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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, del 27/02/2007 (Ud.11/01/2007),
Sentenza n. 8051
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Aria -
Emissioni in atmosfera - Reato di costruzione di impianto senza autorizzazione -
Nuovo titolare dell'impianto - Responsabilità - Fondamento - Art. 24, 1° c.,
d.p.R. n. 203/1988 ora art. 279, c. 1°, D.Lgs. n. 152/2006. Il reato di cui
all'art. 24, comma primo, d.P.R. 24 maggio 1988 n. 203, realizzazione di
impianto in difetto di autorizzazione alle emissioni in atmosfera, ora
sostituito dall'art. 279, comma primo, D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, si configura
anche nei confronti di coloro che hanno proseguito l'esercizio dell'impianto
omettendo di controllare che l'autorizzazione per le emissioni fosse stata
rilasciata all'origine. Pres. Vitalone C. - Est. Franco A. - Imp. Zambrotti.
(Rigetta, Trib. Sala Consilina, 19 Dicembre 2005). CORTE DI CASSAZIONE Sez.
III, del 27/2/2007 (Ud.11/01/2007), Sentenza n. 8051
INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Impianti originanti emissioni nell'atmosfera -
Omessa presentazione della domanda di autorizzazione - Comportamento omissivo -
Reato omissivo permanente - Art. 24, 1° c., d.p.R. n. 203/1988 ora art. 279, c.
1°, D.Lgs. n. 152/2006. In tema di impianti originanti emissioni
nell'atmosfera, la contravvenzione di cui all'art. 24, primo comma, d.p.R. 24
maggio 1988, n. 203, ha natura di reato omissivo permanente, e la consumazione
si protrae sino a quando il responsabile dell'impianto non presenta, anche oltre
il termine prescritto, la domanda di autorizzazione per le emissioni
atmosferiche prodotte (Sez. III, 27 aprile 2006, Giovannini; Sez. III, 12
febbraio 2004, Armenio, m. 228.879; Sez. III, 27 marzo 2002, Pinoli, m. 221.954;
Sez. III, 1 febbraio 2002, Magliulo, m. 221,267; Sez. III, 7 ottobre 1999,
Cipriani, m. 214.989; Sez. III, 18 novembre 1997, Pasini, m. 209.339). Ne
consegue che il reato non si è esaurito con il comportamento omissivo di colui
che era legale rappresentante della società o dell'ente al momento in cui è
iniziata la costruzione dell'impianto senza la previa autorizzazione ma è
comunque proseguito con il comportamento omissivo anche dell'attuale ricorrente
che è stato legale rappresentante del consorzio che (peraltro fin dall'inizio)
ha gestito l'impianto, e sul quale dunque continuava a permanere l'obbligo di
chiedere la autorizzazione. Invero, la permanenza del reato di omessa
presentazione della domanda di autorizzazione, radica la responsabilità anche di
coloro i quali hanno proseguito nell'esercizio dell'impianto sapendo e comunque
dovendo sapere (e controllare) che la domanda di autorizzazione non era stata
presentata, a suo tempo, con le prescritte modalità, dal precedente
amministratore o dal costruttore dell'impianto (Sez. III, 29 maggio 1996,
Simonetti, m. 206.237). Esattamente, quindi, l'imputato è stato ritenuto
responsabile di un comportamento omissivo proprio, avendo colpevolmente violato
l'obbligo che anch'egli aveva di presentare la domanda di autorizzazione. Pres.
Vitalone C. - Est. Franco A. - Imp. Zambrotti. (Rigetta, Trib. Sala Consilina,
19 Dicembre 2005). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, del 27/2/2007 (Ud.11/01/2007),
Sentenza n. 8051
RIFIUTI - INQUINAMENTO ATMOSFERICO - Gestione di rifiuti - Impianti di
trattamento di rifiuti - Emissioni in atmosfera - Tutela dall'inquinamento
atmosferico - Disciplina applicabile. In tema di gestione di rifiuti, gli
impianti di trattamento di rifiuti che comportino emissioni in atmosfera sono
soggetti sia alle disposizioni di cui al d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (ora d.
