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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 9/10/2008 (Ud. 09/07/2008), Sentenza n. 38408
URBANISTICA ED EDILIZIA - Sagoma di un edificio - Elementi di identificazione -
Modificazione sagoma - Conseguenze. In materia urbanistica, la modificazione
dell’altezza, anche di un vano, di un edifico comporta una mutamento dell'intera
sagoma. Per sagoma s’identifica il perimetro dell'immobile inteso sia in senso
verticale sia orizzontale, in quanto concerne il contorno che l'edificio assume.
Inoltre, anche l'aumento d'altezza del sottotetto può comportare una
modificazione di destinazione perché suscettibile di trasformare in unità
abitale un vano tecnico non abitabile. Pres. De Maio, Est. Petti, Ric. Vela
(conferma corte d'appello di Roma del 18/06/ 2007). CORTE DI CASSAZIONE
PENALE, Sez. III, 9/10/2008 (Ud. 09/07/2008), Sentenza n. 38408
URBANISTICA ED EDILIZIA - Rustico - Condono edilizio - Applicabilità della
sanatoria - Completamento dell’immobile - Completamento di tutte le strutture
essenziali - Necessità - Art. 31 c. 2° L. n. 47/1985. A norma dell'articolo
31 comma secondo della legge n 47 del 1985, richiamato dalla normativa sul
condono edilizio, ai fini dell'applicabilità della sanatoria, si intendono
ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la
copertura. Un immobile si considera ultimato al rustico dopo il completamento di
tutte le strutture essenziali, tra le quali vanno ricompresse le tamponature
esterne, posto che queste determinano l'isolamento dell'immobile dall'intemperie
e configurano l'opera nella sua volumetria (Cass. 26119 del 2004). Pres. De Maio,
Est. Petti, Ric. Vela (conferma corte d'appello di Roma del 18/06/ 2007).
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 9/10/2008 (Ud. 09/07/2008), Sentenza n.
38408
URBANISTICA ED EDILIZIA - Condono edilizio - Applicabilità - Causa di
estinzione del reato - Potere di accertamento - Giudice penale - Competenza -
Potestà riservata alla P.A. - Esclusione - C.d. sanatoria "amministrativa".
In tema di condono edilizio, compete al giudice penale il potere di accertamento
di tutti gli elementi della fattispecie estintiva, fra i quali vi è l'osservanza
del limite temporale e di quello volumetrico costituenti parametri stabiliti dal
legislatore per la definizione dell'ambito di operatività del condono medesimo.
Il controllo sulla loro ricorrenza non costituisce esercizio di una potestà
riservata alla P.A. (alla quale competono tutti gli accertamenti relativi alla
sanatoria "amministrativa"), spettando al giudice penale il potere-dovere di
espletare ogni accertamento per stabilire l'applicabilità della causa di
estinzione del reato (Cass. n. 5031/2000; Cass. n. 5376/1998: Cass. n.
9680/1996). Pres. De Maio, Est. Petti, Ric. Vela (conferma corte d'appello di
Roma del 18/06/ 2007). CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 9/10/2008 (Ud.
09/07/2008), Sentenza n. 38408
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UDIENZA del 9.7.2008
SENTENZA N. 1780
REG. GENERALE n. 15683/08
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dai sigg. magistrati:
Dott. Guido De Maio
presidente
Dott. Agostino Cordova
consigliere
Dott. Pierluigi Onorato
consigliere
Dott. Ciro Petti
consigliere
Dott. Aldo Fiale
consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
- sul ricorso proposto dal difensore di Vela Adriano, nato a Pellagra il 9
ottobre del 1942 ; Pepe Antonino, nato a Rocca Santo Stefano l'11 aprile del
1946 e Vela Amerigo, nato a Bellegra il 17 settembre del 1950, avverso la
sentenza della corte d'appello di Roma del 18 giugno del 2007;
- udita la relazione svolta del consigliere dott. Ciro Petti;
- sentito il procuratore generale nella persona del dott. Santi Consolo, il
quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
- udito il difensore avv Angelo
Fiumara, il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso ;
- letti il ricorso e la sentenza denunciata osserva quanto segue:
IN FATTO
La corte d'appello di Roma, con sentenza del 18 giugno del 2007, confermava
quella resa il 29 novembre del 2005 dal tribunale di Tivoli, sezione distaccata
di Palestrina, con cui Vela Adriano, Vela Amerigo e Pepe Antonino, erano stati
condannati alla pena di gg 20 di arresto ed euro 4000 di ammenda, quali
responsabili, in concorso tra loro, del reato di cui all'articolo 44 lettera b)
del D.P.R. n 380 del 2001, per avere realizzato la costruzione di tre palazzine
con ampliamenti di cubatura rispetto al progetto approvato. Fatto commesso il 16
febbraio del 2004.
