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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006



CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. I, 09/07/2008, Sentenza n. 18844



ESPROPRIAZIONE - Indennità - Criterio del valore venale – Applicazione - Interventi di ricostruzione post-terremoto degli anni 1980/1981 - L. finanziaria 2008 (l. n. 244 del 2007).
A seguito della dichiarazione di incostituzionalità del criterio della c.d. semi-somma (C. Cost. sentenza n. 348 del 2007) e delle modifiche da parte della legge finanziaria 2008 (l. n. 244 del 2007), l’indennità di espropriazione va liquidata sulla base del valore venale dell’area anche per le procedure espropriative finalizzate alla realizzazione di interventi in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981, per le quali l'art. 80 della legge n. 219 del 1981 prevedeva un criterio analogo a quello dichiarato incostituzionale. Presidente G. Losavio, Relatore F. A. Genovese. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. I, 09/07/2008, Sentenza n. 18844


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UDIENZA

SENTENZA N.

REG. GENERALE N.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. I Civile



composta dagli ill.mi Signori:


Omissis


ha pronunciato la seguente:


SENTENZA


Omissis


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


1. Il signor Salvatore Di Rosa, per il quale sono ora in giudizio gli eredi, signori Giuseppe e Pietro Di Rosa, proprietario di un terreno sito nel territorio del Comune di Frignano (Caserta), compreso in zona edificabile C, subiva una procedura espropriativa da parte del CONSORZIO AS.00.SA., a tanto delegato dal Commissario del Governo, per la realizzazione di una «bretella» stradale.


Il predetto conveniva, davanti al Tribunale di Napoli, il CONSORZIO e il Commissario di Governo per le aree esterne del Comune di Napoli, chiedendone la condanna (mediante deposito presso la Cassa DD. PP.) al pagamento di una somma, determinata in base alla legittima applicazione dei criteri di determinazione dell'indennizzo e alla valutazione della inedificabilità del fondo residuo, nonché alla parziale interclusione dell'area, oltre interessi e rivalutazione.


2. I convenuti, costituitisi, eccepivano l'incompetenza del Tribunale di Napoli e il difetto di legittimazione passiva del Commissario di Governo.


3. Il Tribunale, con sentenza non definitiva (n. 5082 del 1991), dichiarava improponibile la domanda proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, respingeva l'eccezione di incompetenza e disponeva la prosecuzione del giudizio.


Successivamente, con sentenza definitiva (n. 3770 del 1998) , condannava il CONSORZIO al pagamento della somma di £ 597.005.750, per indennità di espropriazione e di occupazione (£ 19.238.250), oltre interessi, escludendo che potesse formare oggetto di esame anche una ulteriore espropriazione, disposta nel 1992. Respingeva le domande relative all'interclusione del fondo e al minor valore del residuo (ritenendo compensata la limitazione imposta per la previsione della fascia di rispetto di ml 40 dal beneficio del rapido collegamento offerto dalla strada realizzata), limitando la sua decisione all'ablazione di mq 8.195 rispetto alla complessiva estensione del fondo di proprietà dell'attore (pari a mq 44.729).


4. Il signor Salvatore DI ROSA, proponeva appello (principale) chiedendo la condanna del CONSORZIO al pagamento di una maggior somma: a) per maggior valore venale dell'area espropriata o, in subordine ex art. 5- bis l. n. 359 del 1992 ; b) per il terreno residuo; c) e per quello parzialmente compromesso; d) per l'indennità di occupazione legittima da novembre 1988 a maggio 1992; e) con interessi, rivalutazione e vittoria di spese con attribuzione al procuratore antistatario. In particolare, l'appellante lamentava l'omessa valutazione dell'ulteriore esproprio di mq 657, oggetto di occupazione dal maggio 1992, interclusiva dei residui mq. 21.772 e del decremento subito dal fondo ricompresso nella zona di rispetto, per mq. 12.400, declassato a zona agricola.


5. Il CONSORZIO, proponeva appello (incidentale) chiedendo l'inammissibilità dell'opposizione alla stima, in quanto non preceduta dai decreto di esproprio e la riduzione della condanna subita al pagamento di una minor somma: a) per minor estensione dell'area; b) per eccessività delle spese.


