Per altre sentenze vedi: Sentenze per esteso
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CORTE COSTITUZIONALE, 14 novembre 2007 (Ud. 14/11/2007) Sentenza n. 378
PROCEDURE E VARIE - Ambiente - Riparto della competenza legislativa tra Stato
e Regioni - Oggetto di tutela - Dichiarazione di Stoccolma - Disciplina unitaria
e complessiva del bene ambiente - Valore primario e assoluto - Elevato livello
di tutela inderogabile - Ambiente inteso come materia trasversale - Disciplina
ambientale posta dallo Stato - Limite alla disciplina dettata da Regioni e le
Province autonome in altre materie di loro competenza. Quando si guarda
all’ambiente come ad una “materia” di riparto della competenza legislativa tra
Stato e Regioni, è necessario tener presente che si tratta di un bene della
vita, materiale e complesso, la cui disciplina comprende anche la tutela e la
salvaguardia delle qualità e degli equilibri delle sue singole componenti (in
questo senso - in relazione alla distinzione tra reato edilizio e reato
ambientale - cfr. Corte Cost., ord. n. 144/2007). Oggetto di tutela (cfr. la
Dichiarazione di Stoccolma del 1972), è la biosfera, che viene presa in
considerazione, non solo per le sue varie componenti, ma anche per le
interazioni fra queste ultime, i loro equilibri, la loro qualità, la
circolazione dei loro elementi, e così via. La potestà di disciplinare
l’ambiente nella sua interezza è stato affidato in via esclusiva allo Stato,
dall’art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione, il quale, come è
noto, parla di “ambiente” (ponendovi accanto la parola “ecosistema”) in termini
generali e onnicomprensivi. Ne consegue che spetta allo Stato disciplinare
l’ambiente come una entità organica, dettare cioè delle norme di tutela che
hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parti del
tutto. Ed è da notare che la disciplina unitaria e complessiva del bene
ambiente, inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario
(sent. n. 151/1986) ed assoluto (sent. n. 210/ 1987) e deve garantire, come
prescrive il diritto comunitario, un elevato livello di tutela, come tale
inderogabile da altre discipline di settore. Accanto al bene giuridico ambiente
in senso unitario, possano tuttavia coesistere altri beni giuridici, aventi ad
oggetto componenti o aspetti del bene ambiente, ma concernenti interessi diversi
giuridicamente tutelati; l’ambiente è per tale ragione indicato come “materia
trasversale”, nel senso che sullo stesso oggetto insistono interessi diversi:
quello alla conservazione dell’ambiente e quelli inerenti alle sue
utilizzazioni. In questi casi, la disciplina unitaria del bene complessivo
ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella
dettata dalle Regioni o dalle Province autonome, in materie di competenza
propria, ed in riferimento ad altri interessi. Ciò comporta che la disciplina
ambientale, che scaturisce dall’esercizio di una competenza esclusiva dello
Stato, investendo l’ambiente nel suo complesso, e quindi anche in ciascuna sua
parte, viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le
Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per cui queste
ultime non possono in alcun modo derogare o peggiorare il livello di tutela
ambientale stabilito dallo Stato (cfr. Corte Cost., sent. n. 246/2006). La
segnalata particolarità della disciplina del bene giuridico ambiente considerato
nella sua completezza ed unitarietà riverbera i suoi effetti anche quando si
tratta di Regioni speciali o di Province autonome, con l’ulteriore precisazione,
però, che qui occorre tener conto degli statuti speciali di autonomia. Pres.
Bile, Red. Maddalena - Presidente del Consiglio dei Ministri c. Provincia
Autonoma di Trento - CORTE COSTITUZIONALE, 14 novembre 2007 (ud. 5 novembre
2007), sentenza n. 378
RIFIUTI - Disciplina normativa - Competenza esclusiva dello Stato - Art. 117,
c. 2, lett. s, Cost. - Attribuzione alle Regioni (e alle Province autonome) di
specifiche funzioni in materia - Art. 85 D.Lgs. n. 112/1998 - D.Lgs. n.
152/2006. La materia dei rifiuti, che non può farsi rientrare nella nozione
di urbanistica e piani regolatori, né in quella di igiene e sanità, di cui allo
statuto della Provincia autonoma di Trento, non può che ricadere nella
competenza dello Stato, come espressamente previsto dall’art. 117, comma 2,
lettera s), Cost., il quale prevede una competenza esclusiva in materia di
ambiente ed ecosistema. Tale competenza esclusiva non esclude naturalmente che
lo Stato possa anche attribuire alla Provincia funzioni al riguardo. Ed è da
ricordare a questo proposito che già l’art. 85 del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle
regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997,
n. 59), ripreso poi dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in
materia ambientale), attribuiva alle Regioni le competenze concernenti la
gestione dei rifiuti, e che le norme statali di attuazione delle direttive
comunitarie, per quanto attiene alla Provincia di Trento, non fanno eccezione a
questo principio (ad esempio per quanto concerne i piani di adeguamento delle
discariche). Occorre inoltre precisare, in relazione a tale argomento, che le
norme statali di cui si discute sono norme di attuazione di direttive
comunitarie, che la Provincia autonoma è tenuta ad osservare. Pres. Bile, Red.
Maddalena - Presidente del Consiglio dei Ministri c. Provincia Autonoma di
Trento - CORTE COSTITUZIONALE, 14 novembre 2007 (ud. 5 novembre 2007),
sentenza n. 378
RIFIUTI - Discariche - Art. 8, c. 14, L.P. Trento n. 10/2004 - Illegittimità
costituzionale. Il comma 14 dell’art. 8 della legge della Provincia autonoma
di Trento n. 10/2004 deve ritenersi costituzionalmente illegittimo per contrasto
con le previsioni di cui all’art. 17 del d.lgs. n. 36/2003, tenuto conto che
esso crea un regime alternativo a quello predisposto dallo Stato in attuazione
di direttive comunitarie: la norma dispensa infatti sia dalla data di scadenza
(31 dicembre 2006) per l’utilizzazione delle discariche già autorizzate, sia dal
piano di adeguamento dello discariche stesse. Pres. Bile, Red. Maddalena -
Presidente del Consiglio dei Ministri c. Provincia Autonoma di Trento - CORTE
COSTITUZIONALE, 14 novembre 2007 (ud. 5 novembre 2007), sentenza n. 378
RIFIUTI - Discariche - Art. 8, c. 15, L.P. Trento n. 10/2004 -
Interpretazione - Movimentazione in sito dei rifiuti - Non lesività - Art. 193
D.Lgs. n. 152/2006. Il comma 15 dell’art. 8 della LP Trento n. 10/2004, in
riferimento all’ipotesi del rinvenimento di una discarica o di uno stoccaggio di
rifiuti abusivi, prevede che si può procedere alla bonifica del sito e che «per
l’esecuzione delle operazioni di messa in sicurezza si prescinde dalla
prestazioni delle garanzie finanziarie, nonché dagli adempimenti previsti dagli
artt. 11, 12 e 15 del decreto legislativo n. 22 del 1997 (di attuazione della
direttiva 91/156/CE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CE sui rifiuti
pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di
imballaggio), tranne che per i rifiuti allontanati dal sito» (paragrafo 1-ter,
lettera c). La disposizione, se interpretata nel senso che per le operazioni di
messa in sicurezza si procede soltanto alla “movimentazione” in sito dei
rifiuti, e non alla loro “raccolta e trasporto”, come fa pensare l’inciso
«tranne che per i rifiuti allontanati dal sito», non presenta profili di
lesività. Le norme statali di cui agli artt. 11, 12 e 15 del d.lgs. n. 22 del
1997, si riferiscono infatti solo alla “raccolta ed al trasporto” dei rifiuti e
non alla loro movimentazione all’interno di un’area privata. Lo conferma, del
resto, l’art. 193, comma 9, del successivo decreto legislativo n. 152 del 2006,
secondo il quale «la movimentazione dei rifiuti esclusivamente all’interno di
aree private non è considerata trasporto ai fini della parte quarta del presente
decreto». La dizione usata dal legislatore provinciale deve, in altri termini,
considerarsi impropria, poiché non si tratta di disapplicazione di norme
statali, come farebbe ritenere l’espressione «si prescinde», ma di semplice loro
non pertinenza al caso. Pres. Bile, Red. Maddalena - Presidente del Consiglio
dei Ministri c. Provincia Autonoma di Trento - CORTE COSTITUZIONALE, 14
novembre 2007 (ud. 5 novembre 2007), sentenza n. 378
AREE PROTETTE - ZPS E SIC - Individuazione e designazione - Distinzione -
Designazione di ZPS - Intesa tra Provincia autonoma e Stato - Necessità - Art.
9, cc. 2 e 3 LP Trento n. 10/2004 - Illegittimità costituzionale. In materia
di SIC e ZPS, occorre distinguere la “individuazione” dei siti di importanza
comunitaria, dalla “designazione” delle zone speciali di conservazione, posto
che “individuazione” e “designazione” esprimono, come si evince anche dai commi
1 e 3 dell’art. 9 della L.P. Trento n. 10/2004, due concetti diversi,
consistendo l’individuazione nella pura indicazione del sito, e costituendo,
invece, la “designazione” l’atto che sottopone la zona prescelta ad uno speciale
statuto vincolistico, consistente nell’adozione di speciali “misure di
conservazione”. In altri termini, la parola “designazione”, utilizzata nella
direttiva 92/43/CEE ha lo stesso significato che l’ordinamento nazionale ha
tradizionalmente attribuito all’espressione “istituzione di un’area protetta”.
Dunque, la “designazione” di quella particolare area protetta che è stata
classificata come zona speciale di conservazione (le ZPS, come i parchi e le
riserve, sono classificate come “aree protette”), non può essere effettuata
unilateralmente dalla Giunta provinciale, ma deve essere effettuata dallo Stato
d’intesa con la Provincia autonoma, secondo il principio di cui all’art. 5,
commi 1e 2, della legge n. 349 del 1986, integrato dall’art. 8, comma 3, della
legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette): «qualora il
parco o la riserva interessi il territorio di una Regione a statuto speciale o
Provincia autonoma, si procede d’intesa». Se ne deve dedurre che i commi 2 e 3
dell’art. 9 della legge provinciale n. 10 del 2004 sono costituzionalmente
illegittimi. Pres. Bile, Red. Maddalena - Presidente del Consiglio dei Ministri
c. Provincia Autonoma di Trento - CORTE COSTITUZIONALE, 14 novembre 2007 (ud.
5 novembre 2007), sentenza n. 378
AREE PROTETTE - Zone a protezione speciale - L.P. Trento n. 10/2004, art. 9,
c. 11 - Attribuzione al Presidente della Giunta del potere di interloquire con
la Commissione europea - Contrasto con l’art. 1, c. 5 della L. n. 349/1986 -
Illegittimità costituzionale. L’art. 9, c. 11 della LP Trento n. 10/2004,
nell’attribuire al Presiedente della Giunta , in materia di zone a protezione
speciale, il potere di interloquire con la Commissione europea, deve ritenersi
costituzionalmente illegittimo, in quanto contrastante con l’art. 1, c. 5 della
L. n. 349/1986, pienamente ribadito dall’art. 5 della legge 5 giugno 2003, n.
131, che attribuisce al Ministro dell’ambiente il compito di rappresentare
l’Italia presso gli organismi della Comunità Europea in materia di ambiente e di
patrimonio culturale. Pres. Bile, Red. Maddalena - Presidente del Consiglio dei
Ministri c. Provincia Autonoma di Trento - CORTE COSTITUZIONALE, 14 novembre
2007 (ud. 5 novembre 2007), sentenza n. 378
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
SENTENZA N. 378
ANNO 2007
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 8, commi 14 e 15, 9, commi 2, 3 e 11, 10 e 15, comma 2, della legge della Provincia autonoma di Trento 15 dicembre 2004, n. 10 (Disposizioni in materia di urbanistica, tutela dell’ambiente, acque pubbliche, trasporti, servizi antincendio, lavori pubblici e caccia), della legge della Provincia autonoma di Trento 6 dicembre 2005, n. 17 (Disposizioni urgenti in materia di concessioni di grandi derivazioni di acque pubbliche a scopo idroelettrico, modificative dell’art. 1 bis 1 della legge provinciale 6 marzo 1998, n. 4), e dell’art. 1, commi da 483 a 492, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), promossi con due ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri e con un ricorso della Provincia autonoma di Trento, notificati il 15 febbraio 2005, il 12 gennaio e il 27 febbraio 2006, depositati in cancelleria il 22 febbraio 2005, il 18 gennaio e il 3 marzo 2006 ed iscritti al n. 26 del registro ricorsi 2005 ed ai nn. 1 e 40 del registro ricorsi 2006.
Visti gli atti di costituzione della Provincia autonoma di Trento e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 25 settembre 2007 il Giudice relatore Paolo Maddalena;
uditi l’avvocato dello Stato Giorgio D’Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Franco Mastragostino e Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di Trento.
Ritenuto in fatto
1. Con ricorso notificato in data 15 febbraio 2005, depositato il successivo 22 febbraio ed iscritto al numero 26 del registro ricorsi dell’anno 2005 il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale degli artt. 8, commi 14 e 15, 9, commi 2, 3 e 11, 10 e 15, comma 2, della legge della Provincia autonoma di Trento 15 dicembre 2004, n. 10 (Disposizioni in materia di urbanistica, tutela dell’ambiente, acque pubbliche, trasporti, servizi antincendio, lavori pubblici e caccia).
Più specificatamente il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato:
- l’art. 8, commi 14 e 15, della legge provinciale n. 10 del 2004, in relazione agli artt. 8, numero 5, e 9, numero 10, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige); e, qualora dovesse trovare applicazione l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione), in relazione all’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera s), della Costituzione; in entrambi i casi, in riferimento all’art. 17 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 (Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti), ed agli artt. 11, 12 e 15 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio);
- l’art. 9, commi 2, 3 e 11, e l’art. 10 della legge provinciale n. 10 del 2004 in relazione all’art. 117, primo comma, della Costituzione; all’art. 8, numeri 15 e 16, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige; e, qualora dovesse trovare applicazione l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, in relazione all’art. 117, secondo comma, lettere a) e s), della Costituzione; in entrambi questi ultimi casi, in riferimento all’art. 1, comma 5, della legge 8 luglio 1986, n. 349 (Istituzione del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale), ed agli artt. 3 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche), e successive modificazioni;
- l’art. 15, comma 2, della legge provinciale n. 10 del 2004 in relazione al principio di leale collaborazione, all’art. 107 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e 16 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica); in relazione agli artt. 9, numero 9, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e, qualora dovesse trovare applicazione l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, in relazione all’art. 117, primo comma, secondo comma, lettere a) e e), (tenuto anche conto della sentenza della Corte di giustizia delle Comunità Europee 11 gennaio 2005 nel procedimento C-26/03), e terzo comma, della Costituzione; in entrambi questi ultimi casi, in riferimento all’art. 1-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 1977, n. 235 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di energia), introdotto dall’art. 11 del decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige in materia di demanio idrico, di opere idrauliche e di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, produzione e distribuzione di energia elettrica), e successive modificazioni, ed all’art. 12 del decreto legislativo n. 79 del 1999.
2. L’impugnato art. 8, comma 14, della legge della Provincia autonoma di Trento n. 10 del 2004 sostituisce l’art. 75 del decreto del Presidente della Giunta provinciale 26 gennaio 1987, n. 1-41/Legisl (Approvazione del testo unico delle leggi provinciali in materia di tutela dell'ambiente dagli inquinamenti), prevedendo (art. 75, comma 1) che «nei casi di particolare urgenza e necessità di tutelare le risorse ambientali e la salute pubblica, la Giunta provinciale può disporre o autorizzare, anche in deroga ai piani previsti dall'art. 65, il potenziamento o l'ampliamento delle discariche esistenti per i rifiuti urbani o la realizzazione di nuovi impianti e discariche, se non sussiste altra possibilità, oppure il ricorso ad altre forme di smaltimento e recupero dei rifiuti urbani. Per le stesse finalità la Giunta provinciale può disporre o autorizzare il conferimento e l'esportazione dei rifiuti urbani e assimilabili in impianti localizzati fuori provincia, previa intesa, se occorre, con la Regione, la Provincia autonoma e le amministrazioni pubbliche interessate».
2.1. Il successivo comma 15 dello stesso art. 8 della legge della Provincia autonoma di Trento n. 10 del 2004 inserisce nell’art. 77 del ricordato testo unico delle leggi provinciali in materia di tutela dell’ambiente dagli inquinamenti i commi 1-bis, 1-ter e 1-quater, prevedendo le misure adottabili (e le relative modalità) qualora, in sede di progettazione o esecuzione di opere pubbliche o private, sia rilevata nell’area di intervento la presenza di discariche e di stoccaggi incontrollati di rifiuti, con contaminazione o meno del sito.
