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registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
TRIBUNALE ORDINARIO DI COSENZA Sez.
II PENALE Ordinanza del 20/03/2007
URBANISTICA - Atto amministrativo
concessorio - Presupposto della fattispecie di reato - Disapplicazione da parte
del giudice penale - Inconfigurabilità - Ragioni. Nel caso di accertata
difformità da disposizioni legislative o regolamentari, ovvero dalle
prescrizioni degli strumenti urbanistici, non si configura una non consentita
"disapplicazione", da parte del giudice penale dell'atto amministrativo
concessorio (vedi Cass., Sez. Un., 12.11,1993, Borgia), in quanto lo stesso
giudice, qualora come presupposto o elemento costitutivo di una fattispecie di
reato sia previsto un atto amministrativo ovvero l'autorizzazione del
comportamento del privato da parte di un organo pubblico, non deve limitarsi a
verificare l'esistenza ontologica dell'atto o provvedimento amministrativo, ma
deve verificare l'integrazione o meno della fattispecie penale, "in vista
dell'interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela, nella quale gli
elementi di natura extrapenale convergono organicamente, assumendo un
significato descrittivo" (vedi Cass., Sez. Un., 28,11.2001, Salvini; nonché Sez.
VI, 18.3.1998, n. 3396, Calisse ed altro). Pres. De Vuono, Est. Branda -
Tribunale di Cosenza, Sez. II Penale - Ordinanza 20 marzo 2007, BRUNO
URBANISTICA - Struttura autonoma destinata a parcheggio realizzata con
l’edificazione di cinque piani - Edificazione in deroga ex art. 9 legge Tognoli
- Applicabilità - Esclusione. La struttura autonoma destinata a parcheggio,
realizzata con l’edificazione di cinque piani fuori terra, non rientra
nell’ipotesi di edificazione in deroga agli strumenti urbanistici, di cui alla
legge Tognoli (articolo 9 L. 122/89), ostandovi la stessa lettera della norma,
riferita a parcheggi pertinenziali di immobili privati da realizzare nel
sottosuolo o nei locali siti al piano terreno dei fabbricati. Pres. De Vuono,
Est. Branda - Tribunale di Cosenza, Sez. II Penale - Ordinanza 20 marzo 2007,
BRUNO
URBANISTICA - PROCEDURE E VARIE - Opera abusiva in relazione alla quale siano
ormai perfezionati gli elementi costitutivi del reato - Sequestro preventivo -
Ammissibilità - Fondamento. In materia urbanistica, l'esigenza cautelare
richiesta dalla legge per disporre il sequestro preventivo e' ipotizzabile anche
per i reati per i quali si siano perfezionati gli elementi costitutivi, in
quanto, anche ultimata, l'opera abusiva continua a proiettare le sua conseguenze
negative sul regolare assetto del territorio, perpetuando nel tempo l'offesa del
bene tutelato e quindi l'esigenza di evitare che il danno sia portato a
conseguenze ulteriori (Cass. 2000, n.1551). In effetti, in tema di sequestro
preventivo, le "conseguenze " che il legislatore intende neutralizzare
attraverso il provvedimento non sono identificabili ne' con la condotta dei
reati formali ne' con l'evento naturalistico, che integra la consumazione dei
reati materiali, ma sono anche quelle "ulteriori" rispetto alla condotta tipica
realizzata. Per tale ragione il sequestro preventivo puo' essere disposto anche
quando sia cessata la condotta o si siano perfezionati gli elementi costitutivi
del reato in relazione al quale la misura viene adottata. Pres. De Vuono,
Est. Branda - Tribunale di Cosenza, Sez. II Penale - Ordinanza 20 marzo 2007,
BRUNO
N. 1118/06 R.G.N.R
N. 102/06 R.G.T.L.
TRIBUNALE ORDINARIO DI COSENZA
II SEZIONE PENALE
RIESAME DEI PROVVEDIMENTI DI SEQUESTRO
II Tribunale di Cosenza,
composto dai Magistrati:
dott. Francesca De Vuono Presidente
dott. Francesco Luigi Branda Giudice
dott. Carlo Pappalardo Giudice
• riunito in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel procedimento di riesame proposto da
BRUNO Vittorio, n. a Cosenza il 19-11-1969
BRUNO Paolo, n. a Mottafollone il 26-3-1935
PIRAGINE Anna Maria Carmela, n. ad Altomonte il 22-8-1945
avverso il provvedimento di sequestro preventivo disposto dal GIP di
Castrovillari in data 14/7/2006, a seguito di annullamento con rinvio disposto
con sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 1894/07 .
