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CORTE
DI CASSAZIONE Penale Sez. III, - 07/05/2008 (UD.11/03/2008) Sentenza n. 18351
RIFIUTI - Smaltimento illecito di rifiuti - Attività organizzate per il traffico
illecito di rifiuti - Rapporti con il delitto di truffa - Concorso formale -
Sussistenza - Art. 260 D.Lgs. n. 152/2006 - Art. 416 c.p.. In materia di
smaltimento illecito di rifiuti, il delitto di attività organizzate per il
traffico illecito di rifiuti (art. 53 bis del D.Lgs. n. 22 del 1997, oggi
sostituito dall’art. 260 del D.Lgs. n. 152 del 2006) e il reato di truffa
concorrono tra loro sia per la diversità delle condotte contemplate dalle
distinte fattispecie sia per la diversità dei beni protetti, in particolare
precisando che il primo ha ad oggetto la tutela dell’ambiente ed è configurabile
a prescindere dalla messa in opera di artifici e raggiri al fine di percepire un
ingiusto profitto con altrui danno. Presidente A. Grassi, Relatore M.
Margherita. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, - 07/05/2008 (UD.11/03/2008)
Sentenza n. 18351
PROCEDURA E VARIE - Inammissibilità del ricorso in Cassazione - Elementi -
Mancanza di specificità dei motivi. E’ inammissibile, per mancanza di
specificità dei motivi, il ricorso nel quale, alla astratta enunciazione dei
vizi indicati non corrisponda alcuna indicazione concreta né dei punti della
decisione né delle singole relative valutazioni ed argomentazioni alle quali si
riferisca la denuncia. Presidente A. Grassi, Relatore M. Margherita. CORTE DI
CASSAZIONE Penale Sez. III, - 07/05/2008 (UD.11/03/2008) Sentenza n. 18351
PROCEDURA E VARIE - Corte di Cassazione - Sindacato di legittimità - Limiti.
L'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un
orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione
limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un
logico apparato argomentativi senza possibilità di verifica della rispondenza
della motivazione alle acquisizioni processuali. (Cass. S.U. sent. 24 settembre
2003, n. 47289). Presidente A. Grassi, Relatore M. Margherita. CORTE DI
CASSAZIONE Penale Sez. III, - 07/05/2008 (UD.11/03/2008) Sentenza n. 18351
PROCEDURA E VARIE - Associazione per delinquere - Nozione - Reato di
associazione a delinquere - Configurabilità Art. 416 c.p.. L'associazione
per delinquere di cui all'art. 416 c.p. si configura infatti come organizzazione
a carattere permanente che non esaurisce la propria rilevanza nella commissione
dei singoli reati fine ma perpetua nel tempo la sua esistenza, quale stabile
apparato organizzativo idoneo ad essere nuovamente utilizzato anche in seguito
all'eventuale commissione di reati scopo, quale entità distinta dalle singole
deliberazioni ed attività criminose. Pertanto, il reato di associazione a
delinquere sussiste indipendentemente dalla realizzazione del programma
criminoso costituito dai delitti fine, sicché doveva essere affermato il
concorso tra il delitto associativo e quello offensivo del patrimonio che del
primo costituisce, tenuto conto della specifica concreta contestazione, un
logico sviluppo. Presidente A. Grassi, Relatore M. Margherita. CORTE DI
CASSAZIONE Penale Sez. III, - 07/05/2008 (UD.11/03/2008) Sentenza n. 18351
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UDIENZA DEL
SENTENZA N.
REG. GENERALE N.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1) Generoso Roma, 2) Francesco Roma, 3) Giuseppe D'Ausilio,4) Bruno Dina, 5)
Vincenzo Cerullo, 6) Vincenzo Greco, 7) Vincenzo Uccisero, 8) Andrea Di
Giovanni, 9) Angelo Golino e 10) Raffale Magna erano imputati:
A) del reato previsto e punito dall'art. 416 c.p.
