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CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. I, 29/05/2008, Sentenza n. 14350



ESPROPRIAZIONE - Occupazione appropriativa - Risarcimento del danno - Prescrizione del diritto al risarcimento del danno - Rinuncia - Art. 2937 cod. civ..
Verificatasi l'occupazione appropriativa, gli atti dell'amministrazione rivolti ad offrire, liquidare o depositare una somma a titolo non di risarcimento del danni, ma di indennità espropriativa o di corrispettivo forfetario dell'effettuato acquisto, non possono di per sé integrare rinuncia "per facta concludentia" ad opporre la prescrizione del relativo diritto al risarcimento del danno (art. 2937, ultimo comma, cod. civ.), atteso che tale comportamento, riferendosi ad un'obbligazione distinta, alternativa e soggetta a disciplina differenziata rispetto al suddetto debito risarcitorio, non si pone in relazione d'incompatibilità assoluta con la volontà di conservare l'indicata eccezione. Pres. R. De Musis, Rel. S. Del Core. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. I, 29/05/2008, Sentenza n. 14350


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UDIENZA

SENTENZA N.

REG. GENERALE N.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. I
Civile



composta dagli ill.mi Signori:


Omissis


ha pronunciato la seguente:


SENTENZA


Omissis


Svolgimento del processo


Adito da Laura Marconi ed Elena Marconi, il Tribunale di Firenze, con sentenza del 7 ottobre 1999, dichiarò che, a seguito di occupazione appropriativa, il convenuto Comune di Impruneta era divenuto proprietario di un terreno già appartenuto a Ada Bardazzi, madre e dante causa delle attrici, e rigetta, per intervenuta prescrizione, la domanda di risarcimento danni.


L'appello delle soccombenti venne respinto dalla Corte distrettuale in base ai seguenti rilievi: il fatto che, in virtù del contratto stipulato con la Bardazzi il 12 luglio 1968, il Comune era tenuto al pagamento di un canone annuo per l'utilizzazione dell'area e ne fosse pertanto già detentore non aveva impedito il verificarsi dell'occupazione appropriativa, stante l'avvenuta interversione ex art. 1141, secondo comma, c.c., della detenzione in possesso; dopo avere avviato (con deliberazione consiliare 12 marzo 1976 n.67) ma poi non proseguito una procedura dì espropriazione notificata il 14 agosto 1976 all'interessata, il Comune di Impruneta, con la deliberazione n. 325 del 21 settembre 1976, evidenziata la necessità di dotare un edificio scolastico sito nella frazione di Tavarnuzze di un'adeguata area di pertinenza da destinarsi a giardino per la ricreazione e le attività all'aperto degli alunni, approvò il progetto dì recinzione del terreno della Bardazzi, circostante detta scuola, dichiarando la pubblica utilità, l'indifferibilità e l'urgenza dell'opera ai sensi dell'art. 5 legge regionale n. 18/1975 e fissando i termini del procedimento espropriativo; la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera di recinzione riguardò, implicitamente, anche il terreno da recintare, atteso il fine pubblico cui si intendeva destinarlo; vi era stata la radicale e irreversibile trasformazione del fondo occupato, dacché l'area in contesa era stata stabilmente e inscindibilmente incorporata, quale parte non autonoma, nell'opera pubblica, unitariamente intesa, non rilevando che, separatamente considerata, la sua conformazione fisica non aveva subito alterazioni o modificazioni apprezzabili; la recinzione del fondo e la sua stabile destinazione ai servizio dell'edificio scolastico non furono deliberate dall'ente pubblico quali facoltà derivategli dal contratto del 12 luglio 1968, ma sul presupposto della avviata procedura di espropriazione del terreno e della dichiarazione di pubblica utilità dell'opera; ricorrevano, dunque, nella specie tutti gli elementi necessari per l'accessione invertita, vale a dire il possesso, la dichiarazione di pubblica utilità e l'irreversibile trasformazione del suolo, consistita in lavori dispendiosi e di notevole impatto; correttamente era stata affermata la prescrizione del diritto delle Marconi al chiesto risarcimento danni, non essendo intervenuto alcun atto interruttivo entro il termine quinquennale, decorrente dal 24 febbraio 1982, data di ultimazione dei lavori, e non dalla data di conoscenza della delibera n.325/1976, che era peraltro conoscibile quale atto pubblico, "coperta" dalla comunicazione dell'avvio della procedura di esproprio notificata il precedente 3 agosto 1976 e, in ogni caso, "assorbita" dalla visibilissima realizzazione dell'opera pubblicai nella delibera della giunta municipale n. 111 dell'8 giugno 1998, con cui si era offerta una somma a titolo di acquisto del terreno, non poteva ravvisarsi una rinuncia tacita ex art. 2937 c.c. ad avvalersi della prescrizione né un riconoscimento idoneo ad interromperne ex art. 2944 c.c. il corso, poiché ispirata dall'esigenza di regolarizzare catastalmente l'acquisizione, in contrasto con le inequivoche tesi difensive del Comune sulla già intervenuta occupazione appropriativa, e non equiparabile, per ciò, all'offerta dell'indennità di esproprio, in contiguità ed omogeneità logico - giuridica con una richiesta di risarcimento del danno.


