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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, del 4/06/2007 (Ud.
26/01/2007), Sentenza n. 21676
RIFIUTI - Rifiuti di origine
animale - Incenerimento - Smaltimento delle ceneri - Modalità - Fattispecie.
I rifiuti di origine animale, non essendo rifiuti urbani, ma rifiuti speciali,
non possono essere conferiti nei cassonetti approntati per la raccolta dei
rifiuti solidi urbani, ma devono essere smaltiti in discarica, conferendoli alle
ditte autorizzate, oppure devono essere autorizzati all'autosmaltimento. Nella
specie, avendoli conferiti nei cassonetti, i titolari dei canili, si sono resi
responsabili del reato contravvenzionale loro contestato, di gestione non
autorizzata di rifiuti, del quale certamente ricorre anche l'elemento
psicologico, almeno sotto la specie colposa, dovendosi ritenere che
professionisti del settore dotati di media perizia e diligenza dovessero
conoscere la normativa applicabile nella soggetta materia, o potessero
informarsi al riguardo dall'autorità amministrativa competente. Pres. Papa -
Est. Onorato - Ric. Z. ed altro. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, del
4/06/2007 (Ud. 26/01/2007), Sentenza n. 21676
RIFIUTI - Carogne di animali - Smaltimento - D.Lv. n. 152/06 - D.Lgs. 22/997
- Reg. CE n. 1774/2002 - Dir. 90/667/CEE - D.Lgs. n. 508/1992 - Reg CE n.
1774/2002. L’esclusione dal regime generale dei rifiuti prevista dal citato
art. 8 va interpretata restrittivamente, con la conseguenza che il regime
generale va ancora applicato per le carogne e gli scarti animali, giacché la
disciplina prevista dal predetto D.Lgs. 14.12.1992 n. 508, attuativa della
direttiva 90/667/CEE, non può essere qualificata come specifica e derogatoria,
in quanto regola esclusivamente i profili sanitari e di polizia veterinaria
della fase di trasformazione dei rifiuti di origine animale, con esclusione dei
profili di gestione degli stessi rifiuti. (Cass. Sez. III, n. 8520 del
16.1.2002, Leuci, rv. 221273). Quest'ultimo orientamento è stato ribadito anche
dopo l'entrata in vigore del Regolamento CE 3.10.2002 n. 1774 (norme sanitarie
relative ai sottoprodotti di origine animale non destinate al consumo umano),
atteso che anche questo provvedimento, che è stato ritenuto tacitamente
abrogante il predetto D.Lgs. 508/1992, regola esclusivamente i profili di
polizia sanitaria degli scarti di origine animali non destinati al consumo umano
(così Cass. Sez. III, n.26851 del 5.5.2004, Milone). (Contra, Cass. Sez. III, n.
2923,6 dell'11.6.2003, Miccoli, rv. 225419, che ha stabilito che la materia di
rifiuti di origine animale è disciplinata dal D.Lgs. 14.12.1992 n. 508,
attuativo della direttiva 90/6667/CEE, sicché, in virtù del principio di
specialità, è sottratta alla disciplina generale di cui al D.Lgs. 5.2.1997 n.
22). Pres. Papa - Est. Onorato - Ric. Z. ed altro. CORTE DI CASSAZIONE
Sez. III, del 4/06/2007 (Ud. 26/01/2007), Sentenza n. 21676
RIFIUTI - Incenerimento - Smaltimento delle ceneri - Modalità. Le ceneri
di un impianto di incenerimento per spoglie animali, sono qualificabili come
rifiuti speciali ex art. 7, comma 3, D.Lgs. 22/1997; e che pertanto o deovono
essere conferite a terzi appositamente autorizzati per lo smaltimento o il
recupero, o dovevano essere autosmaltite nell'impianto del canile previa
specifica autorizzazione ex art. 28 D.Lgs. 22/1997. Pres. Papa - Est. Onorato -
Ric. Z. ed altro. CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, del 4/06/2007 (Ud.
26/01/2007), Sentenza n. 21676
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Udienza in Camera Consiglio in data
26/01/07
SENTENZA N.294
REG. GENERALE N. 4159/06
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Composta dagli Ill.mi Signori
Dott. Enrico PAPA
Presidente
Dott. Pierluigi ONORATO (est.) Consigliere
Dott. Ciro PETTI
Consigliere
Dott. Mario GENTILE
Consigliere
Dott. Alfredo Maria LOMBARDI Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto per:
1) Z. O., nata a S. Giorgio di Nogaro il xxx,
2) D. P. C., nata a Porpetto il xxx,
-
avverso la sentenza resa il 5.7.2005 dal tribunale monocratico di Udine, sezione
distaccata di Palmanova.
