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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
CORTE
DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. I, 09/07/2008, Sentenza n. 18844
ESPROPRIAZIONE - Indennità - Criterio del valore venale – Applicazione -
Interventi di ricostruzione post-terremoto degli anni 1980/1981 - L. finanziaria
2008 (l. n. 244 del 2007). A seguito della dichiarazione di
incostituzionalità del criterio della c.d. semi-somma (C. Cost. sentenza n. 348
del 2007) e delle modifiche da parte della legge finanziaria 2008 (l. n. 244 del
2007), l’indennità di espropriazione va liquidata sulla base del valore venale
dell’area anche per le procedure espropriative finalizzate alla realizzazione di
interventi in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del novembre
1980 e del febbraio 1981, per le quali l'art. 80 della legge n. 219 del 1981
prevedeva un criterio analogo a quello dichiarato incostituzionale. Presidente
G. Losavio, Relatore F. A. Genovese. CORTE DI CASSAZIONE CIVILE, Sez. I,
09/07/2008, Sentenza n. 18844
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UDIENZA
SENTENZA N.
REG. GENERALE N.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. I Civile
composta dagli ill.mi Signori:
Omissis
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il signor Salvatore Di Rosa, per il quale sono ora in giudizio gli eredi,
signori Giuseppe e Pietro Di Rosa, proprietario di un terreno sito nel
territorio del Comune di Frignano (Caserta), compreso in zona edificabile C,
subiva una procedura espropriativa da parte del CONSORZIO AS.00.SA., a tanto
delegato dal Commissario del Governo, per la realizzazione di una «bretella»
stradale.
Il predetto conveniva, davanti al Tribunale di Napoli, il CONSORZIO e il
Commissario di Governo per le aree esterne del Comune di Napoli, chiedendone la
condanna (mediante deposito presso la Cassa DD. PP.) al pagamento di una somma,
determinata in base alla legittima applicazione dei criteri di determinazione
dell'indennizzo e alla valutazione della inedificabilità del fondo residuo,
nonché alla parziale interclusione dell'area, oltre interessi e rivalutazione.
2. I convenuti, costituitisi, eccepivano l'incompetenza del Tribunale di Napoli
e il difetto di legittimazione passiva del Commissario di Governo.
3. Il Tribunale, con sentenza non definitiva (n. 5082 del 1991), dichiarava
improponibile la domanda proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio
dei Ministri, respingeva l'eccezione di incompetenza e disponeva la prosecuzione
del giudizio.
Successivamente, con sentenza definitiva (n. 3770 del 1998) , condannava il
CONSORZIO al pagamento della somma di £ 597.005.750, per indennità di
espropriazione e di occupazione (£ 19.238.250), oltre interessi, escludendo che
potesse formare oggetto di esame anche una ulteriore espropriazione, disposta
nel 1992. Respingeva le domande relative all'interclusione del fondo e al minor
valore del residuo (ritenendo compensata la limitazione imposta per la
previsione della fascia di rispetto di ml 40 dal beneficio del rapido
collegamento offerto dalla strada realizzata), limitando la sua decisione
all'ablazione di mq 8.195 rispetto alla complessiva estensione del fondo di
proprietà dell'attore (pari a mq 44.729).
4. Il signor Salvatore DI ROSA, proponeva appello (principale) chiedendo la
condanna del CONSORZIO al pagamento di una maggior somma: a) per maggior valore
venale dell'area espropriata o, in subordine ex art. 5- bis l. n. 359 del 1992 ;
b) per il terreno residuo; c) e per quello parzialmente compromesso; d) per
l'indennità di occupazione legittima da novembre 1988 a maggio 1992; e) con
interessi, rivalutazione e vittoria di spese con attribuzione al procuratore
antistatario. In particolare, l'appellante lamentava l'omessa valutazione
dell'ulteriore esproprio di mq 657, oggetto di occupazione dal maggio 1992,
interclusiva dei residui mq. 21.772 e del decremento subito dal fondo
ricompresso nella zona di rispetto, per mq. 12.400, declassato a zona agricola.
5. Il CONSORZIO, proponeva appello (incidentale) chiedendo l'inammissibilità
dell'opposizione alla stima, in quanto non preceduta dai decreto di esproprio e
la riduzione della condanna subita al pagamento di una minor somma: a) per minor
estensione dell'area; b) per eccessività delle spese.