In fatto e diritto
Il Comune di Altomonte, in data 1.10.2003, rilasciava a Piragine Anna Maria
Carmela il permesso di costruire n. 8/2003 per la realizzazione di un parcheggio
multipiano con struttura in cemento armato, a ridosso del Castello dei Conti di
Altomonte (a sua volta, oggetto di concessione edilizia n.25 del 29.7.2002, per
l'esecuzione di lavori "di restauro, consolidamento e ristrutturazione
funzionale").
Iniziati i lavori per la realizzazione del parcheggio, la Soprintendenza per i
beni architettonici ed ambientali per la Calabria, sul rilievo che l'area
interessata era da sottoporre ad estensione del vincolo gravante sul complesso
monumentale del castello, sollecitava una revisione del progetto del parcheggio
e disponeva la sospensione dei lavori.
La Piragine, uniformandosi a tale sollecitazione, redigeva un progetto di
variante (che prevedeva una diversa pianta dell'edificio, una maggiore altezza
ed una superficie ridotta), in relazione al quale la Soprintendenza rilasciava
il nulla-osta, con provvedimento del 14.4.2004, indicando talune prescrizioni
relative all'uso dei materiali ed alle tecniche costruttive da seguire
nell'esecuzione dell'opera
Il responsabile dell'ufficio tecnico comunale, invece, con ordinanza del
17.6.2004, rigettava la medesima istanza di variante e, di seguito, con
ordinanza n.42 del 27.7.2004, nell'esercizio dei poteri di autotutela, annullava
i titoli abilitativi, ordinando la demolizione delle opere fino a quel momento
eseguite.
Avverso i suddetti provvedimenti ablatori, i destinatari proponevano ricorso al
TAR Calabria - Catanzaro che, con ordinanze nn. 558 e 564 del 7.10.2004
(confermate dal Consiglio di Stato, con ordinanza del 22.2.2005), disponeva
rispettivamente, in via cautelare, la sospensione dell'esecuzione del
provvedimento di annullamento della concessione edilizia n. 25/2002, nonché del
provvedimento di diniego dell'approvazione del progetto di variante per la
realizzazione del parcheggio, dichiarando l'obbligo del Comune di riesaminare la
relativa istanza della Piragine.
Lo stesso TAR Calabria quindi, in sede di merito, con sentenza n. 499 del
10.3.2006, annullava il provvedimento comunale di autotutela, poichè
l'Amministrazione non aveva compiutamente ed adeguatamente motivato tale
decisione, ma si era limitata ad invocare un generico e non sufficiente
interesse al ripristino della legalità; ugualmente, annullava il diniego di
approvazione del progetto di variante, rilevando che esso si basava su asserite
illegittimità dei titoli edilizi originari che non era possibile valutare in
sede di delibazione sulla variante.
Inoltre, il Tribunale Amministrativo, perdurante l’inerzia dell'Amministrazione
comunale sulla richiesta di variante a fronte del provvedimento di sospensiva
sul diniego, con ordinanza del 25.7.2005 procedeva alla nomina di un commissario
ad acta che approvava il progetto di variante, rilasciando il permesso di
costruire n.28 del 16.11.2005.
Il TAR Calabria, con sentenza n.500 del 10.3.2006. respingeva il ricorso
proposto dal Comune avverso detto provvedimento commissariale.
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Castrovillari in data
3/7/2006 disponeva il sequestro preventivo d’urgenza, con successiva richiesta
di convalida al GIP, ipotizzando innanzitutto il reato di cui all’articolo 44
lett. a) DPR 380 /2001, poiché il fabbricato era ubicato a distanza mediamente
pari a mt.3,40 dalle mura di cinta del castello di Altomonte, oggetto di tutela
speciale in forza del D.M 9.5.1994, e perciò in contrasto con la misura minima
di salvaguardia (10 metri) prescritta dalla legge 12.4.1990, n. 23 della Regione
Calabria, che vieta inoltre interventi edilizi ex novo del tipo di quello
assentito.
Inoltre, lo stesso fabbricato, di ben cinque piani fuori terra in cemento
armato, da adibirsi a parcheggio, ricadeva in una zona urbanistica che le norme
tecniche di attuazione del programma di fabbricazione del Comune di Altomonte
destinavano a "verde privato", consentendovi esclusivamente la posa in opera di
attrezzature per il gioco e lo sport, di percorsi per la ginnastica psicomotoria
all'aperto, la costruzione, previa indagine geologica specifica di piscine di
piccole e medie dimensioni, anche ad uso promiscuo, privato e pubblico, e la
messa in opera di piccole casette in legno prefabbricate, ad un solo livello, a
servizio delle eventuali attività ricreative.
