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URBANISTICA E EDILIZIA - Abuso edilizio - Risarcimento del danno del
confinante - Costituzione di parte civile - Legittimazione ad causam
ossia legittimazione sostanziale - Sussistenza. In materia di abuso
edilizio, può costituirsi parte civile non solo il comune, che è la persona
offesa dal reato, ma anche il confinante che abbia subito un danno dal reato, ma
occorre pur sempre che il danno sia una conseguenza diretta del reato. Pres.
Vitalone, Est. Petti, Ric. Ferrari. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 10
gennaio 2007 (Ud. 09/11/2006), Sentenza n. 234
URBANISTICA E EDILIZIA - Abuso edilizio - Diminuizione della visuale, della
panoramicità o del soleggiamento - Costituzione di parte civile del confinante -
Legittimità. Quando il danno sia una conseguenza diretta ed immediata
dell'abuso edilizio, il confinante può costituirsi parte civile a prescindere
dal mancato rispetto delle distanze, altezze, ecc. e si deve riconoscere la
legittimazione a costituirsi anche per fare valere ad esempio il danno derivante
da una diminuizione della visuale, della panoramicità o del soleggiamento (cfr
Cass Sez III 14 luglio 1997 n 6875, Cass sez. V 12 maggio del 2000 n 5613).
Pres. Vitalone, Est. Petti, Ric. Ferrari. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III,
10 gennaio 2007 (Ud. 09/11/2006), Sentenza n. 234
URBANISTICA E EDILIZIA - Abuso edilizio - Risarcimento - Rapporto causale
immediato e diretto fra il fatto illecito ed il danno - Danno mediato o
indiretto - Condizioni per la risarcibilità - Legame giuridicamente rilevante
tra fatto originario e danno - Rapporto di derivazione causale. Il
risarcimento esige un rapporto causale immediato e diretto fra il fatto illecito
ed il danno. Questa limitazione normativa si fonda sulla necessità di delimitare
l'estensione temporale e spaziale degli effetti degli eventi illeciti ed è
orientata, perciò, ad escludere dalla connessione giuridicamente rilevante ogni
conseguenza dell'illecito che non sia propriamente diretta ed immediata.
Utilizzando tale criterio talvolta in giurisprudenza si è affermato che è
risarcibile anche il danno mediato o indiretto, purché sia prodotto da una
sequela normale di eventi che traggono origine dal fatto originario. Tale
enunciati solo apparentemente contrastano con il significato letterale della
norma che esige il rapporto diretto ed immediato, giacché se la sequela del
fattore causativo sia regolare e normale rispetto alla vicenda sulla quale
decidere, significa che vi è un legame giuridicamente rilevante tra fatto
originario e danno. Sulla base di tali principi si è ritenuto risarcibile il
danno subito dai prossimi congiunti della vittima ancorché mediato (Cfr. Cass.
Sez. Un civili 1° luglio 2002 n 9556). Il giudizio sul rapporto di derivazione
causale deve effettuarsi caso per caso in quanto non esistono danni che per loro
natura si possono qualificare diretti o indiretti, mediati o immediati. Pres.
Vitalone, Est. Petti, Ric. Ferrari. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 10
Gennaio 2007 (Ud. 09/11/2006), Sentenza n. 234
URBANISTICA E EDILIZIA - Permesso di costruire - Richiesta - Soggetti
legittimati. Il permesso di costruire può essere chiesto solo dal
proprietario o da altro titolare del diritto reale sul suolo. Pres. Vitalone,
Est. Petti, Ric. Ferrari. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 10/01/2007 (Ud.
