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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006



CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 12/11/2007 (Ud. 09/10/2007), Sentenza n. 41582



RIFIUTI - INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Effluenti gassosi - Disciplina applicabile - Fonti normative del diritto interno e del diritto comunitario. Gli effluenti gassosi destinati, al termine di attività di carattere produttivo, ad essere immessi nell’atmosfera, direttamente o previa combustione, non possono costituire “rifiuti”, restando invece assoggettati unicamente alla disciplina specificamente prevista dalla parte quinta del d.lgs. n. 152 del 2006, in materia di tutela dell’aria, inglobante quella già contemplata dal d.P.R. n.203 del 1988 (si trattava, nella specie, di effluenti gassosi provenienti da attività di raffinazione di prodotti petroliferi effettuata senza distaccarsi dalle previsioni e senza superare i valori contenuti nei provvedimenti autorizzativi regolarmente ottenuti). Al contrario, possono costituire rifiuto, sulla base in particolare degli allegati alla direttiva 75/442/CEE e al d. lgs. n. 22 del 1997, le sostanze gassose qualora esse, ai fini dello smaltimento, siano immesse, da sole o insieme ad altra sostanza, in contenitori ovvero, sulla base dei principi interpretativi fissati dalla Corte di Giustizia in tema di nozione di rifiuto e richiamati nella sentenza, quegli effluenti che siano stoccati per essere successivamente trattati e smaltiti o in un impianto diverso da quello che li abbia generati oppure da parte di terzi. Presidente E. Lupo, Relatore L. Marini. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 12/11/2007 (Ud. 09/10/2007), Sentenza n. 41582


INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Emissioni operate in conformità delle autorizzazioni amministrative - Integrazione del reato di cui all'art. 674 c.p - Esclusione - Gestore degli impianti e obblighi di ragionevole attivazione - Sussistenza. Le emissioni operate in conformità delle autorizzazioni amministrative non integrano il reato previsto dall'art.674 c.p., in quanto il rispetto della normativa di settore integra una presunzione di legittimità, (Cass., ud. del 10/10/2006, sentenza n.33971, Bortolato). Tuttavia, si è in presenza di presunzione non assoluta, nel senso che anche nel caso di rispetto delle autorizzazioni possono residuare per il gestore degli impianti obblighi di ragionevole attivazione. Cass. Sez. III, dell'11/5-6/6/2007, sentenza n.21814 Pierangeli. Presidente E. Lupo, Relatore L. Marini. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 12/11/2007 (Ud. 09/10/2007), Sentenza n. 41582

INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Emissioni maleodoranti - Art. 674 c.p. e art. 844 c.c. - Excursus giurisprudenziale. Il fatto che l'ordinamento italiano non preveda una specifica disciplina in tema di tollerabilità degli odori, non significa affatto, che le imprese non abbiano alcun obbligo di contenere le emissioni maleodoranti, soprattutto quando esse assumano caratteristiche tali da produrre effettivi e non secondari disagi alle persone. Pertanto, “il reato previsto dalla seconda parte dell'art.674 c.p. (emissioni di gas, di vapori o di fumo) può essere integrato dalle emissioni maleodoranti qualora queste abbiano carattere non momentaneo e siano capaci di provocare un impatto negativo, anche solo a livello psichico, sulle attività lavorative e di relazione delle persone (tra le altre, Sez. III Penale, n. 3678 del 1/12/2005 - 31/01/2006, Giusti, rv 233291). Ciò detto, per le attività produttive occorre distinguere l'ipotesi che siano svolte senza autorizzazione (perché non prevista o perché non richiesta o ottenuta) oppure in conformità alle previste autorizzazioni. Nella prima ipotesi, il contrasto con gli interessi protetti dalla disposizione di legge vanno valutati secondo criteri di "stretta tollerabilità" senza poter fare riferimento alla "normale tollerabilità" delle persone quale si ricava dal contenuto dell'art.844 c.c. (per tutte, Sez. III Penale, sentenza n. 11556 del 21/02-31/03/2006, Davito Bava). Occorre, in altre parole, procedere ad una libera e attenta valutazione delle conseguenze che le emissioni producono sull'area esterna all'azienda e sulle persone che vi abitano o comunque operano. Quando, l'attività produttiva si svolga secondo le prescritte autorizzazioni, si è in presenza di una situazione che può assumere rilevanza penale solo nella ipotesi che si verifichino contrasti con la disciplina vigente (lettura, questa, che dà concreta e puntuale applicazione all'espressione "nei casi non consentiti dalla legge”). In particolare, la giurisprudenza ha fissato il principio interpretativo secondo cui non sussiste rilevanza penale delle emissioni quando esse siano inferiori ai limiti previsti da generali disposizioni normative o dalle autorizzazioni in concreto rilasciate (sentenze Sez. III Penale n.33971 del 21/06-10/10/2006, Bortolotto; n.8299 dell’8/01-9/02/2006, Tortora; n.19898 del 21/04-26/05/2005, Pandolfìni). Al di sotto di tali limiti, dunque, le emissioni non integrano forme di responsabilità penale e possono solo dare corso all'eventuale applicazione della disciplina fissata dal citato art.844 c.c. Ed anche le decisioni che dal mancato superamento dei limiti, fissati non fanno discendere in modo inevitabile la non rilevanza penale della condotta, hanno cura di precisare che la tutela dei diritti delle persone non può spingersi, in presenza di legittime autorizzazioni rilasciate all'impresa, oltre il livello della concreta esigibilità dell'adozione di misure atte a prevenire ed evitare potenziali lesioni o effettive conseguenze dannose. Si sostiene, in altri termini, che una responsabilità può sussistere anche all'interno dei limiti, fissati qualora l'azienda non adotti quegli accorgimenti tecnici ragionevolmente utilizzabili per ulteriormente abbattere l'impatto sulla realtà esterna (si veda Sez. III Penale, sentenza n.38396 del 28/09-24/10/2005, Riva e altri)." Presidente E. Lupo, Relatore L. Marini. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. III, 12/11/2007 (Ud. 09/10/2007), Sentenza n. 41582


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UDIENZA del

SENTENZA N.

REG. GENERALE N.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:


Omissis


ha pronunciato la seguente:


SENTENZA

omissis


RILEVA


I fatti oggetto del presente ricorso concernono assunte violazioni della normativa in materia di rifiuti, nonché l'ipotesi di emissione di fumi e/o polveri connesse all'attività industriale presso la raffineria AGIP PETROLI situata in Gela. I Sigg. SAETTI e FREDIANI sono stati chiamati a rispondere dei reati in quanto direttori dello stabilimento; come in seguito specificato, il Sig. SAETTI ha cessato il proprio incarico il 21 dicembre 2001 ed il Sig. FREDIANI il 16 aprile 2004.


La contestazione iniziale comprendeva:
al capo A) della rubrica, la violazione dell'art.25, comma secondo del d.P.R. 24 maggio 1988, n.203 con riferimento a plurime violazioni delle autorizzazioni regionali concernenti;


¨ A. l - l'impianto "Vacuum"
¨ A.2 - l'impianto "Cracking catalitico"
¨ A.3 - l'impianto di trattamento delle acque
¨ A.4 - le campagne di monitoraggio


al capo B) della rubrica, ripetute violazioni della normativa in materia di rifiuti, in particolare concernenti rifiuti speciali non pericolosi collegati a:


¨ B.1 - la gestione dell'impianto "Cracking catalitico", considerata attività comportante incenerimento ai sensi del D.M. n.503 del 1998
¨ B.2 - la gestione dell'impianto di "Alchilazione" (per cui si è proceduto separatamente)
¨ B.3 - la gestione dell'impianto di trattamento delle acque (T.A.S.), anch'essa comportante incenerimento
¨ B.4 - la gestione dell'impianto "Claus", anch'essa comportante incenerimento


Al capo C) della rubrica, la violazione dell'art. 674 c.p. per avere provocato, mediante le condotte sopra specificate, un inquinamento dell'aria a seguito di emissione fumi e/o polveri.


