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RIFIUTI - Discarica non autorizzata di rifiuti non pericolosi -
Configurabilità - Fattispecie. Il reato di discarica abusiva può essere
accertato anche in base alla consistenza ed allo stato di conservazione dei
rifiuti, potendosi conseguentemente escludere una successiva utilizzazione dei
materiali. Nella specie, le modalità di conservazione denotavano, che l'area
de qua era stata trasformata, di fatto, in deposito di rifiuti di vario
genere, (pezzi di marmo asseritamente impiegati per la realizzazione di mosaici)
mediante una condotta consistente nell'abbandono per un lungo periodo di una
notevole quantità di rifiuti, sicché era irrilevante la bonifica del sito in
tempi ristretti. Pres. Lupo, Est. Teresi, Ric. Perrini. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE Sez. III, 10 Gennaio 2007 (Ud. 16/11/2006), Sentenza n. 261
RIFIUTI - Discarica non autorizzata di rifiuti - Configurabilità - Condizioni
- Condotta ripetuta nel tempo - Degrado dell'area - Art. 51 d.lgs. n. 22/1997 -
Art. 256, D.Lgs, n. 152/2006. L'art. 51 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22
prevede e punisce, al terzo comma, la discarica non autorizzata di rifiuti per
la cui configurabilità "sono necessari sia una condotta ripetuta nel tempo
d'accumulo di rifiuti in un'area, sia il degrado dell'area stessa, consistente
nell'alterazione permanente dello stato dei luoghi, requisito che è certamente
integrato nel caso in cui sia consistente la quantità di rifiuti depositati
abusivamente” (Cassazione Sezione III, n. 36062/2004, Tomasoni, RV. 229484). .
Pres. Lupo, Est. Teresi, Ric. Perrini. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III,
10 Gennaio 2007 (Ud. 16/11/2006), Sentenza n. 261
Pubblica Udienza del 16.11.2006
SENTENZA N. 1838
REG. GENERALE n. 23574/2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III. mi Signori
1. Dott. Ernesto Lupo Presidente
2. Dott. Guido De Maio Consigliere
3. Dott. Pierluigi Onorato Consigliere
4. Dott. Alfredo Teresi Consigliere
rel.
5. Dott. Antonio Ianniello Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso
proposto da Perrini Antonio, nato a Massafra il 9.02.1942, avverso la sentenza
pronunciata dalla Corte d'Appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto - in
data 11.11.2004 con cui è stata confermata la condanna alla pena dell'arresto e
dell'ammenda inflittagli nel giudizio di primo grado per il reato di cui
all'art. 51, comma 3, d.lgs. n. 22/1997;
Visti gli atti, la sentenza denunciata e il ricorso;
Sentita in pubblica udienza la relazione del Consigliere dott. Alfredo Teresi;
Sentito il PM nella persona del PG dott. Gioacchino Izzo, il quale ha chiesto
che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
Osserva
Con sentenza in data 11.11.2004 la Corte d'Appello di Lecce - sezione distaccata
di Taranto - confermava la condanna alla pena dell'arresto e dell'ammenda inflitta
nel giudizio di primo grado a Perrini Antonio per avere realizzato una discarica
non autorizzata di rifiuti speciali in località Misonghìa.
Rilevava la Corte che l'imputato aveva realizzato una discarica di rifiuti
speciali non pericolosi, costituita da un
ingente ammasso cuneiforme di detriti non selezionati (pezzi di legno, una
grata, sacchi, scarti della lavorazione del marmo)
L'accumulo era avvenuto non in maniera occasionale e temporanea, ma con
comprovata abitualità, atteso anche l'utilizzo di mezzi appositamente
predisposti (un'apertura, coperta di grate, apribili, praticata nel muro
perimetrale dell'opificio del Perrini) per agevolare lo svernamento del
materiale di scarto della sua industria nel sito che in passato era stata una
cava.
Proponeva ricorso per cassazione l'imputato denunciando violazione di legge e
vizio di motivazione in ordine alla configurabilità del reato di discarica
abusiva che doveva essere escluso perché nella cava dismessa venivano
momentaneamente depositati ritagli di marmo di diverse misure per 10/15 giorni
per essere riutilizzati per la realizzazione di mosaici.
Per l'equivocità della deposizione, non era credibile l'agente del Corpo
forestale dello Stato, Netti, avendo l'imputato fornito elementi idonei ad
escludere un deposito incontrollato e protratto nel tempo dei residui,
riutilizzabili, della lavorazione del marmo, materiali che, in sede di bonifica
dell'area, erano stati asportati in pochi giorni, donde l'insussistenza della
discarica.
Chiedeva l'annullamento della sentenza.
Il ricorso non è puntuale perché censura con erronee argomentazioni giuridiche e
in punto di fatto la decisione che è esente da vizi logico-giuridici, essendo
stati indicati gli elementi probatori emersi a carico dell'imputato e confutata
ogni obiezione difensiva.
La sentenza, infatti, ha correttamente ritenuto ricorrenti le condizioni che
integrano il concetto normativo di discarica non autorizzata di rifiuti non
pericolosi, nella specie costituiti da eterogenei materiali da scarti della
lavorazione del marmo provenienti dall'opificio gestito dall'imputato, una
grata, pezzi di legno, sacchetti di colore azzurro, accumulati nell'area di una
cava, mentre le incongrue doglianze sulla qualificazione loro attribuita in
sentenza sono irrilevanti ai fini del sindacato di legittimità.
L'art. 51 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 prevede e punisce, al terzo comma,
la discarica non autorizzata di rifiuti per la cui configurabilità "sono
necessari sia una condotta ripetuta nel tempo
d'accumulo di rifiuti in un'area, sia il degrado dell'area stessa, consistente
nell'alterazione permanente dello stato dei luoghi, requisito che è certamente
integrato nel caso in cui sia consistente la quantità di rifiuti depositati
abusivamente" (Cassazione Sezione III, n. 36062/2004, Tomasoni, RV. 229484).
Nella specie e stato accertato, con logiche argomentazioni, alla stregua di
quanto rilevato in sede di sopralluogo, che i materiali erano accumulati
disordinatamente; che la cava, inaccessibile dal basso, era infestata da arbusti
ed erbacce, sicché "sarebbe stato impossibile andare a cercare in quella massa
di detriti ed altri oggetti i pezzi di marmo che si assume sarebbero poi serviti
per realizzare pavimenti o mosaici"; che l'ammasso cuneiforme [perché il
versamento dei materiali veniva effettuato dall'alto] era depositato da tempo
perché presentava una diversa consistenza, più asciutto alla base e più umido
nella zona apicale.
Le modalità di conservazione denotano, quindi, che l'area de qua è stata
trasformata, di fatto, in deposito di rifiuti di vario genere, mediante una
condotta consistente nell'abbandono per un lungo periodo di una notevole
quantità di rifiuti, sicché è irrilevante la bonifica del sito in tempi
ristretti.
L'inammissibilità del ricorso comporta condanna al pagamento delle spese del
procedimento e versamento alla cassa delle ammende della somma di € 1.000,
liquidata equitativamente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento e al versamento alla cassa delle ammende della
somma di €. 1.000.
Cosi deciso in Roma nella pubblica udienza del 16.11.2006.
L' estensore
Il presidente
Alfredo Teresi
Ernesto Lupo
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