perché si erano associati tra loro al fine di smaltire illegalmente rifiuti su
numerosi fondi e terreni siti nei Comuni di villa Literno, San Tammaro, Castel
Volturno e Caivano per il tramite dell'organizzazione di cui facevano parte. In
particolare Generoso e Francesco Roma agivano quali cogestori della SISER,
promotori ed organizzatori dell'associazione criminale, Giuseppe D'Ausilio
operava quale dipendente della suddetta ditta, Bruno Diana operava quale
utilizzatore di trattori e mezzi per l'agricoltura all'uopo attrezzati; Vincenzo
Cerullo e Vincenzo Greco operavano quali utilizzatori di materiale cartaceo e
documentazione intestata alla ditta M.G. Building Trade & Service s.r.1., col
compito di formare falsi documenti di accompagnamento e di identificazione di
rifiuti col fine di simulare la lecita commercializzazione di composto; Vincenzo
Uccisero agiva quale proprietario e possessore o comunque utilizzatore dei fondi
utilizzati come discariche abusive dalla citata organizzazione; Andrea Di
Giovanni operava quale dipendente della ditta SEM s.p.a., procacciatore di
contratti per lo smaltimento di rifiuti; Angelo Golino agiva quale dipendente
della provincia di Caserta, settore ambiente, ecologia e tutela del territorio,
quale addetto ai controlli sul territorio; Raffaele Magno, quale amministratore
unico della società Demetra Service s.r.l. con sede in Piano di Sorrento, quale
produttore e cedente a Generoso Roma e a Francesco Roma di ingenti quantitativi
di rifiuti pericolosi per un conseguente giro di affari illecito, ammontante
quantomeno a circa € 1.739.688,00 per il periodo gennaio- novembre 2004 .
Gli imputati si avvalevano, al fine di realizzare l'illecito traffico,
dell'impianto apparentemente dedito a compostaggio e recupero rifiuti di
proprietà della S.I.S.E.R. s.a.s., rappresentata e gestita dai fratelli Roma con
stabilimento in località Iazzone nel comune di villa Literno, apparentemente
destinata alla ricezione, trattamento, miscelazione, stagionatura, bonifica e
riutilizzo dei rifiuti per attività di compostaggio, ammendante e concimante per
l'agricoltura e che era invece in realtà impianto per il mero temporaneo
transito di autocarri trasportanti rifiuti pericolosi per un traffico ammontante
a kg 32.276.569 di rifiuti pericolosi per il solo periodo gennaio- novembre
2004.
Tali rifiuti venivano poi smaltiti illegalmente nei territori succitati, anche
con l'utilizzo di falsi documenti di identificazione di rifiuti e con
l'esecuzione di truffe ai danni di pubbliche amministrazione.
Gli imputati cagionavano quindi, con le sopra specificate condotte, a causa
della imponente quantità di rifiuti smaltiti illegalmente, un disastro
ambientale.
Gli imputati erano inoltre imputati: B) del reato previsto e punito dagli artt.
81 cpv. 110 e 112 nn. 1 e 2 c.p. e art. 53 bis del d.lgs. n. 22 del 1997 ( e
successive modifiche ) perché, con pia atti esecutivi di un medesimo disegno
criminoso ed in concorso tra loro, attivavano e gestivano un imponente traffico
di rifiuti pericolosi, al fine di conseguire un ingiusto profitto, consistente
nel non dover sopportare i costi dovuti ordinariamente per la corretta e legale
gestione di rifiuti astrattamente riutilizzabili per il recupero a composto ed
ammendante per l'agricoltura, con l'utilizzo di uno stabilimento sito alla
località Iazzone nel Comune di villa Literno.
Essi, con più operazioni ed attraverso l'allestimento di mezzi ed attività
continuative, nonché creando falsi documenti di trasporto e falsi certificati di
analisi, organizzavano, cedevano, ricevevano, trasportavano o comunque gestivano
illegalmente ingenti quantitativi di rifiuti che venivano abusivamente smaltiti
su terreni utilizzati per usi agricoli nei comuni di Villa Literno, San Tammaro
e Castel Volturno e Caivano ( in provincia di Napoli) .
Agli imputati era inoltre contestato:
C) il reato e p. dagli artt. 81 cpv. 110,112 nn. i e 2 e 7 e 51 primo e terzo comma del d.lgs 22/97 e successive modifiche ed integrazioni perché, con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, in mancanza della prescritta iscrizione o autorizzazione di cui agli artt. 27,28,29,31 e 33 del suindicato d.lgs. effettuavano attività di raccolta e smaltimento illecito di rifiuti pericolosi, solo apparentemente e falsamente destinati ad attività di recupero e di bonifica ambientale, facendo solo formalmente risultare rispettate le procedure di recupero rientranti nelle procedure semplificate di cui agli artt. 30-31 e 33 del citato decreto legislativo n. 22 del 1997 ma, in realtà, in violazione della normativa di cui al citato d.lgs e del D.M. 5 febbraio 1998. Non procedevano infatti ad alcun recupero di rifiuti ma smaltivano illegalmente rifiuti pericolosi attraverso la realizzazione di numerose discariche abusive nei comuni indicati ai capi a e b.