Fatti contestati dal dicembre 1999 al dicembre 2001, con permanenza.


In esito al giudizio dibattimentale, nel corso del quale si é proceduto a stralcio della contestazione sub B.2 ed è stata ammessa e perfezionata oblazione con riferimento alla contestazione sub A.2, ammessa la costituzione delle parti civili Italia Nostra Onlus e Amici della Terra Onlus, il Tribunale ha:


- ritenuto sussistenti i reati contestati ai capi B.1, B.3 e B.4 e C della rubrica
- dichiarato non doversi procedere per prescrizione nei confronti del Sig.SAETTI in ordine ai capi AA e A.4
- assolto il Sig.SAETT1 e il Sig.FREDIANI dal capo A.3 "perché il fatto non sussiste"
assolto il Sig.FREDIANI dai capi A.1 e A.4 " per non avere commesso il fatto".


Ha quindi condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, il Sig. SAETTI alla pena di euro 36.000,00 di ammenda ed il Sig.FREDIANI alla pena di euro 44.000,00 di ammenda.


Ha condannato altresì gli imputati al risarcimento dei danni e delle spese del processo in favore delle parti civili, danni liquidati equitativamente in euro 15.000,00 ciascuna, nonché al risarcimento del danno ambientale, da liquidarsi in separata sede.


Avverso tale sentenza presentano ricorso per cassazione i Sigg.Saetti e Frediani, con separate impugnazioni redatte dai rispettivi difensori.


Il ricorso del Sig.SAETTI si articola nei seguenti motivi:


con primo motivo si lamenta violazione dell'art.606, lett.b) ed e) c.p.p. in relazione all'art.2 del D.M. Ambiente 19 novembre 1997, n.503, per illogicità e contraddittorietà della motivazione ed erronea applicazione di legge.


Con secondo motivo si lamenta violazione dell'art.606, lett.b) ed e) c.p.p. in relazione agli artt.2 del d.lgs. n.133 del 2005, art3 della Direttiva 200/76 CE, art.8 del d.lgs. n.22 del 1997, 2 del d.lgs. n.152 del 1999, per illogicità della motivazione e violazione dell'art.14 delle preleggi;


Con terzo motivo si lamenta violazione dell'art.606, lett.b) ed e) c.p.p. in relazione all'art.42 c.p., per carenza di motivazione ed errata applicazione della legge penale;


Con quarto motivo si chiede l'applicazione dell'art.234 del Trattato CE con richiesta di interpretazione pregiudiziale;


Con quinto motivo si lamenta violazione dell'art.606, lett.e) c.p.p. in relazione all'art.674 c.p., con richiesta di applicazione dell'art.129 c.p.p.


Con sesto e ultimo motivo si lamenta violazione dell'art.606, lett.b) ed e) c.p.p. in relazione all'art.185 c.p. e art.18 della legge n.349 del 1986 per mancanza della motivazione e violazione di legge. Erroneamente la sentenza riconosce alle parti civili un danno iure proprio che non trova fondamento nel nostro ordinamento.


Il ricorso del Sig. FREDIANI
si articola nei seguenti motivi:


Con primo motivo si lamenta violazione dell'art.606, lett.b) ed e) c.p.p.,in relazione agli artt. 1 e 6 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22 per erronea applicazione di legge e mancanza di motivazione.


Con secondo motivo si lamenta violazione dell'art.606, lett.b) ed e) c.p.p., in relazione agli artt.8, comma 1 del d.lgs. n.22 del 1997 (oggi art.185, comma 1 del d.lgs. n.152 del 2006), artt.l, 3, 6 e 7 d.P.R. 24 maggio 1988, n.203 e disposizioni del D.M. 12 luglio 1990 (linee guida per la qualità dell'aria), per erronea applicazione di legge e mancanza o comunque illogicità e contraddittorietà della motivazione. Inoltre, considerata la lettura che la sentenza impugnata ha dato delle Direttive 75/442 e 91/156 del Consiglio, deducendo da esse la possibilità di qualificare come "rifiuti" anche i prodotti gassosi, il ricorrente chiede prospettarsi alla Corte di Giustizia Europea, ai sensi dell'art.234 del Trattato istitutivo, una pronuncia pregiudiziale sul punto.


Con terzo motivo si lamenta violazione dell'art.606, lett.b) ed e) c.p.p., in relazione all'art.674 c.p., per erronea applicazione della legge penale, mancanza e comunque illogicità e contraddittorietà della motivazione

Con memorie datate 18 e 20 Settembre 2007 le difese dei Sigg.SAETTI e FREDIANI hanno ulteriormente ribadito e precisato le argomentazione esposte nei motivi principali.


OSSERVA


1. Le contestazioni
Con plurimi decreti definitivi dell'Assessorato competente della Regione Sicilia (rispettivamente del 20 gennaio 1999 per l'impianto Cracking; 14 marzo 2002 avente portata generale e contenete indicazioni specifiche per l'impianto T.A.S.; 19 maggio 2003 per l'impianto Claus) lo stabilimento di raffinazione situato in Gela della Soc.AGIP PETROLI è stato autorizzato ad operare mediante il ricorso agli impianti oggetto della contestazione mossa agli odierni ricorrenti. Tali decreti risulterebbero riprodurre pedissequamente le disposizioni contenute nel D.M. Ambiente del 12 Luglio 1990, ed in particolare dell'allegato 3B che concerne l'attività delle raffinerie di oli minerali.


La contestazione mossa ai Sigg. Saetti e Frediani con il decreto di citazione a giudizio del 4 Settembre 2003 si muove lungo tre diverse direzioni: la prima (capo A) è quella di non avere rispettato le prescrizioni contenute nei citati decreti di autorizzazione all'utilizzo degli impianti, ivi compresa la prescrizione relativa all'effettuazione di campagne di monitoraggio; la seconda (capo B) è quella di avere svolto, senza autorizzazione, attività di gestione di rifiuti, ed in particolare attività di incenerimento dei rifiuti gassosi provenienti dalle produzioni effettuate negli impianti di raffinazione; la terza (capo C) è quella di avere, con le condotte che precedono ed in assenza di autorizzazioni per l'immissione di fumi in atmosfera (d.P.R. n.203 del 1998, citato), causato l'inquinamento dell'aria a seguito di riversamento di fumi e/o polveri all'esterno, in ciò coinvolgendo l'abitato di Gela e le zone circostanti.


I Sigg. Saetti e Frediani sono stati tratti a giudizio in quanto direttori pro tempore dello stabilimento, e come tali responsabili del rispetto delle autorizzazioni e dell'osservanza degli obblighi di legge.


Sulla base dei dati esposti in sentenza e non contestati, il Sig.Saetti ha rivestito la carica di direttore dal 15 Dicembre 2000 al 20 Dicembre 2001, mentre il Sig.Frediani lo è stato dal 21 Dicembre 2001 al 16 Aprile 2004.


