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CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sezione III, 4/06/2008 (Cc. 23/04/2008) , Sentenza n.
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RIFIUTI - Tettoia con copertura in amianto - Particelle d’amianto - Disciplina
sui rifiuti - Nozione di rifiuti di amianto - Fattispecie: particelle di amianto
staccate dalle lastre di copertura di un capannone - Art. 2, c. 1 lett. c) L. n.
257/1992 - D. Lgs n. 152/2006 - D. Lgs. n. 4/2008. La definizione di rifiuto
deve essere improntata al criterio oggettivo della destinazione naturale
all'abbandono, non rilevando l'eventuale riutilizzazione, sicché quando residuo
abbia il suddetto carattere ogni successiva fase di smaltimento rientra nella
disciplina sui rifiuti (cfr. Cass. sez. III, 11.5.2001 n. 19125). Pertanto, non
possono farsi rientrare nella nozione di rifiuto le particelle di amianto
staccate dalle lastre di copertura di un capannone per effetto del dilavamento
dovuto alle acque piovane, trattandosi di un fenomeno estraneo alla volontà del
detentore. Nella specie, è stato anche rilevato che la tettoia di copertura
costituisce parte integrante del capannone industriale, sicché, fino al momento
in cui le lastre di cemento amianto non vengono rimosse, sono prive di autonomia
rispetto al fabbricato di cui fanno parte e, pertanto, non possono essere
qualificate rifiuto. Tali rilievi, trovano rispondenza nella nozione di rifiuti
di amianto, di cui all'art. 2, primo comma lett. c) della L. 27.3.1992 n. 257,
ai sensi del cui disposto rientra in detta categoria "....qualsiasi sostanza o
qualsiasi oggetto contenente amianto che abbia perso la sua destinazione d' uso
e...". Pres. De Maio, Est. Lombardi, Ric. P.M. in proc. Rapino. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE, Sezione III, 4 Giugno 2008 (Cc. 23/04/2008), Sentenza n.
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UDIENZA DEL 23/04/2008
SENTENZA N.468
REG. GENERALE N.6285/08
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Signori:
Presidente Dott. Guido De Maio
Consigliere " Carlo Grillo
Li Alfredo Maria Lombardi
Giulio Sarno
" Santi Gazzarra
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Chieti avverso l'ordinanza in data 10.1.2008 del Tribunale di Chieti, con la
quale è stato rigettato l'appello del P.M. avverso il provvedimento del G.I.P.
del medesimo Tribunale che aveva respinto la richiesta di sequestro preventivo
di un capannone industriale nei confronti di Rapino Armando, n. a Francavilla al
Mare il 20.1.1930.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi;
Visti gli atti, la ordinanza denunziata ed il ricorso;
Udito il P.M. in persona del Sost. Procuratore Generale, Dott. Francesco Bua,
che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. Camillo Tatozzi, che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
CONSIDERATO IN FATTO E DIRITTO
Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Chieti ha rigettato l'appello
proposto dal P.M. avverso il provvedimento del G.I.P. del medesimo Tribunale che
aveva respinto la richiesta di sequestro preventivo di un capannone industriale
nei confronti di Rapino Armando, indagato del reato di cui alI'art. 256, comma
secondo, del D. Lgs n. 152/2006.
La richiesta di sequestro del capannone industriale era stata formulata dal P.M.
a seguito di accertamenti eseguiti dall'ARTA, dai quali era emerso che la
copertura del predetto capannone, di proprietà del Rapino, era costituita da
taste di cemento contenenti amianto del tipo crisolito e crocidolite; che una
quota di tale copertura, corrispondente ad oltre il 10%, risultava danneggiata o
degradata, sicché la pioggia, sciogliendo la matrice cementizia aveva
determinato il fluire delle fibre di amianto presente nei manufatti negli scoli
d'acqua piovana ove erano state reperite.
L'ordinanza ha respinto l'appello, osservando che l'esistenza e l'integrità
della copertura impedisce di ritenere configurabile il reato di abbandono
incontrollato di rifiuti, che non può avere ad oggetto le particele di amianto,
il cui rinvenimento impone al proprietario di provvedere all'obbligo di bonifica
e di messa in sicurezza dei materiali; obbligo la cui violazione costituisce
illecito amministrativo.
Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica che la
denuncia per violazione di legge con riferimento al fumus del reato
contestato e delle esigenze cautelari.
Sul primo punto la pubblica accusa ricorrente osserva che il legislatore con
l'art. 14 del D.L. n. 138/2002 ha formulato la nozione di rifiuto in termini
riduttivi rispetto a quella derivante dalle direttive comunitarie 75/442/CE e
91/156/CE, in particolare avendo riferito il termine disfarsi alle sole
operazioni di smaltimento e di recupero del rifiuto, come definite nell'allegato
A) del D. Lgs n. 152/06, senza tener conto anche della attività di abbandono
della cosa; che, infatti, ci si può disfare di una cosa anche mediante una sua
oggettiva destinazione all'abbandono, prescindendo da una sua eventuale
riutilizzazione. Si deduce, quindi, che nel caso in esame lo stato di degrado
della copertura del capannone industriale, con il conseguente rilascio di fibre
di amianto, avrebbe dovuto indurre i giudici di merito a ravvisare a carico del
proprietario l'obbligo di disfarsi dello stesso. Si aggiunge che le lastre di
copertura proprio per il loro sfaldamento non possono essere riutilizzate,
sicché doveva escludersi la possibilità di accedere ad una interpretazione
restrittiva della nozione di rifiuto con riferimento a detta eventualità; che,
pertanto, la condotta dell'indagato non poteva essere inquadrata esclusivamente
nella fattispecie dell'illecito amministrativo di cui all'art. 15, comma
secondo, della L. n. 257/92. Si osserva infine che l'attività di abbandono non
deve necessariamente essere caratterizzata dal requisito e che la stessa assume
rilevanza di illecito penale e non meramente amministrativo in relazione alla
qualifica soggettiva di chi procede all'abbandono.
