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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. III, 24/07/2007 (Ud.
22/03/2007), Sentenza
n. 16315
CONSUMATORI - Contratti viaggi
vacanze “tutto compreso” - C.d. “pacchetto turistico o package” (previsto dal
d.lgs. n. 111/1995 ed ora trasfuso negli artt. 82 ss. d.lgs. n. 206/2005 (c.d.
Codice del Consumo) - Causa concreta - Finalità turistica o scopo di piacere -
Irrealizzabilità per sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della
prestazione - Risoluzione - Art. 1174 c.c.. Nel contratto di viaggio vacanza
“tutto compreso” (c.d. “pacchetto turistico” o package), caratterizzato
dalla prefissata combinazione di almeno due degli elementi costituiti dal
trasporto, dall’alloggio e da servizi turistici agli stessi non accessori
(itinerario, visite, escursioni con accompagnatori e guide turistiche, ecc.)
costituenti parte significativa di tale contratto, con durata superiore alle 24
ore ovvero estendentesi per un periodo di tempo comportante almeno una notte, la
"finalità turistica" (o "scopo di piacere") non costituisce un irrilevante
motivo ma si sostanzia nell’interesse che lo stesso è funzionalmente volto a
soddisfare, connotandone la causa concreta. Ne consegue che la irrealizzabilità
di tale finalità per sopravvenuto evento non imputabile alle parti determina,
stante il venir meno dell’elemento funzionale dell’obbligazione costituito
dall’interesse creditorio (art. 1174 c.c.), l’estinzione del contratto per
sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione, con esonero delle
parti dalle rispettive obbligazioni. Presidente F. Trifone, Relatore L. A.
Scarano. CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. III, 24/07/2007 (Ud. 22/03/2007),
Sentenza n. 16315
CONSUMATORI - Contratto di viaggio vacanza “tutto compreso” c.d. “pacchetto
turistico” o package (previsto dal d.lgs. n. 111/1995 ed ora trasfuso negli
artt. 82 ss. d.lgs. n. 206/2005 (c.d. Codice del Consumo) - Natura e funzione -
Distinzione dai contratti di: organizzazione, intermediazione e viaggio -
Elemento di qualificazione - Impossibilità di utilizzazione della prestazione da
parte del creditore - Effetti - Fattispecie - L. n. 1084/1977. Nel delineare
i caratteri e la funzione del contratto di viaggio vacanza “tutto compreso”
(c.d. “pacchetto turistico” o package), distinguendolo dal contratto di
organizzazione (artt. 5 ss.) o di intermediazione (art. 17 ss.) di viaggio (CCV)
di cui alla Convenzione di Bruxelles del 1970 (resa esecutiva con L. 27 dicembre
1977, n. 1084), e nel porre in rilievo che la causa concreta assume rilievo,
oltre che come elemento di qualificazione, anche relativamente alla sorte del
contratto, quale criterio di relativo adeguamento. Pertanto, l’impossibilità di
utilizzazione della prestazione da parte del creditore, pur se normativamente
non specificamente prevista, è da considerarsi causa di estinzione
dell’obbligazione, autonoma e distinta dalla sopravvenuta totale (art. 1463
c.c.) o parziale (art. 1464 c.c.) impossibilità di esecuzione della medesima. In
specie, l'epidemia di dengue emorragico costituisce infatti evento
determinante non già il deterioramento o la riduzione della prestazione (v.
Cass., 17/7/1987, n. 6299) bensì il venir meno del normale standard di sicurezza
sanitaria del luogo di esecuzione della prestazione turistica. Fattispecie:
scioglimento del contratto di package avente ad oggetto un viaggio
vacanza di due settimane per due persone a Cuba, essendo ivi in atto un’epidemia
di dengue emorragico, sicchè i turisti, in accordo con l’agenzia di
viaggi, avevano optato per diversa destinazione, nonché di rigetto della domanda
di pagamento dell’indennità per il recesso formulata dal tour operator.
Presidente F. Trifone, Relatore L. A. Scarano. CORTE DI CASSAZIONE Civile
Sez. III, 24/07/2007 (Ud. 22/03/2007), Sentenza n. 16315
CONSUMATORI - Totale impossibilità sopravvenuta della prestazione -
Impedimento assoluto ed oggettivo, a carattere definitivo - Natura - Effetti -
Estinzione dell'obbligazione e risoluzione del contratto - C.d. sinallagma
funzionale - Impossibilità parziale - Natura - Effetti - Riduzione della
controprestazione o al diritto al recesso - Sopravvenuta impossibilità della
esecuzione della prestazione. La totale impossibilità sopravvenuta della
prestazione (art. 1463 c.c.), che consiste in un impedimento assoluto ed
oggettivo, a carattere definitivo, della prestazione (v. Cass., 16/2/2006, n.
3440; Cass., 22/10/1982, n. 5496; Cass., 6/2/1979, n. 794; Cass., 27/6/1978, n.
3166; Cass., 8/10/1973, n. 2532; Cass., 14/10/1970, n. 2018; Cass., 29/10/1962,
n. 3076), integra infatti un fenomeno di automatica estinzione dell'obbligazione
e risoluzione del contratto che ne costituisce la fonte ai sensi degli artt.
1463 e 1256, 1° co., c.c. (v. Cass., 28/1/1995, n. 1037; Cass., 9/11/1994, n.