6. La Corte d'Appello di Napoli, con sentenza non definitiva, n. 1289 del 2000, accoglieva in parte l'appello incidentale proposto dal CONSORZIO e dichiarava inammissibile l'opposizione alla stima per la parte relativa alla giusta indennità di espropriazione, disponendo la prosecuzione del giudizio.


7. Con la successiva definitiva del giudizio, questione controversa sentenza, n. 3514 del 2002, la stessa Corte, delimitata la alla sola determinazione dell'indennità di occupazione, condannava il CONSORZIO al pagamento della somma di € 84.925,26, per l'occupazione intercorsa dal novembre 1988 al novembre 2002, oltre agli interessi (nella misura del 5%) dalla scadenza di ciascuna annualità al saldo, compensando le spese di entrambi i gradi del giudizio.


7.1. Secondo la Corte territoriale, una volta delimitata la superficie oggetto di occupazione (secondo i rilievi del CTU, ai soli mq 3.240 oggetto della controversia, per essere estranea la successiva occupazione, intervenuta nel 1992) e calcolata l'indennità virtuale di esproprio, quella di occupazione legittima, su quest'ultima parametrata, per il periodo decorrente dal 7 novembre 1988, computata fino al momento della redazione della CTU (in data 31 marzo 2001), andava stimata in € 74,89 al mq, valore venale del terreno al 1988, tale rimasto anche nel 1992, senza l'aggiunta di somme ulteriori per fatti intervenuti in corso di causa (sia interclusioni e sia deprezzamenti del fondo) e senza la decurtazione del 40%, atteso che successivamente all'entrata in vigore dell'art. 5-bis non vi sarebbe stata una nuova offerta, oltretutto non congrua.
L'indennità di occupazione, per il fatto occupativo ininterrotto, iniziato il 7 novembre 1988, e protrattosi - a seguito di varie proroghe - fino al novembre 2002 (anni 14), andava liquidata in complessivi € 84.925,26, calcolando la percentuale del 5% sul complessivo valore di € 121.321,8 quale indennità virtuale di espropriazione, calcolata come già detto.


8. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione: a) principale, gli eredi del signor Salvatore DI ROSA, Giuseppe e Pietro DI ROSA; b) incidentale, il CONSORZIO. Il primo articolato in sei motivi e il secondo in quattro mezzi (uno dei quali condizionato all'accoglimento del primo motivo del ricorso principale), illustrati anche da memoria.


9.In prossimità dell'udienza pubblica è intervenuta nel giudizio di cassazione anche la signora Angela VITO che, unitamente ai ricorrenti DI ROSA, ha depositato memoria di costituzione, a mezzo di altro difensore, in sostituzione precedente,  rinunciatario, con la quale hanno, tra l'altro, chiesto l'applicazione del ius superveniens.


MOTIVI DELLA DECISIONE


1.1. Con il primo motivo di ricorso (con il quale lamentano omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia) i ricorrenti principali deducono di aver proposto riserva di impugnazione nei riguardi della sentenza non definitiva n. 1289 del 2000, con la quale la Corte territoriale non aveva tenuto conto dell'avvenuta irreversibile trasformazione del fondo di loro proprietà, in ragione del completamento dell'opera pubblica messa in esercizio nel corso del 1991, onde la domanda di corresponsione della giusta indennità di espropriazione, quella per il decremento del residuo fondo, e quella di esatta occupazione. La sentenza n. 3514 del 2002, definitiva, avrebbe fatto rinvio a quanto deciso nella sentenza non definitiva, rispetto alla quale vi era stata riserva di impugnazione.


1.2. Con il secondo motivo di ricorso (con il quale lamentano la violazione dell'art. 40 1. n. 2359 del 1865 e omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia) i ricorrenti principali deducono l'erronea affermazione della Corte territoriale per non aver tenuto conto, nel calcolo dell'indennità di espropriazione, del pregiudizio subito dalla parte residua del bene, in ragione del fatto che - secondo i giudici dei due gradi di giudizio - solo nel 1992 tale decremento sarebbe stato cagionato da una ulteriore espropriazione. Tale fatto, invece, andava anticipato al 1988.