2. Il dispositivo della sentenza impugnata


Rispetto alle suesposte contestazioni, il Tribunale ha, come sopra ricordato, disposto per:

- la condanna con riferimento ai capi B.1, B.2, B.4 e C della rubrica;
- l'applicazione della prescrizione per il Sig.Saetti e l'assoluzione per il Sig.Frediani in relazione ai capi A.1 e A.4;
- l'assoluzione per entrambi in relazione al capo A.3;


Inoltre, in corso di giudizio vi è stata pronuncia di oblazione in relazione al capo A.2 e la separazione del processo per il capo B.2 in vista di sentenza di patteggiamento (poi pronunciata da altro giudice).


Rispetto alla contestazione iniziale, dunque, residuano a carico dei ricorrenti i reati previsti dai capi B (esclusa l'ipotesi sub B.2) e C.


3. L'impianto industriale


L'impianto di Gela è destinato a raffinare prodotti petroliferi. Si tratta di lavorazione di particolare complessità che richiede una molteplicità di lavorazioni della materia prima che conducono alla separazione (o decomposizione) dei suoi componenti in vista dell'ottenimento di più tipologie di prodotti "raffinati" destinati all'utilizzo industriale e commerciale.


La contestazione e la sentenza si sono concentrati su alcuni aspetti dell'attività di raffinazione:

- l'impianto di "Cracking catalitico" (capo BA), che interviene sulle molecole degli idrocarburi pesanti e che deve essere periodicamente rigenerato mediante la combustione dei residui (coke) ad altissime temperature, con conseguente produzione di anidride carbonica e ossido di carbonio; quest'ultima sostanza è considerata altamente inquinante e prima di essere immessa in atmosfera necessita di un ulteriore trattamento mediante ossidazione per trasformarla in anidride carbonica, e tale trattamento avviene mediante combustione, o postcombustione, all'interno di una caldaia denominata "CO boiler";
- l'impianto di trattamento delle acque di stabilimento, con acronimo T.A.S. (capo B.3), che provvede alla separazione delle acque e degli idrocarburi contenuti nella materia prima; si tratta di processo che origina anche idrocarburi allo stato gassoso che devono essere eliminati, ma hanno potenzialità inquinanti e non possono essere immessi direttamente in atmosfera. Pertanto, tutte le volte in cui nelle vasche del sistema T.A.S. si crea un accumulo di pressione, i gas vengono inviati alla "torcia TECO" al fine di subire un processo di combustione prima di essere immessi in atmosfera.
- l'impianto Claus (capo B.4), che ha lo scopo di desolforizzare i prodotti trattati nella raffineria ed in particolare di trattare la corrente gassosa che proviene dalle attività di raffinazione e risulta ricca di una sostanza altamente inquinante (idrogeno solforato); l'impianto, dunque, trasforma la sostanza inquinante ricavandone zolfo e vapore acqueo che, pur contenendo una limitata parte residuale di idrogeno solforato, può essere immesso in atmosfera.


4. Il reato previsto dal capo B


La questione centrale che residua a carico dei ricorrenti e che costituisce la parte preponderante dei motivi di ricorso è quella che concerne la sussistenza dell'ipotesi di reato contestata al capo B.


4.A - La motivazione della sentenza impugnata


Accogliendo l'impostazione accusatoria, il Tribunale ha considerato provata la sussistenza della violazione prevista dall'art.51, comma secondo del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22. Come si legge a pag.18 della motivazione, tale conclusione si fonda su due presupposti essenziali:

a) che i "reflui" gassosi (capi B.1 e B.3) e le "correnti" gassose (capo B.4) siano da considerare "rifiuti" disciplinati dal citato decreto legislativo;

b) che la loro combustione comporti, nel caso dello stabilimento AGIP, attività di incenerimento di rifiuti ai sensi del D.M. 503 del 1997.


In altri termini, il Tribunale ritiene che i prodotti allo stato gassoso possano essere ricondotti, a seconda delle circostanze, sia alla categoria dei "rifiuti" sia a quella degli effluenti gassosi: nel primo caso sono soggetti alla disciplina prevista dal d.lgs. n.22 del 1997, nel secondo alla disciplina del d.P.R. 24 maggio 1988, n.203. Si versa nella prima ipotesi quando il prodotto viene sottoposto ad un trattamento ai fini dello smaltimento, mentre si versa nella seconda quando il prodotto è destinato ad essere immesso direttamente in atmosfera.


Tale distinzione, afferma il Tribunale, è in tutto simile sul piano concettuale e giuridico a quella che si applica ai prodotti liquidi che provengono da attività industriale; qualora sottoposti a trattamento, infatti, vanno qualificati come "rifiuti" e trovano disciplina nel d.lgs. n.22 del 1997, mentre risultano disciplinati dal d.lgs. n.152 del 1999 quando vengono riversati direttamente nel corpo ricettore e considerati "acque di scarico" (principi questi chiaramente affermati sia dalla sentenza n.173 del 20 Giugno 1998 della Corte Costituzionale sia dalla decisione n. 12310 del 1995 delle Sezioni Unite Penali di questa Corte).


In materia di prodotti gassosi, il Tribunale richiama come fondamentale la sentenza della Terza Sezione Penale di questa Corte n. 494 del 19 Marzo 1999, Lago, secondo cui (in linea con precedente decisione n.2208 del 7 dicembre 1992, Fava e altri) sia la normativa nazionale sia quella comunitaria in tema di inquinamento atmosferico non fanno venire meno l'applicabilità della normativa in terna di rifiuti: la scelta dei legislatori è stata, infatti, quella di favorire una "tutela integrata dell'ambiente" ai fini di un rafforzamento della sua protezione. Ne consegue che un impianto industriale deve ottenere le autorizzazioni previste dal d.P.R. 24 maggio 1988, n.203 e rispettare i limiti di emissione in esso fissati, e nello stesso tempo ottenere le autorizzazioni per la trattazione dei rifiuti gassosi nel rispetto dei principi e delle regole fissati dagli artt.2 e 28 del d.lgs. n.22 del 1997.


Il Tribunale ritiene che tale impostazione trovi una importante conferma non solo in una lettura coordinata delle Direttive 91/156/CEE, 91/689/CEE e 94/62/CE (in terna di rifiuti), 80/779/CEE, 82/884/CEE, 84/360/CEE e 85/203/CEE (in tema di inquinamento atmosferico), 91/271/CEE e 91/676/CEE (in materia di acque), ma anche nei fondamentali principi espressi nella sentenza della Corte di Giustizia, Sesta Sezione, del 18 aprile 2002 nel proc. C-9/00, Palin Granit Oy. Tale decisione, individua nei principi di "precauzione" e "azione preventiva" i capisaldi della politica comunitaria in materia di ambiente e di salute, con la conseguenza che il concetto di "rifiuto" non può trovare applicazioni restrittive che contrastino con le finalità della Direttiva 75/442.
In tale prospettiva deve leggersi, secondo il Tribunale, il contenuto di altre decisioni della Corte di Giustizia. Innanzitutto la sentenza Tombesi e altri del 25 giugno 1997 nelle cause riunite C-304/94 e altre, secondo cui neppure il riciclo o il recupero di una sostanza fa venire meno la sua natura di rifiuto. Quindi la sentenza Arco Chemie Nederland del 15 Giugno 2000 nelle cause riunite C-418/97 e C-419/97, che, dopo avere ribadito il divieto di dare interpretazioni restrittive del concetto di rifiuto, afferma che "il fatto che una sostanza sia un sottoprodotto (un residuo) di un processo di produzione imperniato sull'ottenimento di un altro prodotto costituisce un'indicazione della possibilità che si tratti di un rifiuto ai sensi della direttiva (75/442) ... Una sostanza perderebbe le caratteristiche di rifiuto unicamente se sia stata oggetto di un'operazione di recupero completo ai sensi dell'allegato II B della direttiva , cioè se possa essere trattata nello stesso modo di una materia prima ovvero, come nel caso di specie, se il potenziale materiale o energetico del rifiuto è stato utilizzato nella combustione".