9304; Cass., 24/4/1982, n. 548; Cass., 14/10/1970, n. 2018), in ragione del
venir meno della relazione di interdipendenza funzionale in cui la medesima si
trova con la prestazione della controparte c.d. sinallagma funzionale), a tale
stregua conseguendo la irrealizzabilità della causa concreta del con tratto
(cfr. Cass., 24/4/1982, n. 2548; Casa., 15/12/1975, n. 4140; Cass., 26/3/1971,
n. 882; Cass., 14/4/1959, n. 1092; Cass., 26/3/1954, n. 894). L'impossibilità
parziale (art. 1464 c.c.) consiste invece nel deterioramento della cosa dovuta,
o più generalmente nella riduzione materiale della prestazione (cfr. Cass.,
10/4/1995, n. 4119) che dà luogo ad una corrispondente riduzione della
controprestazione o al diritto al recesso per la parte che non abbia un
apprezzabile interesse al mantenimento del contratto, laddove la prestazione
residua venga a risultare incompatibile con la causa concreta del contratto
(cfr. Cass., 15/12/1975, n. 4140). Diversamente da tale ipotesi, l'impossibilità
di utilizzazione della prestazione non viene in realtà a sostanziarsi in un
impedimento precludente l'attuazione dell'obbligazione, non presupponendone di
per sé l'obiettiva ineseguibilità da parte del debitore. Pur essendo la
prestazione in astratto ancora eseguibile (cfr. Cass., 27/9/1999, n. 10690), il
venir meno della possibilità che essa realizzi lo scopo dalle parti perseguito
con la stipulazione del contratto (nel caso, lo «scopo di piacere» in cui si
sostanzia la «finalità turistica»), essa implica il venir meno dell'interesse
creditorio, quale vicenda che attiene esclusivamente alla sfera del creditore.
Nelle ipotesi in cui la prestazione diviene impossibile l'obbligazione si
estingue per il concorso delle due cause estintive, l'impossibilità sopravvenuta
della utilizzabilità della prestazione estingue invero il rapporto obbligatorio
per il venir dell'interesse creditorio, e di conseguenza il contratto che
dell'obbligazione costituisce la fonte per irrealizzabilità della relativa causa
concreta. La sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione deve
dunque distinguersi dalla sopravvenuta impossibilità della esecuzione della
prestazione (v. peraltro ancora Cass., 2/5/2006, n. 10138) di cui agli artt.
1463 e 1464 c.c. (v. Cass., 16/2/2006, n. 3440; Cass., 28/1/1995, n. 1037).
Sicché, va pertanto affermato che l'impossibilità di utilizzazione della
prestazione da parte del creditore, pur se normativamente non specificamente
prevista, costituisce -analogamente all'impossibilità di esecuzione della
prestazione- (autonoma) causa di estinzione dell'obbligazione (v.. Cass.,
9/11/1994, n. 9304). Presidente F. Trifone, Relatore L. A. Scarano. CORTE DI
CASSAZIONE Civile Sez. III, 24/07/2007 (Ud. 22/03/2007), Sentenza n. 16315
PROCEDURE E VARIE - CONSUMATORI - Impossibilità sopravvenuta totale della
prestazione (art. 1463 c.c.) - Definizione - C.d. sinallagma funzionale -
Impossibilità parziale (art. 1464 c.c.) - Definizione - Effetti - Impossibilità
di utilizzazione della prestazione e impossibilità della esecuzione della
prestazione - Differenza. La totale impossibilità sopravvenuta della
prestazione (art. 1463 c.c.), che consiste in un impedimento assoluto ed
oggettivo, a carattere definitivo, della prestazione (v. Cass., 16/2/2006, n.
3440; Cass., 22/10/1982, n. 5496; Cass., 6/2/1979, n. 794; Cass., 27/6/1978, n.
3166; Cass., 8/10/1973, n. 2532; Cass., 14/10/1970, n. 2018; Cass., 29/10/1962,
n. 3076), integra infatti un fenomeno di automatica estinzione dell'obbligazione
e risoluzione del contratto che ne costituisce la fonte ai sensi degli artt.
1463 e 1256, 1° co., c.c. (v. Cass., 28/1/1995, n. 1037; Cass., 9/11/1994, n.
9304; Cass., 24/4/1982, n. 548; Cass., 14/10/1970, n. 2018), in ragione del
venir meno della relazione di interdipendenza funzionale in cui la medesima si
trova con la prestazione della controparte c.d. sinallagma funzionale), a tale
stregua conseguendo la irrealizzabilità della causa concreta del con tratto
(cfr. Cass., 24/4/1982, n. 2548; Casa., 15/12/1975, n. 4140; Cass., 26/3/1971,
n. 882; Cass., 14/4/1959, n. 1092; Cass., 26/3/1954, n. 894). L'impossibilità
parziale (art. 1464 c.c.) consiste invece nel deterioramento della cosa dovuta,
o più generalmente nella riduzione materiale della prestazione (cfr. Cass.,
10/4/1995, n. 4119) che dà luogo ad una corrispondente riduzione della
controprestazione o al diritto al recesso per la parte che non abbia un
apprezzabile interesse al mantenimento del contratto, laddove la prestazione
residua venga a risultare incompatibile con la causa concreta del contratto
(cfr. Cass., 15/12/1975, n. 4140). Diversamente da tale ipotesi, l'impossibilità
di utilizzazione della prestazione non viene in realtà a sostanziarsi in un
impedimento precludente l'attuazione dell'obbligazione, non presupponendone di
per sé l'obiettiva ineseguibilità da parte del debitore. Pur essendo la
prestazione in astratto ancora eseguibile (cfr. Cass., 27/9/1999, n. 10690), il
venir meno della possibilità che essa realizzi lo scopo dalle parti perseguito
con la stipulazione del contratto, essa implica il venir meno dell'interesse
creditorio, quale vicenda che attiene esclusivamente alla sfera del creditore.
La sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione deve dunque
distinguersi dalla sopravvenuta impossibilità della esecuzione della prestazione
(v. peraltro ancora Cass., 2/5/2006, n. 10138) di cui agli artt. 1463 e 1464
c.c. (v. Cass., 16/2/2006, n. 3440; Cass., 28/1/1995, n. 1037). Presidente F.
Trifone, Relatore L. A. Scarano. CORTE DI
CASSAZIONE Civile Sez. III, 24/07/2007 (Ud. 22/03/2007), Sentenza n. 16315
PROCEDURE E VARIE - Ricorso per cassazione - Elementi indispensabili -
Requisito dell'esposizione sommaria dei fatti - Mancanza - Inammissibilità -
Art. 366 c.p.c.. Ai fini della sussistenza del requisito dell'esposizione
sommaria dei fatti di causa, prescritto a pena d'inammissibilità per il ricorso
per cassazione dall'art. 366 c.p.c., è infatti necessario che nel contesto
dell'atto d'impugnazione si rinvengano gli elementi indispensabili perché il
giudice di legittimità possa avere, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti
del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, una chiara e completa visione
dell'oggetto dell'impugnazione, dello svolgimento del processo e delle posizioni
in esso assunte dalle parti (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n.
4937). E' cioè indispensabile che dal contesto del ricorso sia possibile
desumere una conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale, sufficiente per
bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia
del giudice a quo (v. Cass., 4/6/1999, n. 5492). Presidente F. Trifone, Relatore
L. A. Scarano. CORTE DI
CASSAZIONE Civile Sez. III, 24/07/2007 (Ud. 22/03/2007), Sentenza n. 16315
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UDIENZA del
SENTENZA N.
REG. GENERALE N.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Omissis
ha pronunciato la seguente:
sentenza
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 24/10/1998 la società Bismanturist 2 s.r.l.
proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo nei suoi confronti emesso,
su richiesta della società Aternum Viaggi s.a.s., emesso dal Giudice di pace di
Pescara ed avente ad oggetto il pagamento dell'indennità convenzionalmente
pattuita per il recesso dal contratto di viaggio "tutto compreso" per due
persone nell'isola di Cuba, eccependo che la disdetta della prenotazione da
parte del proprio cliente era stata determinata da forza maggiore, per essere in
atto in quel periodo nell'isola di Cuba un'epidemia di "dengue" emorragico. In
via subordinata chiedeva che venisse disposta la riduzione del quantum dovuto.
Chiamato in causa dalla Bismanturist 2 s.r.l., in garanzia, anche il sig.
Giuliano Venturi, per conto del quale essa aveva «prenotato», il pacchetto
turistico de quo, che aderiva alle difese svolte dalla società chiamante
precisando di avere con la medesima consensualmente risolto il contratto per il
viaggio a Cuba "sostituendolo" con altro da svolgersi in Messico, con sentenza
del 9/12/1999 l'adito giudice accoglieva l'opposizione, e per l'effetto revocava
l'emesso decreto ingiuntivo.
Il gravame interposto dalla Aternum Viaggi s.a.s. nella resistenza della
Bismanturist e del Venturi veniva successivamente rigettato dal Tribunale di
Pescara, che riteneva peraltro nel caso ricorrere non già un'ipotesi di
sopravvenuta impossibilità della prestazione ex art. 1463 c.c., come ritenuto
dal giudice di prime cure, bensì di impossibilità sopravvenuta della prestazione
meramente parziale, ai sensi dell'art. 1464 c.c. legittimante la scelta tra
riduzione del prezzo e recesso dal contratto.
Avverso la suddetta sentenza del giudice dell'appello la società Aternum Viaggi
s.a.s. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi, illustrati da
memoria.
Resiste con controricorso la società Bismanturist 2 s.r.l.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1° motivo la società ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione
degli artt. 1256, 1463 e 1464 c.c., in relazione all'art. 360, 1° co. n. 3,
c.p.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della
controversia, in riferimento all'art. 360, 1° co. n. 5, c.p.c..
Si duole essere stata nel caso erroneamente ritenuta integrata un'ipotesi di
impossibilità sopravvenuta della prestazione, tale viceversa non essendo la
«pre-stazione dedotta in contratto» (nella specie il viaggio ed il soggiorno
nella destinazione pattuita), in difetto di «prova alcuna dell'esistenza di
provvedimenti di interdizione o di restrizione ai flussi turistici per la
destinazione prescelta, ovvero dell'oggettiva impossibilità di raggiungere e
soggiornare nella città di Santiago de Cuba».
Lamenta che si sono a tale stregua privilegiate piuttosto le «finalità
ulteriori» in base alle quali l'acquirente del "pacchetto turistico" si è nel
caso indotto ad esercitare il «recesso» dal contratto, indebitamente
assegnandosi rilievo a mere «soggettive valutazioni circa l'opportunità e la
convenienza di effettuare il viaggio (non volendo egli esporsi neppure a rischi
modesti)», anziché all'«effettiva impossibilità di fruire dei servizi offerti
dall'organizzazione in conformità del contratto».