lgs. 3 aprile 2006, n. 152), sia alla disciplina di cui all'art. d.p.R. 24
maggio 1988, n. 203 (tutela dall'inquinamento atmosferico) atteso che la
normativa nazionale e comunitaria in tema di inquinamento atmosferico completa e
non assorbe quella sui rifiuti (cfr. Sez. III, 5 aprile 2002, Kiss Gmunter H.,
m. 221.875; Sez. III, 4 maggio 2004, Gambato, m. 230.104; Sez. III, 7 dicembre
1992, Fava, m. 192.634). D'altra parte, nel caso di specie, non si tratta
nemmeno di rifiuti destinati alla produzione di energia, per i quali potrebbe
porsi il problema della applicabilità di una normativa (nazionale e comunitaria)
particolare. Pres. Vitalone C. - Est. Franco A. - Imp. Zambrotti. (Rigetta,
Trib. Sala Consilina, 19 Dicembre 2005). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, del
27/2/2007 (Ud.11/01/2007), Sentenza n. 8051
RIFIUTI - Gestione dei rifiuti - Raccolta differenziata - Piazzole comunali
(c.d. ecologiche o eco piazzole) - Natura di centri di stoccaggio - Attività di
smaltimento o recupero - Autorizzazione - Necessità. In tema di gestione dei
rifiuti, le piazzole comunali destinate alla raccolta differenziata dei rifiuti
urbani, cosiddette piazzole ecologiche o ecopiazzole, hanno natura di centri di
stoccaggio ai sensi dell'art. 6, comma primo, del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22,
atteso che nelle stesse si effettuano attività di smaltimento, consistente nel
deposito preliminare in vista di altre operazioni di smaltimento definitive ex
punto D15 dell'allegato B al citato decreto n. 22, o attività di recupero,
consistente nella messa in riserva ex punto R13 dello stesso allegato B (Sez.
III, 21 aprile 2005, Zumino, m. 231.938) e che «conseguentemente si verte in
tema di stoccaggio quale fase preliminare alle attività di smaltimento o
recupero, e come tale necessitante la prevista autorizzazione» (Sez. III, 26
ottobre 2005, Marino, m. 232.353). Pres. Vitalone C. - Est. Franco A. - Imp.
Zambrotti. (Rigetta, Trib. Sala Consilina, 19 Dicembre 2005). CORTE DI
CASSAZIONE Sez. III, del 27/2/2007 (Ud.11/01/2007), Sentenza n. 8051
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Udienza pubblica dell'11/01/2007
SENTENZA N.42
REG. GENERALE N. 41636/2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
1. Dott. Claudio Vitalone Presidente
2. Dott. Guido De Maio Consigliere
3. Dott. Amedeo Franco (est.) Consigliere
4. Dott.ssa Margherita Marmo Consigliere
5. Dott. Antonio Ianniello Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Zambrotti Enrico, nato a San Pietro al Tanagro 1'8
giugno 1943;
avverso la sentenza emessa il 19 dicembre 2005 dal giudice del tribunale di Sala
Consilina;
udita nella pubblica udienza dell'Il gennaio 2007 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Vittorio Meloni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Sala Consilina
dichiarò Zambrotti Enrico, quale presidente del Consorzio Bacino SA/3,
responsabile dei reati di cui: A) agli artt. 6 e 24, commi 1 e 2, d.p.R. 24
maggio 1988, n. 203, per avere realizzato l'impianto di compostaggio senza la
prescritta autorizzazione alle emissioni in atmosfera e per avere attivato
l'esercizio del detto impianto senza darne previa comunicazione alla competente
autorità regionale; B) agli artt. 6, lett. L), e 51, comma 1, d. lgs. 5 febbraio
1997, n. 22, per avere, nella detta qualità, effettuato senza la prescritta
autorizzazione in un'area retrostante all'impianto attività di stoccaggio di
rifiuti, ed in particolare di cassoni scarrabili contenenti rifiuti provenienti
dalla raccolta differenziata nei vari comuni del consorzio: e lo condannò alla
pena dell'ammenda.