In particolare, l’inserito comma 1-ter del novellato art. 77 prevede che per le operazioni di messa in sicurezza dei siti in questione si prescinde dagli adempimenti previsti dagli artt. 11, 12 e 15 del decreto legislativo n. 22 del 1997, concernenti il catasto, i registri di carico e scarico ed il trasporto dei rifiuti.
2.2. Il ricorrente sostiene che il comma 14 dell’impugnato art. 8 rechi deroghe agli adempimenti inderogabilmente previsti in tema di discariche di rifiuti dall’art. 17 del decreto legislativo n. 36 del 2003 (di attuazione della direttiva 99/31/CE); che il successivo comma 15 rechi deroghe agli adempimenti inderogabilmente previsti dagli artt. 11, 12 e 15 del decreto legislativo n. 22 del 1997 (di attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e rifiuti di imballaggi); e che entrambe le disposizioni eccedano la competenza legislativa provinciale statutariamente attribuita ai sensi degli artt. 8, numero 5, e 9, numero 10, dello statuto speciale (che attribuiscono alla Provincia autonoma, rispettivamente, potestà legislativa primaria in materia di urbanistica e concorrente in materia di igiene e sanità).
A tenere conto del disposto dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, continua peraltro il ricorrente, le disposizioni in questione sarebbero nondimeno illegittime, invadendo la competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione) ed al contempo violando i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, di cui le richiamate norme dei decreti legislativi nn. 22 del 1997 e 36 del 2003 costituiscono attuazione.
3. L’impugnato art. 9 della legge della Provincia autonoma di Trento n. 10 del 2004 reca la disciplina provinciale di «attuazione della direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche».
3.1. Il Presidente del Consiglio dei ministri censura, altresì, i commi 2 e 3 dell’art. 9, della medesima legge provinciale n. 10 del 2004, i quali dettano una disciplina difforme da quella dettata dal legislatore statale in sede di attuazione della richiamata direttiva comunitaria, avvenuta con d.P.R. n. 357 del 1997, come modificato dal d.P.R. 12 marzo 2003, n. 120, recante «Regolamento recante modifiche ed integrazioni al D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, concernente attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche», ed, in particolare, assegnano a deliberazioni della Giunta provinciale il potere di designare autonomamente, come zone speciali di conservazioni (ZSC), i siti di importanza comunitaria costituenti parte della rete ecologica europea denominata “natura 2000”, nonchè il successivo comma 11, il quale stabilisce che i rapporti con la Commissione europea in relazione alla valutazione di incidenza dei piani o progetti non direttamente connessi o necessari alla gestione di un sito ZSC sono tenuti direttamente dal Presidente della Provincia.
Il ricorrente ritiene che queste disposizioni contrastino con l’art. 117, primo comma, della Costituzione per violazione dell’art. 4 della direttiva 92/43/CE che «sembra postulare l’elaborazione di un progetto di elenco unitario dei siti di importanza comunitaria di ciascuno Stato membro e un’unitaria gestione di questi».
La difesa erariale sostiene, poi, che l’art. 9, commi 2, 3 e 11 della legge provinciale impugnata ecceda in ogni caso dai limiti statutari delle competenze provinciali di cui all’art. 8, numeri 15 e 16, dello statuto speciale (che attribuiscono alla Provincia autonoma potestà legislativa primaria, rispettivamente, in materia di caccia e pesca e di alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna).
A tenere conto del disposto dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, continua peraltro l’Avvocatura, le disposizioni in questione sarebbero nondimeno illegittime, invadendo le competenze esclusive dello Stato in materia di tutela dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione) e di disciplina dei rapporti con l’Unione europea (art. 117, secondo comma, lettera a, della Costituzione).
L’attribuzione dei descritti poteri di designazione e di comunicazione ad organi regionali, secondo la tesi della difesa erariale, contrasterebbe, in particolare: con l’art. 1, comma 5, della legge n. 349 del 1986, ledendo i poteri attribuiti al Ministro dell’ambiente per l’espletamento della funzione di raccordo con l’organizzazione comunitaria; e con «l’art. 3 e ssgg.» del ricordato decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, incidendo sui compiti spettanti al Ministro dell’ambiente di designare i siti considerati ZSC con proprio decreto adottato d’intesa con la Regione o Provincia interessata e di coordinare le attività delle Regioni e delle Province autonome, ai fini della loro rappresentazione necessariamente unitaria presso l’Unione europea, in relazione agli obblighi di comunicazione che «unitariamente incidono sull’Autorità di governo nazionale in base alla direttiva, della cui attuazione lo Stato è unitariamente responsabile».
3.2. Il ricorrente censura inoltre l’art. 10 della legge provinciale n. 10 del 2004, il quale reca disposizioni per la prima applicazione della disciplina dettata dal precedente art. 9, impugnandolo «per quanto di ragione» e prospettandone l’illegittimità in via “consequenziale” a quella dell’art. 9.
4. L’impugnato art. 15, comma 2, della legge della Provincia autonoma di Trento n. 10 del 2004 inserisce l’art. 1-bis 1 (recante la rubrica di «Disposizioni in materia di grandi derivazione di acqua a scopo idroelettrico») nella legge provinciale 6 marzo 1988 (recte 1998), n. 4 (Disposizioni per l’attuazione del D.P.R. 26 marzo 1977, n. 235. Istituzione dell'azienda speciale provinciale per l'energia, disciplina dell'utilizzo dell'energia elettrica spettante alla Provincia ai sensi dell’art. 13 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, criteri per la redazione del piano della distribuzione e modificazioni alle L.P. 15 dicembre 1980, n. 38 e L.P. 13 luglio 1995, n. 7), prevedendo una articolata disciplina delle assegnazioni e dei rinnovi delle concessioni delle grandi derivazioni in questione.
4.1. Il ricorrente ricostruisce anzitutto il complesso iter normativo della materia in questione, ricordando:
- che l’art. 9, numero 9, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, nell’attribuire la competenza legislativa concorrente alla Provincia autonoma in ordine alla utilizzazione delle acque pubbliche, ha espressamente escluso le grandi derivazioni a scopo idroelettrico;
- che l’art. 11 del decreto legislativo n. 463 del 1999, recante, ai sensi dell’art. 107 dello statuto speciale, norme di attuazione dello statuto medesimo in materia di demanio idrico e di energia idroelettrica, ha peraltro introdotto l’art. 1-bis nel d.P.R. n. 235 del 1977, recante norme di attuazione statutaria in materia di energia, il quale delega (comma 1) alle due Province autonome, a partire dal 1° gennaio 2000, l’esercizio delle funzioni statali in materia di grandi derivazioni idroelettriche e prevede (comma 16) che la relativa disciplina sia dettata dalle Province nel rispetto dei principi della legislazione statale e degli obblighi comunitari;
- che la disciplina statale in materia è dettata, principalmente, dal decreto legislativo n. 79 del 1999 (di recepimento della direttiva 96/92/CE, recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), e successive modificazioni).
4.2. La difesa erariale ricorda poi:
- che la Commissione europea ha avviato, ai sensi dell’art. 226 del Trattato, due procedure di infrazione (n. 1999/4902 e n. 2002/2282) riguardo alle regole di attribuzione delle concessioni idroelettriche in Italia;
- che, in particolare, queste procedure hanno riguardato l’art. 12 del decreto del Presidente della Repubblica (recte: decreto legislativo) n. 79 del 1999, il quale, a parità di condizioni tra richiedenti, stabilisce la preferenza del concessionario uscente, e l’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977, il quale prevede la preferenza, oltre che a favore del concessionario uscente, anche a favore degli enti strumentali della Provincia nonché delle aziende degli enti locali, in quanto ritenute misure restrittive della concorrenza e del mercato;
- che in tale ambito la Commissione paritetica per l’emanazione delle norme di attuazione dello statuto speciale, ex art. 107 dello statuto medesimo, sta esaminando uno schema normativo che ridisciplina la potestà legislativa della Provincia in materia di concessioni idroelettriche, anche in relazione all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
4.3. Il Presidente del Consiglio ritiene che l’impugnato art. 15, comma 2, della legge provinciale n. 10 del 2004, il quale detta una unilaterale ed organica disciplina della materia e prevede che nella assegnazione delle concessioni idroelettriche non trovino più applicazione i commi da 6 a 12 dell’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977, essendo stato adottato prima che la Commissione paritetica prevista dallo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige provvedesse alla adozione di nuove norme di attuazione statutaria ed alla ridefinizione delle competenze provinciali in materia, violi il principio di leale collaborazione, l’art. 107 dello statuto e l’art. 16 del decreto legislativo n. 79 del 1999, il quale demanda ad apposite norme di attuazione statutaria il coordinamento tra le sue norme di principio e gli ordinamenti delle autonomie speciali.
4.4. Il ricorrente sostiene inoltre che la disposizione censurata, concernendo le regole di selezione dei concessionari di grandi derivazioni idroelettriche, eccederebbe l’ambito delle competenze statutarie della Provincia quali definite dal richiamato art. 9, numero 9, dello statuto.
Né essa potrebbe trovare fondamento nell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 incontrando un limite nelle competenza esclusiva dello Stato in materia di concorrenza (art. 117, secondo comma, lettera e, della Costituzione).
4.5. In relazione al contenuto specifico della disposizione censurata l’Avvocatura sostiene che i commi 7, 8 e 9 dell’art. 1-bis 1 della legge provinciale n. 4 del 1998, introdotti dall’impugnato art. 15, comma 2, della legge provinciale n. 10 del 2004, violerebbero la competenza esclusiva dello Stato in tema di concorrenza, in quanto introducono la possibilità di affidamento diretto della gestione delle grandi derivazioni di acqua a scopo idroelettrico a società per azioni costituite dalla Provincia e partecipate nella misura minima del 49 per cento da un socio privato scelto con procedura di evidenza pubblica, realizzando in tal senso una condizione di minore apertura del mercato di settore rispetto a quella prefigurata dalla norma statale (art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999, costituente principio fondamentale), la quale impone l’affidamento a seguito di procedura di gara.
Sotto questo profilo e tenuto conto dei principi affermati dalla sentenza della Corte di giustizia dell’11 gennaio 2005 nel procedimento C-26/03 in tema di affidamenti diretti, i commi 7, 8 e 9 del suddetto art. 1-bis 1, contrasterebbero pure con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, che vincola la potestà legislativa al rispetto dell’ordinamento comunitario.
4.6. La difesa erariale ritiene poi che gli altri commi dell’art. 1-bis 1 della legge provinciale n. 4 del 1998, introdotto dall’impugnato art. 15, comma 2, della legge provinciale n. 10 del 2004, non terrebbero conto dell’indispensabilità di norme di attuazione per il trasferimento delle funzioni e, fermi i precedenti rilievi ad essi riferibili, anche nella prospettiva di una competenza concorrente, attinente alla materia «produzione, trasporto e distribuzione dell’energia», risulterebbero comunque non rispettosi dei principi fondamentali desumibili dalla legislazione statale, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., oltre che del comma 16 dell’art. 1-bis del D.P.R. n. 235/1977.
In particolare:
- il comma 2, lettera a), del predetto art. 1-bis 1 prevede che la concessione di grande derivazione a scopo idroelettrico possa avere una durata anche inferiore al termine massimo di anni trenta ed in tal senso contrasterebbe con il principio fondamentale della normativa nazionale di liberalizzazione del settore, espresso nell’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 79 del 1999, attuativo della direttiva 96/92/CE, che fissa in trenta anni, su tutto il territorio nazionale, la durata di tali concessioni;
- i successivi commi 12, 13 e 14 del medesimo articolo prevedono e regolano la possibilità per la giunta provinciale di concedere discrezionalmente il rinnovo (anche senza necessità di procedura di evidenza pubblica) ed in tal senso escluderebbero l’applicabilità del principio fondamentale di cui all’art. 12, comma 7, del d.lgs. n. 79 del 1999 sulla prorogabilità (su semplice iniziativa del concessionario) delle concessioni scadute o in scadenza entro il 31 dicembre 2010, in assenza di diverse previsioni delle norme di attuazione.
La discrezionalità della giunta provinciale di concedere il rinnovo delle concessioni di grandi derivazioni di acqua a scopo idroelettrico prevista dagli appena ricordati commi 12, 13 e 14 dell’art. 1-bis 1 della legge provinciale n. 4 del 1998, introdotti dall’impugnato art. 15, comma 2, della legge provinciale n. 10 del 2004, violerebbe anche la competenza esclusiva statale in materia di rapporti con l’Unione europea (art. 117, secondo comma, lettera a, della Costituzione), in quanto spetterebbe allo Stato, unitariamente responsabile nei confronti dell’Unione europea, la definizione in termini generali del possibile prolungamento delle concessioni in questione sulla base degli accordi in via di definizione con la Commissione europea a superamento delle procedure di infrazione avviate da questa.
4.7. Successivamente alla proposizione del ricorso è stata emanata la legge provinciale 6 dicembre 2005, n. 17 (Disposizioni urgenti in materia di concessioni di grandi derivazioni di acque pubbliche a scopo idroelettrico, modificative dell’art. 1-bis 1 della legge provinciale 6 marzo 1998, n. 4), che è intervenuta sulla disposizione introdotta dall’impugnato art. 15, comma 2, della legge provinciale n. 10 del 2004: sostituendone i commi 1, 6 e 12; introducendo i commi da 1-bis a 1-septies, apportando modifiche ai commi 2, lettere a), l) ed m), 3, 4, 5, 13, lettera d) e 15; abrogando i commi 14 e 16.
Per quanto attiene al presente ricorso assumono rilievo:
- la sostituzione del comma 1 dell’art. 1-bis 1 della legge provinciale n. 4 del 1998, in quanto, tra l’altro, la Provincia autonoma antepone al precedente testo normativo la affermazione di stare esercitando la competenza legislativa prevista dal comma 16 dell’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977 (introdotto dall’art. 11 del decreto legislativo n. 463 del 1999) e prevede che non siano applicabili alle concessioni in questione i commi da 7 a 11 e 12, quarto e quinto periodo, (e quindi non più i commi da 6 a 12) di detto art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977;
- le modifiche degli impugnati commi 2, lettera a), e 13, lettera d);
- la sostituzione dell’impugnato comma 12, il quale prevede che la Giunta provinciale può disporre il rinnovo delle concessioni sulla base delle istanze presentate dagli interessati e secondo quanto prescritto dai commi da 1-ter a 1-septies e 13;
-la abrogazione del comma 14.
4.8. Sempre successivamente alla proposizione del ricorso è poi intervenuto l’art. 1, comma 483, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006), il quale ha integralmente sostituito i commi 1 e 2 dell’art. 12 del decreto legislativo n. 79 del 1999 e ne ha abrogato i commi 3 e 5.
5. La Provincia autonoma di Trento si è costituita con una memoria nella quale prospetta l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso, «per le ragioni che verranno esposte con separata memoria nel corso del giudizio».
6. In data 20 gennaio 2006 è stata depositata una concorde richiesta delle parti di rinvio della discussione del ricorso, in ragione della promulgazione della legge della Provincia autonoma di Trento n. 17 del 2005, recante nuova disciplina della materia in questione, e della sua impugnazione (ricorso n. 1 del 2006) da parte del Presidente del Consiglio dei ministri.
Questa Corte, attesa la connessione oggettiva e soggettiva dei ricorsi, ha conseguentemente disposto il rinvio dell’udienza al 2 maggio 2006 al fine di consentire la trattazione unitaria delle relative questioni.
7 In prossimità dell’udienza pubblica del 2 maggio 2006 le parti hanno depositato memorie.
8. Il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria nella quale, sostanzialmente, ribadisce i motivi del ricorso in riferimento agli impugnati artt. 8, commi 14 e 15, 9, commi 2, 3 ed 11, e 10 della legge provinciale n. 10 del 2004.
In ordine alla questione della disciplina delle grandi concessioni a scopo idroelettrico, oggetto delle disposizioni dell’impugnato art. 15, comma 2, della medesima legge provinciale n. 10 del 2004, la difesa erariale rinvia, altresì, alla memoria depositata nell’ambito del connesso giudizio avverso la legge provinciale n. 17 del 2005 (ricorso n. 1 del 2006).
9. La Provincia autonoma di Trento, a sua volta, ha depositato una memoria, nella quale argomenta le proprie difese in riferimento alle censure proposte avverso gli artt. 8, commi 14 e 15, 9, commi 2, 3 ed 11, e 10 della legge provinciale n. 10 del 2004.