Della sopra compendiata sentenza, Laura Marconi ed Elena Marconi hanno chiesto la cassazione con ricorso sostenuto da due motivi.


Ha resistito con controricorso il Comune di Impruneta, che ha anche proposto ricorso incidentale condizionato per un unico articolato motivo.


Entrambe le parti hanno depositato memorie.


Motivi della decisione


Deve preliminarmente provvedersi alla riunione dei ricorsi, principale e incidentale, siccome proposti contro la medesima sentenza.


Con il primo motivo, le ricorrenti denunziano violazione e/o comunque falsa applicazione degli artt. 1362 "e ss.", 1571 e 1141 c.c. e dei principi generali in materia di dichiarazione di pubblica utilità e di accessione invertita, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione circa più punti decisivi della controversia. Diversamente da quanto opinato dalla corte territoriale, nessuno degli elementi caratterizzanti l'accessione invertita si erano concretizzati nel caso di specie. Anzitutto, premesso che il Comune, fin dal 1968, aveva la detenzione del bene dietro pagamento di un canone annuale, in forza del contratto, qualificabile come di locazione, stipulato nel 1968 con la dante causa delle ricorrenti, non vi erano stati comportamenti di interversione del possesso, non potendosi considerare tali: la comunicazione, nell'agosto del 1976, del deposito, presso la casa comunale, degli atti della procedura di esproprio (costituente, anzi, la conferma che il Comune era nel godimento del bene, quale detentore, al punto da ritenere necessario acquisirne la proprietà); la decisione effettiva dell'ente di procedere all'esproprio del terreno contenuta nella deliberazione del settembre 1996, rimasta atto volitivo interno; la realizzazione della recinzione del terreno, semplice inadempimento dei patti del contratto di locazione e non manifestazione inequivocabile di mutamento dell'animus da parte del Comune nel senso di non rico-noscere più i diritti sul terreno (proprietà e possesso) della Bardazzi, dalla quale poteva essere interpretata come attività finalizzata all'effettivo o a un miglior godimento del bene secondo l'uso pattuito. La dichiarazione di pubblica utilità non poteva, poi, considerarsi regolare, mancando l'individuazione dei terreni da espropriare che ne costituisce elemento essenziale, non desumibile per implicito. Non vi era stata, infine, neanche trasformazione irreversibile del terreno, che non aveva subito una modifica fisica tale da perdere le caratteristiche originarie.


