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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/09/2008 (Ud. 26/06/2008), Sentenza n. 35927
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Scavi clandestini - Reato d'impossessamento
illecito di beni culturali - Dichiarazione d'interesse artistico, storico,
archeologico o etnoantropologico - Necessità - Esclusione - Art. 176 D. L.vo n.
42/2004 - Fattispecie. Ai fini della configurabilità del reato
d'impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato di cui
all'articolo 176 del decreto legislativo n. 42 del 2004, non è necessaria la
preesistenza di un provvedimento che dichiari l'interesse artistico, storico,
archeologico o etnoantropologico delle cose delle quali il privato sia entrato
in possesso, atteso che i beni di cui all'articolo 10 del decreto legislativo n.
42 appartengono allo Stato sulla base del semplice accertamento del loro
interesse culturale, salvo che il possessore non fornisca la prova della
legittima proprietà degli stessi (Cass 39109 del 2006; n 35226 del 2007). Nella
fattispecie l'interesse culturale del bene discende dalla sua stessa natura,
dalle modalità del rinvenimento (scavi clandestini) e dalla testimonianza della
dirigente del museo archeologico. Pres. De Maio Rel. Petti Ric. De Martino. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III,
19/09/2008 (Ud. 26/06/2008), Sentenza n. 35927
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Reato d'impossessamento illecito di beni culturali -
Art. 176 D. L.vo n. 42/2004 e art. 125 D.Lgs. n. 490/1999 - Continuità
normativa. Sussiste una continuità normativa, ai fini della configurabilità
del reato di cui all'articolo 176 del decreto legislativo n. 42 del 2004 con
l'ex art. 125 del D.Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490. Pres. De Maio Rel. Petti Ric. De Martino. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III,
19/09/2008 (Ud. 26/06/2008), Sentenza n. 35927
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UDIENZA 26.6.2008
SENTENZA N. 1652
REG. GENERALE n.7040/08
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Signori
Dott. Guido DE MAIO Presidente
Dott. Agostino CORDOVA Consigliere
Dott. Ciro PETTI Consigliere
Dott. Aldo FIALE Consigliere
Dott. Luigi MARINI Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
-
sul ricorso proposto dal difensore di De Martino Carlo, nato a Paternò il 22
luglio del 1947 e De Martino Carmelo, nato a Paternò il 22 giugno del 1950,
avverso la sentenza della corte d'appello di Palermo del 14 novembre del 2007;
-
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Ciro Petti;
-
sentito il sostituto procuratore generale nella persona del dott. Francesco
Salzano, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
-
letti il ricorso e la sentenza denunciata, osserva quanto
segue:
IN FATTO
La corte d'appello di Palermo, con sentenza del 24 novembre del 2007, in
parziale riforma di quella resa con il rito abbreviato dal tribunale di Termini Imerese, sezione distaccata di Cefalù, concedeva a De Martino Carlo e De Martino
Carmelo le circostanze attenuanti generiche e, di conseguenza, riduceva a mesi
sei di reclusione ed euro 140,00 di multa la pena inflitta a De Martino Carlo ed
a mesi quattro di reclusione e 140,00 di multa quella inflitta a De Martino
Carmelo; confermava nel resto l'impugnata sentenza.
I predetti erano stati ritenuti responsabili del reato di agli artt. 110 c.p.
125 decreto legislativo n. 490 del 1999 per essersi impossessati, a seguito di
scavi clandestini, di monete e di due piombi appartenenti allo Stato perché
d'interesse archeologico, in quanto risalenti al terzo ,quarto secolo avanti
Cristo. Fatto accertato in Petraia Sottana l'8 novembre del 2003.
Ricorrono per cassazione i due imputati deducendo la violazione della norma
incriminatrice perché non tutti i beni rinvenuti sono d'interesse storico,
archeologico, ecc, ma solo quelli che rivestono tale carattere ed il relativo
accertamento è demandato alla pubblica amministrazione a seguito di formale
provvedimento. Nella fattispecie l'accertamento sulla natura del bene si fonda
sulla sola dichiarazione della teste Luciana Gandolfo dirigente del Museo
Archeologico regionale.
IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza del motivo.
Premesso che i due imputati sono stati sorpresi in ora notturna in una zona
archeologica subito dopo essersi, a seguito di scavi abusivi, impossessati delle
monete e degli altri oggetti indicati nel capo d'imputazione, ritenuti dalla
dirigente del Museo Archeologico risalenti al terzo o quarto secolo avanti
Cristo, si osserva che, secondo la prevalente giurisprudenza di questa corte, adottata sotto la vigenza del decreto legislativo n. 490 del 1999, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 125 del D.Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490 (impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato), non era
necessario che i beni fossero qualificati come tali da un formale provvedimento
della pubblica amministrazione, essendo sufficiente la desumibilità della loro
natura culturale dalle stesse caratteristiche dell'oggetto, o dalle
dichiarazioni rese dai competenti organi della pubblica amministrazione, non
essendo richiesto un particolare pregio per i beni culturali di cui all'art. 2,
comma primo, del citato decreto n. 490 (cfr Cass 42291 del 2001;47922 del
2003). Il suddetto orientamento è stato ribadito anche sotto la vigenza del
decreto legislativo n. 42 del 2004. In proposito si è statuito che, ai fini
della configurabilità del reato d'impossessamento illecito di beni culturali
appartenenti allo Stato di cui all'articolo 176 del decreto legislativo n. 42 del
2004, non è necessaria la preesistenza di un provvedimento che dichiari
l'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico delle cose
delle quali il privato sia entrato in possesso, atteso che i beni di cui
all'articolo 10 del decreto legislativo n. 42 appartengono allo Stato sulla base
del semplice accertamento del loro interesse culturale, salvo che il possessore
non fornisca la prova della legittima proprietà degli stessi (Cass 39109 del
2006; n 35226 del 2007)
Nella fattispecie l'interesse culturale del bene
discende dalla sua stessa natura, dalle modalità del rinvenimento (scavi
clandestini) e dalla testimonianza della dirigente del museo archeologico.
Dall'inammissibilità del ricorso discende l'obbligo di pagare le spese
processuali e di versare una somma , che stimasi equo determinare in € 1000,00 ,
in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza
di colpa del ricorrente nella determinazione della causa d'inammissibilità
secondo l'orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.186
del 2000.
P.Q.M.
LA CORTE
Letto l’art. 616 c.p.p.
DICHIARA
Inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle
spese processuali e ciascuno al versamento della somma di €1000,00 in favore
della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma il 26 giugno del 2008
Deposito in Cancelleria il 19/09/2008
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