Tali conclusioni, secondo il Tribunale, non vengono messe in discussione dalla disciplina comunitaria (direttiva 2000/76/CE) e nazionale (d.lgs. 11 maggio 2005, n.133) in tema di impianti di incenerimento e coincenerimento: si tratta di normativa di settore che non può modificare i principi generali in materia di rifiuti. Il fatto che la normativa di settore contempli, per le attività di incenerimento, solo i rifiuti solidi e liquidi (art.3 della citata Direttiva e art.1, comma 1 del citato decreto legislativo) non esclude che in via generale assumano natura di rifiuto anche le sostanze gassose.


Sulla base di tale ricostruzione normativa, il Tribunale ritiene che i processi di combustione o postcombustione dei residui gassosi derivanti dall'attività di raffinazione costituiscano "un'attività di smaltimento di un rifiuto gassoso derivante da ciclo industriale, che come tale doveva essere autorizzata ai sensi dell'art.28 del d.lvo 22/97".


Ciò vale per la combustione nella caldaia del CO boiler (capo B.1 in relazione all'impianto di Cracking catalitico), ove avviene un'operazione di incenerimento disciplinata dal D.M. 19 novembre 1997, n.503 ("rifiuti speciali non pericolosi") nella parte in cui, all'art.2, include "le apparecchiature di trattamento dei gas". Vale altresì per la torcia TECO (capo B.3), che, indipendentemente dalla natura di strumento di sicurezza (che il Tribunale esclude alla luce della sua funzionalità del tutto ordinaria), rappresenta un impianto di trattamento e incenerimento dei gas. Vale, infine, per l'impianto Claus (capo B.4), che trasforma in zolfo e vapore acqueo la corrente gassosa proveniente dalle attività di raffinazione e contenente idrogeno solforato, altamente inquinante.


Conclude il Tribunale che i tre impianti, pur necessari al regolare funzionamento della raffineria e dei suoi processi, "non fanno parte integrante del processo di raffinazione" (pag.38 della motivazione) e vanno considerati come impianti destinati al trattamento di rifiuti gassosi.


4.B - I motivi di ricorso


Pur con prospettazioni non del tutto coincidenti, i ricorrenti contestano in radice la ricostruzione dei presupposti in fatto e l'interpretazione del dato normativo operate dal Tribunale.


Sostengono, infatti, che le autorizzazioni rilasciate alla soc.AGIP coprono completamente le attività svolte dagli impianti contemplati nei capi B.1, B.3 e B.4, e ciò in quanto prevedono le modalità di trattamento dei flussi gassosi e le successive emissioni. Sostengono, poi, che è del tutto infondata la qualificazione dei flussi gassosi quali "rifiuti". La conseguenza di tale impostazione è che mancherebbero del tutto i presupposti in fatto e in diritto per l'affermazione della responsabilità penale dei direttori dello stabilimento.


Secondo i ricorrenti si sarebbe in presenza di "emissioni gassose" disciplinate dal D.M. 12 Luglio 1990 (in particolare dall'allegato 3B relativo alle raffinerie di oli minerali), ed in modo del tutto conforme dalle tre autorizzazioni regionali: nessuna violazione, dunque, sarebbe sotto tale profilo a loro addebitabile.


Quanto alla nozione di "rifiuto", la posizione dei ricorrenti può essere sintetizzata nei termini che seguono:
- la fondamentale Direttiva 75/442/CEE definisce (art. 1, lett.A) i "rifiuti" come gli oggetti e le sostanze "di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi" e rientranti nell'allegato allegato che comprende quello che viene definito comunemente come il "catalogo europeo dei rifiuti", o CER. Tale catalogo costituisce punto di riferimento anche per la disciplina nazionale, ed in particolare per l'allegato A richiamato dall'art.6 del d.lgs. n.22 del 1997;
- l'art.8, collima primo del d.lgs. n.22 del 1997 a sua volta non include le sostanze gassose o aeriformi tra i rifiuti oggetto della disciplina;
- gli allegati alla Direttiva comunitaria e al d.lgs. n.22 del 1997 non ricomprendono sostanze gassose o aeriformi, con l'unica eccezione dei gas industriali che, soli o uniti a sostanze chimiche, sono posti in contenitori o in contenitori a pressione;
- la lett.a) dell'art.185 del d.lgs. n.152 del 2006 si pone in linea con al normativa citata, ed anzi per gli effluenti gassosi rinvia all'art.183, comma 1, lett.z) del medesimo decreto, che parla di "qualsiasi sostanza gassosa introdotta nell'atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico" e che debba, pertanto, essere trattata attraverso la termodistruzione o la postcombustione;
- l'art.2 del D.M. 25 febbraio 2000, n.124 in tema di impianti di incenerimento opera un riferimento esclusivamente ai "rifiuti solidi o liquidi" inclusi nell'allegato D al d.lgs. n.22 del 1997 (e successive modifiche);
- l'art.3 della direttiva 2000/76/CE del Consiglio e del Parlamento in data 4 Dicembre 2000 e l'art.2 del d.lgs. di attuazione 11 maggio 2005, n.113 (in tema di incenerimento dei rifiuti) richiamano esclusivamente i "rifiuti solidi o liquidi";
- sempre in tema di incenerimento di rifiuti, l'allegato 1, lett.B del D.M. 25 febbraio 2000, n.124 prevede diversi livelli di concentrazione negli effluenti gassosi in relazione alla qualità, solida o liquida, del rifiuto che affluisce all'inceneritore, mentre non considera in alcun modo l'eventualità di rifiuti gassosi;
- tutta la normativa fin qui citata dimostrerebbe, secondo i ricorrenti, che gli effluenti gassosi potenzialmente inquinanti sono sottoposti alla specifica normativa posta a tutela della qualità dell'aria;
- in linea con questa normativa, dunque, gli impianti interni alla raffineria provvedono a trattare gli effluenti gassosi in modo da procedere all'emissione in atmosfera di residui aeriformi compatibili con le previsioni normative (si vedano il d.P.R. n.203 del 1988 ed il D.M. 12 Luglio 1990, nonché la legge 6 maggio 2002, n.82 per l'impianto Claus) e con le autorizzazioni, così che nessuna ulteriore autorizzazione era necessaria;


In Sintesi (pag.12 ricorso Frediani), l'esclusione dei gas prodotti all'interno dell'impianto AGIP dall'ambito di applicazione dell'art.51 del d.lgs. n.22 del 1997 (capo B della rubrica) emergerebbe da tre circostanze principali:


a) in via generale, l'esclusione formulata dall' art.8, comma primo del d.lgs. n.22 del 1997 (e dall'art.185, lett.A del d.lgs. n. 152 del 3 aprile 2006) dei gas dal novero dei "rifiuti";
b) l'appartenenza dei flussi gassosi (impianti di cracking e Claus) alle attività di processo;
c) l'appartenenza della torcia TECO alle apparecchiature di sicurezza.



4.0 - Le valutazioni della Corte


1. La sentenza del Tribunale di Gela esamina e affronta in modo approfondito e tecnicamente pregevole un aspetto di grande delicatezza legato alle attività di grandi impianti industriali che trattano a mezzo di specifici impianti le sostanze gassose frutto della lavorazione prima che esse vengano immesse in atmosfera. Tuttavia, le conclusioni cui il Tribunale giunge si fondano su una interpretazione delle disposizioni di legge che la Corte non condivide per le ragioni che saranno di seguito esposte.