Con il secondo motivo, le ricorrenti denunziano violazione e/o falsa applicazione degli artt.2935, 2941 n. 8, 2937 e 2944 c.c., insufficiente e contraddittoria motivazione circa più punti decisivi della controversia. La Corte toscana ha affermato che la prescrizione era iniziata a decorrere dalla data di ultimazione dei lavori, senza considerare che non vi era stata alcuna dichiarazione di utilità ritualmente notificata alla proprietaria del terreno; non rilevavano in senso con-trario la conoscibilità della deliberazione n.325/1976, la comunicazione dell'avviso di deposito presso la casa comunale degli atti della procedura di esproprio - poiché iniziare un procedimento non significa necessariamente concluderlo - né, infine, la circostanza che l'opera (cioè la recinzione) fosse visibile, non potendo la Bardazzi dedurne la perdita della proprietà del terreno. L'offerta del Comune della somma di lire 4.000.000, a titolo di corrispettivo per regolarizzare l'acquisizione del terreno, contrariamente a quanto opinato dai giudici di merito, integra una rinuncia, da parte del Comune, ad avvalersi della prescrizione già maturata, costituendo il riconoscimento del diritto delle ricorrenti a ottenere un ristoro patrimoniale per la subita perdita della proprietà.

Né a diverse conclusioni potevano orientare le contrarie tesi difensive  espresse dal procuratore dell'ente, provenendo l'offerta di pagamento, incompatibile con la volontà di valersi della prescrizione, direttamente dalla parte, la cui successiva determinazione prevalse indubbiamente sulle deduzioni del difensore.


Con l'unico articolato motivo del suo ricorso, il Comune di Impruneta chiede di dichiarare la perdurante validità del contratto di locazione stipulato nel 1968, di respingere la domanda di restituzione del terreno e di affermare che i danni, al cui risarcimento le ricorrenti avessero diritto, siano quantificati tenendo presente la natura non edificabile dell'area.


Il primo motivo del ricorso principale è infondato.


Come accennato in parte espositiva, la Corte fiorentina ha ravvisato nella fattispecie i caratteri salienti del fenomeno appropriativo, quali delineati dalla lunga e (sostanzialmente) costante elaborazione giurisprudenziale; vale a dire:

a) la trasformazione irreversibile del fondo, con destinazione ad opera pubblica o a uso pubblico, che determina l'acquisizione della proprietà alla mano pubblica e, in assenza di formale decreto di esproprio, ha il carattere dell'illiceità;
b) l'occupazione illegittima, cui in sentenza è sostanzialmente equiparata una situazione di "possesso" illecita, ovverosia non permessa dal proprietario, in quanto frutto di interversione della relazione di detenzione in precedenza autorizzata (e esercitata) sul bene; c) la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, che segna il formale acquisto a favore della P.A. del terreno irreversibilmente trasformato.


Il mezzo contesta proprio siffatta ricostruzione della vicenda.


Preliminare, da un punto di vista logico - giuridico, si appalesa l'esame delle critiche rivolte al punto della sentenza gravata in cui sì afferma che l'occupazione esproprìativa (il `possesso", secondo la ricostruzione dei fatti operata in sentenza) sia stata comunque presidiata da una valida dichiarazione di pubblica utilità.


La corte toscana ha messo in evidenza che, con delibera n. 67 del 12 marzo 1976, il Consiglio Comunale decideva di iniziare il procedimento di espropriazione dei terreni di cui alle particelle n. 1552 (nella quale si identifica il terreno in controversia), 1553 e 1554 del foglio 19, adiacenti alla scuola elementare sita nella frazione di Tavarnuzze, notificandone gli atti alla proprietaria in data 14 agosto 1976; con successiva deliberazione n. 325 del 21 settembre 1976, lo stesso organo comunale, al fine di dotare l'edificio scolastico di un'adeguata area di pertinenza da destinare a giardino, dichiarava la pubblica utilità, l'indifferibilità, l'urgenza dell'opera ex art. 5, 1° comma, della legge regionale n.18/1975 e approvava, quindi, il progetto della recinzione del terreno circostante l'edificio scolastico, fissando i termini per l'esecuzione dell'opera e per lo svolgimento del procedimento di espropriazione.