-
Vista la sentenza denunciata e il ricorso,
-
Udita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere Pierluigi Onorato,
-
Udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale
Guglielmo Passacantando, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso,
Osserva:
Svolgimento del processo
1 - Con sentenza del 5.7.2005 il tribunale monocratico di Udine, sezione
distaccata di Palmanova, ha condannato alla pena di 6.000 di ammenda ciascuno Z.
O. e D. P. C., avendoli riconosciuti colpevoli del reato
di cui all'art. 51, comma 1, lett. a) D.Lgs. 22/1997, perché - in qualità di
contitolari del canile "Il girasole" - senza le prescritte autorizzazioni,
avevano effettuato attività di smaltimento di rifiuti speciali, immettendo nei
cassonetti del servizio pubblico per la raccolta dei rifiuti solidi urbani le
ceneri prodotte dall'incenerimento delle carcasse dei cani morti e del pelo
proveniente dalla rasatura degli stessi cani e dalla pulizia dei box (in.
Porpetto fino al 15.7.2003).
In linea di fatto, il giudice monocratico ha accertato che il canile suddetto
era dotato di un impianto di incenerimento per spoglie animali, regolarmente
autorizzato dalla Regione; ma che gli imputati, invece di conferire le ceneri di
risulta a una ditta specialmente autorizzata per lo smaltimento (come avevano
fatto solo in seguito), usavano immettere le stesse ceneri nei cassonetti
cittadini per la raccolta dei rifiuti solidi urbani (come si poteva desumere dal
fatto che non esisteva un deposito preliminare e non esisteva traccia dello
smaltimento nel registro di carico e scarico).
In linea di diritto, il giudice ha osservato che le ceneri erano qualificabili
come rifiuti speciali ex art. 7, comma 3, D.Lgs.; e che pertanto o dovevano
essere conferite a terzi appositamente autorizzati per lo smaltimento o il
recupero, o dovevano essere autosmaltite nell'impianto del canile previa
specifica autorizzazione ex art. 28 D.Lgs. 22/1997.
Non poteva invece condividersi la tesi difensiva, secondo cui i residui degli
animali inceneriti erano esclusi dalla disciplina sui rifiuti a norma dell'art.
8 lett. c) del D.Lgs. 22/1997, il quale espressamente deroga a detta disciplina
per le "carogne" di animali e per altri rifiuti di origine agricola. Infatti -
secondo il giudice - detta deroga va interpretata restrittivamente e opera per i
rifiuti elencati, come le carogne, solo in quanto essi siano disciplinati da
altre specifiche disposizioni di legge.
2 - Il difensore degli imputati ha proposto ricorso per cassazione, deducendo
erronea applicazione di legge.
In sostanza, sostiene che vi sono disposizioni normative che regolano le carogne
di animali e le loro ceneri, confermando così che per esse non si applica la
disciplina sui rifiuti di cui al D.Lgs. 22/1997. Tali disposizioni si rinvengono
nella direttiva comunitaria 2000/76 e nel Regolamento CE 3.10.2002 n. 1774. E
conclude affermando che sino all'entrata in vigore di questo regolamento le
ceneri provenienti dall'incenerimento delle carogne animali non costituivano
rifiuto.
In ordine al profilo psicologico del reato, aggiunge che nessuna colpa poteva
rimproverarsi agli imputati dal momento che nessuna violazione era stata
rilevata dal servizio veterinario in esito ai controlli ripetutamente
effettuati.
Motivi della decisione
3 - Com'è noto, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lett. c) D.Lgs. 5.2.1997 n. 22,
sono esclusi dal campo di applicazione dello stesso decreto - tra l'altro - le
carogne, "in quanto disciplinate da specifiche disposizioni di legge".
Sulla interpretazione di siffatta norma, questa corte ha già avuto modo di
pronunciarsi con due orientamenti contrapposti.
Da una parte, Cass. Sez. III, n. 2923,6 dell'11.6.2003, Miccoli, rv. 225419, ha
stabilito che la materia di rifiuti di origine animale è disciplinata dal D.Lgs.
14.12.1992 n. 508, attuativo della direttiva 90/6667/CEE, sicché, in virtù del
principio di specialità, è sottratta alla disciplina generale di cui al D.Lgs.