Ancora, il manufatto, pur nella sua destinazione a parcheggio, cosi come
progettato ed in fase di realizzazione, si sviluppava in quattro piani fuori
terra, in violazione dell'art. 9 della legge 24.3.1989. n 122 (c.d. legge
Tognoli), che invece permette la realizzazione di parcheggi in deroga agli
strumenti urbanistici solo se interrati.
Per di più, l'edificazione sarebbe stata attuata in violazione delle distanze,
prescritte dai titoli abilitativi, rispetto alla confinante proprietà di tale
Giulio Sciarra.
Il GIP del Tribunale di Castrovillari, con decreto 14.7.2006, ricalcando le
argomentazioni esposte nella richiesta, convalidava la misura adottata in via
d’urgenza e disponeva il sequestro preventivo del manufatto da adibire a
parcheggio, composto da un corpo di fabbrica a cinque livelli fuori terra, in
corso di edificazione su un'area sita in prossimità della cinta muraria del
castello di Altomonte.
Il provvedimento cautelare era impugnato con istanza di riesame proposta
nell'interesse di Bruno Vittorio, Piragene Anna Maria Carmela (proprietari della
superficie fondiaria oggetto di edificazione) e Bruno Paolo (legale
rappresentante della s.r.l. "MIVI", esecutrice materiale delle opere edilizie)
dinanzi al Tribunale di Cosenza che, con ordinanza del 19.9.2006, accoglieva il
ricorso, ordinando il dissequestro.
Il Tribunale, nel disporre la restituzione del manufatto in sequestro agli
aventi diritto, rilevava che, quanto all'attività costruttiva in oggetto, gli
organi di giustizia amministrativa avevano "costantemente concluso nel senso
della legittimità dell'intervento edificatorio in contestazione", sicché "i
titoli edilizi originariamente emessi ed il successivo permesso relativo al
progetto di variante, in forza dei quali i ricorrenti avevano dato inizio
all'esecuzione dei lavori di costruzione del parcheggio appaiono atti
legittimi"; né risultava evidente un contrasto con norme imperative talmente
grave da determinare non la mera illegittimità degli atti, ma la illiceità dei
medesimi e, dunque, la loro nullità". Concludeva, pertanto, per l'insussistenza
del fumus dei reati ipotizzati.
Avverso la suddetta ordinanza proponeva ricorso per Cassazione il Procuratore
della Repubblica presso il Tribunale di Cosenza, il quale rilevava che le
pronunzie del giudice amministrativo, ritenute risolutive dal Tribunale del
riesame, non spiegavano efficacia di giudicato in ordine all’accertamento della
legittimità della edificazione, avendo solo disposto l’annullamento degli atti
ablatori per vizi attinenti alla motivazione dei provvedimenti presi in esame e
di carattere procedurale.
Inoltre, il Tribunale cosentino avrebbe dovuto limitarsi al controllo di
compatibilità tra la fattispecie concreta e quelle legali ipotizzate, sotto il
profilo della congruità degli elementi rappresentati, non censurabili in punto
di fatto, avendo invece illegittimamente esteso la propria cognizione agli
aspetti fattuali della vicenda.
Il Tribunale avrebbe altresì violato, infine, gli artt. 324, comma 7, e 309,
comma 9, c.p.p., disponendo la restituzione del manufatto senza previamente
annullare il decreto di sequestro preventivo.
Nel merito, ribadiva i profili di illegittimità già prospettati e accolti dal
GIP.
La Suprema Corte, dopo aver sinteticamente richiamato i principi fondamentali
che governano il giudizio cautelare (accertamento del "fumus commissi delicti"'
attraverso il controllo di compatibilità tra fattispecie concreta e fattispecie
legale ipotizzata), ed aver opportunamente indicato i canoni interpretativi
fissati dalle Sezioni Unite nel valutare la sussistenza o meno della liceità di
un intervento edilizio ancorchè assentito con concessione edilizia o permesso di
costruire, ricordando che il reato di esecuzione di lavori edilizi in assenza di
permesso di costruire può ravvisarsi anche in presenza di un titolo qualora ne
sia verificata l’illegittimità, escludeva in radice la ragione che aveva indotto
il Tribunale del riesame a porre nel nulla la misura cautelare applicata dal
GIP, ovvero il vincolo di un giudicato amministrativo che avrebbe ratificato la
legittimità dell’intervento edificatorio.