Quindi, il Comune ha in un secondo momento dichiarato la pubblica utilità dei lavori di recinzione del terreno, specificando, però, che detti interventi erano da intendersi conseguenza immediata e diretta proprio della procedura di esproprio avviata con deliberazione consiliare n. 67 del 12 marzo 1976. In tale ultimo provvedimento era precisamente individuato il terreno in contestazione (particella 1552, foglio 19), che risultava incluso nell'area esproprianda. Il provvedimento n. 325 del 21 settembre 1976 si é così un certo senso saldato al precedente, sicché appaiono inconcludenti le osservazioni delle ricorrenti relative alla mancata identificazione del bene oggetto della dichiarazione di pubblica utilità, materialmente dichiarata solo con la seconda delibera. D'altra parte, non può non consentirsi con la Corte fiorentina che dichiarare di pubblica utilità un'opera di recinzione equivale implicitamente, ma chiaramente, a dichiarare che è di pubblica utilità anche il terreno recintato.


Come bene rileva il controricorrente, una simile inferenza è anche la sola connotata da ragionevolezza, a meno di ritenere, contro ogni logica, che l'area ma-terialmente occupata dalla recinzione, in quanto interessata dalla dichiarazione di pubblica utilità, è stata acquisita al patrimonio comunale, mentre lo spazio da essa circoscritto è rimasto di proprietà delle ricorrenti.


Sterili sono le deduzioni delle ricorrenti basate sulla inesistente comunicazione della dichiarazione di pubblica utilità, trattandosi di difetto di elemento non necessario per il perfezionamento e per la efficacia di quell'atto per sua natura non recettizio (cfr. Cass. nn. 3283/1985, 3520/1971) e dotato di rilevanza ai soli effetti della decorrenza dei termini per eventuali opposizioni o impugnazioni (cfr. Cass. nn. 21622/2004, 311/1999, 8580/1998, 8960/1987 in motivazione, 2147/1984, 3717/1983, 1089/1978). In altre parole, la dichiarazione di pubblica utilità produce l'effetto suo proprio indipendentemente dalla notifica al proprietario, che non è della prima elemento integrativo, né requisito di validità, né condizione di efficacia, potendo la sua carenza esplicare effetti solo nel senso di non far decorrere il termine per le eventuali opposizioni o impugnazioni.


Resistono alle censure formulate dalle ricorrenti anche le argomentazioni addotte a supporto della presenza dell'altro indefettibile requisito della occupazione appropriativa, id est la trasformazione irreversibile del terreno.


Secondo i principi elaborati nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 1464/1983, l'effetto estintivo- acquisitivo della proprietà di un fondo (illegittimamente) occupato, in conseguenza della sua irreversibile destinazione alla realizzazione dell'opera pubblica, si determina in quanto il suolo occupato viene a perdere la sua originaria fisionomia, rimanendo stabilmente e inscindibilmente incorporato, quale parte indistinta e non autonoma, in un bene nuovo e diverso, e cioè appunto l'opera pubblica, nel cui regime giuridico viene perciò definitivamente e irreversibilmente attratto. In altri termini, il presupposto della cosiddetta occupazione appropriativa implica il mutamento strutturale, non temporaneo né contingente, seppure non necessariamente perpetuo e ineliminabile, del fondo occupato, con la scomparsa della sua primegenia identità che va a confondersi strutturalmente e funzionalmente, senza più possibilità di distinzione, con quella dell'opera pubblica.


Ma é appena il caso di precisare che detta radicale trasformazione deve essere considerata con riferimento alla complessiva struttura dell'opera pubblica, la quale é unitaria e non potrebbe certamente essere sezionata o frazionata in frammenti diversi, soggetti a diverso regime giuridico; di conseguenza, anche i fondi o le parti di fondi che, compresi nella realizzazione di un'opera pubblica in modo da costituirne parte integrante, appaiano, se atomisticamente considerati, in larga misura inalterati rimangono comunque assorbiti dalla nuova struttura, seguendone la sorte e il regime giuridico. Cosi, ad esempio, se l'occupazione sia stata attuata per la realizzazione di uno stadio o di un impianto sportivo, non potrebbe seriamente sostenersi che la radicale trasformazione mediante incorporazione nell'opera pubblica, con i conseguenti indicati effetti sull'assetto proprietario in caso di occupazione illegittima o divenuta tale, riguardi soltanto le parti di suolo interessate da costruzioni, strutture o manufatti di contorno o di servizio, e non pure e soprattutto le parti propriamente destinate a campi di gioco o di gara che non subiscano un mutamento rilevante del loro aspetto materiale (Cass. nn. 7532/1997, 12868/1993).