2. Con un primo ricorso per cassazione, a mezzo dell'avv. Gaetano Pastore,
l'imputato deduce:
2.1. nullità della sentenza per mancata assunzione di una prova decisiva, ossia
la deposizione del sindaco di Sant'Arsenio richiesta dalla difesa e prima
ammessa dal giudice e poi ritenuta non necessaria, mentre il sindaco avrebbe
dovuto riferire che i cassoni erano stati collocati in quel posto solo
temporaneamente ed occasionalmente
richiesta del sindaco perché nel comune era in corso una fiera campionaria.
2.2. violazione dell'art. 522 cod. pen. perché egli era stato tratto a giudizio
per rispondere del deposito dei cassoni rinvenuti il 16 luglio 2002, e cioè dei
cassoni provenienti dal comune di Sant'Arsenio, mentre è stato condannato per
avere consentito lo stazionamento usuale di rifiuti provenienti da vari comuni
del consorzio, e ciò senza alcuna formale contestazione.
2.3.1. violazione di legge e vizio di motivazione perché risultava dalla
documentazione prodotta che i lavori dell'impianto di compostaggio erano stati
appaltati dal commissario di governo che aveva predisposto il progetto con
ordinanza ed aveva poi consegnato al consorzio le opere, e quindi aveva
autorizzato l'esercizio dell'impianto con ordinanza del 1° luglio 2002, poi
prorogata. E' perciò provato che il consorzio non solo non realizzò l'impianto
senza autorizzazione, ma nemmeno iniziò l'attività senza comunicazione, che
peraltro non era necessaria perché l'impianto era stato realizzato ed attivato
in conseguenza di legittimi provvedimenti governativi.
2.3.2. Allo stesso modo, non era stata posta in essere una attività di
stoccaggio, che consiste nelle operazione di deposito che precedono il
trattamento dei rifiuti, mentre nella specie i cassoni erano stati
temporaneamente allocati sul posto solo perché nel comune era in corso la fiera
campionaria.
2.3.3. In ogni caso, la sua responsabilità è stata tratta solo dal fatto che
egli era presidente del consorzio, senza verificare le sua concrete competenze,
mentre la presidenza di un ente è cosa ben diversa da compiti di controllo
tecnico.
3. Con un secondo ricorso per cassazione a mezzo degli avv. Felice Lentini e
Gaetano Pastore, l'imputato deduce:
3.1.1. violazione di legge e manifesta illogicità in relazione al reato di cui
al capo B). Per il giudice, infatti, lo stoccaggio provvisorio va inteso come
deposito temporaneo e transitorio di rifiuti effettuato in luogo diverso da
quello di produzione. Sennonché, ai sensi dell'art. 6, lett. L), d. lgs. 5
febbraio 1997, n. 22, l'attività di stoccaggio è stata limitata alle sole
operazioni di deposito preliminare di rifiuti ed alla sola attività di messa in
riserva dei materiali nel ciclo di recupero. Il fatto in esame non era quindi
sussumibile nella fattispecie legale ritenuta, poiché non costituisce attività
di stoccaggio ai sensi dell'art. 6, lett. L), cit., avendo la stessa sentenza
impugnata dato atto che la società Ergon gestisce per conto del consorzio la
sola attività di raccolta differenziata dei rifiuti, che temporaneamente
allocati nei cassoni scarrabili vengono poi trasportati ad altre aziende per il
recupero o lo smaltimento.
3.1.2. manifesta illogicità sul punto perché il giudice ha dato atto che il
consorzio esercita la sola attività di compostaggio della frazione organica dei
rifiuti; che ha affidato alla società Ergon la raccolta differenziata degli
altri materiali ed a terzi le operazioni di recupero e smaltimento; e che quindi
tali rifiuti vengono dalla Ergon solo temporaneamente allocati nei cassoni
scarrabili. Quindi, poiché lo stoccaggio è una fase tipica delle sole attività
di recupero o smaltimento, lo stesso non era configurabile per il ricorrente.