2. Va premesso che questo Collegio ritiene in via generale di uniformarsi ai principi che la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha nel tempo affermato e che sono stati ampiamente citati nella motivazione della sentenza impugnata; il riferimento è ai principi che impongono ai Paesi membri, ed alle loro istituzioni, l'obbligo di prevenire i pericoli di danno all'ambiente ed all'uomo e che, in modo del tutto coerente, fanno divieto di interpretare in modo restrittivo il concetto di "rifiuto".


Ciò nondimeno, deve osservarsi che la disciplina nazionale, contenuta soprattutto nei decreti legislativi n.22 del 1997 e n.152 del 2006, opera in attuazione delle direttive e della piu' ampia normativa comunitaria, e che soltanto su alcune delle relative disposizioni sembrano porsi dubbi di perfetta coerenza con i principi fissati in quella sede.


In particolare, sia gli articoli 6 e 8 del d.lgs. n.22 del 1997 sia gli articoli 185 e 183 del d.lgs. n.152 del 2006 contengono definizioni e indicazioni circa la nozione e la portata del concetto di "rifiuto" che hanno caratteristiche (v. supra) di coincidenza con quanto previsto dalla normativa comunitaria.


3. Ciò detto, la Corte considera centrale, sebbene in sé non esaustiva, la circostanza che il d.P.R. 24 maggio 1988, n.203 si occupi espressamente ed in modo sistematico di "emissioni" aeriformi che assumono rilievo in quanto possono "causare inquinamento atmosferico". Si è in presenza di una disciplina di settore che ha caratteristiche di organicità e che mira a ridurre al massimo per le attività produttive le immissioni in atmosfera di sostanze che comportano rischi per l'ambiente e per l'uomo; essa ha, dunque, ad oggetto i medesimi beni di rilievo costituzionale che sono posti a fondamento proprio della normativa in tema di rifiuti. Questa circostanza da sola non impedisce, ovviamente, che possa sussistere in linea teorica una concorrenza della normativa sulle emissioni con quella in terna di rifiuti, ma impone al giudicante una particolare attenzione in sede interpretativa, dovendosi individuare l'area di tutela che esulerebbe dalla normativa di settore (emissioni) e ricadrebbe all'interno della disciplina sui rifiuti.


Uno specifico rilievo sul piano ermeneutico deve essere attribuito, a parere della Corte, anche alla circostanza che in sede comunitaria, come si è accennato, è stata emanata una disciplina apposita delle emissioni in atmosfera, diversa e separata da quella in tema di rifiuti.


4. Venendo, sulla base di queste premesse, ad una prima interpretazione del dato normativo, la Corte ritiene condivisibile l'accentuazione posta dai ricorrenti sulla circostanza che entrambi i decreti legislativi citati in precedenza (n.22 del 1997 e n.152 del 2006) operino una dichiarata esclusione delle emissioni gassose dall'ambito di operatività della disciplina sui rifiuti. Così come deve attentamente valutarsi la circostanza che il d.lgs. n.152, il così detto T.U. sull'ambiente, ha raccolto nella sua parte quinta (art.267 e ss.) le disposizioni in tema di emissioni che formavano oggetto del citato d.P.R. 24 maggio 1988, n.203


5. Procedendo ad un sintetico esame della disciplina ora citata, la Corte osserva:
A) Gli articoli 6 e 8 del d.lgs.n.22 del 1997 delimitano il campo di applicazione della disciplina sui rifiuti. L'art.6 (definizioni), recependo quasi letteralmente l'art.2 della Direttiva 91/156 CEE, alla lett.a) precisa che deve intendersi per "rifiuto: qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi". A fronte di una definizione tanto ampia, il successivo articolo 8 precisa che "sono esclusi dal campo di applicazione del presente decreto gli effluenti gassosi emessi nell'atmosfera, nonché, in quanto disciplinati da specifiche disposizioni di legge: a) i rifiuti radioattivi; ... e) le acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato liquido.... ".


Dalla lettura coordinata di queste disposizioni possono trarsi alcune conclusioni.


La prima: all'ampiezza della definizione di "rifiuto" di cui all'art.6 non può che corrispondere un'altrettanto ampia e radicale esclusione degli effluenti gassosi.


La seconda: mentre per gli effluenti gassosi l'esclusione è totale e di portata generale, per altre sostanze, quali le acque, essa opera (si veda la congiunzione "nonché") solo quando esista una specifica disciplina, che, evidentemente, per gli effluenti è considerata dalla norma come già esistente e assorbente.


La terza: a differenza degli effluenti gassosi, la lett.e) espressamente prevede che anche i liquidi possano essere ricompresi nell'ambito dei "rifiuti" allorché si tratta di "acque reflue"; a proposito di tale distinzione si rinvia al d.lgs. n.152 del 1999 ed alla giurisprudenza che si è formata in materia.


La quarta: tale ultima esplicita differenza mette in crisi il parallelo tra rifiuti gassosi e rifiuti liquidi, su cui si fonda la motivazione della sentenza impugnata. Sul punto merita aggiungere la considerazione che secondo il citato d.lgs. n.152 del 1999 i liquidi direttamente immessi nei corpi recettori non possono essere considerati, come "rifiuto", ancorché contengano particelle inquinanti e siano stati sottoposti a trattamento preventivo. Se ciò è vero, sembra doversi concludere che la disciplina sulle acque, contrariamente a quanto assunto dalla sentenza impugnata, conforta la lettura che esclude dall'ambito dei rifiuti gli effluenti immessi direttamente nell'atmosfera ancorché contengano particelle inquinanti e siano stati sottoposti a trattamento preventivo.


B) Il recente "Testo unico" sull'ambiente, il d.lgs. n.152 del 2006, consente indicazioni altrettanto preziose e del medesimo segno. Non solo presenta una netta distinzione sistematica fra i "rifiuti", disciplinati dalla Parte quarta, e le "emissioni", regolate dalla Parte quinta, ma nella definizione del concetto di rifiuti chiarisce e rafforza tale distinzione.


Dopo avere riportato alla lett.a) dell'art.183 una definizione di "rifiuto" che ricalca quella del citato art.6 d.lgs. n.22 del 1997, nel successivo art.185, che definisce l'ambito di applicazione del decreto, vengono riprodotti i principi già fissati dal citato art.8 del d.lgs. n.22 del 1997, ed in particolare il primo comma dell'art.185 recita:
"1. Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto:
a) le emissioni costituite da effluenti gassosi emessi nell'atmosfera di cui all'articolo 183, comma 1, lettera z);
b) gli scarichi idrici, esclusi i rifiuti liquidi costituiti da acque reflue;
c) ...
A sua volta, la lettera z) dell' art.183 recita:
"z) emissioni: qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell'atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico; ".


Ritiene la Corte che la struttura del d.lgs. n.152/2006 e il complesso delle disposizioni ora richiamate confermino le conclusioni cui si è giunti con riferimento al d.lgs. n.22/1997.


Del resto, a conferma della fondatezza della diversa disciplina degli effluenti gassosi, sembra evidente a questo Collegio che la immissione in atmosfera dei fumi e delle polveri che derivano dal ciclo produttivo presenta caratteristiche diverse dalla gestione e dallo smaltimento dei rifiuti, cioè dai residui liquidi o solidi della trasformazione della materia prima e delle sostanze utilizzate nel corso dell'attività produttiva.


