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CORTE
DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 19/06/2008 (Ud. 20/03/2008), Sentenza n. 25117
URBANISTICA E EDILIZIA - Demolizione immobile abusivo - Procedura - Scadenza del
termine - Trasferimento automatico al patrimonio comunale. Il trasferimento
al patrimonio comunale della proprietà dell'immobile abusivo, automaticamente
conseguente alla scadenza del termine di novanta giorni fissato per
l'ottemperanza all'ordinanza di demolizione, non costituisce impedimento
giuridico a che il privato responsabile esegua l'ordine di demolizione
impartitogli dal giudice con la sentenza di condanna, salvo che l'autorità
comunale abbia dichiarato l'esistenza di interessi pubblici prevalenti rispetto
a quello del ripristino dell'assetto urbanistico violato (Cass. Sez. III sent.
28/11/2007, n. 4962). Il soggetto condannato può infatti richiedere al Comune,
divenuto medio tempore proprietario, l'autorizzazione a procedere alla
demolizione a proprie spese, così come può provvedervi, a spese del condannato,
l'autorità giudiziaria (Cass. pen. sent. 11/05/2005, n. 37120). Pres. Altieri
Est. Marmo Ric. Di Corrado. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 19/06/2008 (Ud.
20/03/2008), Sentenza n. 25117
URBANISTICA E EDILIZIA - Domanda di condono - Richiesta di sospensione del
processo - condizioni di applicabilità del condono - Verifica del Giudice.
Il giudice di merito ha il dovere di controllare la sussistenza delle condizioni
di applicabilità del condono in quanto si tratta di un potere di controllo
strettamente connesso all'esercizio della giurisdizione (Cass. Pen. 19 settembre
2007 n. 38072). Pres. Altieri Est. Marmo Ric. Di Corrado. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE Sez. III, 19/06/2008 (Ud. 20/03/2008), Sentenza n. 25117
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - URBANISTICA E EDILIZIA - Abusi edilizi commessi
in aree sottoposte a vincolo paesaggistico - Condono edilizio - Limiti - Abusi
edilizi minori. In tema di abusi edilizi commessi in aree sottoposte a
vincolo paesaggistico, la disciplina dettata dall'art. 32 del DL 30 settembre
2003, n. 269 ( convertito con modificazioni in legge 24 novembre 2003, n. 326)
esclude del tutto l'applicazione del condono edilizio per gli abusi edilizi
maggiori (nuove costruzioni o ristrutturazioni edilizie), mentre per gli abusi
edilizi minori (interventi di restauro, risanamento conservativo e manutenzione
straordinaria) lo consente a condizione che questi ultimi siano conformi alle
norme urbanistiche ovvero alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (Cass.
Pen. Sez. III sent. 11/04/2007, n. 35222). Pres. Altieri Est. Marmo Ric. Di
Corrado. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 19/06/2008 (Ud. 20/03/2008),
Sentenza n. 25117
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UDIENZA del 20/03/08
SENTENZA N. 00781/08
REG. GENERALE R.G.N..039929/2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ALTIERI ENRICO
Presidente
1.Dott. SQUASSONI CLAUDIA
Consigliere
2. " GENTILE MARIO
Consigliere
3. " FIALE ALDO
Consigliere
4. " MARMO MARGHERITA
Cons.Relatore
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da: DI CORRADO VALENTINA N. il 01/08/1982 avverso la
SENTENZA del 25/09/2007 CORTE APPELLO di PALERMO
Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso,
Udita in pubblica udienza la
relazione fatta dal Consigliere dott. MARMO MARGHERITA
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
ALFREDO MONTAGNA che ha concluso chiedendo dichiararsi il ricorso inammissibile
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pronunciata il 23 settembre 2002 il Tribunale di Palermo, sezione
distaccata di Carini, dichiarava Valentina Di Corrado responsabile:
A) dei reati di cui agli artt. 3 lett. b), 10, 29,31, 44 lett. c) dei D.P.R. n.
380 del 2001 per avere realizzato, senza munirsi del prescritto permesso di
costruire, un manufatto ad una elevazione fuori terra con strutture in cemento
armato e muri perimetrali in laterizi, con superficie pari a mq 224;
B) del reato di cui agli artt. 65 e 72 del d.p.r. n. 380 del 2001 per avere
iniziato l'opera suddetta omettendo di darne avviso all'Ufficio del Genio Civile
competente;
C) del reato di cui agli artt. 93 e 95 del D.P.R. n. 380 del 2001 per avere
iniziato i lavori abusivi descritti al capo A) in zona a rischio sismico, senza
averne dato preventivo avviso al Sindaco e all'Ufficio del Genio Civile di
Palermo;
D) del reato di cui agli artt. 94 e 95 del D.P.R. n. 380 del 2001 per avere
iniziato il lavori abusivi descritti al capo A) senza essere munita della
preventiva autorizzazione dell'Ufficio del Genio Civile competente e, con la
concessione delle attenuanti generiche, condannava l'imputata alla pena di
quattro mesi di arresto ed euro 23.000,00 di ammenda, con la concessione dei
doppi benefici di legge e con l'ordine di demolizione delle opere abusive.
