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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006



CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 22/05/2007 (Ud. 4/04/2007), Sentenza n. 19714



BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Oggetti d’interesse artistico, storico o archeologico - Impossessamento - Reato - Configurabilità. Tutti gli oggetti d’interesse artistico, storico o archeologico, sin dalla loro scoperta, sono di proprietà dello Stato. Il loro impossessamento, sia che provenga da scavo sia da rinvenimento fortuito è previsto dalla legge come reato e dunque il loro possesso si deve ritenere illegittimo a meno che il detentore non dimostri di averli legittimamente acquistati. (cfr. Sez. IV, 1.2.2005, n. 12618, Mirabella, m. 231255). Pres. Papa Est. Franco Ric. Ruberto. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 22/05/2007 (Ud. 4/04/2007), Sentenza n. 19714

BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Beni archeologici o artistici - Reato di impossessamento - Configurabilità - Indagine tecnico-peritale - Esclusione - Condizione - D. lgs. n. 42/2004, Codice dei beni culturali e del paesaggio. Ai fini della configurabilità del reato di impossessamento di beni archeologici o artistici, sanzionato dall'art. 125 d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, (oggi 176 del d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio) l'interesse culturale del bene può risultare anche sulla base di quanto accertato e dichiarato dai competenti organi della pubblica amministrazione, senza necessità di apposita indagine tecnico-peritale (Sez. III, 6.11.2001, n. 42291, Licciardello). Pres. Papa Est. Franco Ric. Ruberto. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 22/05/2007 (Ud. 4/04/2007), Sentenza n. 19714

BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Bene culturale protetto - Scopritore - Obbligo di denuncia - D. lgs. n. 490/1999. A seguito dell'entrata in vigore del T.U. delle disposizioni in materia di beni culturali ed ambientali approvato con d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (attualmente d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio), non sussiste più l'obbligo di denuncia penalmente sanzionato a carico del mero detentore di un bene culturale protetto, già oggetto di scoperta fortuita, in quanto l'art. 87 del d. lgs. 490/1999 circoscrive l'ambito soggettivo del reato di omessa denuncia allo scopritore (Sez. III, 11.6.2001, n. 27677, Fusaro, m. 219628). Pres. Papa Est. Franco Ric. Ruberto. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 22/05/2007 (Ud. 4/04/2007), Sentenza n. 19714


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UDIENZA PUBBLICA DEL 04/04/2007

SENTENZA N.1048 /2007

REG. GENERALE N. 28869/2006


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE



Composta dagli Ill.rni Sigg.:


1. Dott. Enrico Papa Presidente
2. Dott. Agostino Cordova Consigliere
3. Dott. Vincenzo Tardino Consigliere
4. Dott. Alfredo Maria Lombardi Consigliere
5. Dott. Amedeo Franco (est.) Consigliere


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso proposto da R. A., nato a Joppolo il xx.xx.xxx; avverso la sentenza emessa il 10 aprile 2006 dalla corte d'appello di Lecce;
udita nella pubblica udienza del 4 aprile 2007 la relazione fatta dal Consigliere
Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Luigi Ciampoli che ha concluso per l'annullamento senza rinvio perché il fatto non sussiste in quanto manca la prova dell'interesse archeologico della cosa;
udito il difensore avv. Giancarlo Carcassa;


Svolgimento del processo


Con sentenza del 17 maggio 2004 il giudice del tribunale di Brindisi dichiarò R. A. colpevole dei reato di cui agli artt. 88 e 125 d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, per essersi impossessato ed aver detenuto senza farne denunzia di un bene di interesse archeologico dello Stato, ed in particolare di un'anfora romana e di quattro frammenti di colli anforati di epoca romana, e lo condannò alla pena di mesi tre di reclusione, con la sospensione condizionale della pena, mentre, poiché era stato accertato che si trattava di beni rinvenuti dall'imputato, dei quali egli si era impossessato, lo assolse perché il fatto non sussiste dal contestato reato di ricettazione.


La corte d'appello di Lecce, con la sentenza in epigrafe, confermò la sentenza di primo grado.