Al riguardo, concordava sul principio secondo cui il potere del giudice penale
di accertare la conformità alla legge ed agli strumenti urbanistici di una
costruzione edilizia trova un limite nei provvedimenti giurisdizionali del
giudice amministrativo passati in giudicato che abbiano espressamente affermato
la legittimità della concessione o della autorizzazione edilizia ed il
conseguente diritto del cittadino alla realizzazione dell'opera (cfr. Cass.,
Sez. III, 21.10.2003, n. 34707, Luterano di Scorpianello), in quanto l'autorità
giudiziaria ordinaria non ha il potere di valutare la conformità a legge di un "arret"
di un'altra giurisdizione, a meno di non voler vanificare i diritti civili del
cittadino, che non può essere privato della facoltà di fare affidamento sugli
strumenti della tutela giurisdizionale posti a sua disposizione dall'ordinamento
(cfr. Cass. sez. III del 3.4.1996, n. 54, Ciaburri,).
Tuttavia, pur condividendo il suddetto orientamento, ne escludeva la concreta
applicazione nel caso di specie, in quanto le anzidette pronunzie definitive del
TAR Calabria - Catanzaro non avevano mai affermato la legittimità della
concessione edilizia n. 25/2002 e del permesso di costruire n.8/2003, non avendo
mai ratificato la insussistenza dei vizi riscontrati dal Comune alla stregua
delle previsioni della legge statale 24.3.1989, n. 122 e della legge 12.4.1990,
n. 23 della Regione Calabria, nonché con riferimento alle prescrizioni fissate
dal vigente programma di fabbricazione del Comune di Altomonte.
Tali pronunce, invero, si erano limitate a pronunciare un annullamento, per mero
difetto di motivazione, rilevando che l'Amministrazione comunale, allorquando
intenda adottare, in sede di autotutela, un provvedimento di annullamento di
titoli abilitativi edilizi, non può limitarsi ad indicare i vizi di detti titoli
e le norme urbanistiche con le quali gli stessi si pongono in contrasto, ma deve
esplicare le concrete ragioni di interesse pubblico che giustificano l'adozione
dell'atto di annullamento e compiere un'adeguata ponderazione di tutti gli
interessi implicati, non essendo sufficiente, al riguardo, il mero richiamo
all'opportunità di ripristinare la legalità violata ed esulando in ogni caso
dalle competenze comunali valutazioni sovrapponentisi a quelle già espresse
dalla competente Soprintendenza, istituzionalmente preposta alla tutela del
valore storico-architettonico dell'area interessata.
Orbene, esclusa l’ipotesi di un giudicato sulla legittimità del permesso di
costruire, la Suprema Corte annullava il provvedimento impugnato, rinviando ad
altra sezione del Tribunale, affinché scrutinasse i profili di illegittimità
posti a base del provvedimento di sequestro preventivo adottato dal G.I.P. del
Tribunale di Castrovillari riguardanti, per ordine di importanza, la prospettata
difformità dei titoli edilizi dalle previsioni delle norme tecniche di
attuazione del programma di fabbricazione del Comune di Altomonte; la contestata
violazione delle misure di salvaguardia imposte dalla legge regionale n. 23/1990
per i Comuni (come quello di Altomonte) non dotati di piano regolatore generale,
quanto alle distanze dell'erigendo fabbricato dalle mura di cinta del castello
di Altomonte, oggetto di tutela speciale in forza del D.M 9.5.1994;
l’inosservanza delle disposizioni poste dalla legge 24.3.1989, n. 122 (c.d.
legge Tognoli) in materia di realizzazione di parcheggi.
Aggiungeva che la questione relativa alla sussistenza dell'elemento psicologico
dei reati contestati, restava demandata, invece, al giudice del merito, non
potendo essere risolta in sede cautelare.
Ritiene questo Tribunale che l’istanza di riesame debba essere respinta, con la
conseguente conferma del sequestro preventivo disposto dal GIP di Castrovillari,
per le seguenti ragioni.
Occorre prendere le mosse da due punti fermi, ovvero la sindacabilità da parte
del giudice penale in ordine alla legittimità del permesso di costruire e
l’inesistenza - in concreto - di un giudicato amministrativo che limiti detto
giudizio.
Sotto il primo profilo, come è ormai jus receptum, nel caso di accertata
difformità da disposizioni legislative o regolamentari, ovvero dalle
prescrizioni degli strumenti urbanistici, non si configura una non consentita
"disapplicazione", da parte del giudice penale dell'atto amministrativo
concessorio (vedi Cass., Sez. Un., 12.11,1993, Borgia), in quanto lo stesso
giudice, qualora come presupposto o elemento costitutivo di una fattispecie di
reato sia previsto un atto amministrativo ovvero l'autorizzazione del
comportamento del privato da parte di un organo pubblico, non deve limitarsi a
verificare l'esistenza ontologica dell'atto o provvedimento amministrativo, ma
deve verificare l'integrazione o meno della fattispecie penale, "in vista
dell'interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela, nella quale gli
elementi di natura extrapenale convergono organicamente, assumendo un
significato descrittivo" (vedi Cass., Sez. Un., 28,11.2001, Salvini; nonché Sez.