In ordine alla censure proposte avverso l’art. 15, comma 2, della medesima legge provinciale n. 10 del 2004, la difesa provinciale sostiene che, non avendo la norma avuto applicazione (circostanza che risulterebbe da una attestazione del dirigente del Servizio Utilizzazione delle acque pubbliche depositata unitamente alla memoria) prima della sua sostituzione da parte della legge provinciale n. 17 del 2005, sarebbe cessata la materia del contendere. Quanto al merito della questione, peraltro, la resistente Provincia autonoma rinvia, anch’essa, alla memoria depositata nell’ambito del connesso giudizio sul ricorso n. 1 del 2006.
9.1. La Provincia autonoma di Trento, dopo avere ricostruito il quadro normativo, articola distintamente le difese in ordine ai due gruppi di censure, riferiti rispettivamente alla materia dei rifiuti (artt. 8, commi 14 e 15, delle legge provinciale n. 10 del 2004) ed a quella delle zone speciali di conservazione (art. 9, commi 2, 3 e 1, e art. 10 della medesima legge).
9.2. In riferimento alla materia dei rifiuti la resistente Provincia sostiene la inammissibilità, per genericità della formulazione, e, nel merito, la infondatezza del ricorso.
Per quanto attiene alle censure proposte dallo Stato in riferimento all’art. 117 della Costituzione la difesa provinciale eccepisce una generale inammissibilità determinata dalla mancata giustificazione, da parte dello Stato, delle ragioni per le quali tale norma costituzionale dovrebbe applicarsi alla autonomia speciale.
9.2.1. La previsione dell’impugnato art. 8, comma 14, per il quale «nei casi di particolare urgenza e necessità di tutelare le risorse ambientali e la salute pubblica, la Giunta provinciale può disporre o autorizzare, anche in deroga ai piani previsti dall’art. 65, il potenziamento o l’ampliamento delle discariche esistenti per i rifiuti urbani o la realizzazione di nuovi impianti e discariche, se non sussiste altra possibilità, oppure il ricorso ad altre forme di smaltimento e recupero dei rifiuti urbani» e «per le stesse finalità la Giunta provinciale può disporre o autorizzare il conferimento e l’esportazione dei rifiuti urbani e assimilabili in impianti localizzati fuori provincia, previa intesa, se occorre, con la Regione, la Provincia autonoma e le amministrazioni pubbliche interessate», secondo la resistente, prefigurerebbe una possibilità di deroga alle previsione programmatorie di smaltimento dei rifiuti urbani, assolutamente limitata a casi eccezionali e di somma urgenza e si porrebbe, quindi, su di un livello di scelte strategiche.
Tale previsione non si porrebbe contro la legislazione dello Stato, ma costituirebbe una valvola di sicurezza del sistema, una norma di chiusura del sistema di contenimento dei rifiuti per fronteggiare singoli e imprevedibili casi con strumenti di emergenza, ma sempre nel rispetto della prassi, assurta a principio della materia, del previo accordo con l’ente territoriale interessato in ipotesi di smaltimento dei rifiuti in territorio extraprovinciale.
9.2.2. La disciplina recata dall’art. 8, comma 15, dell’impugnata legge provinciale n. 10 del 2004 tenderebbe, secondo la difesa provinciale, a risolvere un problema pratico. Quello del rinvenimento, in occasione di scavi dovuti alla realizzazione di lavori, di materiali residuati.
La legge provinciale perseguirebbe lo scopo di consentire lo smaltimento in loco di rifiuti non pericolosi, senza dare luogo, a cantiere aperto, a procedure complicate e, in sostanza, delineerebbe i generici poteri già concessi ai Sindaci in materia.
La previsione non violerebbe l’art. 17 del decreto legislativo n. 36 del 2003, dato che non si tratterebbe di una nuova forma di smaltimento sostitutiva di quelle disciplinate dalla normativa statale e provinciale precedente né di una nuova specie di discarica, ma unicamente di un intervento di bonifica di un sito inquinato, peraltro subordinata a stringenti condizioni e assistita da idonee garanzie.
Neppure essa sarebbe lesiva dei principi recati dagli artt. 11, 12 e 15 del decreto legislativo n. 22 del 1997, dal cui rispetto espressamente la norma provinciale impugnata dispensa le procedura di bonifica de qua, atteso che le richiamate disposizioni statali in tema di registro e di trasporto dei rifiuti non si applicherebbero comunque al caso di specie.
In sostanza la norma provinciale non avrebbe un contenuto costitutivo, quale esenzione da un obbligo derivante da legge statale, bensì si limiterebbe a certificare e a dare atto che tale obbligo non sussiste.
Sostiene, al riguardo, la Provincia autonoma che non troverebbe infatti applicazione la disciplina in materia di registro dei rifiuti, atteso che questi non vengono prodotti, ma solo rinvenuti nel sito dei lavori di scavo, e, qualora non pericolosi, vengono sistemati in sicurezza in loco, ma non smaltiti, né rimossi, né allontanati. Per le stesse ragioni, neppure si applicherebbe la normativa statale in materia di trasporto di rifiuti, dato che essi, nello specifico, non sarebbero in alcun modo trasportati. Ove peraltro ciò si verificasse, sostiene la resistente Provincia, l’attività di trasporto rientrerebbe nella disciplina statale, senza che la impugnata norma provinciale interferisca in alcun modo con essa.
9.3. In riferimento alla materia delle zone speciali di conservazione la Provincia autonoma di Trento, dopo avere ricostruito il quadro normativo e i motivi del ricorso, eccepisce, anzitutto, la inammissibilità di tutte le censure fondate sul d.P.R. n. 357 del 1997.
9.3.1. La Provincia richiama, al riguardo, la sentenza n. 425 del 1999 della Corte costituzionale, con la quale le è stato rigettato il ricorso proposto avverso il predetto regolamento governativo sul presupposto che la sua emanazione da parte dello Stato, in via sostitutiva e preventiva dell’inerzia provinciale, non ledesse la sua sfera di attribuzioni costituzionali in quanto resterebbe comunque inalterato il potere della Provincia autonoma di dare attuazione direttamente alla direttiva comunitaria e che, in tale caso, tale potere incontrerebbe i soli limiti dettati dalla legislazione dello Stato, non potendosi, al di fuori di tali limiti, ipotizzarsi un vincolo da parte di un regolamento statale della potestà normativa provinciale.La difesa provinciale richiama, inoltre, il disposto dell’art. 11, comma 8, della legge 4 febbraio 2005, n. 11 (Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari), ispirato al medesimo principio del carattere cedevole dei regolamenti statali di attuazione di direttive comunitarie nelle materie di competenza legislativa regionale e provinciale.
Secondo la Provincia, oltre che inammissibili, le censure statali fondate sul d.P.R. n. 357 del 1997 sono pure infondate, dacché tali norme regolamentari non costituiscono vincolo costituzionale per la legislazione provinciale.
9.3.2. Specificamente inammissibile sarebbe, poi, la censura statale che secondo la Provincia sarebbe riferita alla violazione della competenza esclusiva in materia di ambiente ed ecosistema, in relazione agli artt. 3 e seguenti del d.P.R. n. 357 del 1997, per genericità del motivo di ricorso e mancata illustrazione delle ragioni del presunto contrasto tra tali norme e quelli provinciali impugnate.
9.3.3. In ordine alle censure statali riferite alla violazione della direttiva 92/43/CE (art. 4) e della legge n. 349 del 1986 (art. 1, comma 5), la Provincia autonoma di Trento ne eccepisce, anzitutto, l’inammissibilità, dacché proposte in relazione agli artt. 117, secondo comma, lettera a) e lettera s), della Costituzione. Secondo la difesa provinciale si tratterebbe di un parametro improprio, non riferibile alla autonomia speciale della Provincia di Trento, ed il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri non avrebbe argomentato le ragioni per le quali quelle norme dovrebbero applicarsi, con conseguente sua inammissibilità.
9.3.4. Nel merito tali censure sarebbero, peraltro, infondate.
9.3.5. Quanto alla violazione dell’art. 4 della direttiva comunitaria, la questione sarebbe irrilevante, atteso che per il riferimento ivi contenuto allo Stato membro avrebbe carattere neutro e non potrebbe modificare l’ordine costituzionale o statutario delle competenze, non assumendo rilievo alcuno, rispetto al diritto comunitario, i criteri interni di riparto di esse.
9.3.6. La Provincia autonoma di Trento richiama, poi, la sentenza della Corte costituzionale n. 265 del 2003, con la quale le è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso il decreto ministeriale di pubblicizzazione dei siti di interesse comunitario (SIC) per la mancanza di interesse in capo alla Provincia, «in quanto il decreto non precludeva l’ulteriore esercizio del potere di individuazione dei siti rilevanti da parte della Giunta provinciale […] nelle more del completamento del procedimento comunitario».
La difesa provinciale afferma che «se per l’individuazione dei SIC lo Stato si limita a recepire le scelte regionali e a comunicarle alla Commissione, non si comprende perché non dovrebbe spettare alle Regioni anche il potere di designazione dei siti come zone speciali di conservazione, ex art. 4, par. 4, della direttiva, che è un potere a carattere sostanzialmente vincolato».
9.3.7. Quanto alla dedotta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera a), della Costituzione, la censura statale sarebbe infondata sotto vari aspetti.
Anzitutto, perché le norme impugnate non regolerebbero affatto i rapporti dello Stato con l’Unione europea.
Inoltre, sempre secondo la difesa provinciale, stante l’oggetto delle norme impugnate, non sussisterebbero affatto esigenze di rappresentazione unitaria delle scelte regionali presso l’Unione.
La resistente osserva che, in effetti, la decisione dell’ente territoriale di superare la conclusione negativa della valutazione d’incidenza e di realizzare comunque un piano, adottando le opportune misure compensative, rappresenta un’eventualità particolare che potrebbe riguardare una certa Regione in un qualsiasi momento. Per tale motivo, sarebbe pienamente giustificato che i rapporti con la Commissione siano tenuti direttamente dall’ente interessato, «sarebbe invece incongruo e macchinoso che gli organi competenti alla decisione dovessero parlarsi […] per interposta persona».
La Provincia autonoma osserva, pure, che nemmeno l’inapplicabile e non vincolante d.P.R. n. 357 del 1997 contiene norme contrastanti con la previsione dell’art. 9, comma 11, della legge provinciale n. 10 del 2004 né esso assegna al Ministro alcuna funzione di comunicazione in riferimento alla fattispecie regolata dall’art. 6, paragrafo 4, della direttiva comunitaria in questione.
9.3.8. Parimenti infondata sarebbe la questione ove valutata alla luce dell’art. 1, comma 5, o dell’art. 5 della legge n. 349 del 1986.
La prima norma, secondo la Provincia autonoma di Trento, non intenderebbe riconoscere al Ministro dell’ambiente il compito di raccordo fra Unione europea e Regioni, ma solo individuare l’apparato statale competente quando spetti allo Stato dare attuazione ad obblighi comunitari o internazionali in materia di ambiente.
La seconda norma, relativa alla materia dei parchi, non avrebbe poi alcuna pertinenza con le norme censurate.
9.3.9. La Provincia di Trento eccepisce poi la inammissibilità, per genericità della formulazione del ricorso, delle censure riferite alla violazione delle disposizioni statutarie (art. 8, comma 15 e 16, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige)
9.3.10. Inammissibile sarebbe, infine, pure la censura proposta avverso l’art. 10 della legge provinciale n. 10 del 2004.
Tale norma, che il ricorrente censura in via consequenziale all’art. 9, non avrebbe infatti alcuna attinenza con gli impugnati commi 2, 3 ed 11 dello stesso art. 9. Ma detterebbe regole di attuazione di norme di principio recate in altri commi, non impugnati, del medesimo articolo. Difetterebbe, pertanto, la consequenzialità tra le censure e sarebbe impossibile dare senso alle generiche deduzioni del ricorso.
10. Con ricorso notificato il 12 gennaio 2006, depositato il successivo 18 gennaio ed iscritto al n. 1 del registro ricorsi dell’anno 2006 il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato anche la legge della Provincia autonoma di Trento 6 dicembre 2005, n. 17 (Disposizioni urgenti in materia di concessioni di grandi derivazioni di acque pubbliche a scopo idroelettrico, modificative dell’art. 1 bis 1 della legge provinciale 6 marzo 1998, n. 4).
11. Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva, anzitutto, che la competenza in materia di grandi derivazioni di acqua a scopo idroelettrico, inizialmente esclusa dall’art. 9, n. 9, dello statuto speciale, è stata poi delegata alla Provincia autonoma di Trento dall’art. 1-bis, comma 16, secondo periodo, del d.P.R. n. 235 del 1977 (norma di attuazione statutaria), con il limite dei principi della legislazione statale e degli obblighi comunitari.
Il ricorrente sostiene che detta competenza delegata abbia «in pratica» gli stessi limiti di quella riconosciuta in materia alle Regioni ordinarie dall’art. 117 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, sicché, escluso che gli enti di autonomia ordinaria godano di un regime di maggiore autonomia e, pertanto, esclusa l’applicabilità del disposto dell’art. 10 della medesima legge costituzionale, la competenza provinciale in materia di derivazioni idroelettriche dovrebbe essere valutate in ragione del parametro statutario.
11.1. La difesa erariale individua i principi fondamentali della legislazione statale in materia di concessioni idroelettriche nelle previsioni dell’art. 12 del decreto legislativo n. 79 del 1999 (di attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica).
Tali previsioni sarebbero inderogabili per gli enti territoriali sia perché funzionali alla liberalizzazione del mercato interno dell’energia elettrica (e pertanto attinenti alla materia della tutela della concorrenza) sia perché le concessioni idroelettriche, che interessano fiumi che attraversano più territori regionali, non potrebbero che avere disciplina unitaria.
L’Avvocatura ritiene che tali previsioni sarebbero sostanzialmente corrispondenti a quelle dettate dall’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977. In particolare i commi 7 e 8 del predetto art. 1-bis corrisponderebbero al comma 2 dell’art. 12 del decreto legislativo n. 79 del 1999; i commi 9, 10 ed 11 corrisponderebbero al comma 3.
L’impugnata legge provinciale n. 17 del 2005, laddove (art. 1, comma 1) esclude l’applicazione dei commi da 7 a 11 ed il terzo, quarto e quinto periodo del comma 12 dell’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977 e detta una diversa disciplina della materia, sarebbe, allora, illegittima sotto un duplice profilo: perché con essa la Provincia pretenderebbe di modificare unilateralmente una disciplina adottata bilateralmente, in base alla speciale procedura prevista dall’art. 107 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige; perché violerebbe norme statali costituenti principi fondamentali. E questo sia nell’ottica di una competenza statutaria delegata sia nell’ipotesi di una competenza provinciale ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
11.2. Il Presidente del Consiglio dei ministri chiarisce, poi, che anche i commi 5 e 6 del d.lgs. n. 79 del 1999, che prevedono una proroga al 31 dicembre 2010 delle concessioni in scadenza anteriormente e che la gara pubblica per l’attribuzione della concessione è indetta non oltre cinque anni prima della scadenza, detterebbero principi fondamentali della materia, atteso che l’utilizzazione di una concessione di grande derivazione comporta impegni imprenditoriali di entità notevole e che sarebbe necessario garantire spazi temporali uniformi per gli interessati alle nuove concessioni.
11.3. Il ricorrente ricorda le due procedure di infrazione (n. 1999/4902 e n. 2002/2282, richiamate pure dalla legge provinciale impugnata) avviate dalla Commissione europea, ai sensi dell’art. 226 del Trattato, riguardo alle regole di attribuzione delle concessioni idroelettriche in Italia, per il diritto di preferenza a favore del concessionario uscente e, nella Regione Trentino-Alto Adige, a favore delle aziende elettriche delle Province e degli enti locali. E che, «per neutralizzare le contestazioni» nell’art. 1, commi 483 e seguenti, della legge n. 266 del 2005 è stata introdotta una nuova disciplina in materia.
Tale ultima normativa avrebbe indiscutibile natura di principio fondamentale, dacché rivolta ad introdurre una disciplina di applicazione generale, che assicuri il rispetto dei limiti comunitari su tutto il territorio nazionale.
La legge provinciale n. 17 del 2005 sarebbe, peraltro, in contrasto anche con questa nuova disciplina statale.
11.4. In relazione al contenuto specifico della legge provinciale censurata l’Avvocatura generale dello Stato rileva, anzitutto, che la Provincia si è riservata la verifica di un interesse pubblico prevalente ad un uso diverso delle acque, in tutto o in parte incompatibile con l’uso a fine idroelettrico.
Tale previsione sarebbe illegittima in quanto «se la competenza alla valutazione è assegnata alla Provincia, l’interesse pubblico rilevante è quello provinciale, non tenendo conto che l’uso a fine idroelettrico investe interessi di carattere nazionale, come è detto espressamente dall’art. 117, terzo comma, Cost.».