Si duole che non si sia tenuto conto come già «dalla comunicazione in data
17.7.1997 dell'Ambasciata di Cuba a Roma (doc. 2 del fascicolo di primo grado»,
e quindi in epoca precedente all'esercizio del recesso», la situazione sanitaria
risultava essere «totalmente sotto controllo, e ricondotta in condizioni di
normalità», essendosi altresì trascurato di considerare che «il dengue
emorragico è malattia endemica nell'isola di Cuba, mai debellata. Non a caso il
Ministero degli Esteri italiano non ha mai diramato alcuna comunicazione intesa
a vietare, o anche solo a sconsigliare, i viaggi verso Cuba e verso la città di
Santiago de Cuba».
Con il 2° motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 9 L. n. 1084
del 1977, nonché della specifica disciplina contrattuale in tema di recesso del
viaggiatore», in relazione all'art. 360, 1° co. n.3, c.p.c..
Lamenta la violazione nel caso della disciplina sia convenzionale (art. 5
condizioni generali del contratto di viaggio) che legale (art. 9 L. n. 1084 del
1977) in materia di contratto di viaggio, in base alla quale, a fronte della
possibilità per l'acquirente di "pacchetto turistico" di recedere dal contratto,
spetta all'organizzatore del viaggio la corresponsione «di un corrispettivo via
via crescente in relazione all'approssimarsi della data della prevista
partenza».
Si duole non essersi dai giudici di merito altresì considerato che ad
«integrazione del contratto di viaggio oggetto della controversia (doc. n. 4 del
fascicolo della fase monitoria)» per l'ipotesi del recesso del viaggiatore era
stato nella specie espressamente previsto il seguente regolamento convenzionale:
«-nessun corrispettivo a carico del viaggiatore nel caso di recesso sino a 45
giorni lavorativi prima della partenza; -un corrispettivo del 10% del costo del
viaggio nel caso di recesso esercitato tra i 45 ed i 21 giorni lavorativi prima
della partenza; un corrispettivo del 50% da 20 a 11 giorni lavorativi prima
della partenza; -un corrispettivo del 75% da 10 a 3 giorni prima della partenza;
l'intero prezzo del viaggio oltre tale ultimo termine››.
Lamenta che nel violare «tale assetto», si è nell'impugnata sentenza pervenuti a
«porre a carico dell'organizzatore di viaggi il rischio di qualunque evento,
ancorché non dipendente dalla sua volontà né imputabile a sua responsabilità,
che sia suscettibile di rendere il viaggio anche solo soggettivamente meno
piacevole per il viaggiatore››.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in
parte inammissibili ed in parte infondati nei termini di seguito indicati.
Come questa Corte ha già avuto ripetutamente modo di affermare, i motivi posti a
fondamento dell'invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i
caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla
decisione stessa, con fra l'altro l'esposizione di argomentazioni intelligibili
ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di
diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual
modo (se per contrasto con la norma indicata, o con l'interpretazione della
stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina)
e sotto quale profilo, abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume
essere incorsa la pronuncia di merito.
Ai fini della sussistenza del requisito dell'esposizione sommaria dei fatti di
causa, prescritto a pena d'inammissibilità per il ricorso per cassazione
dall'art. 366 c.p.c., è infatti necessario che nel contesto dell'atto
d'impugnazione si rinvengano gli elementi indispensabili perché il giudice di
legittimità possa avere, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del
processo, ivi compresa la sentenza impugnata, una chiara e completa visione
dell'oggetto dell'impugnazione, dello svolgimento del processo e delle posizioni
in esso assunte dalle parti (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n.
4937).
E' cioè indispensabile che dal contesto del ricorso sia possibile desumere una
conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale, sufficiente per bene
intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del
giudice a quo (v. Cass., 4/6/1999, n. 5492).
Orbene, tali principi risultano dalla odierna ricorrente non osservati, laddove
essa si limita a fare inammissibilmente rinvio ad atti del giudizio di merito
[in particolare alla «comunicazione in data 17.7.1997 dell'Ambascita di Cuba a
Roma (doc. 2 del fascicolo di primo grado)>> nonché all'“art. 5 condizioni
generali di viaggio», e, ancora, alla «integrazione del con tratto di viaggio
oggetto della controversia (doc. n. 4 del fascicolo della fase monitoria)››,
asseritamente prevedente, per il caso di recesso del viaggiatore, un
«regolamento convenzionale»], anziché debitamente trascriverli nel ricorso.
Va quindi sotto altro profilo sottolineato come risulti dai giudici di merito
accertato, e del resto emergente anche dagli odierni scritti difensivi delle
parti (v. pag. 2 del ricorso della Aternum Viaggi s.a.s., in atti), che nel caso
l'agenzia di viaggi Bismanturist ha «prenotato» per conto del cliente Venturi un
«pacchetto turistico comprensivo di volo e soggiorno per due persone a Santiago
De Cuba nel periodo 6-19 agosto 1997».
Negozio che il giudice dell'appello ha ricondotto al contratto di «viaggio
"tutto compreso"», caratterizzato da una «complessiva prestazione cui era tenuta
la Bismanturist ... che si sostanziava non nella semplice messa a disposizione
di un pacchetto turistico ma nella necessità di assicurare che quella vacanza
sarebbe stata poi fruita in condizioni di ordinaria tranquillità, secondo i
canoni di valutazione propri di un turista medio».