La corte, dopo avere precisato che l'affermazione del tribunale, secondo il
quale gli imputati erano sprovvisti di titolo abilitativo, è frutto di una
banale svista nel senso che i prevenuti non avevano realizzato l'opera in
assenza di titolo abilitativo, ma con difformità totali, osservava:
a) che non si era verificata alcuna abolitio criminis per effetto del differimento dell'entrata in vigore del testo unico;
b) che il fatto contestato non poteva essere inquadrato nell'ipotesi di cui alla lettera a) dell'articolo 44 del testo unico, in quanto tale norma si riferisce a variazioni di minima entità; che la costruzione alla data del sequestro (16 febbraio del 2004) era in atto e quindi gli abusi, non risultando ultimati entro il 31 marzo dei 2003, non erano condonabile.
Ricorrono per cassazione gli imputati per mezzo del comune difensore deducendo:
1) la nullità della sentenza per la violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p. in
quanto, mentre nel capo d'imputazione si era contestata la costruzione in
variazione essenziale, la quale è punita a norma dell'articolo 44 lettera a) del
testo unico, se l'intervento non riguarda beni vincolati, nella sentenza era
stata pronunciata condanna per la difformità totale dal progetto;
2) la violazione della norma incriminatrice perché il fatto contestato, avuto
riguardo all'epoca della realizzazione, non costituisce reato per l'abrogazione
dell'articolo 20 della legge n 47 del 1986 disposta con l'articolo 136 del testo
unico; : il differimento dell'entrata in vigore del testo unico, secondo il
difensore, non avrebbe fatto venir meno l'effetto abrogativo;
3) la violazione degli artt. 31, 32 e 33 del testo unico sull'edilizia poiché le
difformità non erano totali ma di lieve entità e quindi,non è configurabile il
reato ritenuto in sentenza: sostengono che il lieve aumento dell'altezza
prevista nel progetto aveva comportato un lieve aumento di cubatura e quindi il
fatto configura l'ipotesi contravvenzionale di cui alla lettera a) dell'articolo
44 del testo unico;
4) omessa motivazione sull'entità e natura delle difformità;
5) la violazione dell'articolo 32 della legge n 326 del 2003 per l'omessa
sospensione del procedimento a seguito della presentazione della domanda di
condono e per l'omessa declaratoria di estinzione del reato: assumono che alla
data del 31 marzo del 2003 gli immobili erano completi al rustico;
6) la violazione dell'articolo 479 c.p.p. per l'omessa sospensione del
procedimento a seguito della presentazione del ricorso amministrativo avverso
l'ordine di demolizione emesso dal dirigente responsabile del comune di Bellegra;
7) omessa declaratoria di estinzione del reato per prescrizione posto che gli
immobili erano stati ultimati nel febbraio del 2003 o, alternativamente ,per il
rilascio del permesso in sanatoria.
Con motivi aggiunti si è eccepita altresì la nullità della notificazione della
sentenza d'appello a Pepe Antonino perché l'atto è stato consegnato a soggetto
non convivente.
IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell'interesse dei tre imputati è inammissibile per la
manifesta infondatezza dei motivi. Trattandosi di un unico ricorso comunque
inammissibile diventa superfluo stabilire, ai fini della tempestività del
ricorso proposto nell'interesse di Pepe Antonino, se la notificazione della
sentenza d'appello al predetto sia stata ritualmente eseguita a mani di
familiare convivente. Secondo il difensore la nuora del prevenuto, che aveva
ricevuto l'atto, non era convivente neppure temporaneamente con Pepe Antonino,
come risulterebbe dalla certificazione anagrafica prodotta con la memoria
aggiuntiva.
Con riferimento al primo motivo si rileva che la nullità della sentenza per la
condanna per un fatto diverso da quello contestato si verifica quando vengono
modificati gli elementi fattuali della fattispecie, ma non quando si qualifica
diversamente il medesimo fatto. A norma dell'articolo 521 c.p.p. il giudice può
dare al fatto una qualificazione diversa da quella enunciata nel capo
d'imputazione purché il reato non ecceda la sua competenza. Nel caso in esame il
fatto, con l'indicazione analitica delle modificazioni apportate al progetto
approvato, non è stato modificato, ma si è solo ritenuto che le modificazioni,
dettagliatamente indicate nel capo d'imputazione, configurassero difformità
totali e non variazioni essenziali come originariamente indicato
nell'imputazione.
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo perché il problema della
presunta abrogazione dell'articolo 20 della n 47 del 1985 ad opera dell'articolo
136 del testo unico è stato da tempo risolto da questa corte (cfr. Cass. n 38182
del 2002; n.9534 del 2003, 10274 del 2003, 12577 del 2005). D'altra parte, il
problema sollevato dal difensore nella fattispecie non si pone perché l'abuso è
stato commesso sotto la vigenza del testo unico.
