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CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 16 Ottobre 2007 (Ud.
19/09/2007), Sentenza n. 38071
BENI CULTURALI E AMBIENTALI -
URBANISTICA E EDILIZIA - Area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli
interessi paesistici - Assenza del titolo abilitativo edilizio - Domanda di
condono - Sospensione del processo - Assenza dei presupposti di legge - Effetti.
E' irrilevante, in ipotesi di opere abusive non suscettibili di sanatoria ai
sensi dell'art 32 del D.L. n. 269/2003, l'effettiva ultimazione dell'opera nel
termine massimo in cui la legge consente la sanabilità. Pertanto, nel caso in
cui il giudice sospenda il processo (ex artt. 44 o 38 della legge n. 47/1985) in
assenza dei presupposti di legge, la sospensione è inesistente ed il corso della
sospensione non è interrotto. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 16 Ottobre
2007 (Ud. 19/09/2007), Sentenza n. 38071
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - URBANISTICA E EDILIZIA - Potenziale
compromissione dei valori del paesaggio - Art. 181, c. 1, D.Lgs. n. 42/2004 -
Configurabilità dell'illecito - Reato di pericolo - Effettivo pregiudizio per
l’ambiente - Necessità - Esclusione. Il reato di cui all'art. 163 del D.Lgs.
n. 490/1999 (già art. 1 sexies della legge n. 431/1985 ed attualmente art. 181,
comma 1, del D.Lgs. 22.1.2004, n. 42) è reato di pericolo astratto e, pertanto,
per la configurabilità dell'illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio
per l’ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente
rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a
compromettere i valori del paesaggio e l'aspettò esteriore degli edifici (Cass.,
Sez. III: 16.11.2001, a 40862, Fara; 23.1.2002, n. 2398, Zecca ed altro;
28.3.2003, n. 14461, Carparelli; 29.4.2003, n. 19761, Greco ed altri; 28.9.2004,
n. 38051, Coletta; Corte Cost., sent. n. 247 del 1997 ed ord. n. 68 del 1988).
CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 16 Ottobre 2007 (Ud. 19/09/2007),
Sentenza n. 38071
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Zone paesisticamente vincolate - Assenza
dell'autorizzazione ex art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004 - Effetti. Nelle zone
paesisticamente vincolate è inibita - in assenza dell'autorizzazione già
prevista dall'art. 7 della legge n. 1497 del 1939, le cui procedure di rilascio
sono state innovate dalla legge n. 431/1985 e sono attualmente disciplinate
dall'art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004 - ogni modificazione dell'assetto del
territorio, attuata attraverso lavori di qualsiasi genere, non soltanto edilizi
(ad eccezione, quanto a questi ultimi lavori, dei soli interventi consistenti
nella manutenzione, ordinaria e straordinaria, e nel consolidamento statico o
restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto
esteriore degli edifici). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 16 Ottobre
2007 (Ud. 19/09/2007), Sentenza n. 38071
URBANISTICA E EDILIZIA - Nozione di pertinenza urbanistica e art. 817 cod.
civ.. La nozione di pertinenza urbanistica, diversamente da quella dettata
dall'art. 817 del codice civile, ha peculiarità sue proprie, dovendo trattarsi
di un’opera - che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria
conformazione strutturale - preordinata ad una oggettiva esigenza dell'edificio
principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso,
sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura
o dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle
caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e
diverga da quella a servizio dell'immobile cui accede (Cass.. Sez. III,
9.12.2004, Bufano). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 16 Ottobre 2007 (Ud.