I sunnominati erano ancora imputati:
D) del reato p. e p dagli artt. 81 cpv. 61 n. 2 c.p., 110, 483 e 52 comma 3 del d.lgs 22/97 e s.m. perché, in concorso tra loro, con le modalità e le qualità indicate sub a), con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, ed in particolare utilizzando la sigla e la documentazione della ditta MG Building Trade & Service s.r.l., formavano falsi certificati di analisi dei rifiuti e falsi documenti di accompagnamento dei rifiuti illecitamente trasportati e/o sversati al fine di renderli solo formalmente compatibili con l'attività di compostaggio e di ammendante per l'agricoltura, in violazione, in particolare, della legge 19 ottobre 1984, n. 748, recante norme per la disciplina dei fertilizzanti al fine di agevolare l'attività di smaltimento illecito di rifiuti descritto ai capi che precedono;
E) del reato previsto e punito dagli artt. 81 cpv. 110, 640 primo e secondo comma c.p. perché, in concorso tra loro, con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso e con artifici e raggiri, consistiti nel far apparire solo formalmente rispettate le procedure di gestione semplificata di rifiuti e di recupero dei rifiuti stessi al fine di ammendante e concime per l'agricoltura, nel formare falsi certificati di analisi, attestanti una natura ed un codice diverso dal rifiuto gestito e smaltito illegalmente, nelle discariche abusive attivate nei comuni sopra elencati, - rifiuti pericolosi per i quali non veniva attivato alcun meccanismo di recupero e/o miscelazione,- si procuravano un ingiusto profitto, (pari, tra l'altro, all'omesso versamento della così detta "ecotassa", ovvero dell'imposta e dei canoni previsti dal D.lgs 22/97 artt. 3,32,33 e 41), traendo in inganno le pubbliche amministrazioni danneggiate.
Tali ingiusti profitti erano rappresentati dalle ingenti somme ricavate per il
ritiro dei rifiuti dalle aziende produttrici, dalle spese non sostenute dalle
operazioni di trattamento, e dall'omesso pagamento ed utilizzo delle somme di
cui all'art. 17 comma 9 del d.lgs. n. 22/97.
Con tali comportamenti gli imputati davano inoltre luogo ad un danno di
rilevante gravità patrimoniale ai comuni di Castel Volturno e Villa Literno San
Tammaro nella provincia di Caserta, nonché di Caivano nella provincia di Napoli
e della provincia di Caserta e di Napoli, Enti tutti citati in persona del
legale rappresentante pro tempore.
Agli imputati era anche contestato:
F) il reato continuato di abuso di
ufficio e di rifiuto di atti di ufficio previsto e punito dagli artt. 81 cpv.
110, 323 e 328 c.p. in quanto il Golino, in concorso con i coimputati, con pia
atti esecutivi del medesimo disegno criminoso, quale dipendente della Provincia
di Caserta, settore ambiente, ecologia e tutela del territorio, addetto, tra
l'altro, ai controlli sul territorio in tema di tutela dell'ambiente e corretta
gestione del ciclo dei rifiuti, provvedeva ad informare preventivamente e
sistematicamente Generoso e Francesco Roma dell'attività ispettiva dell'Ente di
appartenenza nei confronti della ditta SISER, comunicando, in particolare, l'ora
e il giorno e le generalità del personale ispettivo che si sarebbe recato a
compiere, per conto dell'Ente di vigilanza, i prescritti controlli finalizzati a
verificare il rispetto da parte dei gestori della SISER della normativa vigente
in tema di smaltimento e recupero dei rifiuti. Violava quindi le norme di
trasparenza e buon andamento della pubblica
amministrazione, nonché di lealtà e correttezza dei pubblici funzionari, facendo
sistematicamente venir meno l'effetto sorpresa che i controlli avrebbero sortito
ed anzi procedendo a consigliare ed indicare ai Roma i comportamenti da adottare
per far fronte alle visite ispettive. Il Golino gestiva inoltre la stessa
attività ispettiva dell'ufficio di appartenenza con modalità tali da impedire
che, comunque, potessero emergere irregolarità nell'attività della S.I.S.E.R.,
(ad esempio facendo in modo, in pia circostanze, che altri ispettori del citato
Ente della provincia non si recassero ad effettuare ispezioni alla S.I.S.E.R.
proprio perché non era riuscito a preparare l'azienda per l'attività ispettiva),
sicché la sua condotta si traduceva in un indebito e straordinario apporto
all'azione criminale dell'organizzazione capeggiata dai Roma.