VI, 18.3.1998, n. 3396, Calisse ed altro)
Detta valutazione è stata effettuata per la prima volta dalla sentenza del
12/11/1993 delle sezioni unite (estensore Dr. Albamonte), attraverso un'analisi
coordinata degli artt. 6, 11, 13 e 22 1. n. 47 del 1985, in cui ha ravvisato la
tutela di un differente interesse protetto, non più formale o strumentale ( il
giudice penale non deve essere mero controllore della esistenza di un
provvedimento concessorio), ma sostanziale, relativo alla tutela dell'assetto
del territorio in conformità alla normazione urbanistica che disciplina
l'attività edilizia.
Il suddetto approdo è stato raggiunto attraverso una interpretazione alla luce
del bene tutelato e considerando il provvedimento concessorio quale elemento
normativo della fattispecie che il giudice, soggetto soltanto alla legge in base
all'art. 101 della Costituzione, deve poter compiutamente valutare così come è
tenuto a fare per tutti gli elementi che concorrono ad integrare il fatto
tipico, superando i limiti di un “ mero e generico controllo amministrativo" sul
territorio.
E’ dunque ormai definitivamente superato l’orientamento richiamato dalla difesa,
risalente alla sentenza “Giordano” (Cass. n. 3 del 1987) , secondo cui il
giudice penale avrebbe potuto “disapplicare” la concessione edilizia solo in
caso di contrasto con norme imperative talmente grave da determinare non la mera
illegittimità degli atti, ma la illiceità dei medesimi.
Sotto il secondo profilo, è altresì escluso ogni ragionevole dubbio in merito
alla inesistenza di confliggenti pronunciati del giudice amministrativo.
Oltre alle pertinenti osservazioni del Supremo Collegio, in ordine al fatto che
il TAR non ha mai affrontato la questione della edificabilità del parcheggio
multipiano nella zona destinata dalle norme tecniche di attuazione a “verde
privato”, occorre solo aggiungere che la decisione da ultimo prodotta non assume
differente significato rispetto alle precedenti.
Infatti, con l’ordinanza n. 47 del 10 marzo 2006, il Tar si è limitato a
dichiarare inammissibile il reclamo proposto dal Comune di Altomonte avverso il
provvedimento adottato dal Commissario ad acta, avente ad oggetto il rilascio
del permesso di costruire in variante n. 28 del 2005, per soli motivi di rito
(non reclamabilità degli atti adottati da un organo straordinario
dell’amministrazione), senza entrare nel merito in ordine alla legittimità del
suddetto atto.
Si procede pertanto al puntuale riscontro demandato dalla Suprema Corte.
Sta di fatto che il parcheggio multipiano in cemento armato ricade in zona
qualificata come "verde privato", così descritta dalle Norme Tecniche di
Attuazione del Programma di Fabbricazione:
"Sono zone del territorio dal notevole valore paesaggistico e/o posizionate in
punti strategici, che hanno per lo più la funzione di creare una cintura
("ring") di verde "controllato" intorno al nucleo storico: si tratta, in linea
generale, di aree classificate instabili dall'indagine geologica e quindi non
edificabili, ma nelle quali l'Amministrazione Comunale favorirà i progetti di
riqualificazione del verde esistente, così che possano essere scongiurati, non
solo le nocive conseguenze di un uso improprio del territorio, ma anche i
fenomeni erosivi e di dissesto idrogeologico, nel rispetto delle essenze arboree
indicate in appendice: ogni progetto di intervento finalizzato a modificare
(diradamento di alberi o loro inevitabile abbattimento terapeutico) e/o
migliorare, anche parzialmente l'assetto della zona, dovrà ottenere la
preventiva autorizzazione della C.E.C. (...).
Sotto il profilo della utilizzazione le stesse n.t.a. prevedono che “E'
consentita la posa in opera di attrezzature per il gioco e lo sport, di percorsi
"Verde Vita" per la ginnastica psicomotoria all'aperto, la costruzione, previo
un'indagine geologica specifica, di piscine di piccole e medie dimensioni, anche
a uso promiscuo, privato e pubblico e la posa in opera di piccole casette in
legno prefabbricate, ad un solo livello, a servizio delle eventuali attività
ricreative della zona".
