per la gratuità del giudizio introdotte da tale ultima norma non sono applicabili ai processi il cui ricorso introduttivo del giudizio sia stato depositato, come nella specie, anteriormente al 2 ottobre 2003 (data di entrata in vigore del predetto decreto legge) (Cass. l marzo 2004 n. 4165; Cass. 8 marzo 2004 n. 4657; Cass. 1° giugno 2005 n. 11687; nello stesso senso, in motivazione, S.U. 24 febbraio 2005 n. 3814), mentre il ricorso introduttivo del presente giudizio è del 9 aprile 2003.


p.q.m.


rigetta il ricorso. Nulla per le spese processuali del presente giudizio.


Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro, l'8 maggio 2007.

Depositato in Cancelleria il 4/7/2007


 


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