Manifestamente infondato sono anche il terzo ed il quarto motivo, che vanno
esaminati congiuntamente perché strettamente connessi. La modificazione
dell'altezza di ogni vano ha comportato una modificazione dell'intera sagoma
dell'edificio. Questa invero identifica il perimetro dell'immobile inteso sia in
senso verticale sia orizzontale, in quanto concerne il contorno che l'edificio
assume .Inoltre l'aumento d'altezza del sottotetto può comportare anche una
modificazione di destinazione perché suscettibile di trasformare in unità
abitale un vano tecnico non abitabile. La riprova che si tratta di modificazioni
che hanno inciso sull'aspetto plano-volumetrico dell'edificio si trae dal fatto
che il comune ha disposto la demolizione dell'immobile, come emerge dalla
formulazione del sesto motivo, nonché dalla circostanza che nel rilascio del
permesso in sanatoria prodotto dal ricorrente si fa riferimento a difformità
totali. Quindi è lo stesso organo comunale a qualificare come difformità totali
le modificazione al progetto. La corte, richiamando i verbali di sopralluogo e
le foto in atto e precisando che le modificazioni non erano lievi, ha in
definitiva recepito l'orientamento del comune.
Anche il quinto motivo è manifestamente infondato perché la sospensione del
processo a seguito della presentazione della domanda di condono non è automatica
e non va applicata indistintamente a tutti i processi per reati urbanistici, ma
solo a quelli aventi ad oggetto opere condonabili. E' invero inutile sospendere
il procedimento se l'opera non è condonabile. In particolare la sospensione del
processo per reati edilizi non si applica a reati relativi ad opere che non
risultino ultimate nei limiti temporali fissati dal legislatore per
l'applicabilità del condono ossia alle opere non ultimate, quanto meno al
rustico, entro il 31 marzo del 2003. A norma dell'articolo 31 comma secondo
della legge n 47 del 1985, richiamato dalla normativa sul condono edilizio, ai
fini dell'applicabilità della sanatoria, si intendono ultimati gli edifici nei
quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura. Un immobile si
considera ultimato al rustico dopo il completamento di tutte le strutture
essenziali, tra le quali vanno ricompresse le tamponature esterne, posto che
queste determinano l'isolamento dell'immobile dall'intemperie e configurano
l'opera nella sua volumetria (Cass. 26119 del 2004).
Nella fattispecie l'opera non era condonabile perché non completa al rustico
alla data del 31 marzo del 2003. Invero, come risulta dalla sentenza impugnata,
nella quale si richiamano il verbale di sopralluogo del 16 febbraio del 2004, le
foto in atti e la deposizione dei verbalizzanti, alla data del 16 febbraio del
2004, era completo al rustico solo il seminterrato, mentre per i piani fuori
terra esisteva la sola struttura in cemento armato.
Ugualmente inammissibile è anche il sesto motivo, in quanto la sospensione ex
articolo 479 c.p.p. per la pendenza del giudizio amministrativo proposto avverso
l'ordine di demolizione del fabbricato non risulta chiesta al giudice del merito
e comunque trattasi di sospensione facoltativa.
Il reato non si è estinto per prescrizione perché alla data del 16 febbraio del
2004 gli immobili non erano completati neppure al rustico.
Il rilascio del permesso in sanatoria da parte dell'autorità amministrativa non
impone l'automatica declaratoria di estinzione del reato perché spetta al
giudice penale accertare la sussistenza delle condizioni per l'estinzione, che
nella fattispecie non si è verificata perché l'immobile non poteva essere
condonato posto che esso inequivocabilmente non era completo neppure al rustico
alla data fissata dalla legge, ossia al 31 marzo del 2003. Secondo
l'orientamento di questa corte, in tema di condono edilizio, compete al giudice
penale il potere di accertamento di tutti gli elementi della fattispecie
estintiva, fra i quali vi è l'osservanza del limite temporale e di quello
volumetrico costituenti parametri stabiliti dal legislatore per la definizione
dell'ambito di operatività del condono medesimo. Il controllo sulla loro
ricorrenza non costituisce esercizio di una potestà riservata alla P.A. (alla
quale competono tutti gli accertamenti relativi alla sanatoria
"amministrativa"), spettando al giudice penale il potere-dovere di espletare
ogni accertamento per stabilire l'applicabilità della causa di estinzione del
reato (cfr Cass 5031 del 2000; n 5376 del 1998: n 9680 del 1996). D'altra parte
Il provvedimento concessorio potrebbe fondarsi anche su un'errata attestazione
della parte in ordine alla data di ultimazione delle opere. Nel provvedimento
amministrativo non si dà atto di alcun accertamento in ordine alla data di
ultimazione del manufatto al rustico.
Dall'inammissibilità del ricorso discende l'obbligo di pagare le spese
processuali e di versare una somma, che stimasi equo determinare in € 1000,00 ,
in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza
di colpa dei ricorrenti nella determinazione della causa d'inammissibilità
secondo l'orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.186
del 2000
P.Q.M.
LA CORTE
Letto l'art. 616 c.p.p.
DICHIARA
Inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle
spese processuali e ciascuno al versamento della somma di € 1000,00 in favore
della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma il 9 luglio del 2008
Depositata in cancelleria il 09/10/2008
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