6. La Corte d'Appello di Napoli, con sentenza non definitiva, n. 1289 del 2000,
accoglieva in parte l'appello incidentale proposto dal CONSORZIO e dichiarava
inammissibile l'opposizione alla stima per la parte relativa alla giusta
indennità di espropriazione, disponendo la prosecuzione del giudizio.
7. Con la successiva definitiva del giudizio, questione controversa sentenza, n.
3514 del 2002, la stessa Corte, delimitata la alla sola determinazione
dell'indennità di occupazione, condannava il CONSORZIO al pagamento della somma
di € 84.925,26, per l'occupazione intercorsa dal novembre 1988 al novembre 2002,
oltre agli interessi (nella misura del 5%) dalla scadenza di ciascuna annualità
al saldo, compensando le spese di entrambi i gradi del giudizio.
7.1. Secondo la Corte territoriale, una volta delimitata la superficie oggetto
di occupazione (secondo i rilievi del CTU, ai soli mq 3.240 oggetto della
controversia, per essere estranea la successiva occupazione, intervenuta nel
1992) e calcolata l'indennità virtuale di esproprio, quella di occupazione
legittima, su quest'ultima parametrata, per il periodo decorrente dal 7 novembre
1988, computata fino al momento della redazione della CTU (in data 31 marzo
2001), andava stimata in € 74,89 al mq, valore venale del terreno al 1988, tale
rimasto anche nel 1992, senza l'aggiunta di somme ulteriori per fatti
intervenuti in corso di causa (sia interclusioni e sia deprezzamenti del fondo)
e senza la decurtazione del 40%, atteso che successivamente all'entrata in
vigore dell'art. 5-bis non vi sarebbe stata una nuova offerta, oltretutto non
congrua.
L'indennità di occupazione, per il fatto occupativo ininterrotto, iniziato il 7
novembre 1988, e protrattosi - a seguito di varie proroghe - fino al novembre
2002 (anni 14), andava liquidata in complessivi € 84.925,26, calcolando la
percentuale del 5% sul complessivo valore di € 121.321,8 quale indennità
virtuale di espropriazione, calcolata come già detto.
8. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione: a) principale,
gli eredi del signor Salvatore DI ROSA, Giuseppe e Pietro DI ROSA; b)
incidentale, il CONSORZIO. Il primo articolato in sei motivi e il secondo in
quattro mezzi (uno dei quali condizionato all'accoglimento del primo motivo del
ricorso principale), illustrati anche da memoria.
9.In prossimità dell'udienza pubblica è intervenuta nel giudizio di cassazione
anche la signora Angela VITO che, unitamente ai ricorrenti DI ROSA, ha
depositato memoria di costituzione, a mezzo di altro difensore, in sostituzione
precedente, rinunciatario, con la quale hanno, tra l'altro, chiesto
l'applicazione del ius superveniens.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo di ricorso (con il quale lamentano omessa ed
insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia) i
ricorrenti principali deducono di aver proposto riserva di impugnazione nei
riguardi della sentenza non definitiva n. 1289 del 2000, con la quale la Corte
territoriale non aveva tenuto conto dell'avvenuta irreversibile trasformazione
del fondo di loro proprietà, in ragione del completamento dell'opera pubblica
messa in esercizio nel corso del 1991, onde la domanda di corresponsione della
giusta indennità di espropriazione, quella per il decremento del residuo fondo,
e quella di esatta occupazione. La sentenza n. 3514 del 2002, definitiva,
avrebbe fatto rinvio a quanto deciso nella sentenza non definitiva, rispetto
alla quale vi era stata riserva di impugnazione.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso (con il quale lamentano la violazione
dell'art. 40 1. n. 2359 del 1865 e omessa ed insufficiente motivazione circa un
punto decisivo della controversia) i ricorrenti principali deducono l'erronea
affermazione della Corte territoriale per non aver tenuto conto, nel calcolo
dell'indennità di espropriazione, del pregiudizio subito dalla parte residua del
bene, in ragione del fatto che - secondo i giudici dei due gradi di giudizio -
solo nel 1992 tale decremento sarebbe stato cagionato da una ulteriore
espropriazione. Tale fatto, invece, andava anticipato al 1988.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso (con il quale si dolgono della violazione
dell'art. 40 1. n. 2359 del 1865 e dell'omessa ed insufficiente motivazione
circa un punto decisivo della controversia) gli stessi ricorrenti deducono,
ulteriormente, l'errore commesso dalla Corte territoriale nel calcolo
dell'indennità di espropriazione, attraverso il richiamo di fatti conosciuti dai
giudici.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso (che lamenta l'omessa ed insufficiente
motivazione circa un punto decisivo della controversia) i predetti ricorrenti
deducono l'erronea affermazione della Corte territoriale la quale non avrebbe
tenuto conto, nel calcolo dell'indennità di espropriazione, del pregiudizio
subito dalla parte residua del bene, in ragione del fatto che - secondo i
giudici dei gradi di giudizio - già a partire dal 1988, e non dal nel 1992, tale
decremento sarebbe stato cagionato dalla immediata costruzione dell'opera
pubblica, con le conseguenti fasce di rispetto e decremento di valore delle zone
confinanti, come sarebbe stato evidenziato senza ottenere risposta.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso (con il quale lamentano omessa ed
insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia) i
ricorrenti principali richiamano la CTU per dedurre un mancato adeguamento della
motivazione della sentenza alla stessa consulenza, in ordine alla determinazione
delle voci di calcolo della indennità virtuale di espropriazione.