1.3. Con il terzo motivo di ricorso (con il quale si dolgono della violazione dell'art. 40 1. n. 2359 del 1865 e dell'omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia) gli stessi ricorrenti deducono, ulteriormente, l'errore commesso dalla Corte territoriale nel calcolo dell'indennità di espropriazione, attraverso il richiamo di fatti conosciuti dai giudici.


1.4. Con il quarto motivo di ricorso (che lamenta l'omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia) i predetti ricorrenti deducono l'erronea affermazione della Corte territoriale la quale non avrebbe tenuto conto, nel calcolo dell'indennità di espropriazione, del pregiudizio subito dalla parte residua del bene, in ragione del fatto che - secondo i giudici dei gradi di giudizio - già a partire dal 1988, e non dal nel 1992, tale decremento sarebbe stato cagionato dalla immediata costruzione dell'opera pubblica, con le conseguenti fasce di rispetto e decremento di valore delle zone confinanti, come sarebbe stato evidenziato senza ottenere risposta.


1.5. Con il quinto motivo di ricorso (con il quale lamentano omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia) i ricorrenti principali richiamano la CTU per dedurre un mancato adeguamento della motivazione della sentenza alla stessa consulenza, in ordine alla determinazione delle voci di calcolo della indennità virtuale di espropriazione.


1.6. Con il sesto motivo di ricorso (con il quale lamentano omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia) i ricorrenti principali deducono il cattivo governo delle spese processuali.


2.1. Con un preliminare motivo di ricorso (con il quale lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 40 1. n. 2359 del 1865) il ricorrente incidentale deduce, in via condizionata all'accoglimento del quinto motivo di ricorso principale, l'illegittimità della sentenza nella parte in cui non ha escluso l'indennizzabilità dei pregiudizi subiti dall'espropriato in dipendenza delle limitazioni legali alla proprietà derivanti dalla fascia di rispetto stradale, in quanto non determinati dalla espropriazione parziale.


2.2. Con il primo motivo di ricorso (con il quale lamenta sia la violazione dell'art. 360 n. 3 cpc, in relazione agli artt. 99, 112, 342 e 346 cpc, sia omessa ed insufficiente motivazione) il ricorrente incidentale deduce, l'illegittimità della sentenza nella parte in cui l'ha condannato al pagamento dell'indennità di occupazione legittima anche oltre il maggio 1992, avendone il creditore fatto richiesta fino a quella data, senza che gli scritti conclusionali potessero integrare la richiesta.


2.3. Con il secondo motivo di ricorso (con il quale lamenta sia l'omessa ed insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia sia la violazione dell'art. 360 n. 4 cpc, per omessa valutazione delle risultanze processuali, sia la violazione di legge in relazione all'art. 100 cpc,) il ricorrente incidentale deduce, in via gradata, in caso di reiezione del precedente motivo, la limitazione del calcolo dell'indennità di occupazione alla data di adozione del decreto prefettizio di acquisizione del terreno al demanio stradale (avvenuto il 16 luglio 2001). La mancata valutazione di tale decreto sarebbe legittima solo per la valutazione dell'opposizione alla stima non anche ai fini della liquidazione dell'indennità di occupazione legittima.


2.4. Con il terzo motivo di ricorso (con il quale lamenta sia la violazione di legge in relazione all'art. 16 D. Lgs. n. 504 del 1992, sia la violazione dell'art. 360 n. 4 cpc, per difetto d'istruttoria, sia la violazione di legge, in relazione all'art. 112 cpc, sia vizi motivazionali) il ricorrente incidentale deduce, ai fini della quantificazione e liquidazione dell'indennità di espropriazione virtuale, il mancato accertamento d'ufficio di cui all'art. 16 in materia di TCI.


3. Preliminarmente deve essere esaminata la posizione di quelle parti che, pur presenti nel corso del giudizio di appello, non hanno proposto tempestiva impugnazione avverso le sentenze rese sulla controversia regolata dalla Corte territoriale e che hanno depositato, in prossimità della udienza di discussione dei ricorsi per cassazione un atto denominato «atto di intervento adesivo dipendente».