Gli imputati si procuravano, con le suddette condotte che consentivano
all'organizzazione criminale di delinquere impunemente beneficiando di un blocco
totale dell'attività di controllo da parte dell'ente pubblico a tale attività
preposto, gli ingenti vantaggi patrimoniali derivanti dalla gestione illecita
del traffico dei rifiuti pericolosi descritti ai capi a) e b).
Agli imputati era infine contestato:
G) il reato previsto e punito dagli artt. 110 e 434 c.p. perché, gestendo dolosamente il traffico illecito di rifiuti con le modalità e lo spiegamento di mezzi e di forze indicate ai capi che precedono, attivando numerose discariche di rifiuti pericolosi abbandonati "tal qual" su terreni agricoli, determinavano un disastro ambientale in un'ampia zona interessante i comuni di Villa Literno San Tammaro e Castel Volturno (in Provincia di Caserta) e Caivano (in Provincia di Napoli) a causa dello smaltimento di rifiuti pericolosi estremamente inquinanti il terreno e l'ecosistema (in Castel Volturno, Villa Literno San Tammaro e Caivano dal gennaio 2004 al marzo 2005).
Ai soli Generoso Roma, Francesco Roma e Angelo Golino era inoltre contestato:
H) il reato previsto e punito dagli artt. 61 n. 11 cpv. 110 e 319 c.p. perché, in concorso tra loro, con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, Angelo Golino nella qualità di pubblico ufficiale in servizio presso il settore ambiente ecologia e tutela del territorio della provincia di Caserta, con compiti ispettivi e di controllo sul territorio per la tutela dell'ambiente e la verifica della corretta gestione del ciclo dei rifiuti, al fine di omettere o ritardare le prescritte e dovute attività di vigilanza presso il citato impianto di compostaggio della S.I.S.E.R. s.a.s. gestito da Generoso Roma e Francesco Roma, in particolare omettendo di informare tempestivamente e puntualmente il responsabile dell'ufficio ispettivo delle macroscopiche e palesi violazioni alla normativa in tema di trasformazione e recupero dei fanghi tossici provenienti da numerosi depuratori attivi nella regione Campania, nonché da altre aziende produttrici e cedenti rifiuti pericolosi, fanghi tossici che solo apparentemente venivano avviati al recupero ed alla trasformazione ma che, invece, venivano smaltiti, provvedeva, illegalmente e contrariamente ai doveri di ufficio, ad informare preventivamente i coimputati dell'attività ispettiva che lo stesso Golino o altri colleghi del citato ufficio ispettivo avrebbero effettuato presso l'impianto della S.I.S.E.R. s.a.s. preavvisando pertanto i soggetti destinatari dei controlli, facendo venir meno l'effetto sorpresa e ricevendo, per le citate attività illegali e criminali, e comunque contrarie ai doveri di ufficio, da Generoso Roma € 2.000,00 in contanti.
Con sentenza pronunciata il 25 maggio 2006 ai sensi dell'art. 425 c.p.p. il
Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Santa Maria Capua
Vetere dichiarava non luogo a procedere nei confronti di Generoso Roma,
Francesco Roma, Giuseppe D'Ausilio, Bruno Diana, Vincenzo Cerullo, Vincenzo
Greco, Vincenzo Ucciero, Andrea Di Giovanni ed Angelo Golino in ordine ai reati
di cui agli artt. 81 cpv. 110, 640 primo e secondo comma c.p. e 81 cpv. 110, 323
e 328 c.p. (capi E ed F dell'originaria imputazione) con la formula "perché il
fatto non sussiste".
Con tale sentenza il G.I.P. dichiarava non luogo a procedere nei confronti di
Generoso Roma, Francesco Roma ed Angelo Golfino con riferimento al reato di cui
agli artt. 61 n. 11, 81 cpv. 110 e 319 c.p. (capo H dell'originaria imputazione)
con la formula "perché il fatto non sussiste".
Dichiarava non luogo a precedere nei confronti di Raffaele Magno in ordine ai
reati di cui agli artt. 416,81 cpv. 110 e 112 nn. 1 e 2 c.p. e 53 bis del d.lgs
n. 22 del 1997, 81 cpv. 110, 112 nn. 1,2 e 7 e 51 primo e terzo comma del d.lgs.
n. 22 del 1997, 81 cpv. 61 n. 2 c.p. 110, 483 c.p. e 52 comma 3 del d.lgs n. 22
del 1997 e agli artt. 110 e 434 c.p. (capi A,B,C,D e G dell'originaria
imputazione) con la formula "per non aver commesso il fatto" ed in ordine ai
reati di cui agli artt. 81 c.pv 110, 640 primo e secondo comma c.p. e 81 cpv.