09/11/2006), Sentenza n. 234
URBANISTICA E EDILIZIA - Permesso di costruire illegittimo - Locatario o
affittuario - Mancanza del titolo per ottenere il permesso - Modifica della
destinazione economica - Divieto - Consenso - Necessità - Riparazioni urgenti -
Art. 1577, c. 2 c.c.. In materia d’interventi edilizi, il locatario o
l'affittuario, non potendo modificare senza il consenso del locatore la
destinazione economica della cosa, non può neppure chiedere il permesso di
costruire se a tanto non è stato autorizzato e se tale legittimazione non gli
viene riconosciuta da una norma specifica (ad esempio il conduttore di fondi
urbani, potendo eseguire le riparazioni urgenti a norma dell'articolo 1577, 2
comma c.c., potrebbe in proprio chiedere il titolo abilitativo richiesto dalla
legge per l'esecuzione di quelle riparazioni). Nella fattispecie non risulta che
l'imputata avesse titolo per contratto ad eseguire la costruzione in esame
(impianto di autolavaggio). Pres. Vitalone, Est. Petti, Ric. Ferrari. CORTE
DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 10 gennaio 2007 (Ud. 09/11/2006), Sentenza n. 234
PROCEDURE E VARIE - Parte civile - Mancata impugnazione - Richiesta di
riqualificazione del capo d'imputazione - Inammissibilità. E’ inammissibile
la richiesta di riqualificazione del capo d'imputazione quando la parte civile
non ha impugnato agli effetti civili la sentenza. Pertanto, la parte civile, non
può censurare la decisione in ordine alla dedotta erronea qualificazione del
reato. In nessun caso, nell'ipotesi d'impugnazione del solo imputato, la
posizione di quest'ultimo potrebbe essere peggiorata. Pres. Vitalone, Est.
Petti, Ric. Ferrari. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 10 gennaio 2007 (Ud.
09/11/2006), Sentenza n. 234
PROCEDURE E VARIE - Principio del divieto della reformatio in peius -
Operatività. In base al principio del divieto della reformatio in peius,
(la cui operatività è stata, non solo estesa alle misure di sicurezza ed alle
formule di proscioglimento, ma si è prevista altresì la necessaria riduzione di
pena in caso di accoglimento dell'appello relativo a circostanze o a reati
concorrenti), il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o
quantità o prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole di quella
enunciata nella sentenza impugnata, a fortiori non può, per la diversa e
più grave qualificazione del fatto, confermare la condanna invece di pronunciare
una sentenza di proscioglimento, ed in cassazione rigettare il ricorso anziché
annullare senza rinvio la sentenza impugnata perché estinto il reato ascritto
per prescrizione. Pres. Vitalone, Est. Petti, Ric. Ferrari. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE Sez. III, 10 gennaio 2007 (Ud. 09/11/2006), Sentenza n. 234
Udienza Pubblica del 9.11.2006
SENTENZA N. 1765
REG. GENERALE n. 47946/05
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III. mi Signori
1. Dott. Claudio Vitalone Presidente
2. Dott. Ciro Petti Consigliere
3. Dott. Vincenzo Tardino Consigliere
4. Dott. Gentile Mario Consigliere
5. Dott. Alfredo Maria Lombardi Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto dal difensore
di Ferrari Elisabetta, nata a Savona il 18 agosto del 1954, avverso la sentenza
del tribunale di Roma del 18 maggio del 2005;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Ciro Petti;
sentito il P.M. nella persona del sostituto procuratore generale dott. Francesco
Salzano, il quale ha concluso per l'annullamento senza rinvio per prescrizione;
sentito il difensore della parte civile avv. Mario Cesellato il quale ha
concluso per l'inammissibilità del ricorso ed ha chiesto che il reato
originariamente contestato fosse qualificato come violazione dell'articolo 20
lettera b) della legge n. 47 del 1985 anziché come contravvenzione alla lettera
a) del medesimo articolo;
sentito il difensore avvocato Luca Conti il quale ha concluso per l'accoglimento
del ricorso
letti il ricorso e la sentenza denunciata ,osserva quanto segue
IN FATTO
Con sentenza del 18 maggio del 2005, il tribunale di Roma condannava Ferrari
Elisabetta alla pena di € 3000,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese
processuali ed al risarcimento del danno nei confronti della costituita parte
civile, quale responsabile del reato di cui all'articolo 20 lettera a) della
legge n. 47 del 1985, per avere, quale legale rappresentante della società
Brilla e Scintilla, realizzato un impianto di autolavaggio con concessione
edilizia illegittima perché rilasciata in violazione degli artt. 3, 4 e 10 della
legge 28 gennaio 1977 n 10, in quanto la società non aveva titolo per ottenere
la concessione non essendo proprietaria dell'area, non aveva versato gli oneri
di urbanizzazione ed aveva realizzato l'impianto in contrasto con la
destinazione urbanistica del suolo che prevedeva solo opere di restauro,
risanamento conservativo e manutenzione ordinaria e straordinari. Fatto
commesso in Roma il 3 ottobre del 2001.