1.6. Con il sesto motivo di ricorso (con il quale lamentano omessa ed
insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia) i
ricorrenti principali deducono il cattivo governo delle spese processuali.
2.1. Con un preliminare motivo di ricorso (con il quale lamenta la violazione e
falsa applicazione dell'art. 40 1. n. 2359 del 1865) il ricorrente incidentale
deduce, in via condizionata all'accoglimento del quinto motivo di ricorso
principale, l'illegittimità della sentenza nella parte in cui non ha escluso
l'indennizzabilità dei pregiudizi subiti dall'espropriato in dipendenza delle
limitazioni legali alla proprietà derivanti dalla fascia di rispetto stradale,
in quanto non determinati dalla espropriazione parziale.
2.2. Con il primo motivo di ricorso (con il quale lamenta sia la violazione
dell'art. 360 n. 3 cpc, in relazione agli artt. 99, 112, 342 e 346 cpc, sia
omessa ed insufficiente motivazione) il ricorrente incidentale deduce,
l'illegittimità della sentenza nella parte in cui l'ha condannato al pagamento
dell'indennità di occupazione legittima anche oltre il maggio 1992, avendone il
creditore fatto richiesta fino a quella data, senza che gli scritti
conclusionali potessero integrare la richiesta.
2.3. Con il secondo motivo di ricorso (con il quale lamenta sia l'omessa ed
insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia sia la
violazione dell'art. 360 n. 4 cpc, per omessa valutazione delle risultanze
processuali, sia la violazione di legge in relazione all'art. 100 cpc,) il
ricorrente incidentale deduce, in via gradata, in caso di reiezione del
precedente motivo, la limitazione del calcolo dell'indennità di occupazione alla
data di adozione del decreto prefettizio di acquisizione del terreno al demanio
stradale (avvenuto il 16 luglio 2001). La mancata valutazione di tale decreto
sarebbe legittima solo per la valutazione dell'opposizione alla stima non anche
ai fini della liquidazione dell'indennità di occupazione legittima.
2.4. Con il terzo motivo di ricorso (con il quale lamenta sia la violazione di
legge in relazione all'art. 16 D. Lgs. n. 504 del 1992, sia la violazione
dell'art. 360 n. 4 cpc, per difetto d'istruttoria, sia la violazione di legge,
in relazione all'art. 112 cpc, sia vizi motivazionali) il ricorrente incidentale
deduce, ai fini della quantificazione e liquidazione dell'indennità di
espropriazione virtuale, il mancato accertamento d'ufficio di cui all'art. 16 in
materia di TCI.
3. Preliminarmente deve essere esaminata la posizione di quelle parti che, pur
presenti nel corso del giudizio di appello, non hanno proposto tempestiva
impugnazione avverso le sentenze rese sulla controversia regolata dalla Corte
territoriale e che hanno depositato, in prossimità della udienza di discussione
dei ricorsi per cassazione un atto denominato «atto di intervento adesivo
dipendente».