Infatti la collocazione controllata dei rifiuti nei cassoni era operata dalla
Brgon, affidataria invece delle diversa attività di raccolta differenziata e di
trasporto e tale deposito controllato non interferiva con l'attività di
compostaggio.
3.2. violazione degli artt. 125 cod. proc. pen., 43 cod. pen. e 6 d. lgs. 5
febbraio
1997, n. 22. Deduce difetto assoluto di motivazione sulla sussistenza dello
elemento soggettivo del reato di cui al capo B), in quanto il giudice lo ha
desunto unicamente dalla richiesta di autorizzazione allo stoccaggio provvisorio
e recupero del 6.2.2002, mentre tale richiesta era chiaramente finalizzata ad
ottenere l'autorizzazione all'esercizio dell'impianto di compostaggio. La
motivazione è quindi meramente apparente perché si fonda su una richiesta di
autorizzazione alla attività di recupero dei rifiuti rinvenienti dalla raccolta
differenziata, di cui però non vi è traccia in atti.
3.3. violazione degli artt. 113 t.u.e.l., 2 d. lgs. 165/2001 e 107 d. lgs. 267
/2000, perché il ricorrente è stato condannato nella qualità di presidente del
consorzio. Ora i consorzi sono enti territoriali sovracomunali per la gestione
dei servizi pubblici locali, cui si applicano le norme del testo unico enti
locali. Quindi, poiché la normativa di settore ha chiaramente disgiunto le
funzioni di indirizzo politico e amministrativo da quelle gestionali, attribuite
ai dirigenti del consorzio, la sentenza impugnata ha errato nell'individuare
nella legale rappresentanza dell'ente la fonte di obblighi tipici delle funzioni
di gestione.
3.4. violazione degli artt. 125 cod. proc. pen., 28 d. lgs. 5 febbraio 1997, n.
22, e 6 e 14 d.p.R. 24 maggio 1988, n. 203. Deduce violazione di legge e
motivazione apparente in ordine al reato di cui al capo a). Il giudice infatti
ha dato per scontato che il sito di stoccaggio sarebbe stato realizzato dal
consorzio, mentre dagli atti risulta che la realizzazione dell'impianto è
avvenuta a cura del commissario straordinario per l'emergenza rifiuti. Quanto
alla contestazione di attivazione dell'impianto senza previa comunicazione, essa
non era necessaria per espressa previsione dell'art. 28, co. 1, lett. f), del d.
lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, poiché la regione (nella specie in persona del sub
commissario per l'emergenza rifiuti) con l'autorizzazione all'esercizio
provvisorio del sito di compostaggio ha anche autorizzato le emissioni in
atmosfera che sono connaturate alla attività di compostaggio.
Motivi della decisione
4. Il motivo sub 2.1. è infondato perché correttamente il giudice del merito
(dopo l'esame del teste Mastrogiovanni, responsabile tecnico della società
Ergon) ha ritenuto non decisiva ed anzi ininfluente la deposizione del sindaco
di Sant'Arsenio (ed ha quindi revocato l'ordinanza con cui ne aveva disposto
l'esame ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen.), e ciò sia perché era stato
accertato che i cassoni in questione contenevano i rifiuti provenienti non solo
dal comune di Sant'Arsenio ma anche dagli altri vari comuni che aderivano al
consorzio; sia perché era già risultata provata (dalla deposizione del
Mastrogiovanni) la circostanza che in quel sito, a metà luglio 2002, erano stati
allocati anche i cassoni che solitamente erano ubicati nel territorio del comune
di Sant'Arsenio, in quel periodo interessato da una fiera; sia comunque perché
la circostanza che i cassoni provenienti da Sant'Arsenio si trovassero solo
temporaneamente sul posto non incide sulla qualificazione giuridica del fatto e
sull'esistenza del reato. Il giudice ha infatti accertato in punto di fatto che
i cassoni allocati presso il sito contenevano i rifiuti provenienti dalla
raccolta differenziati dei vari comuni aderenti al consorzio; che tali rifiuti
erano collocati nei cassoni per poi essere prelevati e traspostati presso gli
impianti finali; che si seguiva abitualmente questo metodo perché era più comodo
che i rifiuti, raccolti presso i comuni con mezzi piccoli, fossero depositati
nei cassoni per poi essere da qui prelevati e portati ai siti finali con mezzi
più grandi. Il motivo per il quale i rifiuti erano scaricati nei cassoni,
quindi, è stato adeguatamente accertato dal giudice del merito, mentre è
irrilevante la circostanza che per i cassoni di Sant'Arsenio si fosse
eventualmente aggiunto un ulteriore motivo di tipo diverso e temporaneo.