L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo:
1) manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ha respinto la tesi difensiva secondo cui i beni in questione non erano stati rinvenuti dall'imputato, ma si trattava di beni già appartenenti alla nonna della moglie del Ruberto, che li aveva ricevuti in eredità;
2) erronea applicazione della legge penale perché con l'entrata in vigore del d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, è stato eliminato il reato di omessa denuncia, da parte del detentore, di beni di interesse archeologico, la quale ora costituisce un mero illecito amministrativo. L'art. 126 del testo unico, infatti, continua a sanzionare penalmente l'omessa denuncia solo a carico dello scopritore della res e non anche del mero detentore.


Motivi della decisione


In ordine alla eccezione sollevata in udienza dal Procuratore generale, si osserva che l'accertamento da parte del giudice di primo grado della natura di beni di interesse storico ed archeologico dei beni sequestrati, costituisce questione di fatto ormai passata in giudicato, non essendo stata sul punto sollevata alcuna eccezione dall'imputato con i motivi di appello. In ogni modo, l'accertamento compiuto in proposito dal primo giudice è ineccepibile, in quanto la detta natura è stata accertata sulla base della valutazione compiuta dalla direttrice del museo archeologico di Brindisi. E, ai fini della configurabilità del reato di impossessamento di beni archeologici o artistici, sanzionato dall'art. 125 d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, l'interesse culturale del bene può risultare anche sulla base di quanto accertato e dichiarato dai competenti organi della pubblica amministrazione, senza necessità di apposita indagine tecnico-peritale (Sez. III, 6.11.2001, n. 42291, Licciardello).


Il primo motivo si risolve in una censura in punto di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità. I giudici del merito, invero, hanno fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali hanno ritenuto non attendibili le dichiarazioni dei testi De Luca e Svanisci (cognato e suocero dell'imputato), in considerazione non solo delle incertezze dimostrate nella descrizione dei reperti, ma soprattutto del momento della loro acquisizione da parte dell'imputato, ed hanno invece accertato che i beni erano stati rinvenuti dall'imputato, il quale poi se ne era impossessato, e tale accertamento di fatto, scevro da vizi logici, non può essere sostituito in questa fase processuale da una diversa ricostruzione dei fatti più conforme alle aspettative della difesa.


Il secondo motivo - con il quale si insiste sulla tesi che il reato di omessa denuncia della detenzione della res da parte del mero detentore, che non ne sia anche lo scopritore, già previsto dall'art. 48 e 68 della legge 1089/1939, è stato abrogato dal d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 - è in realtà generico, perché riproduce la medesima censura contenuta nell'atto di appello senza tenere alcun conto delle argomentazioni svolte dalla corte d'appello, ed è comunque inconferente.


Ed infatti, è vero che, a seguito dell'entrata in vigore del T.U. delle disposizioni in materia di beni culturali ed ambientali approvato con d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, non sussiste più l'obbligo di denuncia penalmente sanzionato a carico del mero detentore di un bene culturale protetto, già oggetto di scoperta fortuita, in quanto l'art. 87 del d. lgs. 490/1999 circoscrive l'ambito soggettivo del reato di omessa denuncia allo scopritore (Sez. III, 11.6.2001, n. 27677, Fusaro, m. 219628).


Senonché il ricorrente non considera che egli è stato accusato e condannato non già per il reato di cui agli ormai abrogati 48 e 68 della legge 1089/1939, ossia per il fatto di avere omesso di denunziare le cose in questione, bensì per il reato di cui all'art. 88 e 125 d. lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (ora trasfusi negli artt. 91 e 176 del d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio), ossia per il diverso fatto di essersi illecitamente impossessato di beni di interesse archeologico, e quindi appartenenti allo Stato, che il giudice di primo grado ha motivatamente ritenuto essere stati da lui rinvenuti (tanto che, per questo motivo, lo ha assolto dal reato di ricettazione).


Ed anche a non voler considerare quest'ultimo accertamento di fatto, ineccepibilmente la corte d'appello ha osservato che, poiché gli oggetti di interesse artistico, storico o archeologico sono di proprietà dello Stato sin dalla loro scoperta, il loro impossessamento, sia che provenga da scavo sia da rinvenimento fortuito é previsto dalla legge come reato e dunque il loro possesso si deve ritenere illegittimo a meno che il detentore non dimostri di averli legittimamente acquistati (cfr. Sez. IV, 1.2.2005, n. 12618, Mirabella, m. 231255).


Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione


rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 4 aprile 2007.
Depositata in Cancelleria il 22/05/2007


 


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