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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006  - ISSN 1974-9562



CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 1/10/2008 (Ud. 11/04/2008), Sentenza n. 37253



URBANISTICA ED EDILIZIA - Trasformazione abusiva di volumi tecnici in abitativi - Art.20, lett.b) L. n.47/1985 e succ. mod. - Configurabilità.
La realizzazione di vani abitativi in numero maggiore di quelli autorizzati, con abusiva trasformazione di volumi tecnici in superfici e volumi destinati ad uso abitativo, non integra affatto una ipotesi di aumento delle "cubature accessorie" o di "diversa distribuzione interna delle singole unità abitative", bensì comporta una significativa modifica delle opere realizzate rispetto a quelle assentite e ha come risultato un "carico abitativo" non previsto. (Cass. Sez. 3° Penale, sentenza n.22866 del 19/04/-13/06/2007, Laudani; Cass. sentenza n.17359 dell'8/03/-8/05/2007, PM in proc.Vazza).Pres. De Maio, Rel. Marini, Ric. Mazzone ed altri. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 1/10/2008 (Ud. 11/06/2008), Sentenza n. 37253


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UDIENZA 11/06/2008

SENTENZA N. 1472

REG. GENERALE N.23910/07


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale



Composta dagli Ill.mi Sigg.:


Dott. De Maio Guido         Presidente
Dott. Cordova Agostino     Consigliere
Dott. Onorato Pierluigi      Consigliere
Dott. Fiale Aldo                Consigliere
Dott. Marini Luigi              Consigliere est.

ha pronunciato la seguente


SENTENZA


Sui ricorsi proposti da:
MAllONE MARCELLO, nato a Tempio Pausania il 18 Gennaio 1970

MAllONI FRANCO, nato a Tempio Pausania il 1° Dicembre 1967

MANDARINO GESUINO, nato a Tempio Pausania il 5 Gennaio 1947

VARGIU GIOVANNI MARIA, nato a Tempio Pausania il 30 Marzo 1964

MUZZU VITTORIO, nato a Tempio Pausania il 10 Giugno 1959
Avverso la sentenza emessa in data 26 Settembre 2006 dalla Corte di Appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, che ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Tempio Pausania che li ha ritenuti responsabili della contravvenzione contestata sensi dell'art.20, lett.b) della legge 28 febbraio 1985, n.47 e, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, li ha condannati ciascuno alla pena di venti giorni di arresto e euro 10.000,00 di ammenda.


Fatto accertato il 19 Gennaio 2001
Sentita la relazione effettuata dal Consigliere LUIGI MARINI
Udito il Pubblico Ministero nella persona del CONS. LUIGI CIAMPOLI, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza per prescrizione.
Udito il Difensore, Avv. GIOVANNI MARIA ORECCHIONI, che ha concluso per l'accoglimento dei ricorsi.


RILEVA


I Sigg.Mazzone e Mazzoni, quali committenti dei lavori, il Sig.Mazzu, quale direttore dei lavori, ed i Sigg.Mandarino e Vargiu, quali esecutori delle opere, sono stati tratti a giudizio per rispondere del reato previsto dall'art.20, lett.b) legge 28 febbraio 1985, n.47 per avere abusivamente trasformato e destinato a fini abitativi alcuni vani che secondo la concessione edilizia avrebbero dovuto fungere da locali tecnici dell'immobile (autorimessa, locale caldaia, cantina).


Il Tribunale di tempio Pausania ha accolto la prospettazione accusatoria, ritenendo che le opere abusive abbiano creato una "volumetria" non prevista e si pongano in contrasto con la concessione e con gli strumenti urbanistici.


Avverso tale decisione gli imputati hanno proposto appello evidenziando, in sintesi:

a) che l'immobile ricade in zona agricola e che non può parlarsi di destinazione residenziale;

b) che si è in presenza di variazioni non essenziali e non assoggettate a concessione;

c) che le eventuali difformità non assumono alcun rilievo penale, posto che non incidono sulla volumetria complessiva e non sono riconducibili al dettato dell'art.8 della citata legge n. legge 28 febbraio 1985, n.47;

d) le variazioni sono state autorizzate in corso d'opera, e non vi è contrasto con gli strumenti urbanistici;

e) l'eventuale cambio di destinazione d'uso ha carattere solo funzionale è non ha richiesto intervento strutturali;

f) nessuna responsabilità può cadere sul direttore e gli esecutori dei lavori, posto che furono i proprietari ad attrezzare di propria iniziativa i locali senza coinvolgere in alcun modo interventi sulle strutture dell'immobile.