Inoltre, continua l’Avvocatura, «l’interesse pubblico sussisterebbe anche nel caso di diretto utilizzo delle acque pubbliche, anche a scopo idroelettrico, da parte dell’ente proprietario mediante strutture alla proprie dirette dipendenze. Di conseguenza un interesse di queste strutture all’utilizzo diretto anche a scopo non idroelettrico, lo farebbe diventare solo per questo prevalente».
«Questo utilizzo sarebbe consentito qualora assumesse prioritaria rilevanza la sicurezza delle popolazioni e dei territori a valle delle opere di presa ovvero delle opere che determinano l’invaso, popolazioni che possono essere solo quelle della Provincia dal momento che quest’ultima non può attribuirsi poteri che investono territori diversi».
Secondo il ricorrente «la riserva a queste condizioni» finirebbe «con l’integrare anche una nuova violazione comunitaria analoga a quella già contestata», alla quale si aggiungerebbe, «piuttosto che porvi rimedio».
11.5. L’Avvocatura censura poi il comma 2 dell’art. 1 della impugnata legge della provincia di Trento n. 17 del 2005, sotto due profili.
Per contraddittorietà, in quanto la norma si riferisce alle domande previste nel comma 6 dell’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977, che nel primo comma del medesimo articolo della legge provinciale impugnata è stato dichiarato non più applicabile.
Per violazione dell’art. 12, comma 6, del d.lgs. n. 79 del 1999, nonché degli artt. 43 e 49 del Trattato CE, in quanto nel fissare al 31 dicembre 2005 la data di presentazione delle domande violerebbe la previsione, costituente principio fondamentale della materia, della proroga delle concessioni fino al 31 dicembre 2010 per riconoscere a tutte le imprese interessate lo stesso tempo per predisporre le proprie domande.
11.6. La difesa erariale censura infine il nuovo comma 12 dell’art. 1-bis della legge provinciale n. 4 del 1998 (introdotto dal comma 8 dell’art. 1 della impugnata legge provinciale n. 17 del 2005), il quale prevede, in prima applicazione e a date condizioni, il rinnovo delle concessioni di grande derivazione in atto alla data di entrata in vigore della legge.
L’Avvocatura sostiene che tale previsione violerebbe i principi fondamentali formulati nell’art. 12 del decreto legislativo n. 79 del 1999 e nei commi 483 e seguenti della legge n. 277 del 2005, nonché, e prima ancora, gli artt. 43 e 49 del Trattato CE.
Non eviterebbe l’illegittimità della norma la previsione, contenuta nell’ultima parte dell’art. 1-ter e dell’art. 1-bis della legge provinciale n. 4 del 1998 (introdotto dall’art. 1, comma 2, della impugnata legge provinciale n. 17 del 2005), per la quale «le domande» di rinnovo, «fermo restando quanto previsto dall'ultimo periodo del comma 1 e dal comma 13, possono essere accolte solo dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo previsto dall'art. 15 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 2004), a condizione che tale decreto preveda disposizioni transitorie in materia di proroga o di rinnovo senza gara delle concessioni in atto», in quanto «le disposizioni transitorie in materia di proroga o di rinnovo delle concessioni in atto, che fossero inserite nel decreto legislativo emanato ai sensi dell’art. 15 della legge 62/2006» (recte: 2005) «resterebbero sostituite dalla disciplina provinciale».
Il disposto del comma 1-quinqiues, lettera a), dell’art. 4 del 1998 (introdotto dall’art. 1, comma 2, della impugnata legge provinciale n. 17 del 2005), laddove prevede che la Provincia autonoma indichi, nel bando contenente l’elenco delle concessioni in scadenza nel quinquennio, le domande presentate ai sensi del comma 1-ter del medesimo articolo (anch’esso introdotto dal richiamato art. 1, comma 2, della legge provinciale impugnata), il quale si riferisce alle domande di rinnovo delle concessioni, secondo la difesa erariale, comproverebbe, oltretutto, che la disciplina del rinnovo non avrebbe carattere transitorio, ma sarebbe di applicazione generale.
12. La Provincia autonoma di Trento si è costituita con una memoria nella quale prospetta l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso, «per le ragioni che verranno esposte con separata memoria nel corso del giudizio».
13. In prossimità dell’udienza pubblica del 2 maggio 2006, le parti hanno depositato memorie nelle quali sviluppano argomentazioni tanto in ordine alla legge provinciale n. 10 del 2004 (oggetto del ricorso n. 26 del 2005) quanto in ordine alla legge provinciale n. 17 del 2005 (oggetto del ricorso n. 1 del 2006).
14. Nella sua memoria il Presidente del Consiglio dei ministri, in buona sostanza, ribadisce e sviluppa gli argomenti posti a fondamento nel ricorso.
In aggiunta a tali argomenti l’Avvocatura esprime un dubbio sulla conformità a Costituzione della norma statutaria (art. 1-bis, comma 16, del d.P.R. n. 235 del 1977) che delega alla Provincia autonoma funzioni normative in materia di grandi derivazioni idroelettriche. Ciò in quanto lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige espressamente (art. 9, comma 9) eccettua dalla competenza provinciale tale oggetto e le norme di attuazione non potrebbero incidere in senso modificativo dello statuto.
15. Nella sua memoria la Provincia autonoma di Trento sostiene, anzitutto, che l’approvazione della legge provinciale n. 17 del 2005, modificativa dell’art. 15, comma 2, della legge provinciale n. 10 del 2004 avrebbe determinato la cessazione della materia del contendere in ordine al ricorso (n. 26 del 2005) proposto dallo Stato avverso tale antecedente disposizione.
«In ogni modo» scrive la difesa provinciale «le argomentazioni qui svolte varrebbero corrispondentemente anche in relazione al primo ricorso».
15.1. La resistente Provincia, dopo avere ricostruito l’evoluzione del quadro normativo statutario in materia di grandi derivazioni a scopo idroelettrico e le vicende collegate al parere motivato della Commissione europea di non conformità al diritto comunitario delle preferenze accordate ai concessionari uscenti dall’art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999 ed alle società degli enti locali e territoriali dall’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977 (introdotto dal decreto legislativo, di attuazione statutaria, n. 463 del 1999), eccepisce l’inammissibilità delle censure statali riferite alla violazione da parte della legge provinciale n. 17 del 2005 della legge n. 266 del 2005 (art. 1, commi da 483 a 492).
La norma statale invocata quale parametro interposto del giudizio di costituzionalità in via principale è infatti successiva a quella provinciale impugnata, il che escluderebbe in radice alcun possibile vizio di questa. Potendosi semmai discutere della necessità di un adeguamento dell’ordinamento provinciale alla nuova normativa statale, nel termine di sei mesi previsto dal decreto legislativo di attuazione statutaria n. 266 del 1992.
15.2. Le censure sarebbero, tuttavia e sotto più profili, infondate.
Sostiene, al riguardo la difesa provinciale, che la competenza normativa dalla Provincia esercitata sussisterebbe tanto alla stregua delle attribuzioni statutarie quanto per effetto dell’estensione operata dall’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 del regime ordinario previsto dall’art. 117, terzo comma, della Costituzione in materia di energia.
La Provincia denuncia, anzi, un vizio logico del ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri che, a suo dire, da un lato, negherebbe l’applicazione dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 (e la conseguente espansione delle attribuzioni normative provinciali) sull’assunto che ad essa già sarebbe attribuita una potestà legislativa concorrente in materia di energia, dall’altro, negherebbe che la Provincia abbia potestà legislativa in materia di grandi derivazioni a scopo idroelettrico.
Per la Provincia autonoma, che richiama sul punto le sentenze n. 383 del 2005 e n. 8 del 2004 della Corte costituzionale, non sarebbe invece dubitabile la applicazione dell’art. 10 in questione e non sarebbe, pertanto, possibile per lo Stato l’invocazione della disciplina statutaria quando essa risulti più restrittiva per l’ente territoriale di quella dettata per le Regioni ordinarie.
Sarebbero pertanto inammissibili ed infondate le censure statali proposte in relazione al mancato rispetto di norme statali non aventi natura di principio fondamentale.
15.3. Peraltro, secondo la Provincia autonoma di Trento, sarebbero vincolanti i soli principi di legge statale non contrari al diritto comunitario, spettando altrimenti all’ente territoriale di dare attuazione a questo anche in difformità dalle previsioni delle leggi dello Stato.
15.3.1. Nello specifico la contrarietà «della normativa del decreto legislativo n. 235 del 1977» al diritto comunitario sarebbe ammessa dallo stesso ricorrente, il quale nel ricorso specificherebbe che «i commi da 483 e seguenti della legge n. 266 del 2006 […] sono stati introdotti per neutralizzare la contestazione della Commissione».
Non sarebbe pertanto possibile per lo Stato invocare tale parametro nel giudizio.
15.3.2. La stessa sopraggiunta legge n. 266 del 2005 sarebbe poi, in parte qua, in contraddizione con il diritto comunitario e, pertanto, parimenti non deducibile quale parametro nel giudizio in questione.
La Provincia, oltre a rinviare al suo ricorso (n. 40 del 2006) avverso la legge n. 266 del 2005, puntualizza, infatti, che la previsione della proroga dei rapporti concessori in essere (art. 1, comma 485, della legge n. 266 del 2005), oltre ad essere (illegittimamente) di dettaglio, non realizzerebbe affatto il dichiarato fine di tutela della concorrenza (di cui all’invocato art. 117, secondo comma, lettera e, della Costituzione) ed anzi contrasterebbe con i principi del libero mercato concorrenziale.
15.4. Di contro nessun vizio, per la Provincia autonoma, sarebbe ravvisabile nell’art. 1-bis 1 della legge provinciale, quale novellato dalla impugnata legge provinciale n. 17 del 2005, dacché essa non si discosterebbe dalla legislazione statale «se non limitatamente alla parte in cui, disciplinando un confronto concorrenziale tra il concessionario uscente e tutti coloro che abbiano presentato domanda per l’assegnazione, alla scadenza della concessione, prevede all’esito della medesima procedura concorrenziale il riconoscimento di una preferenza a favore del concessionario uscente o degli enti provinciali ed aziende degli enti locali».
In sostanza, con la norma censurata, la Provincia autonoma non avrebbe fatto altro che disapplicare espressamente quanto previsto dalla normativa di attuazione statutaria in ordine alle preferenze contrarie al diritto comunitario. Si tratterebbe, peraltro, di una previsione a carattere meramente dichiarativo, dato che l’inapplicabilità delle norme delle predette attuazione statutaria discenderebbe direttamente dal diritto comunitario.
15.5. La censurata legge provinciale n. 17 del 2005, secondo la resistente Provincia autonoma di Trento, non sarebbe neppure contraria ai principi fondamentali statali in materia di energia.
15.5.1. Per quanto attiene alla contestata possibilità di rinnovo per anni dieci delle concessioni in essere in caso di adeguati interventi di ammodernamento la previsione provinciale non si discosterebbe dalla prorogabilità, sempre per dieci anni, prevista dal comma 485 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005. Con l’unica differenza che secondo la normativa statale la proroga conseguirebbe automaticamente, in presenza di interventi di una entità economica espressamente determinata, mentre la legge provinciale collegherebbe il diritto al rinnovo ad un preventivo riesame e ad una nuova valutazione discrezionale degli interessi pubblici concorrenti con quello al mero sfruttamento economico della risorsa idrica.
15.5.2. Per quanto attiene alla specificazione (art. 1-bis 1, comma 1, della legge provinciale n. 4 del 1998, novellato dalla legge provinciale n. 17 del 2005) della sussistenza di un interesse pubblico prevalente alla riassegnazione o al rinnovo della concessione nel caso di utilizzo delle acque pubbliche da parte dell’ente proprietario «mediante strutture alle proprie dirette dipendenze, qualora assuma prioritaria rilevanza la sicurezza delle popolazioni e dei territori a valle delle opere di presa ovvero delle opere che determinano l’invaso», la Provincia sostiene che dette strutture non sarebbero quelle cui si riferivano le comunitariamente illegittime preferenze e che non esisterebbe un interesse di queste strutture separabile dall’interesse pubblico valutato dalla Provincia.
15.5.3. La Provincia autonoma di Trento denuncia poi la oscurità della censura proposta dallo Stato sul presupposto che la legge provinciale n. 17 del 2005, da un lato, dichiarerebbe l’inapplicabilità del comma 6 dell’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977, dall’altro si riferirebbe a questa medesima disposizione.
La difesa provinciale rileva che ad essere stati dichiarati inapplicabili sarebbero i soli commi da 7 a 11 dell’art. 1-bis del decreto, sicché la censura non avrebbe un chiaro senso.
15.5.4. Quanto, infine, alla censura del rinnovo delle concessioni a favore dei concessionari uscenti, la difesa provinciale eccepisce la non pertinenza ed ammissibilità delle censure proposte in riferimento a norme statali ancora da emanare (quali sarebbero i decreti legislativi previsti dalla legge n. 62 del 2006) e che non sarebbe dubitabile il carattere transitorio di una previsione destinata, per espresso e chiaro disposto normativo, ad operare solo in sede di prima applicazione della legge.
16. In data 19 aprile 2006 è stata depositata una concorde richiesta delle parti di rinvio della discussione del ricorso, in ragione della promulgazione della legge n. 266 del 2005, recante (art. 1, commi da 483 a 492) nuova disciplina della materia in questione, e della sua impugnazione (ricorso n. 40 del 2006) da parte della Provincia autonoma di Trento.
Questa Corte, attesa la connessione oggettiva e soggettiva dei vari ricorsi, ha conseguentemente disposto il rinvio all’udienza del 10 ottobre 2006 al fine di consentire la trattazione unitaria delle relative questioni.
17. Con ricorso notificato in data 27 febbraio 2005, depositato il successivo 3 marzo ed iscritto al numero 40 del registro ricorsi dell’anno 2006 la Provincia autonoma di Trento ha promosso questione di legittimità costituzionale di varie disposizioni della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006), tra le quali quelle dettate dell’art. 1 commi da 483 a 492 in materia di grandi derivazioni di acqua a scopo idroelettrico.
17.1. I predetti commi da 483 a 492 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005 introducono una articolata disciplina delle concessioni di grandi derivazioni di acqua a scopo idroelettrico, prevedendo sia regole immediate e transitorie sia regole destinate ad operare «a regime».
17.2 A tale secondo ambito sono riconducibili la regola della gara pubblica (comma 483) quale principio generale per l’attribuzione delle concessioni e quelle relative alla trasferibilità (con relativi criteri di stima anche solo) del ramo di azienda relativo all’esercizio della concessione stessa (commi 489 e 490).
17.3. Immediata applicazione sono invece destinate ad avere le regole dettate in tema di proroga di dieci anni delle concessioni in essere (comma 485).
Tale proroga è normativamente (comma 485) posta in relazione «ai tempi di completamento del processo di liberalizzazione e integrazione europea del mercato interno dell’energia elettrica, anche per quanto riguarda la definizione di principi comuni in materia di concorrenza e parità di trattamento nella produzione idroelettrica».
Essa è subordinata anzitutto al pagamento per quattro anni, a decorrere dal 2006, di un canone aggiuntivo unico calcolato in base alla potenza energetica nominale installata, che viene ripartito per cinque sesti allo Stato e per il restante ai Comuni interessati (comma 486).
Per beneficiare della proroga sono inoltre necessari (comma 485) interventi di ammodernamento degli impianti, che sono ritenuti congrui alle condizioni (quantitative, qualitative e temporali) previste dal comma 487.
Il comma 488 disciplina le modalità di presentazione delle domande di proroga, quelle degli accertamenti delle amministrazioni competenti e gli effetti (decadenza dalla concessione) del mancato completamento degli investimenti di ammodernamento.
17.4. I commi 491 e 492 qualificano le disposizioni predette quali regole dettate in materia di tutela della concorrenza ed in attuazione degli impegni comunitari dello Stato e fissano il termine (novanta giorni) alle Regioni ed alle Province autonome per armonizzare i propri ordinamenti alla nuova disciplina.
Il comma 484, in questo ambito, abroga l’art. 16 del decreto legislativo n. 79 del 1999 che, nel disciplinare la materia delle grandi concessioni idroelettriche, faceva salvezza delle prerogative statutarie della Regione autonoma Valle d’Aosta e delle Province autonome di Trento e Bolzano e demandava il necessario coordinamento agli speciali decreti legislativi di attuazione statutaria.
18. La Provincia autonoma di Trento, premessa una analitica ricostruzione della evoluzione delle proprie competenze in materia di acque e criticata la stessa tecnica normativa seguita dal legislatore nazionale nella approvazione, in unico articolo, suddiviso in centinaia di commi, dell’intera manovra finanziaria e nell’inclusione in essa di riforme di sistema, quali quelle in esame, oltretutto già oggetto di notevole contrasto in sede di istruttoria tecnica della Conferenza Stato-Regioni, denuncia anzitutto la illegittimità costituzionale della generalità delle disposizioni in questione, ritenendo che esse restringerebbero la propria autonomia statutaria, violando le competenze provinciali delineate dai decreti presidenziali di attuazione statutaria numeri 115 del 1973, 381 del 1974, 235 del 1977 (come modificato dal decreto legislativo di attuazione statutaria n. 463 del 1999), e ritenendo che esse violerebbero, altresì ed in diversa prospettiva, gli artt. 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, e 118 della Costituzione.