3.1. Con riguardo ad un caso assai prossimo a quello esaminato, questa Corte ha
affermato (nella sentenza n. 1410 del 1996) che il ricorso per cassazione
proposto in via autonoma e principale dall'interveniente adesivo dipendente va
esaminato come ricorso incidentale adesivo rispetto a quello della parte
adiuvata, da intendersi quale ricorso principale, posto che il predetto
interveniente (a cui è preclusa l'impugnazione in via autonoma della sentenza
sfavorevole alla parte adiuvata, salvo che per la statuizione di condanna alle
spese giudiziali pronunziata nei suoi confronti) conserva in tal modo la sua
posizione processuale secondaria e subordinata, potendo aderire all'impugnazione
della parte adiuvata.
Tuttavia, perché l'intervento adesivo dipendente nel giudizio di cassazione sia
ammissibile, a parte la sussistenza della situazione sostanziale che lo
legittima, occorre che sia svolto nel termine stabilito dagli artt. 370 e 371
cod. proc. civ. (Cassazione, sent. n. 11741 del 2005).
3.2. Nella specie, da un lato, l'atto delle due interventrici è stato depositato
oltre quei termini, riconosciuti dalla giurisprudenza di questa Corte come
invalicabili per la sua proposizione nel giudizio di cassazione, ciò che lo
rende già inammissibile; e, da un altro, quello qui esaminato, non costituisce
un vero e proprio intervento adesivo dipendente, poiché quelle stesse parti
erano legittimate ad impugnare autonomamente le sentenze pronunciate, anche nei
loro confronti, così come i loro litisconsorti che vi hanno provveduto, nei
termini, con un ordinario ricorso per cassazione, in una contesa che è da
considerare scindibile in più cause.
3.3. Un lontano precedente di questa Corte (sez. 1, sent. n. 1388 del 1973), ma
non perciò privo di autorevolezza e persuasività, ha stabilito il principio -
cui deve farsi applicazione con riguardo al nostro thema d'indagine -
secondo il quale, qualora nel corso del giudizio (nella specie in fase di
appello) ad una parte subentrino gli eredi, i quali succedono pro quota nel
diritto controverso fatto valere dal de cuius, non si configura - in tema
di partecipazione dei detti eredi al giudizio - una ipotesi di causa
inscindibile, ai sensi dell'art 331 cod. proc. civ., ricorrendo invece la
fattispecie della causa scindibile (art 332 cod. proc. civ.).
3.4. In conclusione, trattandosi di cause scindibili, e non avendo quelle parti
(oggi interventrici) proposto un tempestivo ricorso per cassazione, è
inammissibile l'intervento adesivo dipendente dalle stesse depositato, in
prossimità dell'udienza di discussione.
Esso altro non è che un inammissibile ricorso tardivo per cassazione, motivato
per relationem a quello proposto, tempestivamente, dai litisconsorzi nel
giudizio di appello.
4. Il ricorso proposto dai due litisconsorzi diligenti è, tuttavia, procedibile
solo in ordine alla sentenza definitiva; mentre in relazione a quella non
definitiva, che pure essi hanno inteso impugnare (come emerge chiaramente dal
preambolo del loro ricorso), esso è manchevole del deposito della sentenza (non
definitiva) impugnata.
4.1. Vale qui la regola, gia chiarita da questa Corte (con la sentenza n. 13473
del 2002), secondo cui il deposito, unitamente al ricorso per cassazione, della
copia autentica della sentenza impugnata, è richiesto, a pena di
improcedibilità, anche nel caso di ricorso contro una sentenza non definitiva,
ancorché l'art 369, n. 2, cod. proc. civ., non consideri espressamente tale
ipotesi;onde, nel caso in cui il ricorrente abbia impugnato sia la sentenza non
definitiva che quella definitiva, depositando solo la copia autentica di
quest'ultima, ma muovendo censure anche riguardo alla prima, il ricorso va,
limitatamente a queste, dichiarato improcedibile.
4.2. La sanzione dell'improcedibilità, pertanto, si estende a tutta quella parte
dei ricorso per cassazione ove si richiede a questa Corte l'esame della sentenza
non definitiva della Corte territoriale.
4.3. In particolare, è improcedibile il primo motivo di ricorso che presuppone,
anche con riferimento a doglianze relative alla sentenza definitiva, nella parte
in cui questa avrebbe fatto rinvio per relationem.
5. I successivi quattro motivi del ricorso principale, sono inammissibili, in
quanto, propongono censure, verso la sentenza definitiva, senza indicare se,
quando, dove e come esse siano state svolte nel giudizio di appello.