110, 323 e 328 c.p. con la formula " perché il fatto non sussiste".
Decideva, con separato decreto, in ordine ai residui capi di imputazione e, con
separata ordinanza, in merito alle richieste sulla libertà e dissequestro
formulate dai difensori degli imputati.
Il GIP riteneva che in relazione al capo E, (truffa aggravata), la condotta
doveva ritenersi del tutto assorbita nella condotta contestata ai capi A e B, in
quanto la condotta illecita di smaltimento di rifiuti nelle forme organizzative
descritte dall'accusa esauriva l'antigiuridicità del comportamento e rendeva di
conseguenza inattuabili i comportamenti doverosi, che sarebbero conseguiti ad
una corretta e lecita attività di smaltimento, come il pagamento dell'ecotassa.
Per quel che attiene ai reati di abuso di ufficio e rifiuto di atti di ufficio
di cui al capo F, la cui realizzazione era riconducibile all'imputato Golino, il
comportamento illecito appariva accertato ma doveva ritenersi assorbito nella
condotta dello stesso indagato quale partecipe all'associazione e quale
concorrente nel reato di cui all'art. 53 bis del d.lgs n. 22 del 1997 ipotesi di
reato contestata allo stesso Golino.
Secondo il GIP la clausola contenuta nell'art. 323 c.p., salvo che il fatto non
costituisca un pia grave reato, confermava tale ricostruzione.
Il GIP riteneva inoltre che non vi fossero gli elementi della fattispecie di cui
al capo H (corruzione).
Secondo il Giudice per le indagini preliminari in tutte le forme di corruzione
la somma percepita dal pubblico ufficiale costituisce prezzo del reato.
Nel caso in esame il danaro sarebbe consistito nel finanziamento offerto
all'imputato da Generoso Roma e garantito da un assegno postdatato in relazione
al quale il Golino aveva chiesto un differimento dell'incasso.
Secondo il Gip non risultava emergere il rapporto di sinallagmaticità tra
l'informazione offerta ed il danaro ricevuto, sicché'la condotta doveva essere
inquadrabile nel più generale contributo alla illecita attività.
Per quel che attiene a Raffaele Magno il Gip riteneva che l'ipotesi accusatoria
si fondava esclusivamente su una intercettazione telefonica sull'utenza di
Generoso Roma ed in particolare nei confronti di una utenza intestata alla
Demetra Service s.r.l. Il Magno aveva peraltro negato di essere l'interlocutore
delle telefonate e comunque non vi era la prova che tali telefonate avessero ad
oggetto rifiuti non pericolosi.
Avverso la sentenza hanno proposto impugnazione il Procuratore della Repubblica
di S. Maria Capua Vetere ed il Procuratore Generale presso la Corte di Appello
di Napoli.
Ha prodotto memoria difensiva Raffale Magno il 4 marzo 2008.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Santa
Maria Capua Vetere deduce che dalle video-riprese eseguite dai Carabinieri del
Noe di Caserta era emerso che l'organizzazione criminale rinviata a giudizio
smaltiva illegalmente i fanghi tossici, mediante mero spandimento e rimestamento
dei rifiuti su terreni agricoli adibiti a produzione di prodotti
dell'agricoltura per l'alimentazione umana siti in provincia di Caserta.
Di tale organizzazione avevano valutato l'esistenza, la portata e la
pericolosità sia i giudici del Tribunale di Napoli sezione del riesame,,sia i
giudici della Cassazione in sede di riesame dell'ordinanza di custodia cautelare
emessa nei confronti degli imputati.
In particolare la Cassazione aveva affermato che rapporti tra i componenti
dell'organizzazione, avente ad oggetto l'abusivo e pericoloso smaltimento dei
rifiuti, rivestivano carattere di stabilità in un arco di tempo prolungato e non
erano limitati ad un mero rapporto avente ad oggetto un cambio di assegni ma si
estendevano a plurime comunicazioni di imminenti visite ispettive dell'Ente da
cui l'imputato Golino dipendeva quale preposto agli specifici controlli diretti
ad evitare disastri ambientali, rilevati invece nella specie.
Secondo il ricorrente,di tale organizzazione faceva parte inequivocabilmente
anche Raffaele Magno, alla luce dei molteplici ed univoche prove riportate dallo
stesso G.I.P. del Tribunale di S. Maria Capua Vetere.