18.1. La ricorrente precisa peraltro, in via preliminare, che le varie censure sono proposte in ragione di una ritenuta possibile diretta incidenza dell’art. 1, commi da 483 a 492, della legge n. 266 del 2005 sulla autonomia provinciale.
Rileva infatti la Provincia autonoma di Trento che, ad onta della clausola di salvaguardia dettata dal comma 610 del medesimo art. 1 della legge n. 266 del 2005 (che sembrerebbe fare salvo il regime speciale delle Regioni e Province autonome), il precedente comma 484 espressamente abroga il ricordato art. 16 del decreto legislativo n. 79 del 1999, il successivo comma 491 autoqualifica le prescrizioni normative come competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione e come attuazione dei principi comunitari resi nel parere motivato della Commissione europea in data 4 gennaio 2004, ed, infine, il comma 492 fissa il termine di novanta giorni sia per le Regioni sia per le Province autonome per l’armonizzazione dei propri ordinamenti alle norme dettate dai commi da 483 a 491.
Dal combinato disposto di tali previsioni la ricorrente trae il convincimento che le norme statali intenderebbero vincolare ed applicarsi anche in riferimento alle autonomie speciali.
La impugnazione è, pertanto, proposta su tale presupposto, con il chiarimento che essa «non avrebbe ragione di essere qualora si dovesse ritenere che le norme statali, ed in particolare la proroga delle concessioni in essere da essa disposta, non sono destinate ad applicarsi nel territorio provinciale».
18.2. La generale contestazione dell’intervento normativo statale è argomentata dalla Provincia autonoma di Trento, in quanto la legge statale interviene a regolare una materia già disciplinata da norme di attuazione statutaria, aventi natura primaria e competenza riservata, ed in difformità da esse.
Sarebbe, inoltre, illegittimo, secondo la ricorrente, che lo Stato abroghi con legge ordinaria disposizioni di legge (quale quelle dettata dall’abrogato art. 16 del d.lgs. n. 79 del 1999) che fanno espresso rinvio a norme di attuazione.
Sarebbe, infine, illegittimo prevedere (come fanno espressamente i commi nn. 484 e 492 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005) a carico della Provincia autonoma obblighi di adeguamento della propria legislazione in un termine (novanta giorni) meno ampio di quello (sei mesi) previsto dal decreto legislativo n. 266 del 1992 (norma di attuazione statutaria, concernente il rapporto tra leggi statali e leggi regionali e provinciali).
18.3. La ricorrente muove, poi, delle censure specifiche in ordine alla prevista (comma 485) proroga dei rapporti concessori in atto.
18.3.1. In primo luogo, la proroga sarebbe in contrasto con l’art. 1-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 235 del 1977, introdotto dal decreto legislativo n. 463 del 1999, il quale alla scadenza del rapporto concessorio, da un lato, prevede il principio della gara per la riassegnazione della concessione, dall’altro, riconosce all’ente territoriale il diritto ad apprezzare l’esistenza di un prevalente interesse pubblico ad un diverso uso delle acque.
18.3.2. In secondo luogo, la proroga, venendo ad impedire, in mancanza di un interesse prevalente ad un uso diverso, un nuovo affidamento a condizioni economicamente più vantaggiose rispetto a quelle originarie, sarebbe lesivo dell’autonomia finanziaria della Provincia autonoma.
18.3.3 In terzo luogo, la ricorrente Provincia di Trento contesta la coerenza della introdotta proroga con il principio costituzionale della tutela della concorrenza, che il legislatore nazionale invoca a fondamento delle previsioni impugnate.
Per la ricorrente, sarebbe persino «provocatorio» che lo Stato richiami l’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione per introdurre norme quali quelle di proroga del tutto contrarie all’instaurazione di mercati concorrenziali e alle politiche comunitarie di liberalizzazione.
L’introduzione della proroga dei rapporti concessori in essere sarebbe in effetti avvenuta, a dire della ricorrente, non per tutelare la concorrenza del settore economico interessato bensì quale compensazione per le concessionari uscenti della cancellazione della preferenza ad esse accordata dall’art. 12 del decreto legislativo n. 79 del 1999, norma abrogata dallo stesso legislatore statale a seguito del parere motivato di non conformità di essa al diritto comunitario reso dalla Commissione europea in data 4 gennaio 2004.
Nel caso del Trentino-Alto Adige, nel cui ambito territoriale l’art. 1-bis del d.P. R. n. 235 del 1977 (introdotto dal d.lgs. n. 463 del 1999 in attuazione del disposto dell’art. 16 del d.lgs. n. 79 del 1999) prevedeva non solo la preferenza a favore del concessionario uscente ma anche quella a favore delle aziende degli enti locali, tale proroga, sempre a dire della ricorrente, opererebbe a solo vantaggio delle concessionarie uscenti, ma pregiudicherebbe le «legittime aspettative degli enti locali di potere subentrare nella gestione, se non in virtù della preferenza – che pure ad essi era accordata – in virtù almeno di procedure competitive di gara finalmente attivate».
La Provincia autonoma di Trento ricorda, poi, come la proroga prevista dall’art. 1, comma 485, della legge n. 266 del 2005 interferisca con le procedure concorsuali già avviate dalla ricorrente alla data del 31 dicembre 2005, secondo il disposto della legge provinciale n. 17 del 2005 (a sua volta impugnata dallo Stato con il ricorso n. 1 del 2006), in riferimento alle concessioni in essere nel territorio del Trentino-Alto Adige (tutte in scadenza il 31 dicembre 2010).
La proroga delle concessioni al 31 dicembre 2020 renderebbe, in sostanza, inutili le procedure avviate e avrebbe, in definitiva come unico obiettivo la conservazione degli interessi dei concessionari uscenti.
18.3.4. La proroga viene, poi, contestata dalla Provincia autonoma di Trento pure in relazione alle condizioni cui essa è collegata.
Rileva anzitutto la ricorrente che sia del tutto arbitrario ricollegare la proroga ad interventi di ammodernamento degli impianti già avvenuti («evidentemente all’interno del quadro economico della precedente concessione») alla data di entrata in vigore della legge (e di operatività della introdotta proroga).
Parimenti illegittimo sarebbe, poi, che nella valutazione di congruità degli interventi ancora da effettuare di ammodernamento e di miglioramento delle prestazioni energetiche ed ambientali degli impianti non sia attribuito ruolo alcuno alla Provincia autonoma, cui pure spettano rilevanti competenze in materia.
18.3.5. La Provincia autonoma di Trento ritiene poi illegittimo il comma 488, che disciplina le modalità di presentazione delle domande di proroga e quelle degli accertamenti delle amministrazioni competenti.
Risulterebbero, in particolare, violati l’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977, che rimette alla legge provinciale, nel rispetto dei principi della legislazione statale e degli obblighi comunitari, la materia delle concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico, e gli artt. 2 e 4 del d.lgs. n. 266 del 1992.
18.3.6. Specifico rilievo muove poi la ricorrente alla previsione (comma 486) di un canone aggiuntivo quadriennale a carico della concessionaria beneficiaria della proroga.
La Provincia di Trento precisa anzitutto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 1973 (come modificato dal d.lgs. n. 463 del 1999), il demanio idrico è stato interamente trasferito alla propria potestà legislativa ed amministrativa e che, ai sensi dell’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977 (come modificato dal d.lgs. n. 463 del 1999), la disciplina dei canoni delle concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico è stata ad essa delegata.
La ricorrente sostiene, poi, che tale delega sia stata assorbita nella potestà legislativa concorrente in materia di energia, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione e dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, e che in tale nuovo contesto normativo non sia dubbio che ad essa spettino integralmente i canoni relativi al demanio idrico trasferito.
Il comma 486 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005, tuttavia, prevedrebbe, quale corrispettivo della illegittima proroga a favore del concessionario uscente, un canone unico aggiuntivo a favore dello Stato (per cinque sesti) e dei Comuni interessati (per il residuo sesto).
Tale previsione lederebbe, pertanto, l’autonomia finanziaria provinciale e, in particolare, l’art. 1-bis, ultimo comma, del d.P.R. n. 235 del 1977, per il quale «i proventi derivanti dall’utilizzo delle acque pubbliche, ivi compresi i canoni demaniali di concessione di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, spettano alla provincia competente per territorio».
18.4. La ricorrente contesta, infine, il comma 491 dell’impugnato art. 1 della legge n. 266 del 2005, in quanto essa conterrebbe una qualificazione dell’intero articolo in questione (in realtà da riferirsi, più correttamente, ai soli commi da 483 a 490) quali norme di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione e di attuazione dei principi comunitari resi nel parere motivato della Commissione europea in data 4 gennaio 2004.
La Provincia autonoma di Trento, a prescindere dagli stessi rilievi sopra ricordati sul riparto di competenza legislativa in materia, contesta sia la «palese» non corrispondenza delle disposizioni in questione con gli invocati principi comunitari sia la pretesa dello Stato di potere «autoqualificare» le norme, essendo la natura di esse un dato obiettivo, soggetto ad accertamento e verifica da parte della Corte costituzionale, e non l’effetto di una scelta volontaristica dello Stato.
19. Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito eccependo la inammissibilità e la infondatezza del ricorso, sul presupposto che le norme censurate non sarebbero applicabili o comunque non sarebbero lesive per la ricorrente Provincia autonoma.
19.1. La difesa erariale richiama, in proposito, il comma 610 dell’impugnato art. 1 della legge n. 266 del 2005, secondo il quale «le disposizioni della presente legge sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti». E sostiene che il combinato disposto questa disposizione e di quella dettata dal precedente comma 492, che fissa in novanta giorni il termine per le Province autonome per l’adeguamento alla nuova legislazione statale, sia da intendere nel senso che «nella eventualità che tra quelle portate dai commi da 483 a 492 ci fossero alcune norme applicabili, anche come principi fondamentali, alle Regioni e alle Province autonome senza necessità di norme di attuazione perché compatibili con gli Statuti» viene «assegnato un termine perché le Regioni e le Province autonome» provvedano «alla armonizzazione dei propri ordinamenti».
In sostanza il comma 610, che si riferisce all’intero art. 1, e quindi a disposizioni tra loro estremamente eterogenee, costituirebbe una norma generale e di chiusura, rispetto a quella speciale dettata dal comma 492, di modo che la prima escluderebbe la verificazione di una antinomia reale tra disciplina statale e statutaria, mentre la seconda si riferirebbe alle ipotesi di norme statali in materia di grande derivazione idroelettrica direttamente applicabili nel territorio provinciale.
20. Con unica memoria depositata in prossimità dell’udienza del 10 ottobre 2006 il Presidente del Consiglio dei ministri svolge articolate argomentazioni in riferimento ai ricorsi nn. 1 e 40 del 2006, sottolineandone la stretta connessione per oggetto di talune delle questioni in esse proposte.
21. In riferimento al ricorso n. 1 del 2006, la difesa erariale sottolinea che la Provincia autonoma di Trento nelle sue difese non avrebbe indicato chiaramente su quale fonte basi il potere esercitato ed oggetto di contestazione.
21.1. Atteso che si tratta di controversia circa la legittimità del potere normativo l’Avvocatura ritiene anzitutto superflua l’invocazione da parte della Provincia autonoma di disposizioni relative alla potestà amministrativa.
21.2. La difesa erariale contesta poi che possa utilmente invocarsi, per la soluzione della controversia, la previsione recata dall’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977 (come modificato dal decreto legislativo n. 463 del 1999), cui invece fa frequente riferimento la Provincia di Trento.
Trattandosi di un decreto presidenziale (e ora legislativo) di attuazione statutaria emanato ai sensi dell’art. 107 dello statuto speciale di autonomia, essa non potrebbe recare modificazione dello statuto stesso, che espressamente (art. 9, n. 9) esclude la potestà legislativa delle Province autonome in materia di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, dacché le relative modificazioni devono passare necessariamente attraverso la diversa procedura prevista dall’art. 103 dello statuto, ovvero mediante la promulgazione di una legge di revisione costituzionale.
Per non incorrere in dubbi di costituzionalità, pertanto, la previsione recata dal richiamato art. 1-bis dovrebbe essere interpretata in senso meramente integrativo, e non modificativo, dello statuto.
In tale ottica, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, i principi della legislazione statale vincolanti la delegata potestà legislativa provinciale in materia di grandi derivazioni a scopo idroelettrico andrebbero intesi in senso molto ampio e, comunque, più esteso dei meri principi fondamentali della materia stessa.
Sia in quest’ottica sia in una diversa prospettiva che equiparasse i principi di cui all’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977 (come modificato dal decreto legislativo n. 463 del 1999) ai principi fondamentali di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, risulterebbe, a dire dell’Avvocatura, che la competenza statutaria dell’ente autonomo non sia più ampia di quella delle Regioni ordinarie, con conseguente irrilevanza della disposizione di attuazione statutaria ai fini della decisione della controversia, da risolversi, invece, alla luce del riparto delineato dall’art. 117 della Costituzione.
21.3. Il Presidente del Consiglio, dopo avere così individuato l’ambito normativo nel quale inquadrare la questione, contesta l’argomentazione della Provincia autonoma di Trento, laddove essa assume di essere intervenuta con la legge provinciale n. 17 del 2005 al fine di superare tanto la non conformità (accertata dalla Commissione della Comunità europea) dei principi della legislazione in materia di concessioni idroelettriche statale al diritto comunitario quanto l’inerzia degli organi dello Stato al riguardo.
Sostiene la difesa erariale, che nessuna norma o principio del diritto comunitario possa determinare uno spostamento di competenza degli enti nazionali e meno che mai una eventuale inerzia statale possa legittimare un insussistente potere sostitutivo da parte dell’ente territoriale.
21.4. L’Avvocatura contesta, altresì, che la eventuale contrarietà di un principio di legge statale al diritto comunitario legittimi una Regione o una Provincia autonoma a disapplicare lo stesso.
Tale tesi, che secondo la difesa erariale sarebbe in sostanza portata avanti dalla Provincia di Trento con la sua censurata attività normativa, sarebbe, sempre a dire dell’Avvocatura, erronea. Ciò in quanto l’atto statale, sebbene inapplicabile ai rapporti giuridici riguardati dalla normativa comunitaria, conserverebbe comunque idoneità a produrre effetti nell’ordinamento interno.
Peraltro, continua l’Avvocatura, se pure potesse ritenersi che i principi di legge statali contrastanti con il diritto comunitario vengano a perdere del tutto la propria efficacia, nondimeno non ne deriverebbe la possibilità di intervento normativo regionale o provinciale ad essi difforme. Ciò in quanto la loro mancanza genererebbe un vuoto normativo da cui discenderebbe la sospensione della potestà normativa dell’ente territoriale, che non potrebbe svolgersi se non in presenza ed in conformità dei principi fondamentali della legge statale.
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, pertanto, anche «seguendo la premessa proposta dalla Provincia la sua legge verrebbe ad essere costituzionalmente illegittima per mancanza dei principi fondamentali».
22. La medesima argomentazione viene articolata dalla difesa erariale in riferimento al ricorso n. 40 del 2006, proposto dalla Provincia autonoma di Trento avverso l’art. 1, commi da 483 a 492, della legge n. 266 del 2005.
22.1. Sostiene infatti l’Avvocatura che se queste disposizioni, modificative dei precedenti principi fondamentali della materia, recati dall’art. 12 del decreto legislativo n. 79 del 1999, fossero dichiarate costituzionalmente illegittime, ne deriverebbe la illegittimità costituzionale della legge provinciale n. 17 del 2005, per mancanza di principi fondamentali tanto in riferimento all’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977 quanto in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
22.2. La difesa erariale passa poi in rassegna i vari motivi del ricorso della Provincia autonoma di Trento, sia ribadendo le difese già sviluppate nell’atto di costituzione sia muovendo ad essi specifiche e nuove eccezioni.
22.2.1. In particolare, l’Avvocatura sostiene che la contestata «autoqualificazione» delle disposizioni impugnate dalla Provincia autonoma quali norme di legislazione esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, esprima unicamente la convinzione dello Stato al riguardo e che sia, pertanto, una qualificazione priva di valore deontico e prescrittivo.
22.2.2. La difesa erariale ritiene, peraltro, che le impugnate previsioni in materia di gare per l’affidamento delle concessioni rientrino effettivamente nella indicata materia della concorrenza.