Sul secondo punto la pubblica accusa si è riportata alle osservazioni svolte nei
motivi di appello, osservando che l'aggravarsi della situazione di sfaldamento
della copertura rende possibile reiterarsi di fenomeni di scolo delle particelle
di amianto soprattutto nel periodo invernale. Con memoria difensiva il Rapino ha
dedotto la infondatezza del gravame.
Il ricorso non è fondato.
Osserva in primo luogo la Corte che l'art. 14 del D.L. 8.7.2002 n. 138,
convertito in L. 8.8.2002 n. 178, è stato abrogato dall'art. 264, primo comma
lett. 1), del D. Lgs n. 152/2006, sicché il riferimento della pubblica accusa
alla nozione di rifiuto, come delimitata dalla norma citata, si palesa
inconferente, dovendo tale nozione essere desunta esclusivamente dalla
formulazione dell'art. 183, primo comma lett. a), del testo unico attualmente
vigente, non modificato sul punto dal D. Lgs 16.1.2008 n. 4.
Ai sensi del disposto citato,
pertanto costituisce rifiuto, come peraltro in precedenza, "qualsiasi sostanza o
oggetto che rientra nelle categoria riportate nell'allegato A alla parte quarta
del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia
l'obbligo di disfarsi."
Peraltro, non influiscono sulla nozione di rifiuto, per quanto interessa ai fini
del presente giudizio, quella di sottoprodotto e quella di materia prima
secondaria, queste ultime, invece, modificate dal citato D. Lgs n. 4/2008, non
avendo le cose di cui si chiede il sequestro alcuna delle caratteristiche
proprie del sottoprodotto o della materia prima secondaria.
Sicché, per la definizione della nozione di rifiuto, deve farsi esclusivo
riferimento al concetto di disfarsi utilizzato dal legislatore nella
disposizione citata.
Sul punto a stato affermato da questa Suprema Corte che la definizione di
rifiuto deve essere improntata al criterio oggettivo della destinazione naturale
all'abbandono, non rilevando l'eventuale riutilizzazione sicché quando residuo
abbia il suddetto carattere ogni successiva fase di smaltimento rientra nella
disciplina sui rifiuti (cfr. sez. III, 11.5.2001 n. 19125).
Orbene, nel caso in esame, l'ordinanza ha correttamente affermato che non
possono farsi rientrare nella nozione di rifiuto le particelle di amianto che si
sono staccate dalle lastre di copertura del capannone per effetto del
dilavamento dovuto alle acque piovane, trattandosi di un fenomeno estraneo alla
volontà del detentore.
In ogni caso, peraltro, la richiesta di sequestro preventivo aveva ad oggetto il
capannone industriale ovvero le predette lastre di copertura e non certamente le
particelle contenenti fibre di amianto staccatesi dalle stesse per effetto delle
intemperie.
Con riferimento alla richiesta di sequestro dell'intero capannone industriale
ovvero delle sole lastre di copertura dello stesso si è rilevato nell'ordinanza
che la percentuale di deterioramento della copertura non è tale da far ritenere
che si sia in presenza di un fenomeno di abbandono incontrollato di rifiuti, con
valutazione di fatto non suscettibile di censura in sede di legittimità.
Peraltro, deve essere anche rilevato che la tettoia di copertura costituisce
parte integrante del capannone industriale, sicché, fino al momento in cui le
lastre di cemento amianto non vengono rimosse, sono prive di autonomia rispetto
al fabbricato di cui fanno parte e, pertanto, non possono essere qualificate
rifiuto.
Invero, non vi è alcuna condotta del detentore diretta a disfarsene e non
sussiste neppure, quale conseguenza della omessa manutenzione, un obbligo del
detentore di disfarsene, che deve essere espressamente previsto da norme o da
provvedimenti amministrativi.
Tali rilievi, peraltro, trovano rispondenza nella nozione di rifiuti di amianto,
di cui all'art. 2, primo comma lett. c) della L. 27.3.1992 n. 257, ai sensi del
cui disposto rientra in detta categoria "....qualsiasi sostanza o qualsiasi
oggetto contenente amianto che abbia perso la sua destinazione d' uso e..."
Né, infine, quale conseguenza della carenza di manutenzione della tettoia,
peraltro quantificata in termini particolarmente riduttivi in punto di fatto dai
giudici del riesame, può essere qualificato rifiuto l'intero capannone
industriale, in quanto manufatto edilizio per sua destinazione naturale
stabilmente collegato al suolo.
In ordine alla rilevata carenza di manutenzione della tettoia, peraltro, è
appena il case di osservare che un'eventuale situazione di pericolo derivante da
quanta accertato dall'ARTA trova rimedio nell'emanazione di appositi
provvedimenti da parte dell'autorità amministrativa e nell'applicazione delle
sanzioni conseguenti alla eventuale inottemperanza da parte del destinatario
degli stessi.
L'infondatezza del primo motivo di gravame rende superfluo l'esame del secondo.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 23.4.2008.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA 4/06/2008
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