Dunque, dalla semplice lettura della norma ed in base al significato semantico
dei termini adoperati, percepibili da qualsiasi individuo dotato di media
cultura, si evince che le opere edili consentite nella zona per cui è causa
devono essere del tipo “attrezzature per la ginnastica, piccole piscine, casette
in legno ad un livello”, evidentemente in modo da non incidere in maniera
eccessiva sulla destinazione della zona di notevole valore paesaggistico, e con
la funzione di creare una cintura di verde "controllato" intorno al nucleo
storico su cui si staglia il pregevole Castello.
Ciò detto, il parcheggio multipiano in cemento armato non è assolutamente
assimilabile alle predette opere consentite dalle norme tecniche di attuazione,
sicché è evidente l'illegittimità della concessione edilizia.
Le foto prodotte dai ricorrenti rendono manifesto lo stravolgimento dei predetti
caratteri a seguito dell’intervento edilizio realizzato, che non può essere
assolutamente assimilato ad una più tenue ipotesi di “integrazione”.
In conclusione, da un raffronto con le n. t. a. del P.R.G. appare "prima facie"
la macroscopica illegittimità della concessione, per la struttura del manufatto
confliggente con la destinazione di zona in cui è edificato.
Sul punto, le deduzioni della difesa, che richiamano le osservazioni del proprio
consulente, sono prive di pregio.
In primo luogo, la tesi secondo cui sarebbe ipotizzabile una edificazione in
deroga agli strumenti urbanistici, ai sensi della legge Tognoli (articolo 9 L.
122/89: “i proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli
stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da
destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli
strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti”.), cade di fronte alla
previsione normativa, riferita ai parcheggi pertinenziali di immobili privati da
realizzare nel sottosuolo o nei locali siti al piano terreno dei fabbricati ”, a
cui non è di certo riconducibile la struttura autonoma realizzata con
l’edificazione di cinque piani fuori terra, destinata a parcheggio, peraltro
oggetto di concessione onerosa.
Il consulente poi ipotizza che la realizzazione del parcheggio multipiano in
cemento armato, sarebbe compatibile con la destinazione di zona, e al riguardo
evidenzia che la legge urbanistica regionale avrebbe accolto il principio di
indifferenza rispetto alle destinazioni d’uso, superando il principio della
rigida divisione in zone ed orientandosi verso quello della integrazione delle
funzioni edificatorie; ed in proposito, a chiarimento della suddetta
impostazione, ha richiamato pedissequamente le argomentazioni contenute nel
manuale di un illustre Autore, secondo cui “in antitesi all’ottica della rigida
zonizzazione, che attribuisce a ciascuna porzione del territorio comunale una
funzione specializzata, si pone la differente prospettiva che persegue l’intento
di consentire un uso flessibile del suolo attraverso la compresenza di una
molteplicità di usi promiscui nell’ambito della stessa zona”
Orbene, la lettura proposta è parziale e non si attaglia al caso concreto.
Innanzitutto, lo stesso Autore (che è poi il relatore della sentenza della S.C.
che ha disposto l’annullamento con rinvio) ha opportunamente precisato che ciò
richiede comunque l’espressa previsione in una nuova tipologia di programmi (es.
programmi urbani complessi ) e che comunque deve trattarsi di usi compatibili
con le destinazioni funzionali principali che però non devono comportare
violazioni della dotazione minima di standard prescritta per la zona o di usi
complementari funzionali alla destinazione di zona.
Nel caso concreto, quanto alla legislazione regionale, la stessa non ha
certamente abrogato dal giorno della sua entrata in vigore gli strumenti
urbanistici preesistenti, prorogandoli invece fino all’adozione dei nuovi (arrt.
65 e 73 L.R. 122/2002).
E comunque, come sì è già detto, l’opera è totalmente al di fuori degli standard
di zona e non può essere considerata integrazione funzionale del “verde
privato”, destinato a creare una cintura ("ring") di verde "controllato" intorno
al nucleo storico, di notevole valore paesaggistico, assumendo invece una
connotazione del tutto autonoma ed addirittura incompatibile rispetto a tale
destinazione.
Allo stesso modo, non coglie nel segno l’osservazione secondo cui la
configurazione della zona come “territorio dal notevole valore paesaggistico (e
storico)”, contenuta nelle norme tecniche di attuazione, non avrebbe
assolutamente valenza di vincolo tutorio o inibitorio, atteso che
l’amministrazione comunale “è autorità incompetente” in ordine a tale profilo.
La tesi cade sotto il martello della disciplina legislativa che, per quanto
riguarda le “zonizzazioni” prevede quale contenuto essenziale dello strumento
urbanistico anche l’indicazione dei vincoli da osservare nelle zone di pregio
storico, ambientale e paesistico (art. 7 l. n. 1150/1942, come modificato
dall’art. 1 l. n. 1187/1968, richiamato dalla legislazione regionale).