22.2.3. Non lesiva sarebbe poi la previsione del comma 492 dell’impugnato art. 1 della legge n. 266 del 2005, atteso che «il termine di novanta giorni» fissato per l’adeguamento dell’ordinamento provinciale ai nuovi principi di legge statale «ha carattere soltanto acceleratorio. Lo prova il fatto che, pur non essendo stato rispettato, non è successo nulla».
22.2.4. Neppure lesiva sarebbe, a dire dell’Avvocatura, la abrogazione dell’art. 16 del decreto legislativo n. 79 del 1999 prevista dal successivo comma 484, dacché da tale abrogazione non deriverebbe alcuna lesione delle prerogative statutarie dell’ente autonomo, le quali anzi sono state riaffermate dal comma 492.
22.2.5. Il Presidente del Consiglio dei ministri rimarca, poi, come la Provincia autonoma non possa rivendicare ad un tempo sia gli spazi di autonomia statutaria sia l’applicazione dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, né desumere potestà legislative dalle norme che disciplinano le funzioni amministrative. E puntualizza come essa sia tenuta al rispetto dei principi fondamentali definiti dalla legge dello Stato tanto in riferimento all’art.1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977 quanto in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
22.2.5.1. Una volta ritenuto, come sostiene la stessa difesa erariale, che le previsioni impugnate relative alle gare rientrino nella materia della tutela della concorrenza, perderebbero valore i motivi di ricorso della Provincia, atteso che la materia rientra nella legislazione esclusiva dello Stato e che l’art. 9, n. 9, dello statuto speciale ha escluso espressamente dalla competenza provinciale le grandi derivazioni a scopo idroelettrico.
22.2.5.2. Sempre alla materia della tutela della concorrenza, oltre che al principio di sussidiarietà, sarebbero poi riconducibili le competenze statali previste dall’art. 1, comma 483, lettera a), n. 2, della legge n. 266 del 2005, trattandosi di attività incidenti sull’intero mercato nazionale dell’energia.
22.2.6. L’Avvocatura sostiene, poi, che la proroga prevista dal comma 485 ha carattere transitorio ed è introdotta «in relazione ai tempi di completamento del processo di liberalizzazione». Tale previsione, «se anche non dovesse ritenersi rivolta alla tutela della concorrenza, costituirebbe sicuramente un principio fondamentale, perché rivolto alla tutela del mercato, che per definizione è nazionale».
Per le stesse ragioni sarebbero legittime la previsione del comma 487, che a quella del comma 485 è strettamente connessa e la previsione del comma 488 (autocertificazione dell’entità degli investimenti effettuati, in corso o deliberati da parte del concessionario). In particolare, quest’ultima norma sarebbe affatto estranea all’ambito di competenze provinciali.
22.2.7. Neppure lesiva della Provincia autonoma di Trento sarebbe per la difesa erariale l’introduzione del un canone aggiuntivo previsto dal successivo comma 486. «In quanto aggiuntivo» esso non inciderebbe infatti «sui canoni che sono stati attribuiti alla Provincia».
22.2.8. Rientrerebbe sempre nella tutela della concorrenza, infine, e costituirebbe una norma di principio fondamentale la previsione (comma 489) della trasferibilità del ramo di azienda. Peraltro essa, secondo l’Avvocatura, potrebbe pure ricondursi alla competenza statale in materia di ordinamento civile (art. 117, secondo comma, lettera l, della Costituzione).
22.3. Il Presidente del Consiglio dei ministri conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso n. 1 del 2006 da esso proposto avverso la legge della Provincia di Trento n. 17 del 2005 ed il rigetto del ricorso 40 del 2006 proposto dalla medesima Provincia avverso l’art. 1, commi da 483 a 492, della legge n. 266 del 2005.
23. Con due distinte memorie depositate in prossimità dell’udienza del 10 ottobre 2006 la Provincia autonoma di Trento replica alla memoria del Presidente del Consiglio dei ministri depositata per l’udienza del 2 maggio 2006 nel giudizio relativo al ricorso n. 1 del 2006 ed all’atto di costituzione dal medesimo depositata nel giudizio relativo al ricorso n. 40 del 2006.
24. In riferimento al ricorso n. 1 del 2006 (ma sviluppando argomenti riferiti pure alla legge provinciale n. 10 del 2004, oggetto del distinto ricorso n. 26 del 2005) la Provincia autonoma di Trento replica alla memoria dell’Avvocatura, ribadendo contro la contestazione statale, di avere competenza, anche normativa, in materia di grandi derivazioni a scopo idroelettrico.
24.1. La difesa provinciale contesta, anzitutto, che le leggi provinciali nn. 10 del 2004 e 17 del 2005 siano contrarie, come assume il Presidente del Consiglio dei ministri, al diritto comunitario.La Provincia autonoma, anzi, sostiene di aver dato con le proprie leggi provinciali attuazione proprio a quei principi del diritto comunitario che lo Stato avrebbe palesemente violato non solo con le norme valutate dalla Commissione europea nel suo parere motivato, ma anche con le disposizioni inserite nella legge finanziaria n. 266 del 2005 (art. 1, commi da 483 a 492).
24.2. L’adeguamento al diritto comunitario, le disposizioni di attuazione statutaria (aventi la funzione di interpretazione evolutiva dello statuto speciale) e l’art. 117, terzo comma della Costituzione, applicabile in virtù della clausola dettata dall’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, costituirebbero, secondo la Provincia, i titoli di competenza delle leggi provinciali censurati dallo Stato.
24.3. La difesa provinciale contesta, poi, che il «nuovo comma 12 dell’art. 1-bis della legge provinciale» (recte: l’art. 1, comma 12, della legge della Provincia di Trento n. 17 del 2005, che sostituisce il comma 12 dell’art. 1-bis 1 della legge provinciale n. 4 del 1998), il quale prevede la possibilità del rinnovo delle concessioni di grande derivazione di acque pubbliche a favore dei concessionari uscenti per un periodo massimo di dieci anni, in presenza di determinate condizioni, da valutarsi ad opera della Giunta provinciale, contrasti con il diritto comunitario.
Il contrasto sarebbe escluso, a dire della Provincia, dal carattere transitorio della norma e dal fatto che il successivo comma 15 (sempre dell’art. 1-bis 1 della legge provinciale n. 4 del 1998) àncora il termine di rinnovo al minore termine di proroga o rinnovo delle concessioni in atto eventualmente previsto dalla normativa statale, qualora quest’ultima subisse mutamenti dopo l’entrata in vigore della legge provinciale.
La difesa provinciale osserva, al riguardo, che lo Stato, proprio con la legge n. 266 del 2005, ha previsto la proroga decennale dei rapporti concessori in atto e afferma che «non sembra che il Governo possa reagire, tramite l’Avvocatura, accusando la Provincia di scelte legislative che sono rimaste nel solco della legislazione statale, nel tentativo, anzi, di migliorarla».
La Provincia, ancora, rimarca il carattere «schizofrenico» dello Stato che impugnerebbe «per asserita violazione delle norme comunitarie la legge provinciale che si adegua ad una legislazione statale contestata dalla Commissione, quando il Governo stesso» avrebbe «ulteriormente deviato dagli obiettivi comunitari, dettando in tal senso nuove norme cha ha imposto con la legge Finanziaria».
A suo dire, la Provincia autonoma di Trento avrebbe «inteso intervenire d’urgenza, sospendendo in modo esplicito disposizioni del vecchio decreto di trasferimento palesemente contrastanti con le norme comunitarie (così come risulta dai rilievi della Commissione), e dunque già di per sé non applicabili, in attesa della approvazione della nuova norma di attuazione e, dunque, con un atteggiamento più che giustificato».
24.4. La difesa provinciale contesta, infine, l’oscurità del ricorso statale nella parte relativa al primo comma dell’art. 1-bis (recte: all’art. 1, comma 1, della legge provinciale n. 17 del 2005, il quale sostituisce il comma 1 dell’art. 1-bis 1 della legge provinciale n. 4 del 1998).
La previsione in questione, peraltro, sarebbe pienamente legittima secondo la Provincia autonoma di Trento, atteso che essa si limiterebbe «a proteggere l’interesse alla sicurezza delle popolazioni e dei territori a valle, contro la prevalenza del diritto di sfruttamento da parte dell’ente proprietario, secondo una gerarchia di valori che nessuno» potrebbe «contestare, al cui vertice» sarebbe «collocata la sicurezza della comunità locale».
25. In riferimento al ricorso n. 40 del 2006 la Provincia autonoma di Trento replica all’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, rilevando anzitutto che la tesi da questi avanzata della non riferibilità delle disposizioni impugnate alla Provincia autonoma in ragione della clausola di salvaguardia dettata dal comma 610 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005 equivale ad una confessione della incompatibilità delle stesse con le proprie prerogative statutarie.
Quanto alla questione della riferibilità o meno delle disposizioni dettate dai commi da 483 a 492 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005 agli enti territoriali autonomi, la Provincia di Trento, in sostanza, ribadisce le argomentazioni del ricorso, secondo cui la espressa abrogazione dell’art. 16 del decreto legislativo n. 79 del 1999 (prevista dal comma 484) e l’obbligo di adeguamento della legislazione provinciale alla legge statale (previsto dal comma 492) impedirebbero la interpretazione “adeguatrice” e neutralizzante, proposta dall’Avvocatura.
Inoltre, secondo la Provincia autonoma, pure accedendo a tale opzione interpretativa sarebbe comunque da accogliersi il ricorso in riferimento agli appena ricordati commi 484 e 492, quantomeno per il principio di certezza del diritto.
26. In prossimità dell’udienza del 10 ottobre 2006 le parti hanno fatto concorde richiesta di rinvio dei giudizi in questione, sostenendo che era in fase di definizione il procedimento di adozione di nuove norme di attuazione statutaria in materia di grandi derivazioni idroelettriche.
Questa Corte ha conseguentemente disposto il rinvio dei giudizi all’udienza del 25 settembre 2007.
27. In prossimità dell’udienza pubblica del 25 settembre 2007 la Provincia autonoma di Trento ha depositato tre distinte memorie.
27.1. La prima è in riferimento al ricorso n. 26 del 2005, limitatamente ai profili attinenti all’art. 8, commi 14 e 15, all’art. 9, commi 2, 3 e 11, ed all’art. 10 della legge provinciale n. 10 del 2004.
27.2. La seconda è riferita al ricorso n. 1 del 2006 ed in essa vengono svolti argomenti in ordine alla complessiva questione delle concessioni di grande derivazione di acqua a scopo idroelettrico (e pertanto anche in riferimento al ricorso n. 26 del 2005, per quanto attiene all’art. 15, comma 2, della legge provinciale n. 10 del 2004).
27.3. La terza attiene, infine, al ricorso n. 40 del 2006, sempre connesso, per materia, alla questione delle grandi derivazioni.
28. Nella prima memoria la Provincia di Trento replica alla memoria dell’Avvocatura dello Stato del 13 aprile 2006, ribadendo nella sostanza le difese già sviluppate nelle precedenti memorie.
28.1. In ordine alla questione riferita all’art. 9, commi 2, 3 e 11 ed all’art. 10 della legge provinciale n. 10 del 2004, la difesa provinciale dà, anzitutto, atto che le disposizioni censurate sono state dapprima modificate (seppure in modo non rilevante rispetto alla censura proposta dal Presidente del Consiglio dei ministri) dall’art. 55, commi 1 e 2, della legge provinciale 29 novembre 2006, n. 11 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2007 e pluriennale della Provincia autonoma di Trento - legge finanziaria 2007), e successivamente abrogate dall’art. 115, comma 1, lettera qq) della legge provinciale 23 maggio 2007, n. 11 (Governo del territorio forestale e montano, dei corsi d’acqua e delle aree protette), a far data dalle date indicate nei regolamenti previsti dalla suddetta legge.
La Provincia precisa che l’abrogazione non è ancora intervenuta, non essendo stati ancora adottati i regolamenti in questione, e che comunque gli artt. 37 e 39 della legge provinciale n. 11 del 2007 (peraltro non impugnati dal Presidente del Consiglio dei ministri) hanno un contenuto sostanzialmente riproduttivo delle censurate disposizioni della legge provinciale n. 10 del 2004.
28.2. Nel merito, la Provincia di Trento eccepisce la inammissibilità delle deduzioni svolte dalla Avvocatura dello Stato nella predetta memoria in ordine alle zone di protezione speciale (ZPS).
La Provincia rileva, in particolare, che il ricorso originario del Governo riguardava unicamente la disciplina provinciale in tema di zone speciali di conservazione (ZSC), dettata dai censurati commi 2 e 3 dell’art. 9 della legge provinciale n. 10 del 2004, e non le ZPS, regolate dal comma 4 del medesimo art. 9.
La difesa provinciale richiama, in proposito, le sentenze della Corte costituzionale n. 98 del 2007, n. 246 del 2006 e n. 113 del 2003, le quali hanno ritenuto inammissibili integrazioni o estensione dei motivi di ricorso con le successive memorie del giudizio.
E contesta, altresì, che la disciplina dettata dall’art. 9, comma 4, della legge provinciale n. 10 del 2004 contrasti in alcun modo con il d.P.R. n. 357 del 1997.
29. Nella seconda memoria la Provincia autonoma di Trento ricostruisce la complessiva vicenda normativa, dando atto delle successive modifiche legislative intervenute in materia.
29.1. La difesa provinciale richiama, anzitutto, il decreto legislativo 7 novembre 2006, n. 289 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, recanti modifiche al D.P.R. 26 marzo 1977, n. 235, in materia di concessioni di grandi derivazioni), il quale ha sostituito l’art. 1-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 235 del 1977, prevedendo che «spetta alle Province autonome di Trento e di Bolzano, per il rispettivo territorio, secondo quanto disposto dall’art. 01 e nel rispetto degli obblighi comunitari, l’esercizio delle funzioni già esercitate dallo Stato in materia di grandi derivazioni a scopo idroelettrico» (comma 1) e che «in relazione a quanto disposto dal comma 1, con legge provinciale, nel rispetto degli obblighi internazionali, dell’art. 117, secondo comma, della Costituzione, nonché dei principi fondamentali delle leggi dello Stato, sono disciplinate le grandi derivazioni di acque pubbliche a scopo idroelettrico» (comma 2).
La Provincia ricorda, poi, che il medesimo decreto legislativo ha abrogato i commi da 6 a 12 del suddetto art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977, come modificato dal d.lgs. n. 463 del 1999, nella parte in cui prevedevano il regime di preferenze a favore dei concessionari uscenti, delle aziende o società degli enti locali e degli enti strumentali o società della Provincia e che questo dovrebbe portare alla archiviazione della procedura di infrazione in corso davanti alle autorità comunitarie.
29.2. La Provincia di Trento richiama, inoltre, l’art. 6, comma 7-ter, del decreto legge 28 dicembre 2006, n. 300 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e finanziarie diverse), aggiunto dalla legge di conversione 26 febbraio 2007, n. 17, il quale ha escluso la applicazione della proroga delle concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico di cui all’art. 1, comma 485, della legge n. 266 del 2005, nel territorio delle Province autonome di Trento e Bolzano ed ha previsto che le concessioni di cui al comma 15 dell’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977, scadono il 31 dicembre 2010 e le concessioni diverse da quelle di cui a detto comma 15 scadono alla data risultante dai rispettivi provvedimenti di concessione.
29.3. La difesa provinciale richiama, poi, l’art. 25 della legge provinciale n. 11 del 2006, la quale ha modificato l’art. 1-bis 1 della legge provinciale n. 4 del 1998, ridisciplinando i procedimenti per il rilascio delle concessioni di grandi derivazioni di acqua a scopo idroelettrico, ed, in particolare, ha abrogato le disposizioni del predetto art. 1-bis 1 (introdotte dalla impugnata legge provinciale n. 10 del 2004 e modificate dalla parimenti impugnata legge provinciale n. 17 del 2005) che dichiaravano la inapplicabilità delle norme di attuazione statutaria di cui all’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977 in quanto contrastanti con il diritto comunitario.
La Provincia autonoma di Trento rimarca la circostanza della mancata impugnazione di detta previsione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri.
29.4. La difesa provinciale richiama, infine, la legge provinciale 27 luglio 2007, n. 14 (Modifiche alla legge provinciale 6 marzo 1998, n. 4, in materia di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico e modifiche alla legge provinciale 16 giugno 2006, n. 3 in materia di Agenzia provinciale per i pagamenti. Arpag) il cui art. 1 ha inserito il comma 15-bis nell’art. 1-bis 1 della legge provinciale n. 4 del 1998, stabilendo che «se alla data di scadenza di una concessione non si è ancora concluso il procedimento di individuazione del nuovo concessionario, o in caso di rinuncia, decadenza o revoca, la Provincia può provvedere direttamente all’esercizio della grande derivazione a scopo idroelettrico, per il tempo strettamente necessario al procedimento delle procedure di assegnazione».