Ricorre per cassazione il difensore denunciando: a) la nullità del decreto di
citazione e di tutti gli atti successivi perché irritualmente era stato
notificato mediante consegna al difensore non essendo impossibile la consegna
nel domicilio eletto: infatti la temporanea assenza nel domicilio eletto non
equivale ad impossibilità di notificazione;
la nullità del giudizio per l'omesso avviso all'imputata, non presente al
dibattimento, del rinvio dell'udienza al 21 aprile del 2005;
il difetto di legittimazione della parte civile con conseguente nullità della
condanna dell'imputata al risarcimento del danno, in quanto nei processi per
violazioni urbanistiche solo il Comune è legittimato a costituirsi parte civile
e non un vicino che esercita un'attività concorrenziale con quella svolta
nell'immobile abusivo oggetto del procedimento penale;
la violazione della norma incriminatrice, in quanto, contrariamente all'assunto
del tribunale, l'area in questione era dotata di destinazione urbanistica
generale e difetto di motivazione, sia sulla sussistenza dell'elemento materiale
del reato che di quello psicologico: in proposito assume che la costruzione non
era in contrasto con gli strumenti urbanistici e la prevenuta aveva fatto
affidamento sulla legittimità della concessione edilizia.
Resisteva al ricorso la parte civile eccependone preliminarmente
l'inammissibilità perché presentato da difensore sprovvisto di procura. A tale
fine precisa che l'imputata aveva conferito la procura a due
difensori: all'avvocato Luca Conti e Stefano Cruciani. La firma dell'imputata in
calce alla procura era stata però autenticata solo dall'avvocato Cruciani, il
quale non è abilitato al patrocinio davanti alla cassazione. Con memoria
successiva ha chiesto che il fatto originariamente contestato fosse inquadrato
nell'ipotesi criminosa di cui alla lettera b) dell'articolo 20 della legge n. 47
del 1985 anziché nella lettera a) del medesimo articolo.
IN DIRITTO
Preliminare è l'esame dell'eccezione d'inammissibilità del ricorso sollevata
dalla parte civile. Questa assume che il ricorso, ancorché presentato
personalmente dal difensore avvocato Luca Conti, abilitato all'esercizio della
professione davanti alla Corte suprema, sarebbe inammissibile perché la firma
apposta dalla parte in calce alla procura, che era stata conferita al predetto
unitamente all'avvocato Stefano Cruciani, era stata autenticata dal solo
avvocato Cruciani che, però, non era abilitato all'esercizio della professione
davanti alle giurisdizioni superiori. L'omessa autenticazione della firma in
calce alla procura da parte di un difensore non abilitato all'esercizio della
professione davanti alla Corte suprema, rende, secondo il difensore della parte
civile, inesistente il mandato e quindi inammissibile il ricorso.
L'eccezione è infondata. A norma dell'articolo 613 c.p.p. il ricorso, quando non
è presentato personalmente dalla parte, deve essere sottoscritto da difensore
abilitato all'esercizio del patrocinio davanti alla cassazione. Nella
fattispecie è stato presentato da un avvocato abilitato all'esercizio davanti
alla Corte Suprema ritualmente nominato dalla parte. A norma dell'articolo 96
comma secondo c.p.p, la nomina può essere fatta dall'interessato direttamente
all'autorità procedente o consegnata alla stessa dal proprio difensore o ancora
trasmessa per raccomandata. Nel primo caso la dichiarazione di nomina sarà orale
e sarà documentata a seconda dei casi nei modi previsti dagli artt. 141, 357,
373 c.p.p.. Nel secondo o nel terzo caso la dichiarazione di nomina sarà
necessariamente scritta. Come qualsiasi dichiarazione scritta destinata a
produrre effetti giuridici deve essere sottoscritta da colui che la rende. Non
sono richieste altre formalità ed in particolare non è richiesta
l'autenticazione della firma da parte del difensore o di altri. A norma
dell'articolo 39 dispos att. l'autenticazione del sottoscrittore è richiesta nei
soli casi previsti dalla legge. Ad esempio è richiesta, per intuibili ragioni,
dal terzo comma dell'articolo 583 c.p.p. allorché l'impugnazione è proposta
dalla parte privata con raccomandata.