5.2.1997 n. 22.
Dall'altra, Cass. Sez. III, n. 8520 del 16.1.2002, Leuci, rv. 221273, ha
precisato con articolata motivazione che la esclusione dal regime generale dei
rifiuti prevista dal citato art. 8 va interpretata restrittivamente, con la
conseguenza che il regime generale va ancora applicato per le carogne e gli
scarti animali, giacché la disciplina prevista dal predetto D.Lgs. 14.12.1992 n.
508, attuativa della direttiva 90/667/CEE, non può essere qualificata come
specifica e derogatoria, in quanto regola esclusivamente i profili sanitari e di
polizia veterinaria della fase di trasformazione dei rifiuti di origine animale,
con esclusione dei profili di gestione degli stessi rifiuti.
Quest'ultimo orientamento è stato ribadito anche dopo l'entrata in vigore del
Regolamento CE 3.10.2002 n. 1774 (norme sanitarie relative ai sottoprodotti di
origine animale non destinate al consumo umano), atteso che anche questo
provvedimento, che è stato ritenuto tacitamente abrogante il predetto D.Lgs.
508/1992, regola esclusivamente i profili di polizia sanitaria degli scarti di
origine animali non destinati al consumo umano (così Cass. Sez. III, n.26851 del
5.5.2004, Milone, che però è stata massimata col n. 230102 in senso
diametralmente opposto a quello sviluppato nella motivazione).
4 - Ad avviso del collegio, deve essere condiviso il secondo orientamento per
una serie di ragioni, che non sempre coincidono con quelle già prospettate.
Anzitutto - come già rilevato - ogni disposizione derogatoria è di stretta
interpretazione.
In secondo luogo, le disposizioni derogatorie di cui all'art. 8 del D.Lgs.
22/1997, che delimitano le "esclusioni", vanno lette in relazione all'art. 1
dello stesso decreto, che nell'individuare il "campo di applicazione" della
generale disciplina di gestione dei rifiuti, fa esplicitamente "salve" le
"disposizioni specifiche particolari o complementari, conformi ai principi del
presente decreto, adottate in attuazione di direttive comunitarie che
disciplinano la gestione di determinate categorie di rifiuti".
Questo combinato disposto di "salvezza" e di "esclusione" denota che il
legislatore ha voluto escludere la disciplina generale, in forza dell'art. 15
c.p., quando esiste una disciplina che regoli "la stessa materia" per una
determinata categoria di rifiuti; ma ha voluto far convivere le due normative
quando esiste una disciplina "complementare" che, lungi dal regolare la stessa
materia, abbia per oggetto profili diversi da quello ambientale.
In base a tale criterio va inquadrato il rapporto tra:
a) il D.Lgs. 22/1997, che, per la tutela dell' ambiente (inteso come
ambiente-biosfera, comprensivo dei suoi elementi fisico-chimici di acqua, suolo
e aria), disciplina la gestione dei rifiuti, cioè le operazioni di raccolta, di
trasporto, di recupero e di smaltimento dei medesimi, che devono essere
debitamente autorizzate;
b) il D.Lgs. 508/1992, che, in attuazione della direttiva 90/667/CEE, disciplina
le norme sanitarie e di polizia veterinaria per la gestione (sotto specie di
operazioni di eliminazione e di trasformazione) dei rifiuti di origine animale.
In particolare, questi rifiuti animali, distinti in materiali ad alto rischio e
in materiali a basso rischio, devono essere trasformati oppure eliminati,
attraverso incenerimento o sotterramento, in appositi stabilimenti riconosciuti.
Occorre sottolineare che già questa diversità di profili, di tutela ambientale
da una parte, e di tutela sanitaria e veterinaria, dall'altra, denota un
rapporto di complementarietà e non di esclusione tra le due normative.
In terzo luogo, lo stesso tipo di rapporto intercorre tra il ripetuto D.Lgs.
22/1997 e il più recente il Regolamento CE 1774/2002, che detta norme sanitarie
relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano. Ai
fini del Regolamento, secondo l'art. 2, si intendono per "sottoprodotti di
origine animale" corpi interi o parti di animali o prodotti di origine animale
non destinati al consumo umano, i quali, pur non costituendo l'oggetto del
processo produttivo, sono il risultato indiretto dello stesso processo, cosi
come identificati e classificati in tre categorie dagli articoli 4, 5 e 6. Essi
devono essere eliminati mediante incenerimento, o trasformati e poi eliminati
mediante incenerimento, sempre in apposti impianti riconosciuti, ovvero, per i
sottoprodotti di terza categoria, anche trasformati o utilizzati in vari modi.