3.1. Con riguardo ad un caso assai prossimo a quello esaminato, questa Corte ha affermato (nella sentenza n. 1410 del 1996) che il ricorso per cassazione proposto in via autonoma e principale dall'interveniente adesivo dipendente va esaminato come ricorso incidentale adesivo rispetto a quello della parte adiuvata, da intendersi quale ricorso principale, posto che il predetto interveniente (a cui è preclusa l'impugnazione in via autonoma della sentenza sfavorevole alla parte adiuvata, salvo che per la statuizione di condanna alle spese giudiziali pronunziata nei suoi confronti) conserva in tal modo la sua posizione processuale secondaria e subordinata, potendo aderire all'impugnazione della parte adiuvata.


Tuttavia, perché l'intervento adesivo dipendente nel giudizio di cassazione sia ammissibile, a parte la sussistenza della situazione sostanziale che lo legittima, occorre che sia svolto nel termine stabilito dagli artt. 370 e 371 cod. proc. civ. (Cassazione, sent. n. 11741 del 2005).


3.2. Nella specie, da un lato, l'atto delle due interventrici è stato depositato oltre quei termini, riconosciuti dalla giurisprudenza di questa Corte come invalicabili per la sua proposizione nel giudizio di cassazione, ciò che lo rende già inammissibile; e, da un altro, quello qui esaminato, non costituisce un vero e proprio intervento adesivo dipendente, poiché quelle stesse parti erano legittimate ad impugnare autonomamente le sentenze pronunciate, anche nei loro confronti, così come i loro litisconsorti che vi hanno provveduto, nei termini, con un ordinario ricorso per cassazione, in una contesa che è da considerare scindibile in più cause.


3.3. Un lontano precedente di questa Corte (sez. 1, sent. n. 1388 del 1973), ma non perciò privo di autorevolezza e persuasività, ha stabilito il principio - cui deve farsi applicazione con riguardo al nostro thema d'indagine - secondo il quale, qualora nel corso del giudizio (nella specie in fase di appello) ad una parte subentrino gli eredi, i quali succedono pro quota nel diritto controverso fatto valere dal de cuius, non si configura - in tema di partecipazione dei detti eredi al giudizio - una ipotesi di causa inscindibile, ai sensi dell'art 331 cod. proc. civ., ricorrendo invece la fattispecie della causa scindibile (art 332 cod. proc. civ.).


3.4. In conclusione, trattandosi di cause scindibili, e non avendo quelle parti (oggi interventrici) proposto un tempestivo ricorso per cassazione, è inammissibile l'intervento adesivo dipendente dalle stesse depositato, in prossimità dell'udienza di discussione.


Esso altro non è che un inammissibile ricorso tardivo per cassazione, motivato per relationem a quello proposto, tempestivamente, dai litisconsorzi nel giudizio di appello.


4. Il ricorso proposto dai due litisconsorzi diligenti è, tuttavia, procedibile solo in ordine alla sentenza definitiva; mentre in relazione a quella non definitiva, che pure essi hanno inteso impugnare (come emerge chiaramente dal preambolo del loro ricorso), esso è manchevole del deposito della sentenza (non definitiva) impugnata.


4.1. Vale qui la regola, gia chiarita da questa Corte (con la sentenza n. 13473 del 2002), secondo cui il deposito, unitamente al ricorso per cassazione, della copia autentica della sentenza impugnata, è richiesto, a pena di improcedibilità, anche nel caso di ricorso contro una sentenza non definitiva, ancorché l'art 369, n. 2, cod. proc. civ., non consideri espressamente tale ipotesi;onde, nel caso in cui il ricorrente abbia impugnato sia la sentenza non definitiva che quella definitiva, depositando solo la copia autentica di quest'ultima, ma muovendo censure anche riguardo alla prima, il ricorso va, limitatamente a queste, dichiarato improcedibile.


4.2. La sanzione dell'improcedibilità, pertanto, si estende a tutta quella parte dei ricorso per cassazione ove si richiede a questa Corte l'esame della sentenza non definitiva della Corte territoriale.

4.3. In particolare, è improcedibile il primo motivo di ricorso che presuppone, anche con riferimento a doglianze relative alla sentenza definitiva, nella parte in cui questa avrebbe fatto rinvio per relationem.


5. I successivi quattro motivi del ricorso principale, sono inammissibili, in quanto, propongono censure, verso la sentenza definitiva, senza indicare se, quando, dove e come esse siano state svolte nel giudizio di appello.