Nella fattispecie l'impugnazione è
stata presentata personalmente dal difensore abilitato. La sottoscrizione
dell'atto con cui il cliente conferisce la procura al difensore, come già
accennato, non deve essere autentica perché tale formalità non è richiesta dalla
legge.
Del pari inammissibile è la richiesta di riqualificazione del capo d'imputazione
nella più grave ipotesi di cui alla lettera b) dell'articolo 20 della legge n.
47 del 1985. La parte civile, non avendo impugnato agli effetti civili la
sentenza, non può censurare la decisione in ordine alla dedotta erronea
qualificazione del reato. D'altra parte, non ha neppure interesse alla diversa
qualificazione del reato giacché il danno, sia per quanto concerne l'an
debeatur che il quantum, nella fattispecie, non dipende dalla
puntuale individuazione del nomen iuris del fatto, ma dall'illiceità del
fatto stesso a prescindere dalla qualificazione attribuita dal giudice, la quale
qualificazione peraltro rileva a fini che non interessano la parte civile.
La richiesta avanzata dalla parte civile non può essere neppure recepita come
sollecitazione all'esercizio del potere ufficioso di dare al fatto una
definizione giuridica più grave. E' ben vero che, secondo l'opinione prevalente,
tale potere ancorché previsto espressamente per il solo giudice d'appello, è
considerato espressione di un principio generale applicabile anche in
cassazione, a condizione però che non implichi accertamenti di fatto
incompatibili con il giudizio di legittimità e non peggiori la posizione
dell'imputato, unico appellante in questo giudizio. Nella fattispecie però lo
stesso procuratore generale ha chiesto la declaratoria di estinzione del reato
per prescrizione della quale il prevenuto può beneficiare perché il suo ricorso
non è manifestamente infondato, anzi, per quello che si dirà in seguito, per
alcuni aspetti è persino fondato. La diversa qualificazione del fatto
sollecitata dal difensore della parte civile impedirebbe l'applicabilità della
prescrizione chiesta dal procuratore generale, con conseguente peggioramento
della posizione dell'imputato unico appellante.
Le decisioni di questa corte citate
dalla parte civile (n 9103 del 1997 e n 4672 del 1994) non hanno affermato il
principio in forza del quale la definizione più grave del fatto sarebbe
possibile anche se per effetto di essa l'imputato, anziché essere prosciolto,
per essersi il reato estinto per prescrizione, dovrebbe subire la conferma della
condanna. Un principio del genere sarebbe in palese contrasto con quello del
divieto della reformatio in peius, tanto più che l'operatività di
siffatto divieto, con l'introduzione del codice del 1988, ha subito un sensibile
ampliamento rispetto alla situazione previgente. Infatti la sua operatività è
stata, non solo estesa alle misure di sicurezza ed alle formule di
proscioglimento, ma si è prevista altresì la necessaria riduzione di pena in
caso di accoglimento dell'appello relativo a circostanze o a reati concorrenti.
In forza di tale principio in nessun caso, nell'ipotesi d' impugnazione del solo
imputato, la posizione di quest'ultimo potrebbe essere peggiorata. La riprova si
trae dall'articolo 428 comma 7° nel testo vigente prima della riforma introdotta
con la legge n 46 del 2006, il quale disponeva che in caso di appello
dell'imputato (recte del solo imputato) la corte d'appello, se non avesse
confermato la decisione, avrebbe dovuto pronunciare sentenza di non luogo a
procedere con formula comunque più favorevole all'imputato. Orbene, se in base
al principio anzidetto il giudice non può irrogare una pena più grave per specie
o quantità o prosciogliere l'imputato per una causa meno favorevole di quella
enunciata nella sentenza impugnata, a fortiori non può, per la diversa e
più grave qualificazione del fatto, confermare la condanna invece di pronunciare
una sentenza di proscioglimento, ed in cassazione rigettare il ricorso anziché
annullare senza rinvio la sentenza impugnata perché estinto il reato ascritto
per prescrizione.