19/09/2007), Sentenza n. 38071
URBANISTICA E EDILIZIA - Opera pertinenziale - Nozione. L'opera
pertinenziale, non deve essere parte integrante o costitutiva di altro
fabbricato, sicché non può considerarsi tale l'ampliamento di un edificio che,
per la relazione di congiunzione fisica con esso, ne costituisca parte, come
elemento che diviene essenziale all'immobile o lo completa affinché esso meglio
soddisfi ai bisogni cui è destinato (Cass., Sez. III: 11.5.2005, Grida;
17.1.2003, Chiappalone). CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 16 Ottobre 2007
(Ud. 19/09/2007), Sentenza n. 38071
URBANISTICA E EDILIZIA - PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - PROCEDURA E VARIE - Opera
abusiva - Ordine di demolizione - Subordinazione della sospensione condizionale
della pena alla demolizione - Funzione di eliminare le conseguenze dannose del
reato. In materia urbanistica, deve ritenersi definitivamente superata, la
visione di un giudice supplente della pubblica Amministrazione, in quanto è il
territorio a costituire l’oggetto della tutela posta dalle relative norme
penali: non può affermarsi, pertanto, che la legge riserva all’autorità
amministrativa ogni tipo di intervento nella materia e, avendo l’ordine di
demolizione la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato, ben può
trovare applicazione l’art. 165 cod. pen. Pertanto, è legittima la
subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione
dell’opera abusiva. (Cass. Sezioni Unite sentenza 3.2.1997, n. 714, ric. Luongo).
CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, 16 Ottobre 2007 (Ud. 19/09/2007),
Sentenza n. 38071
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UDIENZA del 19/09/2007
SENTENZA N.
REG. GENERALE N.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Omissis
ha pronunciato la seguente:
sentenza
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello dì Napoli, con sentenza del 23.L2007, in parziale riforma
della sentenza 23.3.2006 del Tribunale di Torre Annunziata - Sezione distaccata
di Sorrento:
a) ribadiva l'affermazione della responsabilità penale di Terminiello Luigi e
Mastellone Giovanna in ordine ai reati di cui:
- all'art. 20, lett. c), legge n. 47/1985 (per avere realizzato, in zona
sottoposta a vincolo paesistico, in assenza del permesso di costruire, un
manufatto in blocchi di lapilcemento a triplice elevazione- acc. in Massa
Lubrense, il 20.4.2002);
- all'art. 163 D.Lgs. n. 490/1999 (per avere realizzato il manufatto anzidetto
in assenza dell’autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo)
e, con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche, essendo stati
unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen.,
confermava la condanna di ciascuno alla pena complessiva di mesi cinque di
arresto ed euro 23.000,00 di ammenda, con ordine di rimessione in pristino dello
stato dei luoghi e concessione del beneficio della sospensione condizionale
subordinato alla demolizione delle opere abusive;
b) concedeva ad entrambi l'ulteriore beneficio della non-menzione della
condanna.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso congiunto gli imputati, i quali -
sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione - hanno
eccepito:
- la illegittimità della mancata sospensione del procedimento in seguito alla
presentazione di domanda di condono edilizio ex art. 32 del D.L. 30.9.20Ó3, n.
269, convertito con modificazioni dalla legge 24.11.2003, n. 326;
- la incongrua esclusione della condonabilità dell'opera, sull'erroneo
presupposto che la stessa non potesse considerarsi “ultimata” nel termine
massimo previsto dalla legge per il riconoscimento della sanatoria;
- la illegittima subordinazione del beneficio della sospensione condizionale
della pena alla demolizione effettiva del manufatto abusivo;
- la immotivata esclusione del regime delle ''pertinenze edilizie" per le parti
del fabbricato rispettivamente adibite a deposito e legnaia;
- la insussistenza del reato di cui all'art. 163 del D.Lgs. n. 490/1999, a
fronte della realizzazione di un manufatto "neppure astrattamente idoneo a
pregiudicare il bene paesaggistico-ambientale".
Motivi della decisione
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché manifestamente
infondato.
1. Nella vicenda che ci occupa si verte in ipotesi di opere abusive non
suscettibili di sanatoria, ai sensi dell'art 32 del D.L. n. 269/2003, poiché si
tratta di nuova costruzione realizzata, in assenza del titolo abilitativo
edilizio, in area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi
paesistici (ipotesi esclusa dal condono dal comma 26, lett. a) [vedi, tra le
molteplici e più recenti decisioni in tal senso, Cass., Sez. III: 12.1.2007, n.
6431, Sicignano ed altra (con ampia confutazione delle divergenti posizioni
dottrinarie, integralmente condivisa da questo Collegio): 5.4.2005, n. 12577,
Ricci; 1.10.2004, n. 38694, Canu ed altro; 24.9.2004, n. 37865, Musio].