In sostanza, le dette doglianze non sono autosufficienti.


5.1. Ma v'è di più le stesse doglianze attengono a questioni di merito, ad accertamenti fattuali e a valutazione di fatti e valori economici, che non possono certo formare oggetto di revisione in sede di legittimità.


5.1.1. La reiezione di tali mezzi comporta l'assorbimento, per conseguenza, del motivo dell'appello incidentale proposto, preliminarmente, come espressamente condizionato all'accoglimento del quinto motivo del ricorso principale.


5.2. Il sesto motivo del ricorso principale, poi, è inammissibile perché del tutto genericamente censura le statuizioni sulle spese giudiziali.


5.3. Va del pari respinto il terzo motivo del ricorso incidentale, riguardante la mancata acquisizione, da parte del giudice di appello, dell'accertamento d'ufficio, di cui all'art. 16 del D. Lgs. n. 504 del 1992, in materia di ICI.


5.3.1. Infatti, a tale proposito questa Corte ha già affermato (nella sentenza n. 19 del 2008) che il diritto all'indennità di esproprio non va penalizzato in caso di omessa od infedele dichiarazione I.C.I.; che la disciplina che regola il rapporto tra i due istituti, va interpretata nel senso che l'evasore totale non perde il suo diritto all'indennizzo espropriativo, ma è unicamente destinato a subire le sanzioni per l'omessa dichiarazione e l'imposizione per l'I.C.I. che aveva tentato di evadere, potendo l'erogazione dell'indennità di espropriazione intervenire solo dopo la verifica che essa non superi il tetto massimo ragguagliato al valore accertato per stessa, ed a seguito della regolarizzazione della posizione tributaria con concreto avvio del recupero dell'imposta e delle sanzioni; che analogamente l'evasore parziale resta soggetto alle stesse conseguenze per il minor valore dichiarato e, salva rettifica da parte dello stesso proprietario, il Comune può procedere ad accertamento del maggior valore del fondo agli effetti tributari per poi commisurare, in via definitiva, l'indennità espropriativa che, quindi, non va liquidata con riferimento alla dichiarazione infedele; che, in ogni caso (sentenza n. 24509 del 2006), la questione nascente dall'osservanza dell'art. 16 del d.lgs. n. 504 del 1992, non è rilevabile d'ufficio ma è esaminabile ad istanza dell'espropriante, trattandosi di diritto disponibile. 5.3.2. La doglianza, per tutte tali ragioni, è destituita di fondamento.


6. Tuttavia, i motivi di merito contenuti nel ricorso principale, essendo tesi a sollecitare una discussione sulla congruità dell'attribuzione indennitaria agli espropriati, comporta la necessità dell'esame delle questioni oggetto di ricorso alla luce dei ius superveniens quale si è determinato a seguito della declaratoria di incostituzionalità operata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 348 del 2007 e, sulla base di questa, dall'introduzione di nuovi criteri di liquidazione dell'indennizzo da parte dall'art. 2, comma 90 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, a nulla rilevando l'anteriorità dell'espropriazione rispetto all'introduzione della nuova disciplina legislativa dettata a seguito dell'intervento del Giudice delle leggi.

6.1. Infatti, questa Corte, esaminando di recente (con la sentenza n. 9245 del 2008) la questione di legittimità costituzionale, sollevata con riferimento agli artt. 2, 3 e 42 Cost., dell'art. 37, comma 1, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, come sostituito dall'art. 2, comma 89, lett. a) della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nella parte in cui - con disposizione che trova applicazione ai rapporti non esauriti per essere ancora in corso la controversia sulla misura dell'indennità - dispone che l'indennità di espropriazione di un'area edificabile è determinata nella misura pari al valore venale del bene (o attraverso una sua riduzione del 25% ove si tratti di interventi di riforma economico- sociale), l'ha dichiara infondata in quanto la norma novellata è in linea con l'interpretazione data dalla Corte europea dei diritti dell'uomo all'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione CEDU e della quale la Corte costituzionale ha sancito la piena compatibilità con l'art. 42 Costituzione.