5. Il motivo sub 2.2. è manifestamente infondato non essendo ravvisabile alcuna
violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, e ciò sia perché
il capo di imputazione non si riferiva affatto ai soli cassoni del comune di
Sant'Arsenio, ma parlava genericamente di «attività di stoccaggio di rifiuti
costituiti in particolare da plastica, vetro ed alluminio»; e sia comunque
perché non vi è stata (e del resto nemmeno è stata prospettata) nessuna
violazione o limitazione del diritto di difesa, che ha avuto modo di esplicarsi
in relazione al deposito sul posto dei cassoni anche provenienti da comuni
diversi.
6. I motivi sub 3.1.1., 3.1.2. e 2.3.2. sono infondati in quanto
ineccepibilmente il giudice del merito ha ritenuto che i fatti così come
accertati integrassero il reato di gestione e stoccaggio non autorizzato di
rifiuti. Come già accennato, il giudice ha accertato che i rifiuti provenienti
dalla raccolta differenziata dei diversi comuni aderenti al consorzio erano
raccolti con mezzi piccoli e quindi trasportati e collocati nei cassoni
scarrabili in questione per poi essere da qui prelevati e trasportati con mezzi
più grandi ai siti finali di smaltimento e recupero.
Orbene, nella specie certamente non ricorre l'ipotesi del deposito temporaneo di
cui all'art. 6, primo comma, lett. m), d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (ora art.
183, primo comma, lett. m), d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152), se non altro perché
- anche a prescindere dalla sussistenza o meno di tutte le altre condizioni
previste da detta disposizione, ivi compresa quella della quantità e della
durata - il deposito temporaneo è costituito comunque dal «raggruppamento dei
rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono
prodotti» mentre nella specie è pacifico sia che i rifiuti non venivano
depositati nel luogo di produzione, sia che il deposito avveniva non prima,
bensì dopo la raccolta.
Nemmeno - come sembrerebbe sostenere il ricorrente - ricorre l'ipotesi
dell'abbandono di rifiuti di cui agli artt. 14 e 51, secondo comma, d. lgs. 5
febbraio 1997, n. 22 (ipotesi peraltro punita allo stesso modo di quella
ravvisata nella specie) perché è pacifico che i rifiuti non venivano
abbandonati, ma appunto raccolti temporaneamente nei cassoni per poi essere
avviati alle operazioni di smaltimento o recupero.
E' quindi evidente che nella specie si trattava di una c.d. «ecopiazzola», ossia
di un luogo dove veniva effettuata attività di gestione dei rifiuti, e
precisamente di un centro di stoccaggio ai sensi del citato art. 6, lett. L),
nel quale i rifiuti venivano accumulati lontano dal luogo di produzione in
attesa dello smaltimento o del recupero definitivi. In tale luogo, pertanto, si
effettuava attività di smaltimento, consistente nel deposito preliminare in
vista di altre operazioni di smaltimento definitive o di attività di recupero,
di modo che la gestione della piazzola doveva essere preventivamente
autorizzata. La sua gestione senza la necessaria autorizzazione, infatti, lede
l'interesse tutelato dalla
norma di un controllo preventivo della pubblica amministrazione sulla gestione
dei rifiuti.