Ciò premesso, il collegio rileva che il reato considerato consumato il 3 ottobre
del 2001 (peraltro questa è la data dell'accertamento e non dell'ultimazione
dell'opera che è anteriore) si è prescritto il 29 ottobre del 2006 avuto pure
riguardo al periodo durante il quale il dibattimento è rimasto sospeso per
impedimento dell'imputato o del suo difensore pari ad anni uno e giorni 29,
secondo l'orientamento espresso dalla Sezioni unite con la sentenza del 29
ottobre 2001, Cremonese.
Non si può tenere conto del periodo,
pari a mesi dieci e gg. 28, durante il quale pendevano i termini per presentare
la domanda di condono perché l'opera non è condonabile ed in ogni caso pure
computando tale periodo il reato sarebbe ugualmente prescritto.
Il ricorso non è manifestamente infondato. Anzi un motivo è sicuramente fondato
è più precisamente è fondato quello relativo al difetto di legittimazione
(intesa come legittimazione ad causam ossia legittimazione sostanziale)
della parte civile. E' bene vero che, in materia di abuso edilizio, può
costituirsi parte civile non solo il comune, che è la persona offesa dal reato,
ma anche il confinante che abbia subito un danno dal reato, ma occorre pur
sempre che il danno sia una conseguenza diretta del reato. A norma dell'articolo
185 c.p. ogni reato obbliga al risarcimento a norma delle leggi civili.
L'articolo 872 comma secondo cod. civ. dispone che "colui il quale per effetto
della violazione di una norma di edilizia ha subito un danno deve essere
risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino quando si
tratta della violazione di norme contenute nella sezione seguente o da questa
richiamate" (trattasi della violazione delle norme sulle distanze). Tuttavia per
ammettere la costituzione di parte civile del privato confinante occorre
individuare un interesse ulteriore rispetto a quello che ciascun cittadino ha
alla corretta utilizzazione del territorio. Secondo un indirizzo non recente,
per la sussistenza di tale lesione, era necessaria la violazione delle norme del
codice civile in materia di distanze, altezze ecc (Cass. Sez. III n. 5190 del
1991).
L'indirizzo più recente prescinde
dal mancato rispetto delle distanze e riconosce la legittimazione a costituirsi
parte civile anche per fare valere ad esempio il danno derivante da una
diminuizione della visuale, della panoramicità o del soleggiamento (cfr Cass Sez
III 14 luglio 1997 n 6875, Cass sez. V 12 maggio del 2000 n 5613). Occorre però
pur sempre che il danno sia una conseguenza diretta ed immediata dell'abuso
edilizio. Invero l'articolo 1223 cod. civ., che disciplina il risarcimento del
danno nell'inadempimento contrattuale, richiamato per quanto concerne la
valutazione del danno in materia di fatti illeciti dall'articolo 2056 cod. civ., dispone che vanno risarciti i soli danni che siano conseguenza diretta ed
immediata del fatto illecito, nel caso in questione i soli danni che siano
conseguenza diretta ed immediata della violazione delle norme sull'edilizia. La
norma anzidetta presuppone già risolto il problema della causalità di fatto, che
riguarda il rapporto tra una data condotta e l'evento e quindi l'an
respondeatur, e si riferisce al rapporto di causalità giuridica, riguarda
cioè le conseguenze dell'illecito. Il risarcimento esige un rapporto causale
immediato e diretto fra il fatto illecito ed il danno. Questa limitazione
normativa si fonda sulla necessità di limitare l'estensione temporale e spaziale
degli effetti degli eventi illeciti ed è orientata, perciò, ad escludere dalla
connessione giuridicamente rilevante ogni conseguenza dell'illecito che non sia
propriamente diretta ed immediata. Per individuare tale rapporto di derivazione
la dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato una serie di regole utili a
selezionare l'area del danno risarcibile attraverso la causalità. Quella più
ricorrente è quella della normalità desunta dalle regole dell'esperienza e da
quelle probabilistiche e statistiche. Quando da un certo evento appare normale,
probabile, statisticamente dimostrato che si verificherà un danno, questo si può
considerare conseguenza diretta ed immediata del fatto. Proprio utilizzando tale
criterio talvolta in giurisprudenza si è affermato che è risarcibile anche il
danno mediato o indiretto, purché sia prodotto da una sequela normale di eventi
che traggono origine dal fatto originario. Tale enunciati solo apparentemente
contrastano con il significato letterale della norma che esige il rapporto
diretto ed immediato, giacché se la sequela del fattore causativo sia regolare e
normale rispetto alla vicenda sulla quale decidere, significa che vi è un legame
giuridicamente rilevante tra fatto originario e danno. Sulla base di tali
principi si è ritenuto risarcibile il danno subito dai prossimi congiunti della
vittima ancorché mediato (Cfr. Cass. Sez. Un civili 1° luglio 2002 n 9556). Il
giudizio sul rapporto di derivazione causale deve effettuarsi caso per caso in
quanto non esistono danni che per loro natura si possono qualificare diretti o
indiretti, mediati o immediati.