A tale stregua, attesa l'accertata sussistenza di una epidemia di dengue
emorragico nell'isola di Cuba, nel confermare «in diritto» la «decisione del
Giudice di pace, che aveva «ritenuto (art. 1463 c.c.) essere divenuta
impossibile la complessiva prestazione cui era tenuta la Bismanturist»,
traendone «la duplice conseguenza» che la medesima «doveva essere ritenuta
liberata da quella prestazione e ..., al tempo stesso, non poteva pretendere
alcuna controprestazione dalla Aternum», il giudice dell'appello ha considerato
come invero «più proprio» il «riferimento all'art.1464 (in luogo dell'art. 1463
c.c.)», atteso che la prestazione della Bismanturist era divenuta solo
parzialmente impossibile, nel senso che quella poteva, sì, assicurare lo
svolgimento del soggiorno, ma non anche adeguati standard di sicurezza
sanitaria: in questo caso, quindi, l'altro contraente aveva facoltà di scegliere
tra la riduzione del prezzo ed il recesso dal contratto (così come è poi in
concreto accaduto), se non avesse avuto interesse a quella prestazione monca».
Ha al riguardo sottolineato il tribunale che «il Venturi si recava a Cuba per un
viaggio di piacere», sicché l'accertata sussistenza di un «focolaio endemico non
... ancora completamente debellato» non consentiva invero al predetto di poter
compiutamente godere della prestazione dovutagli, residuando «il pericolo di
contrarre la malattia, specialmente in considerazione del fatto che essa,
propagandosi con la puntura d'insetti, da un canto non consente alcuna efficace
e tranquillizzante forma di difesa e, dall'altro, può in breve tempo propagarsi
anche in zone che erano rimaste fino a quel momento immuni».
A tale stregua, il giudice dell'appello ha ritenuto in effetti giustificata la
«scelta» del medesimo di «non volersi esporre neppure ad un rischio di modesta
entità».
Orbene, va anzitutto posto in rilievo come risulti corretta la qualificazione
operata dal giudice dell'appello della vicenda posta nella specie in essere
dalle parti in termini di contratto viaggio vacanza "tutto compreso" (c.d.
"pacchetto turistico" o package) previsto dal d.lgs. n. 111 del 1995 ed ora
trasfuso ne gli artt. 82 ss. d.lgs. n. 206 del 2005 (c.d. Codice del Consumo).
Ipotesi che va invero distinta dal contratto di organizzazione (artt. 5 ss.) o
di intermediazione (art. 17 ss.) di viaggio (CCV) di cui alla Conv. Bruxelles
del 23/4/1970 (resa esecutiva con L. 27 dicembre 1977, n. 1084), in base al
quale un operatore turistico professionale si obbliga verso corrispettivo a
procurare uno o più servizi di base (trasporto, albergo, ecc.) per
l'effettuazione di un viaggio o di un soggiorno.
Rispetto a quest'ultimo, in cui le prestazioni ed i servizi si profilano come
separati, e vengono in rilievo diversi tipi di rapporto, prevalendo gli aspetti
dell'organizzazione e dell'intermediazione (cfr. Cass., 17/7/2001, n. 9691;
Cass., 6/11/1996, n. 9643), con applicazione in particolare della disciplina del
trasporto (v. Cass., 6/11/1996, n. 9643; Cass., 26/6/1964, n. 1706) ovvero -in
difetto di diretta assunzione da parte dell'organizzatore dell'obbligo di
trasporto dei clienti- del mandato senza rappresentanza o dell'appalto di
servizi (v. Cass., 23/4/1997, n. 3504; Cass., 6/1/1982, n. 7; Cass., 28/5/1977,
n. 2202), ed al di là del diverso ambito di applicazione derivante dai
(differenti) limiti territoriali, il contratto di viaggio vacanza "tutto
compreso" (o di package) si caratterizza sia sotto il profilo soggettivo che per
l'oggetto e la finalità.
Il "pacchetto turistico", che può essere dall'organizzatore alienato
direttamente o tramite un venditore (art. 3, comma 2, d.lgs. n. 111 del 1995,
ora trasfuso nell'art. 83, comma 2, d.lgs. n. 206 del 2005 -Codice del
consumo-), risulta infatti dalla prefissata combinazione di almeno due degli
elementi costituiti dal trasporto, dall'alloggio e da servizi turistici agli
stessi non accessori (itinerario, visite, escursioni con accompagnatori e guide
turistiche, ecc.) costituenti parte significativa del "pacchetto turistico", con
durata superiore alle 24 ore ovvero estendentesi per un periodo di tempo
comportante almeno una notte (artt. 2 ss. d.lgs. n. 111 del 1995, ora trasfuso
nell'art. 84 del Codice del Consumo).
La pluralità di attività e servizi che compendiano la prestazione valgono in
particolare a connotare la finalità che la stessa è volta a realizzare.
Il trasporto o il soggiorno o il servizio alberghiero assumono infatti al
riguardo rilievo non già singolarmente e separatamente considerati bensì nella
loro unitarietà funzionale, non potendo al riguardo prescindersi dalla
considerazione dei medesimi alla stregua della "finalità turistica" che la
prestazione complessa di cui si sostanziano appunto quali elementi costitutivi è
funzionalmente volta a soddisfare.
I plurimi aspetti e profili in cui viene a compendiarsi la complessa prestazione
ideata ed organizzata dal c.d. tour operator sono infatti funzionalizzati
al soddisfacimento, dei profili -da apprezzarsi in condizioni di normalità avuto
riguardo alle circostanze concrete del caso- di relax, svago, ricreativi,
ludici, culturali, escursionistici, ecc. in cui si sostanzia la «finalità
turistica», o lo «scopo di piacere» assicurato dalla vacanza, che il
turista-consumatore in particolare persegue nell'indursi alla stipulazione del
contratto di viaggio vacanza "tutto compreso".