Legittimamente, pertanto, la Corte territoriale [ponendosi come irrilevante la
ulteriore questione riguardante la effettiva ultimazione dell'opera nel termine
massimo in cui la legge consente la sanabilità] - pure a fronte della accertata
presentazione di domanda di condono -non ha applicato la sospensione di cui
all'art. 38 della legge n. 47/1985.
Deve evidenziarsi, in proposito, che dalla sentenza delle Sezioni Unite
24.11.1999, n. 22, ric. Sadini - correlata al condono edilizio previsto dall'art
39 della legge n. 724/1994, che è norma formulata in modo speculare a quella
posta dall'art. 32, comma 25, del D.L. n. 269/2003 - può razionalmente dedursi
il principio generale secondo il quale il giudice, già prima di sospendere il
processo ex art. 44 della legge n. 47/1985, deve effettuare un controllo in
ordine alla sussistenza delle condizioni legittimanti l'accesso alla procedura
sanante (data di esecuzione delle opere; stato di ultimazione delle stesse
secondo la nozione fornita dall'art. 31 della legge n. 47/1985; rispetto dei
limiti volumetrici; eventuali esclusioni oggettive della tipologia d'intervento
dalla sanatoria; tempestività della presentazione, da parte di soggetti
legittimati, di una domanda di sanatoria riferita alle opere abusive contestate
nel capo di imputazione).
L'ambito di tale potere di controllo è strettamente connesso all'esercizio della
giurisdizione penale, perché è il giudice che deve eseguire, in conclusione,
l'indispensabile verifica degli elementi di fatto e di diritto della causa
estintiva. Trattasi, inoltre, di compiti propri dell'autorità giurisdizionale -
conformi al dettato degli artt. 101, comma 2, 102, 104, comma 1, e 112 Cost. -
che non possono essere demandati neppure con legge ordinaria all'autorità
amministrativa in un corretto rapporto delle sfere specifiche di attribuzione.
Diversamente opinandosi si allungherebbero "inevitabilmente ed inutilmente i
tempi del processo".
Nel caso in cui il giudice sospenda il processo (ex artt. 44 o 38 della legge n.
47/1985) in assenza dei presupposti di legge, la sospensione è inesistente ed il
corso della sospensione non è interrotto.
2. La nozione di pertinenza urbanistica, diversamente da quella dettata
dall'art. 817 del codice civile, ha peculiarità sue proprie, dovendo trattarsi
di un’opera - che abbia comunque una propria individualità fisica ed una propria
conformazione strutturale - preordinata ad una oggettiva esigenza dell'edificio
principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso,
sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura
o dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle
caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e
diverga da quella a servizio dell'immobile cui accede (vedi, tra le decisioni
più recenti, Cass.. Sez. III, 9.12.2004, Bufano).
L'opera pertinenziale, inoltre, non deve essere parte integrante o costitutiva
di altro fabbricato, sicché non può considerarsi tale l'ampliamento di un
edificio che, per la relazione di congiunzione fisica con esso, ne costituisca
parte, come elemento che diviene essenziale all'immobile o lo completa affinché
esso meglio soddisfi ai bisogni cui è destinato (vedi, tra le decisioni più
recenti, Cass., Sez. III: 11.5.2005, Grida; 17.1.2003, Chiappalone).
Nella fattispecie in esame non può ritenersi che alcune parti dell'unico
fabbricato costituiscano "pertinenza" della parte già abitata dai coniugi
imputati perché non vi è un rapporto di subordinazione di nuove opere ad un
"edificio principale", bensì di integrazione dei complessivi elementi essenziali
dell'intero manufatto (tenuto anche conto che non è possibile verificare la
destinazione oggettiva durevole di locali ultimati soltanto al rustico).
3. Va ribadito poi, in relazione al quinto motivo di ricorso, l'orientamento
costante di questa Corte Suprema [vedi, tra le pronunzie più recenti, Cass.,
Sez. III: 16.11.2001, a 40862, Fara; 23.1.2002, n. 2398, Zecca ed altro;
28.3.2003, n. 14461, Carparelli; 29.4.2003, n. 19761, Greco ed altri; 28.9.2004,
n. 38051, Coletta] secondo il quale il reato di cui all'art. 163 del D.Lgs. n.