A seguito di impugnazione proposta dall'imputata, con sentenza pronunciata il 25
settembre 2007 la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma
dell'impugnata sentenza, dichiarava non doversi procedere nei confronti
dell'appellante in ordine alle imputazioni di cui ai capi C) e D) per essere i
reati estinti per prescrizione e, per l'effetto, riduceva la pena inflitta dal
primo giudice a quattro mesi di arresto ed euro 22.400,00 di ammenda,
confermando nel resto l'impugnata sentenza.
Ha proposto ricorso per cassazione la Di Corrado chiedendo l'annullamento
dell'impugnata sentenza per i motivi che saranno nel prosieguo analiticamente
esaminati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione di cui all'art. 606
lettera B) c.p.p. per inosservanza nell'applicazione del comma 25 dell'art. 32
del D.L. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003.
Rileva il ricorrente che tale norma stabilisce che le disposizioni di cui ai
capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, come ulteriormente modificato
dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 e successive modificazioni,
nonché dal presente articolo si applicano alle opere abusive che risultino
ultimate entro il 31 marzo 2003.
L'art. 39, contenuto nel capo IV della legge n. 47/85 stabilisce, a sua volta,
che il pagamento dell'oblazione, qualora le opere non possano conseguire la
sanatoria, estingue i reati contravvenzionali di cui all'art. 38.
Secondo il ricorrente la sentenza impugnata aveva disapplicato tali articoli di
legge.
La Corte Territoriale, infatti, anziché procedere ad una valutazione giuridica
del fatto, si era preoccupata di esaminare i rilievi planimetrici e la
volumetria del manufatto, disinteressandosi dal verificare la sussistenza della
causa estintiva del reato, costituita, ai sensi dell'art. 39 della legge n. 47
del 1985, dall'esistenza del certificato di congruità, già acquisito nel
giudizio di primo grado.
Si era quindi preoccupata di verificare la sanabilità delle opere sotto il
profilo amministrativo, quasi avesse dovuto rilasciare il permesso in sanatoria,
senza accertare la sussistenza del fatto reato e la presenza di una causa di
estinzione.
La sentenza impugnata emessa dalla Corte di Appello di Palermo contraddiceva
inoltre altre sue pronuncia nella stessa materia e non aveva tenuto conto della
circolare n. 2699 del 5 dicembre 2005 del Ministro delle Infrastrutture e dei
Trasporti che, a sua volta, aveva richiamato quanto affermato dalla Corte
Costituzionale con le sentenza n. 196,198,199 del 28 giugno 1994.
La Consulta, in tali sentenze, aveva chiarito che l'effetto estintivo penale si
produce a prescindere dalla concessione della sanatoria amministrativa per il
solo rilascio di congruità dell'oblazione.
Secondo il ricorrente il legislatore aveva inteso distinguere, da un lato,
l'estinzione dei reati edilizi, che consegue al pagamento dell'oblazione e,
dall'altro, la sanatoria amministrativa che si consegue, dopo l'iter
amministrativo, con il rilascio del relativo titolo o con il decorso del termine
di ventiquattro mesi. Inoltre il legislatore aveva individuato un'altra causa di
estinzione dei reati edilizi che consegue con il decorso del termine di
trentasei mesi dalla presentazione della domanda di sanatoria.
Il motivo è palesemente infondato e va dichiarato inammissibile.
In primo luogo si rileva che, come ha chiarito questa Corte, (v. per tutte Cass.
Pen. 19 settembre 2007 n. 38072), (anche se con specifico riferimento alla
sospensione del processo in relazione alla presentazione della domanda di
condono), il giudice di merito ha il dovere di controllare la sussistenza delle
condizioni di applicabilità del condono in quanto si tratta di un potere di
controllo strettamente connesso all'esercizio della giurisdizione.
Deve poi rilevarsi che, come è specificato nelle sentenze di merito, la zona
dove è stato edificato il manufatto abusivo è sottoposta anche a vincolo
paesaggistico.
Trova quindi applicazione il principio affermato da questa Corte ( Cass. Pen.
Sez. III sent. 11 aprile 2007, n. 35222 ) secondo cui " in tema di abusi edilizi
commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, la disciplina dettata
dall'art. 32 del DL 30 settembre 2003, n. 269 ( convertito con modificazioni in
legge 24 novembre 2003, n. 326) esclude del tutto l'applicazione del condono
edilizio per gli abusi edilizi maggiori (nuove costruzioni o ristrutturazioni
edilizie), mentre per gli abusi edilizi minori ( interventi di restauro,
risanamento conservativo e manutenzione straordinaria ) lo consente a condizione
che questi ultimi siano conformi alle norme urbanistiche ovvero alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici".