Diversamente da quanto sostenuto dall'odierna ricorrente, la suddetta «finalità
turistica» (o «scopo di piacere») non costituisce pertanto un irrilevante motivo
del contratto de quo.
La «finalità turistica» non si sostanzia infatti negli interessi che rimangono
nella sfera volitiva in terna dell'acquirente il package costituendo
l'impulso psichico che lo spingono alla stipulazione del contratto, ma viene ad
(anche tacitamente) obiettivarsi in tale tipo di contratto, divenendo interesse
che lo stesso è funzionalmente volto a soddisfare, pertanto connotandone la
causa concreta (cfr. Case., 25/5/2007, n. 12235; Case., 8/5/2006, n. 10490).
Causa concreta che, da un canto, vale a qualificare il contratto, determinando
l'essenzialità di tutte le attività ed i servizi strumentali alla realizzazione
del preminente scopo vacanziera, e cioè il benessere psico-fisico che il pieno
godimento della vacanza come occasione di svago e di riposo è volto a
realizzare. Da altro canto, assume rilievo quale criterio di adeguamento
del contratto.
La causa concreta viene a rivestire, come non si è mancato di osservare in
dottrina, decisiva rilevanza altresì in ordine alla sorte della vicenda
contrattuale, in ragione di eventi sopravvenuti che si ripercuotono sullo
svolgimento del rapporto, quali ad es. l'impossibilità o l'aggravio della
prestazione, l'inadempimento, ecc.
Eventi negativamente incidenti sull'interesse creditorio (nel caso, turistico)
sino a farlo venire del tutto meno laddove -in base a criteri di normalità avuto
riguardo alle circostanze concrete del caso- essi depongano per l'impossibilità
della relativa realizzazione.
In tal caso, il venir meno dell'interesse creditorio determina invero
l'estinzione del rapporto obbligatorio, in ragione del sopravvenuto difetto
dell'elemento funzionale (art. 1174 c.c.).
E ove come nella specie il rapporto obbligatorio trovi fonte in un contratto, il
venir meno dell'interesse creditorio comporta la irrealizzabilità della causa
concreta del medesimo, assumendo conseguentemente rilievo quale autonoma causa
di relativa estinzione.
Il venir meno dell'interesse creditorio e della causa del contratto che ne
costituisce la fonte, va al riguardo sottolineato, può essere invero determinata
anche dalla sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione.
Deve trattarsi di impossibilità di utilizzazione della prestazione non
imputabile al creditore, incidente sull'interesse che risulta anche tacitamente
obiettivato nel contratto e che ne connota la causa concreta.
Trattandosi di contratto di viaggio vacanza "tutto compreso"(o di package)
la sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione deve essere
come nella specie tale da vanificare o rendere irrealizzabile la «finalità di
vacanza», laddove irrilevanti rimangono viceversa le finalità ulteriori per le
quali il turista si induce a stipulare il contratto (es., desiderio di
allontanarsi per un po' dal coniuge o dalla cerchia degli amici o dall'ambiente
di lavoro), in cui si sostanziano propriamente i motivi.
Come è stato posto in rilievo in dottrina, l'impossibilità sopravvenuta di
utilizzazione della prestazione costituisce figura diversa dall'impossibilità
sopravvenuta (totale o parziale) della prestazione, cui non è invero
riconducibile.
La totale impossibilità sopravvenuta della prestazione (art. 1463 c.c.), che
consiste in un impedimento assoluto ed oggettivo, a carattere definitivo, della
prestazione (v. Cass., 16/2/2006, n. 3440; Cass., 22/10/1982, n. 5496; Cass.,
6/2/1979, n. 794; Cass., 27/6/1978, n. 3166; Cass., 8/10/1973, n. 2532; Cass.,
14/10/1970, n. 2018; Cass., 29/10/1962, n. 3076), integra infatti un fenomeno di
automatica estinzione dell'obbligazione e risoluzione del contratto che ne
costituisce la fonte ai sensi degli artt. 1463 e 1256, 1° co., c.c. (v. Cass.,
28/1/1995, n. 1037; Cass., 9/11/1994, n. 9304; Cass., 24/4/1982, n. 548; Cass.,
14/10/1970, n. 2018), in ragione del venir meno della relazione di
interdipendenza funzionale in cui la medesima si trova con la prestazione della
controparte c.d. sinallagma funzionale), a tale stregua conseguendo la
irrealizzabilità della causa concreta del con tratto (cfr. Cass., 24/4/1982, n.
2548; Casa., 15/12/1975, n. 4140; Cass., 26/3/1971, n. 882; Cass., 14/4/1959, n.
1092; Cass., 26/3/1954, n. 894). L'impossibilità parziale (art. 1464 c.c.)
consiste invece nel deterioramento della cosa dovuta, o più generalmente nella
riduzione materiale della prestazione (cfr. Cass., 10/4/1995, n. 4119) che dà
luogo ad una corrispondente riduzione della controprestazione o al diritto al
recesso per la parte che non abbia un apprezzabile interesse al mantenimento del
contratto, laddove la prestazione residua venga a risultare incompatibile con la
causa concreta del contratto (cfr. Cass., 15/12/1975, n. 4140).
Diversamente da tale ipotesi, l'impossibilità di utilizzazione della prestazione
non viene in realtà a sostanziarsi in un impedimento
precludente l'attuazione dell'obbligazione, non presupponendone di per sé
l'obiettiva ineseguibilità da parte del debitore.