La Corte di Appello, dopo avere escluso il maturare dei termini prescrizionali, con la sentenza impugnata ha affermato:

a) che la realizzazione di non previsti spazi abitativi aumenta in modo significativo la volumetria utile dell'immobile, dal cui calcolo restano esclusi i vani tecnici;

b) la trasformazione dei locali è stata effettuata con la predisposizione di impianti, di allacciature per i servizi, di sistema di riscaldamento, di bagni e di caminetti, nonché mediante arredamento comprensivo di cucina su misura, di letto, di accessori elettrici;

c) gli interventi non si sono limitati all'arredo e a opere provvisorie, ma hanno natura strutturale;

d) detti interventi furono autorizzati con varianti in corso d'opera compatibili con la natura dei locali prevista nel provvedimento concessorio, natura che avrebbero dovuto conservare, mentre mai è stato autorizzato il mutamento di destinazione;

e) così ricostruiti i fatti, deve ritenersi che la responsabilità anche del direttore e degli esecutori dei lavori discenda dalla consistenza, dalle caratteristiche e dalle evidenti finalità degli interventi non autorizzati effettuati (tracce e allacci degli impianti; realizzazione di un servizio igienico non previsto nel progetto; servizio di riscaldamento);

f) la posteriore autorizzazione in sanatoria non esclude la rilevanza penale dei fatti contestati.


Da tali considerazioni discende la conferma della sentenza di primo grado.


Con separati ricorsi presentati tramite il comune difensore, tutti gli imputati propongono ricorso per cassazione mediante la proposizione di motivi coincidenti.


Con primo motivo lamentano violazione di legge (in particolare artt.31-32 T.U. urbanistica in relazione agli artt.7-8 legge 28 febbraio 1985, n.47, agli artt.4-6 della alla legge regionale in materia) e travisamento della prova e vizio di motivazione: una volta escluso che le modificazioni abbiano comportato modifica della sagoma, nei prospetti e nella volumetria e che il cambio di uso abbia inciso su tali aspetti, erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto integrati i presupposti che la legge regionale e la disciplina nazionale fissano per il concetto di difformità di quanto realizzato rispetto a quanto assentito e, quindi, per la rilevanza penale delle modifiche; decisione che appare contraddittoria rispetto all'assoluzione di altra imputata che aveva realizzato un forno a legna e un caminetto e apportato modifiche alla facciata dell'immobile (spostamento di una finestra), opere che la Corte ha ritenuto non rilevanti penalmente.


Con secondo motivo lamentano violazione di legge (art.25 legge 47 del 1985; artt.11-12 della L.R.Sardegna n.23 del 1985) per avere la Corte ritenuto che sussista mutamento di destinazione penalmente rilevante sebbene non siano state effettuate opere strutturali.


Con terzo motivo lamentano violazione dell'art.32 del d.l. 30 settembre 2003, convertito con legge 24 novembre 2003, n.326, ed omessa motivazione. Osservano i ricorrenti che nel caso in esame non è stata presentata domanda di sanatoria, né è stata fatta richiesta di sospensione del dibattimento, per cui la Corte territoriale ha omesso erroneamente di prendere atto dell'avvenuta prescrizione dei reati non potendo considerarsi automatica la sospensione del processo e dei termini di prescrizione e non sussistendo i presupposti per la sospensione.


Per quanto riguarda il ricorso del Sig.Muzzu, deve rilevarsi la presenza di uno specifico motivo (n.2 bis) che lamenta la violazione dell'art.29 del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380. Erronea sarebbe secondo il ricorrente la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, dovendo prendere atto dell'avvenuta autorizzazione delle varianti in corso d'opera, omette di considerare che non sussiste alcuna violazione dei doveri del direttore dei lavori e omette di illustrare le ragioni dell'eventuale contributo causale fornito dal ricorrente stesso alla commissione dell'illecito.


Impostazione di fondo è contenuto nel motivo 2 bis dei ricorsi presentati dai Sigg.Mandarino e Vargiu, secondo i quali nessuna responsabilità dei costruttori può discendere dalla realizzazione di opere non strutturali, per di più autorizzate dalla pubblica amministrazione, non risultando certo riferibili agli stessi costruttori le condotte tenute dai committenti mediante la dotazione dei locali con arredi e servizi.


OSSERVA


I ricorsi sono manifestamente infondati e devono essere dichiarati inammissibili nei termini che seguono.


Non possono in primo luogo condividersi le censure mosse alla sentenza impugnata nella parte in cui lamentano vizio di motivazione. La Corte di Appello, infatti, ha affrontato i temi proposti con i motivi di appello, sia con riferimento alla natura ed alla rilevanza delle opere in rapporto alla contestata modifica della destinazione d'uso di alcuni vani sia con riferimento al consapevole contributo fornito da tutti i ricorrenti al verificarsi della situazione di illegalità.