Sul punto, del resto, la giurisprudenza di questa Suprema Corte, ha più volte
affermato che «in tema di gestione dei rifiuti, le piazzole comunali destinate
alla raccolta differenziata dei rifiuti urbani, cosiddette piazzole ecologiche o
ecopiazzole, hanno natura di centri di stoccaggio ai sensi dell'art. 6, comma
primo, del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, atteso che nelle stesse si effettuano
attività di smaltimento, consistente nel deposito preliminare in vista di altre
operazioni di smaltimento definitive ex punto D15 dell'allegato B al citato
decreto n. 22, o attività di recupero, consistente nella messa in riserva ex
punto R13 dello stesso allegato B» (Sez. III, 21 aprile 2005, Zumino, m.
231.938» e che «conseguentemente si verte in tema di stoccaggio quale fase
preliminare alle attività di smaltimento o recupero, e come tale necessitante la
prevista autorizzazione» (Sez. III, 26 ottobre 2005, Marino, m. 232.353).
E' poi del tutto irrilevante la circostanza che la raccolta differenziata dei
rifiuti nei vari comuni fosse compiuta dalla società Ergon, e ciò sia perché è
stato accertato che questa società agiva per conto del consorzio, e sia
soprattutto perché i rifiuti venivano stoccati in una area di pertinenza del
consorzio (e precisamente nell'area retrostante i locali utilizzati per il
compostaggio) e perché i cassoni in cui venivano collocati erano tutti in uso al
consorzio, sicché non può negarsi che il consorzio partecipasse direttamente
alla non autorizzata attività di gestione e stoccaggio dei rifiuti della
raccolta differenziata.
7. Il motivo sub 3.2. è anch'esso infondato perché, trattandosi di
contravvenzione, l'elemento soggettivo del reato è stato correttamente rinvenuto
nella colpa consistente nell'avere omesso di chiedere l'autorizzazione per la
gestione e stoccaggio dei cassoni. Non vi è nessuna manifesta illogicità
nell'avere la sentenza impugnata richiamato la richiesta in data 6.2.2002 di
«autorizzazione all'esercizio di attività di stoccaggio provvisorio e/o recupero
di rifiuti», perché, quand'anche questa riguardasse - come assume il ricorrente
- i rifiuti destinati al compostaggio, essa dimostra ugualmente la
consapevolezza dell'imputato della necessità di chiedere una autorizzazione per
lo stoccaggio temporaneo di rifiuti. D'altra parte, non risulta che il
ricorrente abbia dedotto nel giudizio di merito, e del resto nemmeno deduce con
il ricorso, che l'elemento psicologico del reato dovrebbe essere escluso perché
egli versava in buona fede per ignoranza inevitabile, e quindi scusabile, della
legge penale. Ignoranza che, peraltro, anche se esistesse nella specie sarebbe
colpevole ed inescusabile, e quindi irrilevante, perché la nota sentenza n. 364
del 1988 della Corte costituzionale, che dichiarò incostituzionale l'art. 5 cod. pen. nella parte in cui non esclude dall'inescusabilità dell'ignoranza della
legge penale l'ignoranza inevitabile, ebbe a mettere in evidenza come
sicuramente «in evitabile, rimproverabile ignoranza della legge penale versa
chi, professionalmente inserito in un determinato campo d'attività, non
s'informa sulle leggi penali disciplinanti lo stesso campo». Ed il comportamento
addebitato allo Zambrotti è appunto relativo alla sua attività professionale.
8. I motivi sub 2.3.1. e sub 3.4. - entrambi relativi al reato di cui al capo a)
- sono parimenti infondati.
8.1. Quanto al reato di cui all'art. 24, primo comma, d.p.R. 24 maggio 1988, n.
203 (avere realizzato l'impianto di compostaggio senza la prescritta
autorizzazione), il ricorrente eccepisce che egli non sarebbe responsabile di
questo reato perché l'impianto era stato realizzato non dal consorzio ma dal
commissario di governo per l'emergenza rifiuti che aveva predisposto il progetto
ed appaltato i lavori di costruzione, consegnando poi l'impianto al consorzio.