A tal punto, nell’esercizio del potere- dovere di esatta qualificazione
spettante al giudice del riesame, si tratta di delineare ulteriormente la
fattispecie in contestazione.
Infatti, come già è stato accennato, individuato l'interesse tutelato dalla
nuova normativa, che deve rinvenirsi in quello sostanziale alla protezione del
territorio in conformità alla normazione urbanistica, occorre approfondire se la
difformità dalla pianificazione e dalla normativa urbanistica costituisca il
connotato essenziale di tutte le condotte sanzionate dall'art. 20 n. 47 del 1985
( ora, art. 44 T.U. Edilizia) ovvero trovi la sua espressa previsione
legislativa nella sola lettera a) (come contestata dal P.M.).
L’orientamento giurisprudenziale più autorevole ritiene che l'interesse leso
trova la sua tutela in tutte e tre le fattispecie criminose in relazione al
differente grado di offensività, sicché il parametro normativo può individuarsi
nella nota distinzione tra difformità totale e parziale e tra opere eseguite in
zone soggette o meno a vincolo, configurandosi così le diverse contravvenzioni
delle lettere a), b) e c) dell'art. 20. cit. (corrispondente all’art. 44 del
Testo unico)
In tal modo, ove la violazione di detto interesse, abbia consentito
l'edificazione di un ampliamento in contrasto con le prescrizioni dello
strumento urbanistico sarà configurabile il reato di cui alla lettera a), mentre
qualora si tratti di un piano in più o di tutto un edificio verranno in
considerazione i reati previsti alle lettere b) o c) a seconda che l'immobile
trovasi ubicato in zona soggetta o meno a vincolo.
La tesi, già contenuta in nuce nella sentenza “Borgia” ed opportunamente
illustrata in un successivo saggio dal compianto estensore della stessa, è stata
successivamente confermata in altre pronunce della Suprema Corte (cfr. Cass.
n.4877 del 2002).
Nel caso concreto, dunque, accertata la realizzazione di un intero edificio
composto da cinque piani fuori terra, in zona sottoposta a vincolo ambientale e
in contrasto con le previsioni di piano, si ritiene di dover ascrivere il fatto
alla fattispecie di cui alla lettera c).
La difesa ha poi eccepito la carenza dell’elemento soggettivo richiesto per
l’integrazione della contravvenzione contestata.
Al riguardo, la Suprema Corte, nella stessa sentenza che ha disposto il rinvio,
ha implicitamente richiamato il più recente orientamento giurisprudenziale
secondo cui la questione relativa alla sussistenza dell'elemento psicologico
degli ipotizzati reati, resta demandata al giudice del merito e non può essere
risolta in sede cautelare poiché il provvedimento cautelare trova fondamento nel
pericolo di un aggravamento delle conseguenze del reato e non nella gravità
degli indizi di colpevolezza a carico di un soggetto individuato. (Cass. 2007,
n.1894 e 1997, n. 2148) .
Si direbbe et de hoc satis .
Tuttavia, per un compiuto esame, occorre ricordare come nella giurisprudenza
meno recente, ma comunque apprezzabile per l’atteggiamento garantista, si è
affermato che anche l’elemento psicologico deve essere accertato sia pure in
base ad una sommaria delibazione, concludendosi costantemente nel senso che la
macroscopicità della violazione della normazione urbanistica, da rapportare alle
cognizioni dell'uomo medio ed eventualmente alla specifica professionalità
dell'agente, era sufficiente a ritenere fondato il giudizio sul fumus boni iuris.
Invero - si è detto - nel procedimento incidentale di riesame del sequestro non
può sindacarsi la fondatezza della contestazione del procedimento principale,
dovendosi il giudice del riesame limitare ad accertare sommariamente l'astratta
configurabilità dell'ipotesi di reato ascritta all'indagato con la sola
eccezione della palese difformità tra fattispecie legale e concreta, ma è pur
necessario che detto esame sia effettuato, poiché non è sufficiente la semplice
asserzione circa l'illegittimità della concessione edilizia senza valutare se
non balzi "ictu oculi" la carenza dell'elemento psicologico, evidenziato dalla
mancanza di macroscopica illegittimità(Cass. sez. III 25 febbraio 1995 n. 113,
Cutonilli rv. 201960 cui adde Cass. sez. III 8 settembre 1995 n. 2833,
Brocchetti rv. 203630).
Orbene, nel concreto caso, da un raffronto con le n. t. a. del P.R.G. appare
"prima facie" la macroscopica illegittimità della concessione per la struttura
del manufatto in relazione alla zona in cui è edificato, dovendosi perciò
comunque ritenere il fumus anche in ordine all’elemento psicologico.