In sostanza, le dette doglianze non sono autosufficienti.
5.1. Ma v'è di più le stesse doglianze attengono a questioni di merito, ad
accertamenti fattuali e a valutazione di fatti e valori economici, che non
possono certo formare oggetto di revisione in sede di legittimità.
5.1.1. La reiezione di tali mezzi comporta l'assorbimento, per conseguenza, del
motivo dell'appello incidentale proposto, preliminarmente, come espressamente
condizionato all'accoglimento del quinto motivo del ricorso principale.
5.2. Il sesto motivo del ricorso principale, poi, è inammissibile perché del
tutto genericamente censura le statuizioni sulle spese giudiziali.
5.3. Va del pari respinto il terzo motivo del ricorso incidentale, riguardante
la mancata acquisizione, da parte del giudice di appello, dell'accertamento
d'ufficio, di cui all'art. 16 del D. Lgs. n. 504 del 1992, in materia di ICI.
5.3.1. Infatti, a tale proposito questa Corte ha già affermato (nella sentenza
n. 19 del 2008) che il diritto all'indennità di esproprio non va penalizzato in
caso di omessa od infedele dichiarazione I.C.I.; che la disciplina che regola il
rapporto tra i due istituti, va interpretata nel senso che l'evasore totale non
perde il suo diritto all'indennizzo espropriativo, ma è unicamente destinato a
subire le sanzioni per l'omessa dichiarazione e l'imposizione per l'I.C.I. che
aveva tentato di evadere, potendo l'erogazione dell'indennità di espropriazione
intervenire solo dopo la verifica che essa non superi il tetto massimo
ragguagliato al valore accertato per stessa, ed a seguito della regolarizzazione
della posizione tributaria con concreto avvio del recupero dell'imposta e delle
sanzioni; che analogamente l'evasore parziale resta soggetto alle stesse
conseguenze per il minor valore dichiarato e, salva rettifica da parte dello
stesso proprietario, il Comune può procedere ad accertamento del maggior valore
del fondo agli effetti tributari per poi commisurare, in via definitiva,
l'indennità espropriativa che, quindi, non va liquidata con riferimento alla
dichiarazione infedele; che, in ogni caso (sentenza n. 24509 del 2006), la
questione nascente dall'osservanza dell'art. 16 del d.lgs. n. 504 del 1992, non
è rilevabile d'ufficio ma è esaminabile ad istanza dell'espropriante,
trattandosi di diritto disponibile. 5.3.2. La doglianza, per tutte tali ragioni,
è destituita di fondamento.
6. Tuttavia, i motivi di merito contenuti nel ricorso principale, essendo tesi a
sollecitare una discussione sulla congruità dell'attribuzione indennitaria agli
espropriati, comporta la necessità dell'esame delle questioni oggetto di ricorso
alla luce dei ius superveniens quale si è determinato a seguito della
declaratoria di incostituzionalità operata dalla sentenza della Corte
costituzionale n. 348 del 2007 e, sulla base di questa, dall'introduzione di
nuovi criteri di liquidazione dell'indennizzo da parte dall'art. 2, comma 90
della legge 24 dicembre 2007, n. 244, a nulla rilevando l'anteriorità
dell'espropriazione rispetto all'introduzione della nuova disciplina legislativa
dettata a seguito dell'intervento del Giudice delle leggi.
6.1. Infatti, questa Corte, esaminando di recente (con la sentenza n. 9245 del
2008) la questione di legittimità costituzionale, sollevata con riferimento agli
artt. 2, 3 e 42 Cost., dell'art. 37, comma 1, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327,
come sostituito dall'art. 2, comma 89, lett. a) della legge 24 dicembre 2007, n.
244, nella parte in cui - con disposizione che trova applicazione ai rapporti
non esauriti per essere ancora in corso la controversia sulla misura
dell'indennità - dispone che l'indennità di espropriazione di un'area
edificabile è determinata nella misura pari al valore venale del bene (o
attraverso una sua riduzione del 25% ove si tratti di interventi di riforma
economico- sociale), l'ha dichiara infondata in quanto la norma novellata è in
linea con l'interpretazione data dalla Corte europea dei diritti dell'uomo
all'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione CEDU e della quale la
Corte costituzionale ha sancito la piena compatibilità con l'art. 42
Costituzione.