La trasformazione del fondo privato con irreversibile destinazione all'opera pubblica, quale modo di acquisto della proprietà a titolo originario, non presuppone, dunque, necessariamente una profonda modifica materiale dei fondo, che gli faccia assumere struttura, forme e consistenza diverse, sufficiente essendo la sola sua diversa collocazione nella realtà giuridica (Cass. nn. 5166/1999, 7532/1997, 12416/1995, 6388/1994). D'altra parte, se il termine di riferimento della trasformazione é dato dallo stato anteriore del terreno occupato, l'irreversibilità si verifica quando i cambiamenti sono tali da connotare la nuova destinazione impressa al bene, indipendentemente dalla percezione che ne abbiano, o ne possano avere, i proprietari del bene occupato, non trovando qui applicazione il parametro della visibilità richiesto per la costituzione delle servitù non apparenti.


Nella specie, la corte d'appello ha, per l'appunto, accertato che il terreno degli attori, occupato per l'esecuzione dei lavori di asservimento funzionale all'edificio scolastico onde fungere da area di ricreazione, pur se non gravato da vere e proprie costruzioni, era stato comunque recintato con opere di notevole consistenza, impatto e costo (oltre 12 milioni di lire del 1976) - realizzate sia in superficie che mediante "scavo di fondazione, conglomerato di fondazione, calcestruzzo in elevazione, ferro per c.a...." - e conglobato nello stabilimento scolastico, finendo per costituire una componente strutturale ritenuta dall'occupante indispensabile per il completamento o la funzionalità dell'opera pubblica unitariamente intesa. Si è, quindi, realizzata nel concreto non una mera area di rispetto, esterna al plesso scolastico, ma una struttura in questo materialmente inclusa e incorporata, quale parte integrante e inscindibile.


Date le superiori premesse, risultano anzitutto ir-rilevanti, se non oziose, le discettazioni sulla natura, se di detenzione o di possesso, della relazione del Comune con il terreno delle odierne ricorrenti, in virtù della (pacificamente mai attuata) convenzione stipulata nel 1968 con la loro dante causa. Di vero, quand'anche qualificabile come di detenzione, non v'ha dubbio che, con la notifica avvenuta - come detto - il 14 agosto 1976 dell'avvio della procedura d'esproprio (anche se non proseguita), il Comune ha inequivocabilmente esternato alla Bardazzi la volontà di iniziare a possedere il fondo da proprietario, ovverosia di occuparlo stabilmente. Ulteriore atto di interversione del possesso é stata la trasformazione irreversibile del fondo, quale manifestazione da parte della p.a. della inequivoca volontà di appropriarsene, inglobandolo nell'opera preventivata dalla dichiarazione di pubblica utilità e così acquistandone la proprietà a titolo originario; trattasi, invero, di attività inconciliabile con le facoltà di un detentore, sia pure qualificato (quale il locatario), poiché intesa a dimostrare in modo univoco l'intento di comportarsi come proprietario dell'area in contestazione, ossia della volontà di "farla da padrone".