Sotto il profilo delle esigenze cautelari, la difesa ha da ultimo eccepito che
il parcheggio multipiano sarebbe ormai pressoché ultimato, considerando ormai
venute meno le esigenze di prevenzione.
L’eccezione non coglie nel segno. Infatti , secondo il più recente orientamento
giurisprudenziale, in materia urbanistica, l'esigenza cautelare richiesta dalla
legge per disporre il sequestro preventivo e' ipotizzabile anche per i reati per
i quali si siano perfezionati gli elementi costitutivi, in quanto, anche
ultimata, l'opera abusiva continua a proiettare le sua conseguenze negative sul
regolare assetto del territorio, perpetuando nel tempo l'offesa del bene
tutelato e quindi l'esigenza di evitare che il danno sia portato a conseguenze
ulteriori 8 (Fattispecie in tema di sequestro di immobili edificati in zona
vincolata: Cass. 2000, n.1551).
In effetti, in tema di sequestro preventivo, le "conseguenze " che il
legislatore intende neutralizzare attraverso il provvedimento non sono
identificabili ne' con la condotta dei reati formali ne' con l'evento
naturalistico, che integra la consumazione dei reati materiali, ma sono anche
quelle "ulteriori" rispetto alla condotta tipica realizzata. Per tale ragione il
sequestro preventivo puo' essere disposto anche quando sia cessata la condotta o
si siano perfezionati gli elementi costitutivi del reato in relazione al quale
la misura viene adottata. Poiche' la legislativa in materia di edilizia e
urbanistica tende piu' alla tutela effettiva del regolare assetto del territorio
che non alla sola salvaguardia dell'esercizio del controllo preventivo
dell'amministrazione sull'attivita' edificatoria, e l'opera edilizia
illegittimamente realizzata, anche se ultimata, continua a proiettare le sue
conseguenze negative sul regolare assetto del territorio, puo' esserne
legittimamente disposto il sequestro preventivo: Cass.1997, n.78.
In ordine agli altri profili di censura, è utile premettere che il giudizio di
riesame non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere
l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni
difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni
aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro" (Cass., Sez.
Un., 29.1.1997, n. 23, ric. P.M. in proc. Bassi e altri).
E dunque, posto che la violazione di cui si è ampiamente dibattuto è di per se
sufficiente al mantenimento della misura, sarà opportuno esaminare solo
sinteticamente, le altre ragioni poste a sostegno dell’istanza cautelare,
limitatamente a quelle per cui è stato disposto il rinvio per nuovo esame
(indicate a pag. 9 della sentenza n. 1894/07).
In primis, quanto al mancato rispetto della distanza minima dalla cosiddetta
“cinta muraria del castello”, il consulente del P.M. non ha fornito alcun
indizio da cui desumere - pure a livello di fumus - che il muro di contenimento
sia coevo alla struttura di interesse storico artistico monumentale, non
potendosi escludere perciò, anche a fronte delle produzioni difensive (Relazione
storico- artistica e lettera del 5/12/2003, provenienti dal Ministero per i beni
Culturali e Ambientali), la più recente realizzazione e la non riferibilità alla
originaria struttura del fortilizio.
Quanto alla inosservanza della cd. legge Tognoli, si è già detto che l’opera non
rientra tra quelle autorizzabili gratuitamente in deroga agli strumenti
urbanistici; ed in effetti, la procedura seguita è stata quella della
concessione onerosa, dovendosi perciò escludere che la suddetta disciplina (l.
122/89), possa concorrere ad integrare l’ipotesi criminosa contestata quale
elemento normativo della fattispecie.
In conclusione, si ritiene di dover confermare il provvedimento solo perché il
parcheggio multipiano in cemento armato, sulla base della delibazione sommaria
riservata a questo giudice, è stato realizzato in macroscopico contrasto con gli
standard della zona in cui è ubicato, sussistendo altresì le esigenze cautelari
riconducibili alla necessità di arginare le conseguenze negative che l’opera
continua a proiettare sul regolare assetto del territorio.
Al rigetto dell’istanza di riesame segue ope legis la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Letto l’articolo 324 c.p.p.
Rigetta l’istanza di riesame proposta da BRUNO Vittorio, BRUNO Paolo e PIRAGINE
Anna Maria Carmela, confermando il provvedimento di sequestro preventivo
adottato al GIP di Castrovillari in data 14/7/2006.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Cosenza, 20/3/07
Il giudice estensore
Il Presidente
Dr. Francesco Luigi Branda
Dr. Francesca De Vuono
Depositato il 20 marzo 2007
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