Altrettanto inequivocabilmente emergevano nei confronti di tutti gli imputati
prove che imponevano il rinvio a giudizio di tutti gli imputati anche in ordine
ai delitti di cui ai capi E ed F dell'imputazione.
Non vi era dubbio infatti che costoro, procedendo allo smaltimento di imponenti
quantitativi di fanghi tossici a mezzo dei citati smaltimenti illeciti e
dell'attivazione di numerose discariche abusive, si erano procurati ingiusti
profitti rappresentati dalle ingenti somme derivanti dall'omesso pagamento delle
cosiddette " ecotasse", nonché dall'omesso rispetto delle norme e delle
procedure in tema di bonifica dei siti contaminati.
Rileva il Collegio che il ricorso del Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere è inammissibile in quanto generico con
riferimento ai motivi di ricorso per cassazione di cui all'art. 606 c.p. e
comunque privo di specifici rilievi in ordine alle argomentazioni del Giudice
per le indagini preliminari.
Come ha costantemente precisato questa Corte è inammissibile, per mancanza di
specificità dei motivi, il ricorso nel quale, alla astratta enunciazione dei
vizi indicati non corrisponda alcuna indicazione concreta né dei punti della
decisione né delle singole relative valutazioni ed argomentazioni alle quali si
riferisca la denuncia.
Nel caso in esame il G.I.P., con specifiche argomentazioni, aveva ritenuto di
escludere la sussistenza di elementi di responsabilità a carico del Magno in
ordine ai reati contestatigli, rilevando che l'ipotesi accusatoria nei suoi
confronti si fondasse esclusivamente sull'intercettazione telefonica sull'utenza
n. 3393893636 in uso a Generoso Roma con un impiegato della ditta Campa.
Non era però stato accertato chi fosse l'interlocutore di Generoso Roma ed il
Magno aveva negato di aver effettuato tale telefonate.
Comunque dal tenore di tale telefonata si evinceva che la Demetra Service non
aveva mai conferito in precedenza alla SISER rifiuti aventi il codice 200303
indicato nella telefonata intercettata e comunque il Magno, con la memoria
difensiva depositata il 20 aprile 2006, aveva dimostrato la mancanza di
interesse al conferimento del rifiuto con il codice 200303 alla SISER, dal
momento che tale rifiuto veniva abitualmente conferito, con prevedibile minor
aggravio di costi, attesa la minore distanza da percorrere, alla s.r.l. Bruscino
di San Vitaliano, che praticava prezzi più convenienti rispetto a quelli
praticati dalla Siser.
Il GIP ha in proposito formulato l'assorbente rilievo, secondo cui la
documentazione prodotta nel corso dell'interrogatorio del Magno ed allegata alla
memoria difensiva, comprovava che in data 19 ottobre 2004, contestuale
all'ultima telefonata intercettata tra un responsabile della Demetra Service e
l'utenza di Generoso Roma, la suddetta società aveva conferito alla SISER
soltanto rifiuti contrassegnati dal codice CER 190805, ( fanghi prodotti dal
trattamento delle acque reflue urbane per i quali la SISER era regolarmente
autorizzata), mentre i rifiuti con il codice CER 200303 erano stati conferiti
soltanto alla Ecologica Bruscino.
Deve inoltre rilevarsi che il motivo, oltre ad essere generico, in
considerazione delle valutazioni poste a fondamento della decisione del Giudice
per le indagini preliminari, è inammissibile anche perché propone a questa Corte
di legittimità una diversa e non consentita rilettura delle risultanze
processuali, peraltro di difficile trattamento, quali quelle estraibili dai
testi di colloqui telefonici intercettati, per la comprensione dei quali
indispensabile la cognizione di tutto il coacervo probatorio.
Giova precisare in proposito che, secondo quanto ha precisato questa Corte,
(S.U. sent. 24 settembre 2003, n. 47289, " l'indagine di legittimità sul
discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il
sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del
legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativi senza
possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni
processuali".
Rileva inoltre il Collegio che il ricorso del Procuratore della Repubblica di
Santa Maria Capua Vetere risulta connaturato da estrema genericità anche in
ordine alle doglianze relative all'assoluzione di tutti gli imputati in ordine
ai reati di cui ai capi E ed F dell'imputazione e di Generoso Roma, Francesco
Roma e Angelo Golino in relazione al capo H).
Con il motivo di impugnazione il ricorrente si limita infatti a riportarsi alle
considerazioni espresse da questa Corte di legittimità nel procedimento che
aveva condotto al rigetto della richiesta di revoca della misura cautelare
disposta nei confronti degli imputati, ma non contiene alcuno specifico rilievo
in ordine alle argomentazioni poste a fondamento della sentenza impugnata.