5 - Queste conclusioni vanno sostanzialmente tenute ferme anche dopo l'entrata
in vigore del D.Lgs. 3.4.2006 n. 152, che, sulla base della legge delega
15.12.2004 n. 308 ha provveduto al riordino, al coordinamento e alla
integrazione della legislazione in materia ambientale. Invero, l'art. 177 di
questo provvedimento definisce il suo campo di applicazione negli stessi termini
di cui al predetto art. 1 del D.Lgs. 22/1997, e cioè indicando come sua materia
la gestione dei rifiuti, e facendo espressamente salve le disposizioni
specifiche, particolari o complementari, adottate in attuazione di direttive
comunitarie che disciplinano la gestione di determinate categorie di rifiuti.
L'art. 185 (limiti al campo di applicazione), invece, nel suo primo comma,
esclude dalla disciplina generale, alcune categorie di rifiuti (più numerose di
quelle escluse dalla legislazione previgente), tra cui le carogne, senza
tuttavia ripetere la clausola prevista dal menzionato art. 8 D.Lgs. 22/1997, "in
quanto disciplinate da specifiche disposizioni di legge". Il secondo comma dello
stesso articolo, inoltre, prendendo in considerazione lo ius superveniens,
precisa che "resta ferma la disciplina di cui al Regolamento CE n. 1774/2002 del
Parlamento europeo e del Consiglio del 3.10.2002, recante norme sanitarie
relative a sottoprodotti di origine animale non destinate al consumo umano, che
costituisce disciplina esaustiva ed autonoma nell'ambito del campo di
applicazione ivi indicato".
Riguardo a queste innovazioni, c'è anzitutto da dubitare seriamente se la
soppressione della clausola prevista dal ripetuto art. 8 non sia
incostituzionale per eccesso di delega, giacché questa conferiva al Governo solo
un potere di riordino, di coordinamento e di integrazione, non già di
sottrazione, della legislazione vigente, e soprattutto perché tra i criteri
direttivi della delega legislativa dettati dal Parlamento, nell'art. 1, comma 8,
era espressamente indicata la "piena e coerente attuazione delle direttive
comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela dell'ambiente e di
contribuire in tale modo alla competitività dei sistemi territoriali e delle
imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza" (lett. e); nonché
la "affermazione dei principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di
correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio
«chi inquina paga»" (lett. f).
Orbene, non è chi non veda come, escludendo dalla disciplina dei rifiuti alcune
categorie di sostanze, anche se prive di qualsiasi regolamentazione, si finisca
per sguarnire quella tutela dell'ambiente che il delegante voleva "elevata" e
inoltre si arrivi a lasciare inattuate le direttive comunitarie vigenti in
materia.
Infatti, l'art. 2 della direttiva 91/156/CEE (quella appunto attuata dal D.Lgs.
22/1997) escludeva dal campo di applicazione della disciplina dei rifiuti sei
categorie di sostanze (tra cui le carogne) solo "qualora già contemplate da
altra normativa"; sicché la richiamata formulazione dell'art. 185, comma 1,
appare in contrasto sia con la legge delega sia con il diritto comunitario,
appunto laddove ha escluso le carogne e altre sostanze dalla disciplina generale
sui rifiuti, anche se non sono regolamentate da altra normativa.
Tuttavia, prima di sollevare questione di illegittimità costituzionale della
norma in parte qua, spetta al giudice il compito di interpretarla in modo
da renderla compatibile col vincolo costituzionale e comunitario. Il che, nel
caso di specie, almeno per quanto riguarda le carogne e gli altri rifiuti di
origine animale, sembra possibile alla luce della clausola di salvezza contenuta
nel ricordato art. 177, secondo cui concorre con quella generale la disciplina
specifica dettata per determinate categorie di rifiuti, nonché in forza della
disposizione del secondo comma dell'art. 185, secondo cui resta ferma la
disciplina del regolamento comunitario (direttamente applicabile
nell'ordinamento italiano) in materia di rifiuti animali non destinati al
consumo umano.