Inoltre è necessario che le opere siano state realizzate prima dell'imposizione
del vincolo, siano sostanzialmente conformi agli strumenti urbanistici e le
difformità consistano in quelle analiticamente indicate nell'art. 32 della legge
n. 47 del 1985.
Nel caso in esame la Corte di merito ha adeguatamente motivato, con riferimento
ai principi affermati da questa Corte e a quelli indicati dalla Corte
Costituzionale con la sentenza n. 196 del 2004 secondo cui le limitazioni
previste dal comma 27 dell'art. 32 del DL n. 269 del 2003 convertito nella legge
numero 326 del 2003 devono sommarsi a quelle già vigenti per effetto degli artt.
32 e 33 della legge n. 47 del 1985.
La Corte Territoriale ha infatti specificato che non può aggirarsi il limite
imposto dalla normativa in forza del disposto contenuto nell'art. 39 della legge
n. 47 del 1985, secondo il quale il solo versamento dell'abitazione comporta
l'estinzione immediata dei reati edilizi ed urbanistici, seppure le opere
relative non siano suscettibili di sanatoria.
Tale norma va infatti coordinata con le nuove disposizioni del d.l. n. 269 del
2003, convertito nella legge n. 326 del 2003, secondo cui l'effetto estintivo
del condono non opera nell'immediato ma solo a seguito dell'esaurimento della
procedura amministrativa e comunque non è applicabile agli abusi commessi su
immobili sottoposti a vincolo, specie se di natura paesaggistica se non nei
limiti di cui al citato articolo 32 della legge n. 326 del 24 novembre 2003 per
le opere di minima entità. Tra queste ultime, come hanno specificato i giudici
di merito, non rientra, per le sue dimensioni, il manufatto in oggetto.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione di cui all'art. 606
lettera e del codice di procedura penale per omessa motivazione risultante dal
testo della sentenza impugnata in ordine all'applicazione dell'art. 31 del
d.p.r. n. 380 del 2001.
Deduce la ricorrente che la Corte territoriale non aveva dato adeguata
motivazione in merito alla doglianza contenuta nel secondo motivo di appello
circa l'impossibilità del giudice ordinario di ordinare la demolizione delle
opere abusive se prima non fosse stato accertato quale fosse stata la
destinazione del manufatto abusivo.
Era infatti necessario accertare se il fabbricato fosse stato acquisito al
patrimonio indisponibile del Comune.
Solo in caso negativo il giudice avrebbe potuto disporre l'ordine di demolizione
poiché (in caso contrario non solo avrebbe dovuto imporre un facere alla
pubblica amministrazione ma avrebbe emesso un ordine nei confronti di un
soggetto che non aveva preso parte al processo.
Anche il secondo motivo è palesemente infondato e va dichiarato inammissibile.
La Corte di merito ha in proposito correttamente precisato che l'ordine di
demolizione consegue per legge, ai sensi dell'art. 7 ultimo comma della legge n.
47 del 1985 ( ora sostituito dall'art. 31 comma 9 del d.p.r. n. 380 del 2001),
alla sentenza di condanna per uno dei fatti sanzionati dall'art. 20 della
medesima legge.
Perché possa ritenersi sussistente un impedimento assoluto dell'imputato a
procedere alla demolizione non è quindi sufficiente il decorso del termine di
novanta giorni dall'ingiunzione di demolizione emesso dall'autorità
amministrativa, dovendo dimostrarsi che all'acquisizione del bene abusivamente
edificato al patrimoinio indisponibile del Comune è seguita la trascrizione
dell'acquisto nei registri immobiliari che dà luogo ad un impedimento assoluto
dell'imputato di provvedere alla demolizione.
Nel caso in esame non era stata fornita la prova dell'irreversibile ablazione
del diritto di proprietà e comunque la questione avrebbe potuto sempre essere
fatta valere dall'imputata in sede di incidente di esecuzione.
E comunque assorbente il rilievo che, come ha precisato questa Corte, ( v. per
tutte Cass. Oen. Sez. III sent. 28 novembre 2007, n. 4962) il
trasferimento al patrimonio comunale della proprietà dell'immobile abusivo,
automaticamente conseguente alla scadenza del termine di novanta giorni fissato
per l'ottemperanza all'ordinanza di demolizione, non costituisce impedimento
giuridico a che il privato responsabile esegua l'ordine di demolizione
impartitogli dal giudice con la sentenza di condanna, salvo che l'autorità
comunale abbia dichiarato l'esistenza di interessi pubblici prevalenti rispetto
a quello del ripristino dell'assetto urbanistico violato. Il soggetto condannato
può infatti richiedere al. Comune, divenuto medio tempore proprietario,
l'autorizzazione a procedere alla demolizione a proprie spese, così come può
provvedervi, a spese del condannato, l'autorità giudiziaria ( v. in tal senso
Cass. pen. sent. 11 maggio 2005, n. 37120).
Va quindi dichiarato inammissibile il ricorso, con conseguente condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria in
favore della Cassa delle Ammende nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma il 20 marzo 2008
Deposito in Cancelleria 19/06/2008
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