C) Di analogo segno sono le conclusioni che possono trarsi dall'esame delle disposizioni in materia di impianti di incenerimento e coincenerimento di rifiuti previsti dalla disciplina comunitaria (direttiva 2000/76/CE) e nazionale (d.lgs. 11 maggio 2005, n.133). E' ben vero che, come ricordato dal Tribunale di Gela, si tratta di normativa di settore, ma è indubbio che si tratta di normativa che disciplina proprio quell'attività di combustione e incenerimento che lo stesso Tribunale prende in esame con riferimento agli impianti presi in esame ai capi B.1, B.3 e B.4 della rubrica.


Ebbene, come la stessa sentenza impugnata ricorda, la disciplina in tema di inceneritori contempla esclusivamente il trattamento dei "rifiuti solidi e liquidi". Ancora una volta resta escluso dalla norma il trattamento degli effluenti gassosi.


6. Ciò non toglie, a parere della Corte, che in via generale l'attività produttiva possa dare origine anche a "rifiuti" allo stato gassoso, cioè a sostanze aeriformi che debbono essere stoccate e quindi trattate in vista dei opportune forme di smaltimento. In tal senso depone la circostanza che gli allegati alla Direttiva 75/442/CEE ed al D.lgs. n.22 del 1997 ed il così detto "catalogo europeo" dei rifiuti contemplino sostanze gassose, ma ciò avviene solo con riferimento a quelle sostanze gassose che, sole o con sostanze liquide, sono immagazzinate all'interno di contenitori. In altri termini ed a titolo di esempio, a parere della Corte un accumulo di bombole da riscaldamento che ancora contengono gas e siano destinate ad essere smaltite possono certamente considerarsi come contenitori di un "rifiuto" ancorché allo stato gassoso.


Pur non essendo espressamente previsto dalle norme richiamate, potrebbe ragionevolmente giungersi ad analoga conclusione, applicando i ricordati principi interpretativi fissati dalla Corte di Giustizia, nella ipotesi che nel corso del processo produttivo si originino gas che vengono accantonati per essere successivamente trattati e smaltiti, in parallelo rispetto alle originarie autorizzazioni sulle emissioni, in un impianto diverso oppure da parte di terzi. Si tratta di interpretazione che presenta qualche possibilità di conflitto col generale divieto di analogia in malam partem, ma che potrebbe trovare fondamento proprio nell'altrettanto generale divieto di fornire una lettura restrittiva del concetto di "rifiuto". Una possibile conferma della natura di rifiuto dei gas trattati separatamente è rinvenibile nella previsione di un impianto di postcombustione "indipendente" contenuto nell'allegato 2.1 del D.M. 12 Settembre 1990 (v. infra al punto 10).


7. Pur con diversa motivazione, è su questa possibilità "intermedia" che ha appuntato la propria attenzione la contestazione mossa ai ricorrenti ed accolta dal giudice: la combustione dei gas nella fase successiva alla loro formazione ma anteriore alla fase finale di immissione in atmosfera avrebbe le caratteristiche proprie del trattamento (per cui non vi è stata, da parte dell'AGIP e dei ricorrenti, richiesta di autorizzazione) di rifiuti gassosi.


La Corte non intende affrontare i temi legati alla ricostruzione fattuale dei processi di lavorazione in atto all'interno della raffineria. Si tratta di questione sottratta al giudice di legittimità: essa attiene alla valutazione del materiale probatorio ed è stata affrontata dalla motivazione in maniera per la gran parte coincidente con quella prospettata dai ricorrenti e, comunque, scevra da vizi logici o contraddizioni. Sul punto si rinvia alla sentenza della Seconda Sezione Penale della Corte, 5 maggio-7 giungo 2006, n.19584, Capri ed altra (rv 233773, rv 233774, rv 233775) e alla sentenza della Sesta Sezione Penale, 24 marzo-20 aprile 2006, n.14054, Strazzanti (rv 233454), che confermano e attualizzano i principi fissati in tema di limiti del sindacato di legittimità dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite Penali fin dalla sentenza n.2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini (rv 203767).


8. Spetta, invece, alla Corte valutare se il Tribunale abbia correttamente applicato a tale ricostruzione i principi di diritto sopra illustrati in tema di rapporto fra la normativa in tema di rifiuti e quella in tema di emissioni.


Ora, sembra alla Corte di poter affermare, seguendo la ricostruzione operata dal Tribunale, che il processo produttivo in senso stretto (e cioè la progressiva raffinazione di diversi prodotti petroliferi "leggeri" partendo dalla più "pesante" materia prima lavorata) e i processi termici necessari alla qualità degli strumenti produttivi (come la combustione del coke generato sulle grate utilizzate dall'impianto Cracking catalitico) causano la formazione di gas che deve essere eliminato mediante immissione in atmosfera. Sempre secondo la ricostruzione del Tribunale, tali gas presentano impurità e contengono sostanze che sono molto pericolose per la qualità dell'aria e la salvaguardia dell'ambiente, con la conseguenza che le normative vigenti in tema raffinerie (si veda l D.M.12 Luglio 1990, infra, punto 10 e seguenti) e le autorizzazioni all'attività della raffineria di Gela impongono il passaggio dei gas attraverso processi ulteriori di combustione al fine di separare le sostanze inquinanti e immettere in atmosfera sostanze aeriformi quanto piu' possibile "pulite".


E' a questo punto che si pone il problema interpretativo che la sentenza impugnata ha risolto nel senso di ravvisare in queste attività intermedie delle fasi essenziali al funzionamento degli impianti, ma non all'attività tipica dello stabilimento (la raffinazione del greggio) e, dunque, attività che servono a smaltire i rifiuti gassosi che vengono prodotti dall'attività tipica.


9. La Corte non condivide l'impostazione e le soluzioni adottate sul punto dal Tribunale di Gela. Appare evidente che i residui solidi della raffinazione (ad esempio il coke), oppure i residui solidi delle attività di postcombustione (ad esempio lo zolfo) assumono le caratteristiche proprie del "rifiuto" se non reimpiegati integralmente nel ciclo produttivo, ad esempio, per generare energia, oppure se non trattati e ceduti come prodotto commerciale (e ciò può valere per lo zolfo) oppure affidati a terzi a fini di successivo smaltimento. Lo stesso potrebbe dirsi per i liquidi eventualmente residuanti al termine del ciclo produttivo, siano essi l'acqua di lavaggio o eventuali scarti di lavorazioni non ulteriormente impiegati.


La medesima logica non risulta, invece, applicabile ai gas presi in esame dalla sentenza. Quei gas sono stati considerati dalle autorizzazioni regionali, in conformità con la normativa comunitaria e nazionale in vigore, proprio perché potenzialmente inquinanti, e come tali, sono stati fatti oggetto di prescrizioni volte a ridurre le impurità e le sostanze inquinanti in essi contenute, in modo da rendere l'immissione in atmosfera compatibile con la disciplina citata.