La motivazione della decisione impugnata appare coerente con il materiale probatorio in atti e immune da vizi logici. In particolare, appaiono corretti e condivisibili sul piano logico i punti 4 e 5 della motivazione stessa, nella parte in cui prendono atto delle modifiche apportate sul piano strutturale rispetto al progetto di intervento autorizzato e ne considerano la rilevanza ai fini dell'indebito aumento di superficie e cubatura, e, per giro verso, affermano che l'avvenuta autorizzazione di varianti in corso d'opera non può avere valore escludente l'illiceità dell'intervento, dal momento che dette varianti furono presentate senza dare conto della diversa destinazione dei vani e, quindi, prospettando all'amministrazione una situazione di fatto intenzionalmente diversa da quella effettiva.


Sulla base di tale ricostruzione dei fatti e di tale valutazione della loro rilevanza penale, la motivazione al punto 6 affronta la specifica posizione degli esecutori delle opere e del direttore dei lavori, esponendo in modo chiaro e coerente le ragioni che hanno portato i giudicanti ad escludere l'assenza di una cooperazione dei ricorrenti al risultato illecito e ad affermare che gli interventi edificativi da loro apportati (modifiche ai vani accompagnate dalla predisposizione degli allacci e dei servizi) impongono di confermare il giudizio di responsabilità effettuato dai primi giudici.


A tal proposito questa Corte ritiene di condividere il principio, affermato in modo convincente da precedenti decisioni, che quando le sentenze di primo e secondo grado "concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente" (Prima Sezione Penale, sentenza n.8886 del 26 giugno-8 agosto 2000, Sangiorgi, rv 216906). Da tale principio discende, nel caso in esame, che i motivi di ricorso devono essere esaminati alla luce della complessiva motivazione adottata da entrambe le decisioni di merito, così che la convincente esposizione delle ragioni di conferma operata dai giudici di appello trova una solida base di riferimento nella motivazione che i primi giudici hanno fornito sulla ricostruzione del fatto e sulla rilevanza giuridica delle condotte attribuite a ciascuno degli imputati.


Fatte queste premesse in ordine all'assenza di vizi motivazionali, la Corte ritiene di condividere pienamente la valutazione operata dai giudici di appello circa la sussumibilità dei fatti accertati all'interno della fattispecie contestata. La realizzazione di vani abitativi in numero maggiore di quelli autorizzati, con abusiva trasformazione di volumi tecnici in superfici e volumi destinati ad uso abitativo, non integra affatto, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, una ipotesi di aumento delle "cubature accessorie" o di "diversa distribuzione interna delle singole unità abitative", bensì comporta una significativa modifica delle opere realizzate rispetto a quelle assentite e ha come risultato un "carico abitativo" non previsto. Tali elementi integrano, per costante giurisprudenza di questa Corte, gli estremi del reato contestato (Terza Sezione Penale, sentenza n.22866 del 19 aprile-13 giugno 2007, Laudani, rv 236881; sentenza n.17359 dell'8 marzo-8 maggio 2007, PM in proc.Vazza, rv 236493).


Sulla base delle considerazioni fin qui svolte i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.


Infine, la Corte ritiene non accoglibile la richiesta di annullamento della sentenza impugnata per estinzione dei reati a seguito di maturazione dei termini prescrizionali.


La data di commissione dei reati è stata fissata al 19 giugno 2001 e la sentenza di primo grado è stata pronunciata anteriormente all'entrata in vigore della legge n.251 del 2005, con la conseguenza che ai fatti in contestazione deve applicarsi la previgente disciplina in tema di durata e sospensione dei termini di prescrizione. Ne consegue che all'originaria scadenza dei termini massimi (19 dicembre 2005) devono aggiungersi un anno, quattro mesi e sette giorni quali conseguenza della sospensione (dal 2 ottobre 2003 al 29 gennaio 2004) discendente dall'applicazione del d.l. 30 settembre 2003, n.269, convertito con legge 24 novembre 2003, n.326, nonché di quella (dal 29 gennaio 2004 al 10 febbraio 2005) discendente dal provvedimento di rinvio adottato all'udienza del 29 gennaio 2004.


Il termine massimo di prescrizione, pertanto, è spirato in data 23 aprile 2007, e quindi successivamente alla pronuncia della sentenza oggi impugnata. Alla originaria inammissibilità dei ricorsi per costante giurisprudenza di questa Corte consegue la non rilevanza della scadenza dei termini di prescrizione intervenuta nelle more del ricorso per cassazione (Cass., Sezioni Unite Penali, sentenza n.33542 del 27 giugno-11 settembre 2001, Cavaliera, rv 219531).


Alla inammissibilità dei ricorsi segue l'onere per i ricorrenti, ai sensi dell'art.616 c.p.p., di sostenere in solido le spese del procedimento.


Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che i ricorrenti versino ciascuno la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende


P.Q.M.


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio, nonché ciascuno di essi al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.


Così deciso in Roma il giorno 11 Giugno 2008


 


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