Ineccepibile si rivela, pertanto, il ragionamento svolto sul punto dalla sentenza gravata. La corte, infatti, ha escluso che la recinzione (attuata mediante lavori di notevole rilevanza) e la destinazione in modo stabile del terreno al servizio dell'edificio scolastico potessero ricondursi alle facoltà derivanti al Comune da quel negozio, ove interpretato come locazione. Ha, poi, ricordato che, anteriormente alla stipula di tale contratto (mai eseguito dai paciscenti) e alla realizzazione della recinzione, il Comune aveva deliberato l'espropriazione del terreno proprio per destinarlo a opere di urbanizzazione primaria e secondaria (avvisando, in proposito, anche la Bardazzi) e successivamente dichiarato la pubblica utilità e urgenza dell'opera, fissando i termini del procedimento di espropriazione. Prima ancora della inscindibile incorporazione, quale parte indistinta e non autonoma, del fondo all'edificio scolastico, venne, in altre parole, segnalato al proprietario l'inizio di un'occupazione preordinata all'espropriazione, inconcepibile in una situazione di detenzione (attraverso la quale il pro-prietario continua a possedere); la stabile e duratura destinazione del bene alla finalità pubblica che presiedeva all'occupazione avrebbe dovuto condurre infatti alla sua espropriazione se la procedura ablativa fosse stata condotta a termine, dovendosi l'area in questione ritenere pertinenza di opera pubblica. Il riferimento a siffatti elementi giustifica l'affermazione contenuta in sentenza secondo cui il comportamento del Comune, in parte direttamente esternato nei confronti della proprietaria, era interpretabile solo nel senso di una inequivoca volontà di svuotare definitivamente di ogni contenuto il di lei diritto dominicale.


Alla su riportata sequenza argomentativa, cadenzata da motivazione meticolosa, logica ed esauriente, il ricorrente contrappone elementi in realtà fragili e privi di decisività e, sotto l'apparente vizio della violazione di legge, sollecita una nuova valutazione delle risultanze probatorie, ovviamente non consentita in sede di legittimità.


Infondato é anche il secondo motivo.


In tema di c.d. occupazione appropriativa per la costruzione di un'opera pubblica, il dies a quo del termine di prescrizione dell'azione risarcitoria va individuato nel momento in cui il bene occupato subisce un'irreversibile trasformazione che ne riveli la destinazione ad opera pubblica, evenienza che si verifica quando l'opera assume - di fatto - le caratteristiche proprie della categoria di beni cui appartiene. Il giudice a quo ha accertato che la recinzione fu ultimata il 24 febbraio 1982, desumendo poi dalla visibilità dell'opera realizzata la conoscenza da parte della proprietaria dell'avvenuto acquisto a titolo originario del fondo ad opera della amministrazione comunale. E, sempre con insindacabile giudizio di fatto, la corte territoriale ha sottolineato che la delibera n.325 del 21 settembre 1976, con cui il Comune aveva dichiarato l'opera di pubblica utilità e fissato i termini per la procedura espropriativa, era conoscibile in quanto atto pubblico e conseguenziale alla precedente delibera n. 67/1967, con la quale si era disposto l'avvio della procedura di esproprio del bene notificato alla Bardazzi appena un mese prima (il 14 agosto 1976). Della correttezza di tale argomentare, peraltro espressione di apprezzamento di fatto insindacabile da questa Corte di legittimità, si è già discorso in sede di scrutinio del precedente mezzo, onde non può che farsi rimando alle considerazioni ivi formulate sulla incompatibilità dell'intervento edilizio operato dal Comune con le facoltà di un locatario, sulla validità della dichiarazione di pubblica utilità, pur se non comunicata al proprietario interessato, e sul vicendevole completa- mento ravvisabile tra le due delibere.


Poiché, quindi, l'acquisto del terreno a seguito della irreversibile trasformazione del fondo, presidiata da valida dichiarazione di pubblica utilità, risale al 24 febbraio 1982, le ricorrenti avrebbero dovuto spiegare la loro pretesa risarcitoria entro il quinquennio successivo.


Essendo la prescrizione maturata il 24 febbraio 1987, si rivelano inconcludenti e irrilevanti le deduzioni concernenti la presunta interruzione del corso della prescrizione conseguita, ex art. 2944 c.c., alla delibera della giunta municipale n.111 dell'8 giugno 1998, asseritamente ricognitiva dei debito risarcitorio.