10. A tale proposito la Corte osserva che il fondamentale D.M. 12 Luglio 1990, che contiene le linee guida in tema di emissioni nell'atmosfera procurate da impianti industriali, prevede disposizioni specifiche con riferimento:


1) in via generale (impianti di combustione con potenza termica inferiore a 50 MW):
- agli impianti di postcombustione, destinati a depurare gli scarichi gassosi, purchè non gestito come impianto indipendente (Allegato 2, punto 1);
- ai dispositivi di rigenerazione dei catalizzatori di cracking catalitico (c.s.)
- agli impianti Claus per la produzione di zolfo (punto 30)


2) con riferimento alle raffinerie di olii minerali (A11.3 B ss.):
- alle emissioni inquinanti provenienti da raffinerie autorizzate (punto 1)
- alla disciplina dei singoli "punti di emissione, ciascuno dei quali, indipendentemente dal processo che vi si svolge, va valutato individualmente con riferimento ad alcuni dei valori massimi (punto 8)

- agli impianti Claus (presenza di postcombustione; conversione operativa dello zolfo; valori di emissione e di conversione - punto 9)
- agli inceneritori (punto 10)
- ai valori di emissione negli impianti di combustione (punto C.3)
- ai sistemi di stoccaggio e gestione dei gas mediante raccolta e postcombustione (punto D.1)

- alla raccolta e convogliamento degli effluenti gassosi al fine di essere rimessi nel processo, oppure combusti ai fini del processo o, in ultima ipotesi, inviati ad un bruciatore a torcia (punto D.2)

- alla gestione dei gas nelle apparecchiature di riduzione della pressione, destinati ad essere raccolti e trattati come al punto che precede (punto D.3)
- alla destinazione alla postcombustione dei gas "derivanti dai processi, dalla rigenerazione catalizzatori, dalle ispezioni, dalle operazioni di pulizia" (punto D.4)


11. Come risulta evidente da questo sintetico elenco, la disciplina delle emissioni prodotte dagli impianti di raffinazione di olii minerali si occupa in dettaglio sia degli impianti Claus, sia dei bruciatori a torcia, sia degli altri impianti di postcombustione e di incenerimento. E non solo, perché risulta evidente che la medesima disciplina si occupa anche dei sistemi di stoccaggio e di raccolta dei gas e dei sistemi di riduzione della pressione (cioè il sistema T.A.S.): il che significa che, ai sensi dell'allegato 3.B, la disciplina in tema di emissioni delle raffinerie di olii minerali si dirige espressamente anche ai gas temporaneamente raccolti e stoccati all'interno dell'impianto in attesa del successivo trattamento diretto. Ciò impedisce, per quanto detto in precedenza, che quei gas possano essere ricondotti al concetto di "rifiuto".


12. Inoltre, va escluso, e del resto tale sembra essere la valutazione del Tribunale nella prima parte della decisione, che l'attività produttiva presso la raffineria di Gela mancasse delle autorizzazioni prescritte per le attività che provocano emissioni in atmosfera, oppure abbia operato in violazione delle stesse. Al contrario, la stessa sentenza pare affermare che la gestione degli impianti di trattamento dei gas è stata effettuata senza distaccarsi dalle previsioni e senza superare i valori contenuti nelle autorizzazioni rilasciate dalla Regione Sicilia. A tal proposito, infine, non emergono dalla sentenza impugnata elementi che lascino pensare che tali autorizzazioni siano state rilasciate in contrasto con la normativa vigente.


13. Per quanto fin qui esposto la Corte conclude che i motivi di ricorso relativi al capo B) della rubrica debbono essere accolti e la sentenza annullata senza rinvio perché il fatto come contestato "non sussiste".


14. Tutto ciò premesso, la Corte ritiene di poter affermare il seguente principio: gli effluenti gassosi destinati ad essere immessi nell'atmosfera, direttamente o previa combustione, al termine di attività produttive non costituiscono "rifiuto"; ad essi si applica la disciplina specificamente prevista dalla Parte quinta del decreto legislativo n.152 del 2006, che ha incluso quella anteriormente contenuta nel d.P.R. 24 maggio 1988, n.203. Possono costituire "rifiuto" le sostanze gassose qualora ai fini dello smaltimento siano immesse, da sole o insieme ad altra sostanza, in contenitori, oppure quegli effluenti gassosi che vengono stoccati e quindi smaltiti a mezzo di impianto "indipendente" rispetto a quello ove sono stati generati nel corso di attività produttiva.


5. Il reato previsto dall'art.674 c.p. (capo C)


5.A - La sentenza del Tribunale


La contestazione mossaci ricorrenti con riferimento alla contravvenzione prevista dall'art.674 c.p. è quelle di avere, operando senza le prescritte autorizzazioni ai sensi "della legge n.203 del 1988" oppure in difformità da esse, e comunque tramite le condotte contestate ai capi A e B, causato attraverso l'emissione di fumi e/o polveri un inquinamento dell'aria che ha interessato l'abitato di Gela e le zone limitrofe.


Il Tribunale, dato atto delle diverse soluzioni che la giurisprudenza ha dato ai problemi interpretativi posti dalla norma, ha ritenuto di accogliere l'impostazione secondo cui anche in presenza di autorizzazioni amministrative un'attività produttiva può dare causa a emissioni moleste e tali da integrare il reato contestato allorché le emissioni superino la "normale tollerabilità" e risultino idonee ad arrecare offesa al bene tutelato; il Tribunale ha altresì condiviso la posizione che considera il reato in esame come reato di pericolo presunto e prescinde dalla verifica di specifici effetti negativi sulla salute delle persone o sulla qualità dell'ambiente.


Muovendo da tali valutazioni interpretative, la motivazione della sentenza impugnata passa all'esame del materiale probatorio in atti e conclude che l'impianto industriale ha emesso polveri e gas dall'odore nauseabondo che hanno causato nausea, vomito, giramenti di testa, bruciori agli occhi e alla gola, difficoltà respiratorie. Tali circostanze hanno portato a segnalazioni alle autorità e a plurimi interventi dei Carabinieri e dei tecnici della Provincia. La motivazione illustra quindi le ragioni per cui tale situazione di fatto può con certezza essere ricondotta alle attività della raffineria, e in particolare ai sistemi T.A.S. ed alla torcia, in costanza di direzione dello stabilimento da parte dei due ricorrenti. Il fatto che costoro, inevitabilmente edotti delle molestie arrecate dagli scarichi nell'atmosfera, non si siano attivati per eliminarne le conseguenze, rappresenta a parere del Tribunale un elemento di responsabilità sotto il profilo del dolo eventuale.


5.B - Le valutazioni della Corte


La Corte rileva che per quanto esposto con riferimento al reato previsto dal capo B) deve escludersi che la raffineria AGIP di Gela operasse in assenza delle prescritte autorizzazioni concernenti le emissioni nell'atmosfera; parimenti deve escludersi che la raffineria abbia superato i livelli prescritti. Ciò porta a concludere che sul piano della regolarità amministrativa va esclusa l'ipotesi che gli odierni ricorrenti operassero "nei casi non consentiti dalla legge".


Ciò detto, questa Corte ritiene di non condividere l'impostazione della sentenza impugnata, che collega la sussistenza della contestazione sub C), da un lato, alla violazione della normativa in tema di rifiuti (pag.46 della motivazione), violazione che, come si è visto deve ritenersi non sussistente, e, dall'altro, alla considerazione che, indipendentemente da tali violazioni, anche un'attività autorizzata e svolta "legalmente" può integrare il reato in esame quando superi il livello di "normale tollerabilità" previsto dall'art.844 del codice civile.


A questo proposito, sembra necessario approfondire la questione centrale posta dalla sentenza impugnata, e fermamente contestata dai ricorrenti, e cioè la questione se la persona che gestisce un opificio autorizzato e mantenga le emissioni all'interno dei limiti previsti dall'autorizzazione possa comunque offendere il bene protetto dall'art.674 c.p. e rispondere penalmente per non essersi attivato al fine di eliminare gli effetti molesti collegabili all'attività produttiva.


Sul punto questa Sezione della Corte ha avuto modo di pronunciarsi recentemente.

Con sentenza n.33971, Bortolato, emessa a seguito dell'udienza del 10 Ottobre 2006, è stato affermato il principio che le emissioni operate in conformità delle autorizzazioni amministrative non integrano il reato previsto dall'art.674 c.p., in quanto il rispetto della normativa di settore integra una presunzione di legittimità.