Pur essendo la prestazione in astratto ancora eseguibile (cfr. Cass., 27/9/1999,
n. 10690), il venir meno della possibilità che essa realizzi lo scopo dalle
parti perseguito con la stipulazione del contratto (nel caso, lo «scopo di
piacere» in cui si sostanzia la «finalità turistica»), essa implica il venir
meno dell'interesse creditorio, quale vicenda che attiene esclusivamente alla
sfera del creditore (in dottrina si segnala l'esempio secondo cui il fatto che
il compratore si sia procurata la merce da altro fornitore non impedisce al
venditore di effettuare la consegna prevista).
Come osservato in dottrina, mentre nelle ipotesi in cui la prestazione diviene
impossibile l'obbligazione si estingue per il concorso delle due cause
estintive, l'impossibilità sopravvenuta della utilizzabilità della prestazione
estingue invero il rapporto obbligatorio per il venir dell'interesse creditorio,
e di conseguenza il contratto che dell'obbligazione costituisce la fonte per
irrealizzabilità della relativa causa concreta.
La sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione deve dunque
distinguersi dalla sopravvenuta impossibilità della esecuzione della prestazione
(v. peraltro ancora Cass., 2/5/2006, n. 10138) di cui agli artt. 1463 e 1464
c.c. (v. Cass., 16/2/2006, n. 3440; Cass., 28/1/1995, n. 1037).
Superando le perplessità in passato avvertite in argomento (v.. Cass.,
9/11/1994, n. 9304), e in accordo con quanto anche autorevolmente sostenuto in
dottrina, va pertanto affermato che l'impossibilità di utilizzazione della
prestazione da parte del creditore, pur se normativamente non specificamente
prevista, costituisce -analogamente all'impossibilità di esecuzione della
prestazione- (autonoma) causa di estinzione dell'obbligazione.
Nella vicenda che ne occupa, secondo quanto accertato dai giudici di merito
l'epidemia di dengue emorragico in atto nell'isola di Cuba ha invero
indubbiamente determinato nell'acquirente del "pacchetto turistico" tutto
compreso de quo il venir meno dell'interesse pratico che la relativa complessa
prestazione era, nella sua unitaria considerazione, nel caso funzionalmente
volta a soddisfare.
Premesso che (anche) l'impossibilità della esecuzione- della prestazione
complessa del contratto di viaggio vacanza "tutto compreso" o package è
da valutarsi avuto riguardo allo «scopo turistico» che il medesimo è
funzionalizzato a soddisfare, va sottolineato come nell'impugnata sentenza
risulti in effetti posto in rilievo che il contratto de quo «si sostanziava non
nella semplice messa a disposizione di un pacchetto turistico ma nella necessità
di assicurare che quella vacanza sarebbe stata poi fruita in condizioni di
ordinaria tranquillità, secondo i canoni di valutazione propri di un turista
medio».
Il giudice dell'appello, nell'escludere la ricor-renza nel caso dell'ipotesi di
sopravvenuta impossibilità di esecuzione della prestazione ai sensi dell'art.
1463 c.c. viceversa ravvisata dal giudice di prime cure, ha ritenuto
nella specie configurabile un'ipotesi di impossibilità parziale ex art. 1464
c.c. della prestazione, in presenza di prestazione ravvisata effettuabile pur se
«monca», stante l'accertata mancanza degli «adeguati standard di sicurezza
sanitaria».
Orbene, anche la parziale impossibilità sopravvenuta della prestazione di cui
all'art. 1464 c.c. appare invero nel caso non correttamente evocata.
L'epidemia di dengue emorragico costituisce infatti evento determinante
non già il deterioramento o la riduzione della prestazione (v. Cass., 17/7/1987,
n. 6299) bensì il venir meno del normale standard di sicurezza sanitaria del
luogo di esecuzione della prestazione turistica.
Nella situazione nel caso determinatasi, certamente non deponente per la
normalità delle condizioni igienico-sanitarie dell'Isola di Cuba, l'esecuzione
della prestazione turistica è venuta a risultare infatti co-munque inidonea al
soddisfacimento dell'interesse del Venturi al godimento della vacanza "tutto
compreso" nei suoi molteplici aspetti di relax, svago, culturali, ecc.,
pienamente godibili solamente in presenza delle imprescindibili condizioni di
sicurezza sanitaria, secondo i normali standard del luogo di destinazione
prescelto, come dai giudici del merito correttamente posto in rilievo nel
sottolineare che l'accertata sussistenza di «focolaio endemico non ... ancora
completamente debellato» non rispondeva alla «necessità di assicurare che quella
vacanza sarebbe stata poi fruita in condizioni di ordinaria tranquillità,
secondo i canoni di valutazione propri di un turista medio».
Tale mancanza ha nella specie inciso, in termini di relativo venir meno,
sull'interesse creditorio del suindicato acquirente del "pacchetto turistico",
con conseguente sopravvenuta irrealizzabilità della causa concreta del contratto
de quo dal medesimo stipulato.
Alla stregua di quanto sopra esposto va allora affermato che è piuttosto la
sopravvenuta impossibilità non ascrivibile alle parti) di utilizzazione della
prestazione in argomento da parte del Venturi a venire nel caso propriamente in
rilievo.