490/1999 (già art. 1 sexies della legge n. 431/1985 ed attualmente art. 181,
comma 1, del D.Lgs. 22.1.2004, n. 42) è reato di pericolo astratto e, pertanto,
per la configurabilità dell'illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio
per l’ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente
rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a
compromettere i valori del paesaggio e l'aspettò esteriore degli edifici [vedi
pure, in proposito. Corte Cost., sent. n. 247 del 1997 ed ord. n. 68 del 1988];
Nelle zone paesisticamente vincolate è inibita - in assenza dell'autorizzazione
già prevista dall'art. 7 della legge n. 1497 del 1939, le cui procedure di
rilascio sono state innovate dalla legge n. 431/1985 e sono attualmente
disciplinate dall'art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004 - ogni modificazione
dell'assetto del territorio, attuata attraverso lavori di qualsiasi genere, non
soltanto edilizi (ad eccezione, quanto a questi ultimi lavori, dei soli
interventi consistenti nella manutenzione, ordinaria e straordinaria, e nel
consolidamento statico o restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei
luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici).
Il legislatore, imponendo la necessità dell'autorizzazione, ha inteso assicurare
una immediata informazione e la preventiva valutazione, da parte della pubblica
Amministrazione, dell'impatto sul paesaggio nel caso di interventi (consistenti
in opere edilizie ovvero in altre attività antropiche) intrinsecamente capaci di
comportare modificazioni ambientali e paesaggistiche, al fine di impedire che la
stessa P. A. sia posta di fronte al fatto compiuto.
La norma incriminatrice è rivolta a tutelare sia l'ambiente sia, strumentalmente
e mediatamente, l'interesse a che la P.A. preposta al controllo venga posta in
condizioni di esercitare efficacemente e tempestivamente detta funzione: la
salvaguardia del bene ambientale, in tal modo, viene anticipata mediante la
previsione di adempimenti formali finalizzati alla protezione finale del bene
sostanziale ed anche a tali adempienti è apprestata tutela penale. Ne consegue
che l’offensività del fatto in una situazione di astratta idonietà lesiva della
condotta inosservante rispetto al bene finale, deve essere anzitutto correlata
al rispetto del bene intermedio (o “funzione”).
La fattispecie in esame – come esattamente evidenziato dalla Corte di merito – è
caratterizzata ad evidenza dall’esecuzione di opere oggettivamente non
irrilevanti ed astrattamente idonee a compromettere l’ambiente: sussiste,
pertanto, un’effettiva messa in pericolo del paesaggio, oggettivamente insita
nella minaccia ad esso portata e valutabile come tale ex ante, nonché una
violazione dell’interesse dalla P.A. ad una corretta informazione preventiva ed
all’esercizio di un efficace e sollecito controllo.
4. Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema – con la sentenza 3.2.1997, n. 714,
ric. Luongo, alle cui diffuse argomentazioni, condivise da questo Collegio, si
rinvia – hanno affermato la legittimità della subordinazione della sospensione
condizionale della pena alla demolizione dell’opera abusiva.
Deve ritenersi definitivamente superata, infatti, in materia urbanistica, la
visione di un giudice supplente della pubblica Amministrazione, in quanto è il
territorio a costituire l’oggetto della tutela posta dalle relative norme
penali: non può affermarsi, pertanto, che la legge riserva all’autorità
amministrativa ogni tipo di intervento nella materia e, avendo l’ordine di
demolizione la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato, ben può
trovare applicazione l’art. 165 cod. pen.
5. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e
rilevato che non sussistono elementi per ritenere che “le parti abbiano proposto
il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, alla declaratoria della stessa segue, a norma dell’art. 616
c.p.p., l’onere solidale delle spese del procedimento nonché, per ciascun
ricorrente, quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle
ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di
euro 1.000,00.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara
inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle
spese processuali nonché ciascuno di essi al versamento della somma di mille/00
euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2007.
Deposito 16/10/2007
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