6.2. Nella stessa sentenza, questa Sezione ha affermato la retroattività della legge 244 del 2007, che ha rimodellato l'indennizzo disciplinato nel TU n. 327 del 2001, in forza dell'inequivoco disposto dell'art. 2, comma 90, che - al di là della non felice formula usata («le disposizioni di cui all'art. 37, commi 1 e 2, e quelle di cui all'art. 45, comma 2, lett. a), del cit. TU n. 327 del 2001, come modificati dall'art. 89 del presente articolo, si applicano a tutti i procedimenti espropriativi in corso») - trova applicazione in tutti i giudizi in corso aventi ad oggetto «la controversia sulla misura dell'indennità».


6.3. Del resto, ben si comprende la portata retroattiva di tale disciplina se si considera il fatto che, come questa Corte ha da tempo affermato (ultima, la sentenza n. 20411 del 2006), la previsione di applicabilità del criterio di indennizzo espropriativo, contenuta nell'art. 5-bis d.l. 333 del 1992, cony. in 1. 392 del 1992 (inciso dalla Corte costituzionale con la menzionata sentenza n. 348 del 2007), conteneva una disciplina che «costitui(va) un nucleo di principi generali, validi anche ove siano applicabili, in via di specialità, altre norme», tra i quali - occorre precisare anche il principio dell'indennizzo calcolato attraverso il criterio della semisomma dei valori coinvolti (uno solo dei quali, non l'unico, è quello venale), la cui caduta non può non trascinare seco ogni altro congegno normativo speciale articolato su quello stesso principio.


6.3.1. Orbene, la retroattività del nuovo criterio di calcolo della indennità di espropriazione (che nella controversia in esame è stata svolta - sia pure solo - in via virtuale: allo scopo di procedere alla liquidazione delle indennità di occupazione legittima) s'impone, a seguito dei ius superveniens, anche là dove - come nella specie - si è fatto applicazione non già
dell'art. 5-bis ma dello speciale, ma non molto dissimile, criterio liquidativo contenuto nell'art. 13 1. n. 2892 del 1885, richiamato dall'art. 80 della legge n_ 219 dl 1981 (p. 9 della sentenza definitiva di appello).


6.4. Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere cassata in parte qua ed il giudice del rinvio dovrà procedere al nuovo calcolo dell'indennità di occupazione legittima, spettante ai ricorrenti, sulla base di quanto dispone l'art. 2, comma 89, lett. a) della legge 24 dicembre 2007, n. 244.


6.5. Il nuovo calcolo dell'indennità di occupazione, tuttavia, in accoglimento dei primi due motivi del ricorso incidentale, dovrà essere limitato alla estensione temporale domandata dai ricorrenti in sede di appello, senza riportarla, d'ufficio, alla data della stessa decisione pronunciata dalla Corte territoriale, che ha calcolato la sua estensione addirittura oltre la data di adozione del decreto prefettizio di acquisizione del terreno occupato al demanio stradale (del 16 luglio 2001).

6.5.1. La mancata valutazione di tale decreto di conclusione del procedimento espropriativo, giustamente censurata nel terzo motivo del ricorso incidentale, non è corretta nel giudizio di liquidazione dell'indennità di occupazione legittima, poiché la vicenda occupativa è cessata di essere tale proprio nel momento in cui l'autorità amministrativa ha concluso il procedimento espropriativo, con l'acquisizione definitiva del bene al patrimonio pubblico.


6.5.2. Fermo tale limite estremo, il giudice del rinvio dovrà valutare anche il limite temporale della domanda proposta, specie se anteriore a quella considerata nella sentenza impugnata e dalla stessa data della acquisizione del bene ablato.


7. Il Giudice del rinvio, che si designa in altra sezione della stessa Corte territoriale, provvederà anche sulle spese di questa fase del giudizio.


PQM


Dichiara inammissibili gli interventi, improcedibile il ricorso principale proposto avverso la sentenza non definitiva n. 1289 del 2000, e, decidendo sul ricorso principale, con riguardo alla sentenza definitiva, in applicazione della pronuncia della Corte costituzionale n. 348 del 2007, nonché in accoglimento dei primi due motivi del ricorso incidentale, respinte le altre censure, contenute nei due ricorsi, cassa la sentenza definitiva impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase, ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli.


Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima sezione civile, dai magistrati sopraindicati, il 29 maggio 2008.


 


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