Nell'adeguatamente valorizzare l'interesse creditorio e la causa concreta del
contratto di package anche sotto il profilo della sorte del rapporto
obbligatorio e della vicenda contrattuale, tale figura non privilegia invero la
«impossibilità del raggiungimento delle soggettive finalità ulteriori del
creditore>>, e per tanto i motivi, attribuendo decisivo rilievo al suo
«sopravvenuto sgradimento» per «la destinazione prescelta per il viaggio», ma
consente di valorizzare gli specifici ed essenziali interessi perseguiti
mediante la stipulazione di tale tipo di contratto, che ne integrano la causa
concreta.
Inconfigurabili soluzioni estreme come quella prevista all'art. art. 1463 c.c.,
la figura della sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione si
rivela istituto dotato di flessibilità, là dove consente di pervenire, nel
coerente contemperamento delle diverse esigenze, a soluzioni differenti in
presenza di situazioni diverse, senza che le parti incorrano in responsabilità.
Lo «scopo turistico» consente infatti di spiegare come la relativa persistenza
giustifichi l'esecuzione del contratto in favore del turista che intenda
usufruirne, anche a costo di correre il rischio di contrarre il morbo, senza
esporre il tour operator alle conseguenze dell'inadempimento in cui
incorrerebbe laddove intendesse non darvi più attuazione. E al contempo permette
al turista che come nella specie quel rischio non voglia viceversa correre di
non avvalersi della prestazione senza essere comunque tenuto alla corresponsione
del corrispettivo.
Emerge con tutta evidenza a tale stregua come, quand'anche obiettivamente
eseguibili il trasporto ed il soggiorno nella loro autonoma e separata
considerazione, la complessa prestazione del contratto di viaggio vacanza "tutto
compreso" in questione risulta nel caso divenuta per il Venturi inutilizzabile,
stante la non disponibilità del medesimo ad usufruirne anche a rischio della
contrazione del morbo. Rischio che, diversamente da quanto sembra invero in
qualche modo adombrare l'odierno ricorrente laddove si duole che «il recesso del
viaggiatore era stato dettato esclusivamente da sue soggettive valutazioni circa
l'opportunità e la convenienza di effettuare il viaggio (non volendo egli
esporsi neppure a rischi modesti) -»), certamente al medesimo non può invero,
quand'anche - in ipotesi - minimo, "imporsi" di correre.
Essendo la prestazione de qua divenuta inidonea a soddisfare l'interesse
creditorio, l'estinzione dello stipulato contratto in argomento per
irrealizzabilità della causa concreta comporta, va infine sottolineato,
l'esonero delle parti dalle rispettive obbligazioni.
Il debitore non è pertanto più tenuto ad eseguirla, ed il creditore non ha
l'onere di accettarla.
Non vi è pertanto luogo nel caso alla corresponsione dell'indennità per il
recesso di cui alla evocata disciplina in tema di contratto di viaggio (C.C.V.).
Va, d'altro canto, posto al riguardo in rilievo che il principio di buona fede
oggettiva o correttezza (quale generale principio di solidarietà sociale che
trova applicazione a prescindere alla sussistenza di specifici obblighi
contrattuali, imponendo al soggetto di mantenere nei rapporti della vita di
relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e
di avviso, nonché volto alla salvaguardia dell'utilità altrui nei limiti
dell'apprezzabile sacrificio, dalla cui violazione conseguono profili di
responsabilità in ordine ai falsi affidamenti anche solo colposamente ingenerati
nei terzi) impone invero al creditore di avvisare il debitore dell'inutilità
della prestazione, essendo in difetto tenuto al risarcimento dei danni (cfr.
Cass., 27/10/2006, n. 23273; Cass., 20/2/2006, n. 3651).
Una siffatta domanda, anche riguardandosi alla stregua del suindicato profilo la
lamentata tardività della "disdetta", non risulta peraltro dall'odierna
ricorrente formulata.
In conclusione, pur risultando nell'impugnata sentenza dai giudici del merito
-cui spetta l'accertamento in ordine alla sussistenza della causa di
sopravvenuta impossibilità della prestazione, con valutazione incenusrabile in
cassazione in presenza di congrua motivazione (cfr. Cass., 20/1/2001, n. 831;
Cass.,30/3/1998, n. 3344; Cass., 19/1/1983, n. 498)- correttamente sottolineata
la necessità di aversi riguardo alla «complessiva prestazione», non
sostanziantesi nella «semplice messa a disposizione di un pacchetto turistico»,
e pur essendo ivi posto in rilievo come l'accertata epidemia in atto nell'isola
di Cuba non consentiva di ‹‹assicurare lo svolgimento del soggiorno» secondo
«adeguati standard di sicurezza sanitaria», a tale stregua rimanendo
essenzialmente compromessa la «necessità di assicurare che quella vacanza
sarebbe stata poi fruita in condizioni di ordinaria tranquillità, secondo i
canoni di valutazione propri di un turista medio>›, erronea risulta invero, alla
stregua di quanto sopra esposto, la ritenuta configurabilità nella specie
dell'istituto dell'impossibilità della prestazione avuto riguardo al profilo
della relativa eseguibilità da parte del debitore, e non già della
utilizzabilità da parte del creditore (turista-consumatore).
Poiché il dispositivo risulta tuttavia conforme a diritto, è nel caso
sufficiente farsi luogo, in applicazione dei poteri conferiti dall'art. 384, 2°
co., c.p.c., alla mera correzione della motivazione nei sensi fatti sopra
palesi, l'impugnata sentenza potendo essere mantenuta ferma per il resto.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 1.000,00, di
cui euro 900,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.
Roma, 22/3/2007
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