Va quindi dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di santa Maria Capua Vetere.
Per quel che attiene invece al ricorso del Procuratore Generale della Repubblica
presso la Corte di Appello di Napoli, il Collegio rileva che il ricorrente
lamenta la violazione di legge di cui all'art. 606 primo comma lettera h) c.p.p.
con riferimento all'art. 319 c.p.
Deduce il Procuratore Generale che il Giudice per le Indagini preliminari aveva
erroneamente ritenuto l'insussistenza dei reati di cui ai capi E ed H della
rubrica.
Peraltro, con riferimento all'imputazione di cui al capo E, non poteva
condividersi l'assunto espresso dal Giudice per le indagini preliminari secondo
cui il delitto di truffa in danno dell'ente pubblico deve ritenersi assorbito
nelle condotte sub A e B.
Non poteva infatti ritenersi un concorso apparente tra le norme di cui all'art.
416 c.p. e l'art. 53 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 da un lato e l'art. 640
secondo comma c.p. dall'altro.
Si trattava infatti di norme aventi oggettività giuridiche diverse.
Inoltre il reato di associazione a delinquere sussiste indipendentemente dalla
realizzazione del programma criminoso costituito dai delitti fine, sicché doveva
essere affermato il concorso tra il delitto associativo e quello offensivo del
patrimonio che del primo costituisce, tenuto conto della specifica concreta
contestazione, un logico sviluppo.
Doveva inoltre ritenersi sussistente anche il concorso tra il delitto sub E e
quello sub B.
Il secondo é reato offensivo dell'ambiente, a consumazione anticipata e dolo
specifico. Esso può quindi ritenersi consumato indipendentemente dal
conseguimento dell'ingiusto profitto, purché si compiano le condotte previste
dalla norma incriminatrice.
Secondo il Procuratore Generale, laddove si consegua anche l'ingiunto profitto
con altrui danno, come accertato e ritenuto nel caso in esame, non può" negarsi
l'esistenza anche del delitto di truffa, il cui substrato materiale solo in
parte coincide con il delitto ex art. 53 bis del d.lgs. n 22 del 1997 e quindi
può concorrere con quest'ultimo reato.
In ordine alla ritenuta insussistenza del delitto di cui all'art. 319 c.p. (
capo H), sul rilievo secondo cui non sarebbe stato accertato il rapporto di
sinallagmaticità tra il danaro ricevuto dal Golino e le informazioni da lui
fornite agli imputati, tale statuizione era intrinsecamente contraddittoria e
non teneva conto della consolidata giurisprudenza in merito.
Era stato infatti accertato che le informazioni fornite dal Golino avevano
agevolato l'attività di illecito smaltimento di rifiuti ed erano state rese in
violazione dei doveri inerenti la pubblica funzione. Doveva quindi ritenersi che
il danaro, di cui era pacifica la datio, fosse il corrispettivo della
illecita attività svolta dall'imputato in violazione dei doveri attinenti alla
sua funzione nelle pubbliche istituzioni. Che lo specifico atto amministrativo
oggetto di compravendita non fosse stato individuato non aveva quindi alcun
rilievo.
Perché si concretizzi la fattispecie in esame é infatti sufficiente che siano
accertati atti e comportamenti commissivi od omissivi realizzati in violazione
dei doveri funzionali dietro corrispettivo di denaro.
Ciò era avvenuto nella vicenda in esame.
Rileva il Collegio che il ricorso del Procuratore Generale, anche nella sua
sinteticità, é fondato e merita accoglimento.
Come ha infatti correttamente rilevato il ricorrente, il reato di cui all'art.
416 c.p. sussiste indipendentemente dalla concreta realizzazione dei singoli
reati fine, atteso che il citato articolo sanziona la mera associazione di tre o
più persone allo scopo di commettere più delitti, senza subordinare la condanna
all'effettiva commissione dei singoli reati fine.
Ne consegue che l'effettiva realizzazione di tali reati non é assorbita dalla
contestazione di cui all'art. 416 c.p..
L'associazione per delinquere di cui all'art. 416 c.p. si configura infatti come
organizzazione a carattere permanente che non esaurisce la propria rilevanza
nella commissione dei singoli reati fine ma perpetua nel tempo la sua esistenza,
quale stabile apparato organizzativo idoneo ad essere nuovamente
utilizzato anche in seguito all'eventuale commissione di reati scopo, quale
entità distinta dalle singole deliberazioni ed attività criminose.