Con la sentenza n.21814 dell'11 maggio-6 giugno 2007, Pierangeli (rv 236682), questa Sezione, nel ribadire dette conclusioni, ha peraltro affermato il principio che si è in presenza di presunzione non assoluta, nel senso che anche nel caso di rispetto delle autorizzazioni possono residuare per il gestore degli impianti obblighi di ragionevole attivazione. Si legge in motivazione:
"...
3. In sostanza, si rileva come la giurisprudenza abbia fissato il principio secondo il quale il reato previsto dalla seconda parte dell'art.674 c.p. (emissioni di gas, di vapori o di fumo) può essere integrato dalle emissioni maleodoranti qualora queste abbiano carattere non momentaneo e siano capaci di provocare un impatto negativo, anche solo a livello psichico, sulle attività lavorative e di relazione delle persone (tra le altre, Sezione. Terza Penale, n. 3678 del 1° dicembre 2005-31 gennaio 2006, Giusti, rv 233291).
Ciò detto, per le attività produttive occorre distinguere l'ipotesi che siano svolte senza autorizzazione (perché non prevista o perché non richiesta o ottenuta) oppure in conformità alle previste autorizzazioni. Nella prima ipotesi, il contrasto con gli interessi protetti dalla disposizione di legge vanno valutati secondo criteri di "stretta tollerabilità" senza poter fare riferimento alla "normale tollerabilità" delle persone quale si ricava dal contenuto dell 'art.844 c.c. (per tutte, Sezione Terza Penale, sentenza n.11556 del 21 febbraio-31 marzo 2006, Davito Bava, rv 233565). Occorre, in altre parole, procedere ad una libera e attenta valutazione delle conseguenze che le emissioni producono sull'area esterna all'azienda e sulle persone che vi abitano o comunque operano.
4. Quanto, invece, l'attività produttiva si svolga secondo le prescritte autorizzazioni, si è in presenza di una situazione che può assumere rilevanza penale solo nella ipotesi che si verifichino contrasti con la disciplina vigente (lettura, questa, che dà concreta e puntuale applicazione all'espressione "nei casi non consentiti dalla legge '). In particolare, la giurisprudenza ha fissato il principio interpretativo secondo cui non sussiste rilevanza penale delle emissioni quando esse siano inferiori ai limiti previsti da generali disposizioni normative o dalle autorizzazioni in concreto rilasciate (sentenze della Terza Sezione Penale n.33971 del 21 giugno-10 ottobre 2006, Bortolotto, rv 235056; n.8299 dell'8 gennaio-9 febbraio 2006, Tortora, rv 233562; n.19898 del 21 aprile-26 maggio 2005, Pandolfìni, rv 231651). Al di sotto di tali limiti, dunque, le emissioni non integrano forme di responsabilità penale e possono solo dare corso all'eventuale applicazione della disciplina fissata dal citato art.844 c.c.
Ed anche le decisioni che dal mancato superamento dei limiti, fissati non fanno discendere in modo inevitabile la non rilevanza penale della condotta, hanno cura di precisare che la tutela dei diritti delle persone non può spingersi, in presenza di legittime autorizzazioni rilasciate all'impresa, oltre il livello della concreta esigibilità dell 'adozione di misure atte a prevenire ed evitare potenziali lesioni o effettive conseguenze dannose. Si sostiene, in altri termini, che una responsabilità può sussistere anche all'interno dei limiti ,fissati qualora l'azienda non adotti quegli accorgimenti tecnici ragionevolmente utilizzabili per ulteriormente abbattere l'impatto sulla realtà esterna (si veda Sezione Terza Penale, sentenza n.38396 del 28 settembre-24 ottobre 2005, Riva e altri, rv 232359)."


L'applicazione di tali principi, che la Corte condivide, impone di concludere che nessuna rilevanza penale ai sensi dell'art.674 c.p. può essere attribuita alle emissioni, se contenute nei limiti previsti, con riferimento ai valori fissati dalle autorizzazioni. Una simile esclusione di responsabilità per la contravvenzione prevista dall'art.674 c.p., tuttavia, opera con riferimento esclusivo ai valori contemplati dalle autorizzazioni, ma non comporta affatto una generale indifferenza per le ricadute delle emissioni sull'ambiente e sulle persone; in altri termini, non esime l'impresa dal farsi carico di altre e diverse situazioni offensive collegate alle emissioni.


Tale distinzione porta a considerare che per i profili non contemplati dalle autorizzazioni residuano doveri di attenzione e di intervento del gestore dell'impianto industriale, il quale può essere chiamato ad adottare "quegli accorgimenti tecnici ragionevolmente utilizzabili per ulteriormente abbattere l'impatto sulla realtà esterna".


Se è vero che, nel caso della raffineria AGIP le emissioni di fumi e di polveri non risultano avere superato i limiti fissati nelle autorizzazioni, occorre rilevare che dette autorizzazioni non hanno in alcun modo preso in esame le caratteristiche olfattive delle emissioni, né fissato alcun limite sotto tale profilo.


Il fatto che l'ordinamento italiano non preveda una specifica disciplina in tema di tollerabilità degli odori, non significa affatto, a parere della Corte, che le imprese non abbiano alcun obbligo di contenere le emissioni maleodoranti, soprattutto quando esse assumano caratteristiche tali da produrre effettivi e non secondari disagi alle persone. Sul punto appare opportuno ricordare che anche anteriormente all'introduzione di una specifica disciplina in materia di emissioni rumorose, la giurisprudenza fissò il principio secondo cui la produzione di rumore poteva integrare il reato previsto dall'art.674 c.p.; si tratta di principio che fu espressione di tutela di valori costituzionalmente garantiti, come lo stesso legislatore riconobbe quando, probabilmente sollecitato proprio dalle pronunce giudiziarie, ritenne di occuparsi in modo esplicito della materia.


Una analoga interpretazione del dato normativo è possibile, a parere della Corte per quanto riguarda le emissioni maleodoranti (si veda la sentenza emessa in data odierna da questa Sezione nel procedimento a carico del Sig.Alghisi Federico e altro). Sotto questo profilo appaiono certamente apprezzabili le argomentazioni in fatto e le valutazioni contenute nella sentenza impugnata anche con riferimento ai fastidi causati dall'odore pessimo delle emissioni della raffineria.

Tuttavia, la Corte deve rilevare che la contestazione mossa ai ricorrenti al capo C) della rubrica non contempla in alcun modo l'ipotesi esaminata dalla sentenza. Il capo C), infatti, richiamate le (dalla Corte escluse) violazioni di cui ai capi A) e B), muove ai ricorrenti l'accusa di avere "senza le necessarie autorizzazioni ai sensi della legge 203/1998..., o comunque in violazione delle prescrizioni autorizzative causato un inquinamento aeriforme dovuto al riversamento di fumi e/o polveri all'esterno". Così contestato, a parere della Corte, il fatto di cui al capo C) non sussiste: le autorizzazioni ai sensi della legge (o più precisamente del d.P.R. n.203 del 1988) erano state rilasciate e non risultano violazioni dei limiti in esse fissate. Ciò porta ad escludere che le condotte dei ricorrenti si pongano fuori dai "casi consentiti dalla legge" e che la mera emissione di fumi e/o polveri possa assumere rilievo. Nessun altro profilo di offesa ai beni tutelati dall'art.674 c.p. risulta contestato, e l'esigenza di salvaguardare la corrispondenza tra contestazione e decisum impedisce di introdurre profili di responsabilità ulteriori.


P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.


Così deciso in Roma il 9 Ottobre 2007.


 


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