L'eccezione è chiaramente infondata sia perché - quand'anche vera - la
circostanza che eventualmente il progetto sia stato predisposto ed i lavori
siano stati appaltati dal commissario di governo non esclude quanto accertato in
punto di fatto dal giudice del merito, e cioè che la realizzazione dell'impianto
di compostaggio era comunque riconducibile al consorzio, e sia soprattutto
perché detta circostanza sarebbe in ogni caso irrilevante.
E difatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Suprema Corte, in tema
di impianti originanti emissioni nell'atmosfera, la contravvenzione di cui
all'art. 24, primo comma, d.p.R. 24 maggio 1988, n. 203, ha natura di reato
omissivo permanente, e la consumazione si protrae sino a quando il responsabile
dell'impianto non presenta, anche oltre il termine prescritto, la domanda di
autorizzazione per le emissioni atmosferiche prodotte (Sez. III, 27 aprile 2006,
Giovannini; Sez. III, 12 febbraio 2004, Armenio, m. 228.879; Sez. III, 27 marzo
2002, Pinoli, m. 221.954; Sez. III, 1 febbraio 2002, Magliulo, m. 221,267; Sez.
III, 7 ottobre 1999, Cipriani, m. 214.989; Sez. III, 18 novembre 1997, Pasini,
m. 209.339). Ne consegue che il reato non si è esaurito con il comportamento
omissivo di colui che era legale rappresentante della società o dell'ente al
momento in cui è iniziata la costruzione dell'impianto senza la previa
autorizzazione ma è comunque proseguito con il comportamento omissivo anche
dell'attuale ricorrente che è stato legale rappresentante del consorzio che
(peraltro fin dall'inizio) ha gestito l'impianto, e sul quale dunque continuava
a permanere l'obbligo di chiedere la autorizzazione. Invero, la permanenza del
reato di omessa presentazione della domanda di autorizzazione, radica la
responsabilità anche di coloro i quali hanno proseguito nell'esercizio
dell'impianto sapendo e comunque dovendo sapere (e controllare) che la domanda
di autorizzazione non era stata presentata, a suo tempo, con le prescritte
modalità, dal precedente amministratore o dal costruttore dell'impianto (Sez.
III, 29 maggio 1996, Simonetti, m. 206.237). Esattamente, quindi, l'imputato è
stato ritenuto responsabile di un comportamento omissivo proprio, avendo
colpevolmente violato l'obbligo che anch'egli aveva di presentare la domanda di
autorizzazione.
8.2. Quanto al reato di cui all'art. 24, secondo comma, d.p.R. 24 maggio 1988,
n. 203, il ricorrente eccepisce che nella specie non sarebbe stata necessaria la
comunicazione di attivazione dell'impianto ai sensi dell'art. 28. comma 2, lett.
f), d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, perché la regione (in persona del sub
commissario per l'emergenza rifiuti) con la autorizzazione all'esercizio
provvisorio dell'impianto di compostaggio avrebbe autorizzato anche le emissioni
in atmosfera che sono connaturate alla attività di compostaggio.
Questa tesi non può essere condivisa. Il citato art. 28, comma 2, d. lgs. 5
febbraio 1997, n. 22, indica quali sono le condizioni e le prescrizioni
necessarie che devono essere individuate dalla autorizzazione all'esercizio
delle operazioni di smaltimento e recupero dei rifiuti, fra le quali la lett. f) prevede anche i limiti di emissione
in atmosfera, che per i processi di trattamento termico dei rifiuti non possono
superare determinati valori fissati dalle direttive comunitarie. Il fatto però
che la autorizzazione allo smaltimento e recupero dei rifiuti debba prevedere
anche i limiti di emissione in atmosfera, non significa che questa
autorizzazione inglobi e sostituisca la autorizzazione prevista dall'art. 6 del
d.p.R. 24 maggio 1988, n. 203, per la costruzione e gestione di nuovi impianti
che possano dar luogo ad emissioni nell'atmosfera (che costituisce mezzo di
controllo preventivo sugli impianti potenzialmente inquinanti per verificare la
tollerabilità delle emissioni ed adottare appropriate misure di prevenzione
dell'inquinamento atmosferico) e tanto meno la comunicazione dell'attivazione
del nuovo impianto prevista dall'art. 8 (finalizzata a garantire l'accertamento
previsto dall'ultimo comma del medesimo art. 8: cfr. Sez. III, 16 dicembre 2005,
n. 15521/06, Pappacena, m. 233.921). E ciò perché si tratta di autorizzazioni
che sono finalizzate a tutelare interessi diversi e che presuppongono controlli
diversi, ed in particolare perché l'autorizzazione allo smaltimento e recupero
dei rifiuti, pur dovendo indicare limiti di emissione in atmosfera, non
presuppone tutti quegli accertamenti sulla idoneità degli impianti a prevenire
l'inquinamento atmosferico che sono invece richiesti per il rilascio della
autorizzazione di cui all'art. 6 d.p.R. 24 maggio 1988, n. 203.