6.2. Nella stessa sentenza, questa Sezione ha affermato la retroattività della
legge 244 del 2007, che ha rimodellato l'indennizzo disciplinato nel TU n. 327
del 2001, in forza dell'inequivoco disposto dell'art. 2, comma 90, che - al di
là della non felice formula usata («le disposizioni di cui all'art. 37, commi 1
e 2, e quelle di cui all'art. 45, comma 2, lett. a), del cit. TU n. 327 del
2001, come modificati dall'art. 89 del presente articolo, si applicano a tutti i
procedimenti espropriativi in corso») - trova applicazione in tutti i giudizi in
corso aventi ad oggetto «la controversia sulla misura dell'indennità».
6.3. Del resto, ben si comprende la portata retroattiva di tale disciplina se si
considera il fatto che, come questa Corte ha da tempo affermato (ultima, la
sentenza n. 20411 del 2006), la previsione di applicabilità del criterio di
indennizzo espropriativo, contenuta nell'art. 5-bis d.l. 333 del 1992, cony. in
1. 392 del 1992 (inciso dalla Corte costituzionale con la menzionata sentenza n.
348 del 2007), conteneva una disciplina che «costitui(va) un nucleo di principi
generali, validi anche ove siano applicabili, in via di specialità, altre
norme», tra i quali - occorre precisare anche il principio dell'indennizzo
calcolato attraverso il criterio della semisomma dei valori coinvolti (uno solo
dei quali, non l'unico, è quello venale), la cui caduta non può non trascinare
seco ogni altro congegno normativo speciale articolato su quello stesso
principio.
6.3.1. Orbene, la retroattività del nuovo criterio di calcolo della indennità di
espropriazione (che nella controversia in esame è stata svolta - sia pure solo -
in via virtuale: allo scopo di procedere alla liquidazione delle indennità di
occupazione legittima) s'impone, a seguito dei ius superveniens, anche là
dove - come nella specie - si è fatto applicazione non già
dell'art. 5-bis ma dello speciale, ma non molto dissimile, criterio liquidativo
contenuto nell'art. 13 1. n. 2892 del 1885, richiamato dall'art. 80 della legge
n_ 219 dl 1981 (p. 9 della sentenza definitiva di appello).
6.4. Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere cassata in parte qua ed
il giudice del rinvio dovrà procedere al nuovo calcolo dell'indennità di
occupazione legittima, spettante ai ricorrenti, sulla base di quanto dispone
l'art. 2, comma 89, lett. a) della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
6.5. Il nuovo calcolo dell'indennità di occupazione, tuttavia, in accoglimento
dei primi due motivi del ricorso incidentale, dovrà essere limitato alla
estensione temporale domandata dai ricorrenti in sede di appello, senza
riportarla, d'ufficio, alla data della stessa decisione pronunciata dalla Corte
territoriale, che ha calcolato la sua estensione addirittura oltre la data di
adozione del decreto prefettizio di acquisizione del terreno occupato al demanio
stradale (del 16 luglio 2001).
6.5.1. La mancata valutazione di tale decreto di conclusione del procedimento
espropriativo, giustamente censurata nel terzo motivo del ricorso incidentale,
non è corretta nel giudizio di liquidazione dell'indennità di occupazione
legittima, poiché la vicenda occupativa è cessata di essere tale proprio nel
momento in cui l'autorità amministrativa ha concluso il procedimento
espropriativo, con l'acquisizione definitiva del bene al patrimonio pubblico.
6.5.2. Fermo tale limite estremo, il giudice del rinvio dovrà valutare anche il
limite temporale della domanda proposta, specie se anteriore a quella
considerata nella sentenza impugnata e dalla stessa data della acquisizione del
bene ablato.
7. Il Giudice del rinvio, che si designa in altra sezione della stessa Corte
territoriale, provvederà anche sulle spese di questa fase del giudizio.
PQM
Dichiara inammissibili gli interventi, improcedibile il ricorso principale
proposto avverso la sentenza non definitiva n. 1289 del 2000, e, decidendo sul
ricorso principale, con riguardo alla sentenza definitiva, in applicazione della
pronuncia della Corte costituzionale n. 348 del 2007, nonché in accoglimento dei
primi due motivi del ricorso incidentale, respinte le altre censure, contenute
nei due ricorsi, cassa la sentenza definitiva impugnata e rinvia la causa, anche
per le spese di questa fase, ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima sezione civile, dai
magistrati sopraindicati, il 29 maggio 2008.
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