29.5. Da tali interventi normativi la Provincia autonoma di Trento ritiene che: a) risulti confermata la propria competenza legislativa in materia; b) sia stato sanato il contrasto tra il diritto comunitario e il diritto nazionale.
29.6.Alla luce di queste riferite evoluzioni la difesa provinciale sostiene:
a) che la censura di “eccesso di competenza” (per violazione dell’art. 9, numero 9 dello statuto ovvero dell’art. 117, secondo comma, lettera e, della Costituzione) sia stata ulteriormente smentita;
b) che in ordine alla censura statale riferita al comma 1 dell’art. 1-bis 1 della legge provinciale n. 4 del 1998 sarebbe cessata la materia del contendere, dato che le norme (secondo e terzo periodo) sono state abrogate dal decreto legislativo n. 289 del 2006 e, in concreto, non sarebbero mai state applicate, perché dichiaravano l’inapplicabilità delle norme sulle preferenze, cioè di norme che comunque non avrebbero potuto operare data la sospensione delle procedure concorrenziali disposta dai successivi commi 1-sexies e 1-septies;
b1) che alla medesima conclusione in ordine alla cessazione della materia del contendere sulla questione proposta in riferimento al comma 1 dell’art. 1-bis 1 della legge provinciale n. 4 del 1998 per la violazione dei principi fondamentali di cui al decreto legislativo n. 79 del 1999 dovrebbe comunque pervenirsi, posto che l’art. 12 di detto decreto è stato modificato dal comma 483 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005;
c) che il principio fondamentale dettato dall’art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 79 del 1999, in materia di proroga al 31 dicembre 2010 dei rapporti concessori in corso, di cui lo Stato ha lamentato la violazione, non sarebbe applicabile alla Provincia di Trento, data la diversa disciplina contenuta nell’art. 1-bis, comma 15, del d.P.R. n. 235 del 1977, introdotta con norma successiva (decreto legislativo n. 463 del 1999) e prevalente (trattandosi di norma di attuazione statutaria). Il che sarebbe confermato prima dal d.lgs. n. 289 del 2006, il quale ha inserito nel predetto art. 1-bis un comma 15-bis specificando che «le concessioni diverse da quelle previste dai commi 14 e 15 scadono alla data risultante dai rispettivi procedimenti di concessione», e poi dall’art. 6, comma 7-ter, del decreto-legge n. 300 del 2006, per il quale «le concessioni di cui al comma 15 dell’art. 1-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 235 del 1977, scadono il 31 dicembre 2010 e le concessioni diverse da quelle di cui a detto comma 15 scadono alla data risultante di rispettivi provvedimenti di concessione»;
d) che la censura fondata sulla violazione dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005 sarebbe, oltre che generica, palesemente infondata, posto che i commi 484, 491 e 492 di detto articolo sarebbero da ritenere del tutto superati o comunque inapplicabili alla luce della successiva norma di attuazione statutaria dettata dal d.lgs. n. 289 del 2006 e considerato che il comma 485 (riferito alla proroga dei rapporti concessori in atto) è stato dichiarato inapplicabile alla Provincia di Trento dall’art. 6, comma 7-ter, del decreto-legge n. 300 del 2006;
e) che pure in ordine alle questioni riferite alla procedura concorrenziale prevista dall’art. 1-bis 1 della legge provinciale n. 4 del 1998 sarebbe cessata la materia del contendere, essendo tale previsione stata abrogata dalla legge provinciale n. 11 del 2006 ed essendo stata comunque sospesa tale procedura, salvo la fase preliminare di ricezione delle domande e di pubblicazione dell’avviso di cui al comma 1-quinquies, e non potendosi considerare tali fasi preliminari non sospese di alcun attuale rilievo giuridico, dato che questi procedimenti sono stati dichiarati estinti dall’art. 25 della legge provinciali n. 11 del 2006.
30. Nella terza memoria la Provincia autonoma di Trento svolge argomenti del tutto analoghi per sostenere la cessazione della materia del contendere in ordine al proprio ricorso proposto avverso la legge n. 266 del 2005. Nel merito la difesa provinciale insiste, peraltro, nelle censure proposte nel ricorso.
31. In prossimità dell’udienza pubblica del 25 settembre 2007 anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato delle memorie.
32. In una prima memoria, riferita al ricorso n. 1 del 2006 (ma contenente riferimenti pure al precedente ricorso n. 26 del 2005), la Avvocatura dello Stato sviluppa argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte nella precedente memoria depositata per l’udienza pubblica del 10 ottobre 2006.
La difesa erariale, peraltro, aggiunge considerazioni in ordine alla applicabilità alle concessioni di grandi derivazioni di acqua a scopo idroelettrico della disciplina dettata dal decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), e insiste nell’accoglimento dei ricorsi.
33. In una seconda memoria, riferita al ricorso n. 40 del 2006, la Avvocatura dello Stato dà atto della nuova disciplina di attuazione statutaria recata dal decreto legislativo n. 289 del 2006, sostenendo che alla luce di questa «quanto meno dal novembre 2006 i rapporti tra Province autonome e lo Stato, in materia di grandi concessioni di grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico, vanno valutati alla stregua delle norme di attuazione richiamate e non delle norme impugnate che fino ad allora nelle Province stesse non hanno trovato applicazione».
La difesa erariale conclude nel senso, se non della inammissibilità, quanto meno della improcedibilità del ricorso provinciale avverso i commi da 483 a 492 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005.
Considerato in diritto
1. Con ricorso notificato in data 15 febbraio 2005, depositato il successivo 22 febbraio ed iscritto al n. 26 del registro dei ricorsi dell’anno 2005, il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale degli artt. 8, commi 14 e 15, 9, commi 2, 3 ed 11, 10 e 15, comma 2, della legge della Provincia autonoma di Trento 15 dicembre 2004, n. 10 (Disposizioni in materia di urbanistica, tutela dell’ambiente, acque pubbliche, trasporti, servizi antincendio, lavori pubblici e caccia).
1.1. Con ricorso notificato il 12 gennaio 2006, depositato il successivo 18 gennaio ed iscritto al n. 1 del registro ricorsi dell’anno 2006 il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha poi impugnato la legge della Provincia autonoma di Trento 6 dicembre 2005, n. 17 (Disposizioni urgenti in materia di concessioni di grandi derivazioni di acque pubbliche a scopo idroelettrico, modificative dell’art. 1 bis 1 della legge provinciale 6 marzo 1998, n. 4).
1.2. Con ricorso notificato in data 27 febbraio 2005, depositato il successivo 3 marzo ed iscritto al numero 40 del registro ricorsi dell’anno 2006 la Provincia autonoma di Trento ha, infine, promosso questione di legittimità costituzionale di varie disposizioni della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), tra le quali quelle dettate dall’art. 1, commi da 483 a 492, in materia di grandi derivazioni di acqua a scopo idroelettrico.
1.3. Il presente giudizio, per quanto riguarda il ricorso n. 40 del 2006, attiene unicamente a tali ultime previsioni, affini per oggetto a quelle censurate dallo Stato con i precedenti ricorsi n. 26 del 2005 e n. 1 del 2006, essendo le altre questioni trattate separatamente.
1.4. Il primo dei ricorsi indicati pone tre questioni relative, rispettivamente, alle materie dei rifiuti, della conservazione degli habitat naturali e delle concessioni di grandi derivazioni di acque pubbliche a scopo idroelettrico. Il secondo ed il terzo ricorso pongono, seppure in una prospettiva diametralmente opposta, questioni sostanzialmente affini in materia di grandi derivazioni idroelettriche.
2. Considerata la parziale identità delle questioni, i tre giudizi possono essere riuniti per essere decisi con unica sentenza.
2.1. In relazione alla materia delle grandi derivazioni idroelettriche, alla luce della sopravvenuta disciplina di attuazione statutaria dettata dal decreto legislativo 7 novembre 2006, n. 289 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, recanti modifiche al D.P.R. 26 marzo 1977, n. 235, in materia di concessioni di grandi derivazioni), il Presidente del Consiglio dei ministri ha rinunciato ai ricorsi n. 26 del 2005 e n. 1 del 2006 e la Provincia autonoma di Trento ha rinunciato al ricorso n. 40 del 2006.
Le rinunce sono state ritualmente accettate.
In riferimento a tali questioni deve, pertanto, essere dichiarata l’estinzione del giudizio.
3. Restano, dunque, da esaminare i profili del ricorso proposto dallo Stato avverso la legge provinciale n. 10 del 2004 (ricorso n. 26 del 2005) riguardanti la disciplina dei rifiuti e quella della conservazione degli habitat naturali.
Al riguardo deve, inoltre, precisarsi che le norme impugnate relative alla conservazione degli habitat naturali sono state riprodotte nella successiva legge provinciale 23 maggio 2007, n. 11, agli artt. 37 e 39, per cui il ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri deve intendersi come riferito anche a queste ultime disposizioni.
3.1. In relazione ad entrambi i sopra indicati profili, la difesa della Provincia autonoma di Trento eccepisce anzitutto, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per non aver chiarito il ricorrente se intende riferirsi alle competenze di cui allo statuto speciale o a quelle di cui alla Costituzione, e, per quanto riguarda le discariche dei rifiuti, per non aver precisato di quali violazioni si tratta.
L’eccezione non è fondata. Infatti, per quanto riguarda i rifiuti, è agevolmente comprensibile quali siano le violazioni contestate, e, per quanto riguarda gli habitat naturali, è evidente che il ricorrente censura innanzitutto che le disposizioni impugnate «eccedono» dalle materie statutarie, ed in secondo luogo fa riferimento alla disposizione costituzionale di cui all’art. 117, comma secondo, lettera s) della Costituzione, per l’ipotesi in cui si ritenga applicabile detto parametro costituzionale, alla luce dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
4. Occorre poi premettere, per la soluzione del problema del riparto di competenze tra Stato, Regioni e Province autonome in materia di ambiente, che sovente l’ambiente è stato considerato come “bene immateriale”.
Sennonché, quando si guarda all’ambiente come ad una “materia” di riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni, è necessario tener presente che si tratta di un bene della vita, materiale e complesso, la cui disciplina comprende anche la tutela e la salvaguardia delle qualità e degli equilibri delle sue singole componenti. In questo senso, del resto, si è già pronunciata questa Corte con l’ordinanza n. 144 del 2007, per distinguere il reato edilizio da quello ambientale.
Oggetto di tutela, come si evince anche dalla Dichiarazione di Stoccolma del 1972, è la biosfera, che viene presa in considerazione, non solo per le sue varie componenti, ma anche per le interazioni fra queste ultime, i loro equilibri, la loro qualità, la circolazione dei loro elementi, e così via. Occorre, in altri termini, guardare all’ambiente come “sistema”, considerato cioè nel suo aspetto dinamico, quale realmente è, e non soltanto da un punto di vista statico ed astratto.
La potestà di disciplinare l’ambiente nella sua interezza è stato affidato, in riferimento al riparto delle competenze tra Stato e Regioni, in via esclusiva allo Stato, dall’art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione, il quale, come è noto, parla di “ambiente” in termini generali e onnicomprensivi. E non è da trascurare che la norma costituzionale pone accanto alla parola “ambiente” la parola “ecosistema”.
Ne consegue che spetta allo Stato disciplinare l’ambiente come una entità organica, dettare cioè delle norme di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parti del tutto.
Ed è da notare, a questo proposito, che la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente, inerisce ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario (sentenza n. 151 del 1986) ed assoluto (sentenza n. 210 del 1987), e deve garantire, (come prescrive il diritto comunitario) un elevato livello di tutela, come tale inderogabile da altre discipline di settore.
Si deve sottolineare, tuttavia, che, accanto al bene giuridico ambiente in senso unitario, possano coesistere altri beni giuridici, aventi ad oggetto componenti o aspetti del bene ambiente, ma concernenti interessi diversi giuridicamente tutelati.
Si parla, in proposito, dell’ambiente come “materia trasversale”, nel senso che sullo stesso oggetto insistono interessi diversi : quello alla conservazione dell’ambiente e quelli inerenti alle sue utilizzazioni. In questi casi, la disciplina unitaria del bene complessivo ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome, in materie di competenza propria, ed in riferimento ad altri interessi.
Ciò comporta che la disciplina ambientale, che scaturisce dall’esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, investendo l’ambiente nel suo complesso, e quindi anche in ciascuna sua parte, viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo derogare o peggiorare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato.
E’ quanto ha affermato la sentenza n. 246 del 2006, secondo la quale «la giurisprudenza costituzionale è costante nel senso di ritenere che la circostanza che una determinata disciplina sia ascrivibile alla materia “tutela dell’ambiente” di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, se certamente comporta il potere dello Stato di dettare standard di protezione uniformi validi su tutto il territorio nazionale e non derogabili in senso peggiorativo da parte delle Regioni, non esclude affatto che le leggi regionali emanate nell’esercizio della potestà concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, o di quella “residuale” di cui all’art. 117, quarto comma, possano assumere tra i propri scopi anche finalità di tutela ambientale (si vedano, tra molte, le sentenze numeri 183 del 2006; 336 e 232 del 2005; n. 259 del 2004 e n. 407 del 2002)».
La segnalata particolarità della disciplina del bene giuridico ambiente considerato nella sua completezza ed unitarietà riverbera i suoi effetti anche quando si tratta di Regioni speciali o di Province autonome, con l’ulteriore precisazione, però, che qui occorre tener conto degli statuti speciali di autonomia.
E a questo proposito bisogna ricordare che allorché si tratta di Regioni a statuto speciale o di Province autonome, gli statuti, nell’attribuire competenze legislative a detti enti distinguono le materie oggetto di una potestà legislativa primaria, dalle materie oggetto di una potestà legislativa concorrente.
Il primo problema che si pone nel presente giudizio è pertanto quello di stabilire se ci sia una competenza della Provincia autonoma nella materia di cui si discute, essendo noto che tutto ciò che gli statuti non riservano all’ente di autonomia resta attribuito alla competenza dello Stato, salvo quanto stabilito dall’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Ed in secondo luogo, qualora tale competenza sussista, se si tratti di una competenza primaria o concorrente, poiché, nel primo caso, la Provincia autonoma è tenuta ad osservare soltanto i principi generali dell’ordinamento e le norme fondamentali di riforma economica e sociale, e nel secondo caso è tenuta ad osservare anche i principi fondamentali della materia, dettati dalle leggi statali.
5. Per quanto riguarda il settore dei rifiuti, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato i commi 14 e 15 dell’art. 8 della legge provinciale n. 10 del 2004, rispettivamente, per violazione dell’art. 17 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 (Attuazione della direttiva 99/31/CE relativa alle discariche dei rifiuti), e per violazione degli artt. 11, 12 e 15 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CE sui rifiuti, della direttiva 91/698/CE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggi).
Il comma 14 dell’art. 8 impugnato, che sostituisce l’art. 75 del decreto del Presidente della Giunta provinciale n. 1-41/Legisl. del 1987, dispone, per quanto interessa il presente ricorso, che: «nei casi di particolare urgenza e necessità di tutelare le risorse ambientali e la salute pubblica, la Giunta provinciale può disporre o autorizzare, anche in deroga ai piani previsti dall’art. 65, il potenziamento o l’ampliamento delle discariche esistenti per i rifiuti urbani o la realizzazione di nuovi impianti e discariche, se non sussiste altra possibilità, oppure il ricorso ad altre forme di smaltimento e recupero dei rifiuti urbani. Per le stesse finalità la Giunta provinciale può disporre o autorizzare il conferimento e l’esportazione dei rifiuti urbani e assimilabili in impianti localizzati fuori Provincia, previa intesa, se occorre, con la Regione, le Province autonome e le amministrazioni pubbliche interessate; inoltre la Giunta può rideterminare, anche in deroga ai piani previsti dall’art. 65, i bacini di conferimento degli impianti ubicati in Provincia, indicando le forme e le modalità di coordinamento tra gli enti locali responsabili della gestione dei rifiuti urbani».
Il comma 15 dell’art. 8, che sostituisce l’art. 77 del sopra indicato decreto del Presidente della Giunta provinciale, dispone, per quanto interessa il presente ricorso, che: «qualora, in sede di progettazione o di esecuzione di opere pubbliche o private, sia rilevata nell’area di intervento la presenza di discariche e di stoccaggi incontrollati di rifiuti, esclusi i rifiuti pericolosi, realizzati prima del 16 dicembre 1999, l’amministrazione o il soggetto interessato o il relativo appaltatore provvede, per le finalità di bonifica del comma 1, con le seguenti modalità […] c) per le operazioni di messa in sicurezza si prescinde dalla prestazione di garanzie finanziarie, nonché dagli adempimenti previsti dagli artt. 11, 12 e 15 del decreto legislativo n. 22 del 1997, tranne che per i rifiuti allontanati dal sito».