Del resto, la giurisprudenza di questa Corte ha già altre volte affermato il
principio - che deve essere qui ribadito - secondo cui, in tema di gestione di
rifiuti, gli impianti di trattamento di rifiuti che comportino emissioni in
atmosfera sono soggetti sia alle disposizioni di cui al d. lgs. 5 febbraio 1997,
n. 22 (ora d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152), sia alla disciplina di cui all'art.
d.p.R. 24 maggio 1988, n. 203 (tutela dall'inquinamento atmosferico) atteso che
la normativa nazionale e comunitaria in tema di inquinamento atmosferico
completa e non assorbe quella sui rifiuti (cfr. Sez. III, 5 aprile 2002, Kiss
Gmunter H., m. 221.875; Sez. III, 4 maggio 2004, Gambato, m. 230.104; Sez. III,
7 dicembre 1992, Fava, m. 192.634). D'altra parte, nel caso di specie, non si
tratta nemmeno di rifiuti destinati alla produzione di energia, per i quali
potrebbe porsi il problema della applicabilità di una normativa (nazionale e
comunitaria) particolare.
L'interpretazione che qui si segue, inoltre, appare confermata anche dalle
disposizioni del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152. L'art. 208 di questo decreto
legislativo, infatti, prevede il rilascio di una autorizzazione unica per i
nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti (autorizzazione che
accerta la conformità alle vigenti disposizioni in materia urbanistica, di
tutela ambientale, di salute di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica),
specificando però, al comma 2, che «resta ferma l'applicazione della normativa
nazionale di attuazione della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e
riduzione integrate dell'inquinamento, per gli impianti rientranti nel campo di
applicazione della medesima, con particolare riferimento al decreto legislativo
18 febbraio 2005, n. 59» (il quale ha per oggetto la prevenzione e la riduzione
integrate dell'inquinamento e disciplina il rilascio dell'autorizzazione
integrata ambientale per gli impianti di cui all'allegato I). Ciò, invero,
sembra confermare che il legislatore ha inteso tenere ben distinte, atteso il
loro diverso oggetto e le loro diverse finalità, l'autorizzazione al trattamento
dei rifiuti da quella per gli impianti che possono dar luogo ad inquinamento
atmosferico.
9. Sono infine infondati anche i motivi sub 2.3.3 e sub 3.3., dal momento che la
responsabilità dello Zambrotti è stata dal giudice del merito fatta risalire -
con congrua ed adeguata motivazione al fatto che era stato accertato che egli
non svolgeva soltanto funzioni di indirizzo politico, ma anche concrete funzioni
gestionali, sia perché egli era non solo legale rappresentante dell'ente ma
anche presidente del consiglio di amministrazione, sia perché comunque aveva in
concreto anche la responsabilità diretta della gestione dell'impianto e delle
aree annesse, tanto che successivamente la richiesta di autorizzazione alle
emissioni in atmosfera era stata presentata proprio da lui. Del resto, il
giudice del merito ha mandato assolto il coimputato Abatemarco, vice direttore
generale del consorzio, perché non risultavano sue competenze specifiche in
ordine alla gestione dell'impianto, dato che tale gestione era rimessa al
presidente del consiglio di amministrazione.
10. Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, l'11 gennaio
2007.
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