Il mancato assorbimento dei reati fine nel reato di partecipazione
all'associazione per delinquere risulta del resto implicitamente affermato da
consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui astrattamente
configurabile la sussistenza del vincolo della continuazione tra reato
associativo e reati fine.
Il problema della configurabilità della continuazione tra reato associativo e
reati fine non va quindi impostato in termini di configurabilità strutturale in
quanto nulla si oppone a che, sin dall'inizio, nel programma criminoso
dell'associazione si concepiscano uno o più reati fine individuati nelle loro
linee essenziali di guisa che tra questi reati e quello associativo si possa
ravvisare una identità di disegno criminoso.( v. Cass. pen. sez. VI sent. 2
marzo 2004, n. 15589; v. anche Cass. pen. ord. 28 marzo 2006, n. 12639).
Deve quindi ritenersi sussistente il concorso tra il reato di cui al capo A ed
il reato fine di cui al capo E.
Il reato di cui al capo E concorre anche con il reato di cui al capo B in quanto
diverse sono le coni dotte ed i beni protetti.
Il reato di cui al capo B) di cui all'art. 53 bis del d.lgs n. 22 del 1997 ha
infatti ad oggetto la tutela dell'ambiente, sicché esso può ritenersi
sussistente a prescindere dalla messa in opera di artifici e raggiri al fine
della percezione di un ingiusto profitto con altrui danno, di cui al reato di
cui al capo E sanzionato dall'art. 640 c.p.
E' quindi ammissibile il concorso tra le due fattispecie criminose.
Per quel che attiene alla contestazione al Golino del reato di cui all'art. 319
c.p. il Giudice per le indagini preliminari, pur rilevando che la condotta
dell'imputato aveva contribuito all'agevolazione dell'illecità attività dei
coimputati, ha ritenuto di escludere la sussistenza del reato per la mancanza
del rapporto di sinallagmaticità tra l'informazione offerta ed il denaro
ricevuto.
Deve peraltro rilevarsi che il concetto di proporzione tra la prestazione del
privato e quella del pubblico ufficiale riguarda solo la corruzione impropria di
cui all'art. 318 c.p., che richiama la retribuzione non dovuta per il compimento
di un atto dell'ufficio e non pure la corruzione propria prevista dall'art. 319
c.p. relativa al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio, in cui
non si fa riferimento al concetto di retribuzione, essendo sufficiente che la
datio sia correlata all'atto contrario ai doveri di ufficio che il pubblico
ufficiale, per accordo intervenuto, deve compiere o ha compiuto. (v. in tal
senso Cass. pen. sez. VI sent. 15 febbraio 1999, n. 3945).
Per quel che attiene alla mancata specificazione nel capo H di imputazione
contestato al Golino degli specifici atti contrari ai doveri di ufficio, il
Collegio rileva che, come ha correttamente rilevato il Procuratore Generale,
conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, (v. per tutte Cass. pen. sez.
VI sent. 2 ottobre 2006, n. 2618)" per la configurabilità del reato di
corruzione propria non occorre individuare esattamente l'atto contrario ai
doveri di ufficio oggetto dell'accordo illecito, essendo sufficiente che essi,
sia individuabile in fruizione della competenza e della concreta sfera di
operatività del pubblico ufficiale così da essere suscettibile di specificarsi
in una pluralità di singoli atti non preventivamente fissati o programmati ma
pur sempre appartenenti al genus previsto".
Pertanto, in accoglimento dei ricorso dei Procuratore Generale della Repubblica
presso la Corte di Appello di Napoli, deve annullarsi la sentenza impugnata nei
confronti di Generoso Roma, Francesco Roma, Giuseppe D'Ausilio, Bruno Diana,
Vincenzo Cerullo, Vincenzo Greco, Vincenzo Uccisero, Andrea Di Giovanni ed
Angelo Golino, con rinvio al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere per il corso
ulteriore alla luce dei principi di diritto sopra enunciati
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso dei Procuratoire della Repubblica presso il
Tribunale di S. Maria Capua Vetere ed, in accoglimento del ricorso proposto dal
Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di
Napoli,annulla la sentenza impugnata nei confronti di Roma Generoso, Roma
Francesco, D'Ausilio Giuseppe, Diana Bruno, Cerullo Vincenzo, Grieco Vincenzo,
Uccisero Vincenzo, Di Giovanni Andrea e Golina Angelo e rinvia al Tribunale di
S. Maria Capua Vetere per il corso ulteriore.
Così deciso in Roma l'11 marzo 2008
Deposito in Cancelleria 07/05/2008
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