In proposito, ed in relazione a quanto si è sopra detto, occorre innanzitutto precisare che lo statuto della Provincia autonoma di Trento non prevede come competenza della Provincia stessa il settore dei rifiuti, non potendosi ritenere che questi rientrino, ai sensi, rispettivamente, dell’art. 8, numero 5, e dell’art. 9, numero 10, dello statuto (nel quale ultimo caso varrebbero comunque i principi dettati dalle leggi dello Stato; art. 5 dello stesso statuto) nella nozione di “urbanistica e piani regolatori”, ovvero di “igiene e sanità”. Ne consegue che essi non possono che ricadere nella competenza dello Stato, in base ai sopra ricordati principi che regolano i rapporti tra Stato ed autonomie. E’ da avvertire, peraltro, che la competenza dello Stato, come si è detto, è poi espressamente prevista dall’art. 117, comma secondo, lettera s), il quale parla di una competenza esclusiva in materia di “ambiente ed ecosistema”. Tale competenza esclusiva, inoltre, non esclude che lo Stato possa anche attribuire alla Provincia funzioni al riguardo. Ed è da ricordare a questo proposito che già l’art. 85 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), ripreso poi dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), attribuiva alle Regioni le competenze concernenti la gestione dei rifiuti, e che le norme statali di attuazione delle direttive comunitarie, per quanto attiene alla Provincia di Trento, non fanno eccezione a questo principio (ad esempio per quanto concerne i piani di adeguamento delle discariche).
Occorre inoltre precisare, in relazione a tale argomento, che le norme statali di cui si discute sono norme di attuazione di direttive comunitarie, che la Provincia autonoma è tenuta ad osservare.
Venendo all’esame della questione, occorre sottolineare che il comma 14 dell’art. 8, pur facendo riferimento ai casi di necessità ed urgenza, in realtà non pone un regime particolare riferito a questa ipotesi eccezionale, ma crea un regime alternativo a quello predisposto dallo Stato in attuazione di direttive comunitarie, in ordine all’uso delle discariche esistenti, alla costruzione di nuovi impianti, al trasporto dei rifiuti, all’utilizzo di altre forme di smaltimento ed alla modifica dei bacini di conferimento. Sennonché, l’Avvocatura generale dello Stato, censurando soltanto la violazione dell’art. 17 del d.lgs. n. 36 del 2003, che si riferisce alle discariche esistenti (in attuazione della direttiva 99/31/CE), impugna unicamente le norme che riguardano il potere della Giunta provinciale di disporre o autorizzare il potenziamento o l’ampliamento delle discariche esistenti. E’ in relazione a queste ultime che la Corte deve pronunciarsi.
Ed in proposito è sufficiente ricordare che il citato art. 17, del d.lgs. n. 36 del 2003 pone due regole fondamentali: a) le discariche già autorizzate possono continuare a ricevere rifiuti, per i quali sono state autorizzate, fino al 31 dicembre 2006; b) entro sei mesi dall’entrata in vigore del medesimo decreto legislativo, il titolare dell’autorizzazione, o, su sua delega, il gestore della discarica, deve presentare all’autorità competente «un piano di adeguamento della discarica stessa alle previsioni di cui al presente decreto, incluse le garanzie finanziarie». Il comma 14, come risulta dalla semplice lettura del testo, dispensa invece, sia dalla data di scadenza per l’utilizzazione delle discariche già autorizzate, sia dal piano di adeguamento delle discariche stesse. Esso, dunque, relativamente alla parte impugnata, deve ritenersi costituzionalmente illegittimo.
Per quanto riguarda il comma 15, occorre ricordare che questo, in riferimento all’ipotesi del rinvenimento di una discarica o di uno stoccaggio di rifiuti abusivi, prevede che si può procedere alla bonifica del sito e che «per l’esecuzione delle operazioni di messa in sicurezza si prescinde dalla prestazioni delle garanzie finanziarie, nonché dagli adempimenti previsti dagli artt. 11, 12 e 15 del decreto legislativo n. 22 del 1997 (di attuazione della direttiva 91/156/CE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), tranne che per i rifiuti allontanati dal sito» (paragrafo 1-ter, lettera c).
Il ricorso dell’Avvocatura generale dello Stato non lamenta la deroga dell’obbligo di prestazione delle garanzie finanziarie, ma solo la violazione degli artt. 11 (catasto rifiuti), 12 (registro di carico e scarico) e 15 (formulario di identificazione dei rifiuti trasportati), sicché è solo in relazione a queste censure che occorre decidere.
La disposizione impugnata, se interpretata nel senso che per le operazioni di messa in sicurezza si procede soltanto alla “movimentazione” in sito dei rifiuti, e non alla loro “raccolta e trasporto”, come fa pensare l’inciso «tranne che per i rifiuti allontanati dal sito», non presenta profili di lesività. Le norme statali di cui agli artt. 11, 12 e 15 del d.lgs. n. 22 del 1997, si riferiscono infatti solo alla “raccolta ed al trasporto” dei rifiuti e non alla loro movimentazione all’interno di un’area privata. Lo conferma, del resto, l’art. 193, comma 9, del successivo decreto legislativo n. 152 del 2006, secondo il quale «la movimentazione dei rifiuti esclusivamente all’interno di aree private non è considerata trasporto ai fini della parte quarta del presente decreto».
La dizione usata dal legislatore provinciale deve, in altri termini, considerarsi impropria, poiché non si tratta di disapplicazione di norme statali, come farebbe ritenere l’espressione «si prescinde», ma di semplice loro non pertinenza al caso.
Alla luce della su esposta interpretazione, il ricorso deve dunque essere rigettato sul punto.
6. Per quanto riguarda la conservazione degli habitat naturali, la questione concerne la «designazione» delle «zone speciali di conservazione» (ZSC) ed «i rapporti» da tenere con la Commissione europea in caso di incidenza su dette zone di piani ed interventi che possano richiedere una limitazione delle misure previste per la tutela ambientale di tali zone.
Le norme provinciali impugnate dal Presidente del Consiglio dei ministri sono le seguenti.
L’art. 9, commi 2 e 3 della legge Provinciale, il quale così recita: «La disciplina stabilita dal presente articolo si applica ai siti e alle zone ricadenti nel territorio provinciale […]. La Giunta provinciale, con proprie deliberazioni, anche sulla base degli esiti dell’attività di monitoraggio di cui al comma 7, designa i siti di importanza comunitaria di cui al comma 2, lettera a), come zone speciali di conservazione a norma dell’art. 4, paragrafo 4, della direttiva 92/43/CE».
L’art. 9, comma 11, il quale prevede che: «Qualora la valutazione di incidenza sui progetti […] dia luogo a conclusioni negative, il superamento di tali esiti può essere deciso esclusivamente dalla Giunta Provinciale, su richiesta del soggetto interessato, nel rispetto dei criteri e dei limiti stabiliti dall’art. 6, paragrafo 4, della direttiva 92/43/CE. I rapporti con la Commissione europea , ai sensi dell’art. 6, paragrafo 4, della direttiva 92/43/CE, sono tenuti direttamente dal Presidente della Provincia, che provvede ad informare anche il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio».
L’art. 10 della stessa legge provinciale riguarda le misure di salvaguardia da adottare in attesa della messa a punto delle ordinarie misure di conservazione delle zone speciali di conservazione. Si tratta cioè di norme consequenziali alle disposizioni di cui al comma 5 dell’art. 9.
7. Per la migliore comprensione della questione, è opportuno ricordare che il procedimento prevede: una “individuazione” dei siti da considerare come «siti di importanza comunitaria» (SIC), effettuata dalle Regioni e dalle Province autonome; la trasmissione di detta individuazione, da parte dello Stato membro, alla Commissione europea; l’approvazione da parte di quest’ultima dell’elenco dei siti; la scelta, sempre da parte della Commissione, di quelli che essa ritiene di importanza naturalistica tale da essere considerati come «zone speciali di conservazione»; ed infine la “designazione” di detti siti come «zone speciali di conservazione» da parte dello stesso Stato membro, il quale, nel frattempo, ha dovuto “classificare” i siti ZSC come una speciale tipologia di “area protetta”.
Per quanto concerne i rapporti con la Commissione europea, dalle stesse direttive si desume che questi rapporti debbono essere tenuti dallo Stato membro.
Occorre inoltre precisare che la specifica materia oggetto di contestazione rientra nella competenza primaria della Provincia autonoma, poiché l’art. 8, comma 16 dello statuto attribuisce alla Provincia stessa la competenza in materia di «parchi e protezione della flora e della fauna». Ne consegue, come si è sopra chiarito, che la potestà legislativa della Provincia, in questa specifica materia, deve essere esercitata in armonia con la Costituzione ed i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, nonché con il rispetto degli obblighi internazionali, degli interessi nazionali e delle norme fondamentali di riforma economico sociale della Repubblica.
8. Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna le citate norme provinciali di cui all’art. 9, commi 2 e 3, concernenti il potere di “designazione” dei siti come zone speciali di conservazione, per violazione dell’art. 5 della legge 8 luglio 1986, n. 349 (Istituzione del Ministero dell'ambiente e norme in materia di danno ambientale), e dell’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche). Tale ultima disposizione prevede che le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano “individuano” i siti di interesse comunitario per la costituzione della rete ecologica europea denominata “Natura 2000” e ne danno comunicazione al Ministero dell’ambiente, il quale raccoglie tali indicazioni in un elenco che invia alla Commissione europea, tenuta, a sua volta, a scegliere, tra tali siti, le zone speciali di conservazione. Lo stesso Ministero dell’ambiente provvede poi a “designare”, d’intesa con le Regioni, detti siti quali zone speciali di conservazione.
La difesa della Provincia eccepisce che detto regolamento, ai sensi anche della sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 1999, non può vincolare la Provincia stessa, e che, comunque, si tratta di un regolamento cedevole, il quale ha perso di efficacia con l’entrata in vigore delle norme impugnate, che sono da intendere come norme di attuazione della direttiva comunitaria.
Tale eccezione, per quanto esatta – poiché il regolamento statale di attuazione delle direttive comunitarie in questione ha natura cedevole rispetto alla successiva legge regionale o provinciale di attuazione – non rileva ai fini della decisione, venendo in evidenza la violazione dei principi generali dell’ordinamento (sentenza n. 425 del 1999).
Il ricorso è fondato, poiché le disposizioni impugnate contrastano con detti principi generali dell’ordinamento, nonché con le norme fondamentali di riforma economica e sociale invocati dallo Stato.
Si tratta del principio di cui all’art. 5, commi 1e 2, della legge n. 349 del 1986, il quale è stato integrato dall’art. 8, comma 3, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), secondo il quale «qualora il parco o la riserva interessi il territorio di una Regione a statuto speciale o Provincia autonoma, si procede d’intesa».
Se si tiene presente che i parchi e le riserve, così come le zone speciali di conservazione, sono classificati come “aree protette”, è fin troppo evidente che il riferimento all’intesa, per la designazione ed istituzione dei parchi e delle riserve, deve a maggior ragione riferirsi anche alle zone speciali di conservazione. Tanto più che tali zone sono di interesse internazionale e la designazione di aree protette internazionali spetta allo Stato, ai sensi del citato art. 5, comma 2, della legge n. 349 del 1986.
Ciò è confermato, peraltro, dalla sentenza n. 366 del 1992 di questa Corte, nella quale si legge che «come questa Corte ha più volte affermato, pur in assenza della legge quadro sulle aree protette […], le attività ora elencate (e cioè “la competenza di individuazione delle aree protette di rilievo nazionale o internazionale, nonché quelle relative alla loro classificazione e all’istituzione su di esse di parchi nazionali o di riserve naturali statali”) rientrano nella competenza del soggetto che deve valutare l’interesse naturalistico che si intende perseguire con la costituzione del parco o della riserva naturale […]. Sicché, ove l’interesse considerato sia non irragionevolmente ritenuto d’importanza nazionale o internazionale, le competenze relative all’individuazione delle aree, alla loro classificazione e all’istituzione su di esse di parchi nazionali o di riserve naturali statali (e, quindi, all’istituzione di un regime vincolistico, consistente nell’adozione di “misure di conservazione”, su altri tipi di aree protette di rilievo internazionale) spettano allo Stato, qualunque sia l’ubicazione dell’area da proteggere».
Ed è inoltre da sottolineare che, come si evince dagli stessi commi 1 e 3 dell’art. 9 della legge provinciale impugnata, per la materia in esame, occorre distinguere la “individuazione” dei siti di importanza comunitaria, dalla “designazione” delle zone speciali di conservazione, e che “individuazione” e “designazione” esprimono, nel caso di specie, due concetti diversi, consistendo l’individuazione nella pura indicazione del sito, e costituendo, invece, la “designazione” l’atto che sottopone la zona prescelta ad uno speciale statuto vincolistico, consistente nell’adozione di speciali “misure di conservazione”. In altri termini, la parola “designazione”, utilizzata nella direttiva comunitaria ha lo stesso significato che l’ordinamento nazionale ha tradizionalmente attribuito all’espressione “istituzione di un’area protetta”.
Dunque, la “designazione” di quella particolare area protetta che è stata classificata come zona speciale di conservazione, non può essere effettuata unilateralmente dalla Giunta provinciale, ma deve essere effettuata dallo Stato d’intesa con la Provincia autonoma. Se ne deve dedurre che i commi 2 e 3 dell’art. 9 della legge provinciale n. 10 del 2004 sono costituzionalmente illegittimi.
Per quanto riguarda le censure riferite al comma 11 dello stesso art. 9, è da precisare che il ricorrente non si lamenta soltanto dell’attribuzione alla Giunta provinciale del potere di “superare” l’esito negativo della procedura di valutazione di incidenza dei progetti sulle zone speciali di conservazione, ma anche del fatto che esso attribuisce al Presidente della Giunta la competenza a tenere i “rapporti” con la Commissione europea in relazione a detta materia. Si tratta del potere di interloquire con la Commissione europea, che spetta allo Stato, ai sensi dell’art. 1, comma 5, della legge n. 349 del 1986 (che attribuisce al Ministro dell’ambiente il compito di rappresentare l’Italia presso gli organismi della Comunità Europea in materia di ambiente e di patrimonio culturale), in base al principio sancito dai commi terzo e quinto dell’art. 117 della Costituzione, i quali attribuiscono allo Stato la competenza a disciplinare i rapporti delle Regioni e delle Province autonome con l’Unione europea e a definire le procedure di partecipazione delle stesse, nelle materie di loro competenza, alla formazione degli atti comunitari.
L’invocato art. 1, comma 5, della legge n. 349 del 1986 è pienamente ribadito dall’art. 5 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale n. 3 del 2001), il quale conferma il principio della unitarietà della rappresentazione della posizione italiana nei confronti dell’Unione europea.
La Provincia autonoma di Trento non può pertanto ascrivere direttamente alla propria competenza il potere di mantenere “rapporti” con l’Unione europea, prescindendo dalle leggi dello Stato.
Le relative disposizioni impugnate devono ritenersi, pertanto, costituzionalmente illegittime.
9. Quanto all’art. 10 della legge provinciale n. 10 del 2004, le censure sono inammissibili, poiché il ricorrente considera le norme contenute in detto articolo come consequenziali a quelle di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 9, mentre esse sono consequenziali al comma 5 del medesimo articolo, comma che non è stato oggetto di impugnazione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 14, della legge della Provincia autonoma di Trento 15 dicembre 2004, n. 10 (Disposizioni in materia di urbanistica, tutela dell’ambiente, acque pubbliche, trasporti, servizi antincendi, lavori pubblici e caccia);
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, commi 2, 3 e 11, della legge della Provincia autonoma di Trento n. 10 del 2004;
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 15, della legge della Provincia autonoma di Trento n. 10 del 2004, promossa, in riferimento agli artt. 8, numero 5, e 9, numero 10, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), in relazione agli artt. 11, 12 e 15 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), nonché in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge della Provincia autonoma di Trento n. 10 del 2004, promossa, in riferimento all’art. 8, numeri 15 e 16, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettere a) e s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara estinto il giudizio in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 2, della legge della Provincia autonoma di Trento n. 10 del 2004, promosso con il ricorso n. 26 del 2005;
dichiara estinto il giudizio in ordine alla questione di legittimità costituzionale della legge della Provincia autonoma di Trento 6 dicembre 2005, n. 17 (Disposizioni urgenti in materia di concessioni di grandi derivazioni di acque pubbliche a scopo idroelettrico, modificative dell’articolo 1-bis della legge provinciale 6 marzo 1998, n. 4), promosso con il ricorso n. 1 del 2006;
dichiara estinto il giudizio in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 483 – 492, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), promosso con il ricorso n. 40 del 2006.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Paolo MADDALENA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 novembre 2007.
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