Quanto alle altre deduzioni, si osserva che la rinuncia alla prescrizione per facta concludentia, contemplata dall'art. 2937, ultimo comma, c.c., postula un comportamento del debitore logicamente non conciliabile con la facoltà di opporre il dato temporale quale ragione estintiva del credito e, quindi, un comportamento caratterizzato da incompatibilità assoluta con la conservazione dell'eccezione di prescrizione, o quantomeno idoneo a far desumere, secondo parametri di univocità, una volontà abdicativa di quella facoltà. L'accertamento compiuto al riguardo dal giudice di merito è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da congrua e logica motivazione (cfr. Cass. nn. 10235/2002, 14091/2001, 7447/2000, 4301/1998, 5826/1995, 10480/1992, 1489/1989). In altri termini, perché sussista una rinunzia tacita alla prescrizione occorre una incompatibilità assoluta tra il comportamento del debitore e la volontà di avvalersi della causa estintiva del diritto altrui, e cioè' che nel comportamento del debitore sia necessariamente insito, senza possibilità di una diversa interpretazione, l'inequivocabile volontà di rinunciare alla prescrizione già maturata e, quindi, di considerare come tuttora esistente ed azionabile il diritto altrui che si era invece estinto.


Detto principio implica, con riferimento all'obbligazione di risarcimento del danno discendente da occupazione appropriativa del fondo del privato da parte dell'amministrazione, che gli atti di quest'ultima rivolti a offrire, liquidare o depositare una somma non a titolo di risarcimento danni, ma, ad esempio, di indennità espropriativa o, come nel caso di specie, di corrispettivo forfettario dell'effettuato acquisto, non sono decisivi al fine in discorso; tali atti, infatti, essendo inerenti al rapporto già esaurito di acquisto a non domino, possono evidenziare un'ammissione o ricognizione del debito indennitario o da (simbolico) corrispettivo, mentre, con riguardo al distinto e ben pia oneroso debito risarcitorio, possono autorizzare solo ipotesi di un analogo atteggiamento, restando pienamente compatibili con una scelta di segno opposto, cioè di abbandono di eccezioni difensive, pure in relazione al tempo trascorso, con esclusivo riferimento a una delle due obbligazioni alternativamente ricollegabili alla vicenda acquisitiva. La riscontrata equivocità della delibera giuntale, e quindi la sua inidoneità a giustificare un convincimento di rinuncia tacita ex art. 2937 c.c., trova in particolare sicuro conforto nel fatto che, una volta accertata l'acquisizione della proprietà del bene per occupazione senza titolo, l'esborso economico a carico dell'amministrazione comunale sarebbe stato, come accennato, intuitivamente superiore rispetto alla somma in concreto offerta (lire 4.000.000).


Resistono, dunque, alle censure mosse dalle ricorrenti, che peraltro finiscono per impingere in valutazioni di fatto riservate istituzionalmente al giudice del merito, le argomentazioni con cui la sentenza sostanzialmente nega rilevanza, in riferimento alla pretesa di risarcimento da fatto illecito, al comportamento additato come fatto incompatibile con la volontà di avvalersi della prescrizione già maturata. La rilevante diversità tra le due azioni - l'una, virtuale, di pagamento di un ipotetico corrispettivo della cessione e l'altra, spiegata in concreto, di risarcimento danni per la illecita sottrazione del bene - impedisce di valutare in termini di rinunzia alla prescrizione l'offerta di una somma a titolo di forfettario prezzo dell'acquisto. Va inoltre esclusa la possibilità di applicare in via di analogia la giurisprudenza secondo cui l'offerta della indennità di esproprio, valendo come riconoscimento del diritto dell'ex proprietario ad un ristoro patrimoniale, si configura come atto interruttivo della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla perdita del diritto domenicale. A tacere di altro, nella fattispecie non si controverte in tema di interruzione della prescrizione, ma di rinunzia tacita alla prescrizione già maturata. E la volontà manifestata dal Comune di chiudere la vertenza con l'offerta di una somma, dichiaratamente finalizzata a "regolarizzare catastalmente" l'acquisizione del terreno, non può determinare rinuncia ad opporre la prescrizione del credito risarcitorio per occupazione appropriativi del fondo del privato. Tanto più, come sottolineato dalla corte territoriale, che in nessuna delle difese successivamente articolata nella sede proces-suale propria il Comune ha deflesso dalla precedente, ferma volontà di avvalersi della prescrizione.