Secondo questa interpretazione adeguatrice, le carogne sono escluse dalla
disciplina generale sui rifiuti solo in quanto disciplinate sotto il profilo
sanitario e veterinario dal Regolamento CE n. 1774/2002, che rimane l'unica ed
esaustiva normativa applicabile per il medesimo profilo (dovendosi così
intendere il secondo comma 185).
6 - Sulla base delle argomentazioni sopra esposte, si deve allora concludere
che:
a) le carogne, cioè i corpi morti di animali, sono escluse dalla disciplina
generale dei rifiuti solo se e in quanto sono regolate da normative diverse: in
particolare, solo in quanto sono oggetto della disciplina sanitaria e
veterinaria introdotta prima dal D.Lgs. 508/1992 e poi dal Regolamento
comunitario 1774/2002;
b) le stesse carogne, tuttavia, se e in quanto configurano rifiuti di origine
animale, rientrano nuovamente nella disciplina generale sui rifiuti, qualora
esulino dalla suddetta normativa sanitaria e veterinaria, che ne disciplina la
eliminazione o, in casi limitati di basso rischio, la riutilizzazione per scopi
delimitati.
Detta conclusione non ha nulla di strano, ove si pensi che lo stesso Regolamento
1774/2002, nell'Allegato IV, al capitolo IV, dedicato ai residui dei processi di
incenerimento o coincenerimento, definisce come "residui" i materiali liquidi o
solidi generati da questi processi, che includono le ceneri e scorie pesanti, le
ceneri volanti e le polveri di caldaia (art. 9); e stabilisce che i residui
devono essere riciclati, se del caso, direttamente nell'impianto, ovvero al di
fuori dell'impianto, "in conformità della pertinente normativa comunitaria"
(art.10); e al capitolo VII, art. 4, dopo aver stabilito che i sottoprodotti di
origine animale devono essere inceneriti in modo da essere completamente ridotti
in cenere, precisa che "le ceneri devono essere collocate in una discarica ai
sensi della direttiva 1999/31/CE" (attuata nell'ordinamento italiano con il
D.Lgs. 13.1.2003 n. 36).
E infatti nel Catalogo europeo dei rifiuti, allegato al D.Lgs. 22/1997, che pure
è un elenco soltanto orientativo, non esaustivo, tecnicamente aggiornabile,
redatto soprattutto per finalità di armonizzazione amministrativa, sono
contemplati i rifiuti da incenerimento (190100), le ceneri pesanti e le scorie
(190101), le ceneri leggere (190103), le polveri di caldaia (190104).
7 - Alla luce delle considerazioni precedenti, diventa più agevole la
valutazione della fattispecie di causa.
Gli imputati gestivano un canile dotato di impianto di incenerimento per spoglie
di animali, regolarmente riconosciuto nella vigenza del D.Lgs. 508/1992; ma i
residui dell'incenerimento delle carogne e dei peli degli animali, derivati
dalla tosatura e dalla pulizia dei box, anziché smaltirli in una discarica, li
conferivano nei cassonetti adibiti alla raccolta dei rifiuti solidi urbani.
E' evidente che i rifiuti di origine animale, nella fase dell'incenerimento,
erano sottoposti alla disciplina veterinaria di cui al D.Lgs. 508/1992, prima, e
al Regolamento CE 1774/2002, dopo; ma, nella misura in cui l'incenerimento
lasciava residui e non cagionava la eliminazione completa delle sostanze, i
residui stessi dovevano sottostare alla disciplina generale sui rifiuti, dettata
dal D.Lgs. 22/1997, e ora sostituita dal D.Lgs. 152/2006.
Non trattandosi di rifiuti urbani, ma di rifiuti speciali, i titolari del canile
non potevano conferirli nei cassonetti approntati per la raccolta dei rifiuti
solidi urbani, ma dovevano smaltirli in una discarica, conferendoli alle ditte
autorizzate, oppure dovevano essere autorizzati all'autosmaltimento.
Avendoli conferiti nei cassonetti, gli imputati si sono resi responsabili del
reato contravvenzionale loro contestato, di gestione non autorizzata di rifiuti,
del quale certamente ricorre anche l'elemento psicologico, almeno sotto la
specie colposa, dovendosi ritenere che professionisti del settore dotati di
media perizia e diligenza dovessero conoscere la normativa applicabile nella
soggetta materia, o potessero informarsi al riguado dall'autorità amministrativa
competente.
Il ricorso va quindi respinto. Consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna alle
spese processuali. Considerato il contenuto dell'impugnazione, non si ritiene di
irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
la corte suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in
solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 26/01/07
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