Nella fattispecie il danno non è dipeso dalla contestata violazione delle norme
edilizie, ma, come risulta dalla stessa sentenza, dall'attività concorrenziale,
di per sé lecita (o almeno non risulta che fosse sleale), che la prevenuta ha
esercitato nell'immobile costruito in violazione delle norme edilizie: infatti
secondo la sentenza impugnata l'attività concorrenziale esercitata dalla Ferrari
nell'immobile abusivamente costruito avrebbe causato uno sviamento di clientela.
Se in quel manufatto la prevenuta non avesse esercitato alcuna attività, perché
l'immobile era stato sequestrato prima dell'espletamento dell'attività, o avesse
esplicato un'attività diversa da quella esercitata dalla parte civile, la
società che assume di essere stata danneggiata non avrebbe subito alcun
nocumento dalla violazione delle norme edilizie. Ed allora è evidente che non
esiste alcun rapporto diretto ed immediato tra la violazione urbanistica ed il
danno. Lo sviamento della clientela non è una conseguenza che dal punto di vista
statistico si può considerare normale effetto dell'abuso edilizio. D'altra
parte, dalla sentenza non risulta neppure che la parte civile fosse una
confinante. Le statuizioni civili non possono quindi essere confermate. Sotto
tale profilo l'impugnazione è fondata.
Nella fattispecie non ricorrono cause di esclusione della punibilità a norma
dell'articolo 129 c.p.p.. Invero le eccepite nullità processuali sono infondate
per le considerazioni svolte nella memoria dalla parte civile e, quand'anche
fossero state fondate, avrebbero comportato solo un annullamento con rinvio che
è incompatibile con il principio che impone l'immediata declaratoria della causa
di estinzione del reato.
Gli altri motivi non sono idonei ad escludere in maniera evidente
l'insussistenza del fatto. Invero l'accusa si fonda su una consulenza tecnica
che è stata disposta dal pubblico ministero la quale ha concluso per la
violazione di precise norme urbanistiche. D'altra parte, l'imputata non aveva
titolo per chiedere il permesso di costruire perché questo può essere chiesto
solo dal proprietario o da altro titolare del diritto reale sul suolo.
Il locatario o l'affittuario, non potendo modificare senza il consenso del
locatore la destinazione economica della cosa, non può neppure chiedere il
permesso di costruire se a tanto non è stato autorizzato e se tale
legittimazione non gli viene riconosciuta da una norma specifica (ad esempio il
conduttore di fondi urbani, potendo eseguire le riparazioni urgenti a norma
dell'articolo 1577, 2 comma c.c., potrebbe in proprio chiedere il titolo
abilitativo richiesto dalla legge per l'esecuzione di quelle riparazioni). Nella
fattispecie dalla sentenza non risulta che l'imputata avesse titolo per
contratto ad eseguire la costruzione in esame.
P.Q.M.
LA CORTE
Letto l'articolo 620 c.p.p.;
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato ascritto si è estinto
per prescrizione. Revoca le statuizioni civili.
Così deciso in Roma il 9 novembre del 2006
L' estensore
Il presidente
Ciro Petti
Claudio Vitalone
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