Per il resto, le doglianze del ricorrente si traducono in un apprezzamento dei fatti diverso da quello compiuto nella sentenza impugnata e sono quindi inammissibili, avuto anche riguardo ai noti limiti del sindacato esercitabile in questa sede, essendosi ricordato che l'accertamento dell'intervenuta rinuncia a far valere la prescrizione già maturata comporta apprezzamenti di elementi di fatto riservati al giudice del merito ed é perciò insindacabile in sede di legittimità, se, come nella specie, sorretto da motivazione adeguata e corretta.


Con la memoria per la discussione, le ricorrenti chiedono venga sollevata questione di legittimità costituzionale `dello stesso istituto dell'accessione invertita o occupazione acquisitiva", in relazione all'art. 117 Cost. per contrasto della "norma interna" con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo come interpretata dalla Corte di Strasburgo. Quest'ultima, in alcune decisioni, avrebbe ritenuto quell'istituto in contrasto con l'art.1 del primo protocollo aggiuntivo della Convenzione, ravvisando nella privazione del diritto di proprietà una violazione del principio di legalità. Concludono i ricorrenti che "l'intero art.5 bis, comma 7 bis, del decreto legge n.333 del 1992, convertito, con modificazioni, dalla legge n.359 del 1992 ... prevedendo il risarcimento del danno e quindi consentendo l'acquisizione della proprietà del terreno in assenza del decreto di esproprio o altro atto di trasferimento, è in contrasto sotto ogni profilo con gli obblighi internazionali sanciti dall'art.1 del protocollo addizionale alla CEDU e per ciò viola l'art.117, primo comma, della Costituzione".


La questione è manifestamente inammissibile per inesistenza dell'oggetto.


Le ricorrenti non indicano, infatti, le disposizioni della legge o dell'atto avente forza di legge, che assumono viziate da illegittimità costituzionale; per cui la generica denuncia, come nella specie, di un "istituto" - senza l'individuazione della disposizione che lo conterrebbe, e che costituisce viceversa il veicolo obbligato di accesso al giudizio di costituzionalità - comporta l'inammissibilità della questione. Il termine di comparazione non può essere identificato nell'art.5 bis, comma 7 bis legge n.359 del 1992, citato dalle ricorrenti, trattandosi di norma che, prima di essere dichiarata incostituzionale, non disciplinava l'occupazione appropriativa, ma ne regolava le conseguenze economiche.


Il ricorso incidentale è inammissibile.


E', infatti, ius receptum che il ricorso incidentale per cassazione, anche se condizionato, deve essere giustificato dalla soccombenza, con la conseguenza che é inammissibile il ricorso proposto dalla parte rimasta completamente vittoriosa nel giudizio di appello, al solo scopo di risollevare questioni che non sono state decise dal giudice di merito perché espressamente o implicitamente, assorbite dall'accoglimento di altra tesi, avente carattere preliminare, rimanendo ovviamente salva la facoltà di riproporle dinanzi al giudice del rinvio in caso di annullamento della sentenza in accoglimento del ricorso principale (cfr., e plurimis, Cass. nn. 11371/2006, 10848/2006, 3654/2006, 10420/2005, 1268/2003, 9637/2001, 3908/2000).


Le questioni ora sollevate con gli indicati mezzi, proprio per il fatto che su di esse la Corte d'appello non aveva emesso alcuna pronuncia, non potevano formare oggetto di ricorso incidentale, ma avrebbero potuto semmai essere riproposte innanzi al giudice di rinvio, restando del tutto impregiudicata la loro decisione. Difetta, invero, la soccombenza, quanto meno teorica, della parte impugnante e, conseguentemente, l'interesse alla impugnazione.
In definitiva, entrambi i ricorsi meritano reiezione.

La reciproca soccombenza e la peculiarità della controversia costituiscono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.


P.Q.M.


La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile l'incidentale e com-pensa le spese del giudizio di cassazione.


Così deciso in Roma, il 17 aprile 2008

Deposito in Cancelleria 29/05/2008


 


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