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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
CORTE
DI CASSAZIONE Sez. I Civile, 18/02/2008, Sentenza n. 3932
APPALTO PUBBLICO E PRIVATO - Progetto fornito dal committente - Indagine sul
suolo - Onere dell'appaltatore - Obbligo di diligenza - Necessità di una
specifica pattuizione - Esclusione. In tema di appalto sia pubblico che
privato, rientra tra gli obblighi di diligenza dell’appaltatore, senza necessità
di una specifica pattuizione, esercitare il controllo della validità tecnica del
progetto fornito dal committente, anche in relazione alle caratteristiche del
suolo su cui l'opera deve sorgere, posto che dalla corretta progettazione, oltre
che dall'esecuzione dell'opera, dipende il risultato promesso. Presidente G.
Losavio, Relatore S. Del Core. CORTE DI CASSAZIONE Sez. I Civile, 18/02/2008,
Sentenza n. 3932
www.AmbienteDiritto.it
UDIENZA DEL
SENTENZA N.
REG. GENERALE N.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. I Civile
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Omissis
Svolgimento del processo
A seguito di licitazione privata, il comune di Fano, con contratto di appalto
del 26 ottobre 1987, affidò alla Impresa Edile F.lli Mongaretto s.n.c. di
Mongaretto Ing. Elio e Mongaretto Geom. Alberto i lavori di costruzione della
tribuna della pista di atletica leggera sita nella zona sportiva "trave".
L'impresa aggiudicataria curò di eseguire, con un tecnico di propria fiducia,
una perizia geologica dalla quale emerse una portanza del terreno minore
rispetto a quella prevista, con conseguente rilevante aumento delle strutture di
fondazione e dei relativi costi. La richiesta della impresa di una perizia di
variante che tenesse conto di tali rilievi fu respinta dalla direzione dei
lavori che, nel frattempo, vennero sospesi. Dopo aver ingiunto invano la ripresa
dei lavori, l'ente appaltante procedette all'annullamento d'ufficio del
contratto di appalto, provvedendo a incamerare la cauzione prestata e ad
azionare la fideiussione bancaria. Svolte tali premesse, nell'ottobre 1989 la
Impresa Edile F.lli Mongaretto s.n.c. di Mongaretto Ing. Elio e Mongaretto Geom.
Alberto convenne in giudizio davanti al tribunale di Pesaro il comune di Fano,
chiedendo la risoluzione del contratto di appalto per colpa dell'ente, con
condanna di quest'ultimo al risarcimento dei danni patiti.
Il Comune chiese il rigetto della domanda, eccependo che, alla stregua delle
clausole del capitolato speciale, con l'accettazione della convenzione era
implicita la conoscenza, da parte dell'appaltatore, dello stato dei luoghi e
della natura del terreno. Domandò in linea riconvenzionale il risarcimento dei
danni subiti a causa dell'inadempimento dell'attrice.
Disposta ed espletata consulenza tecnica, il tribunale, con sentenza parziale
del 31 luglio 1998, dichiarò risolto il contratto per colpa del comune di Fano e
ne respinse la riconvenzionale; con sentenza definitiva del 9 aprile 2001,
condannò l'ente territoriale al pagamento in favore della società attrice della
somma di lire 186.883.181, a titolo di danni.
Avverso entrambe le sentenze proposero appello il comune di Fano e, in via
incidentale, la s.r.1. Impresa Edile F.11i Mongaretto in cui si era trasformata
l'omonima società in nome collettivo. La Corte d'appello di Ancona, in parziale
accoglimento del gravame principale, rigettò la domanda attorea e respinse la
domanda riconvenzionale, dichiarando assorbito l'appello incidentale. Sui temi
ancora controversi, osservò che nel contratto di appalto l'appaltatore assume il
rischio organizzativo ed economico dell'opera - e quindi anche degli eventi atti
ad alterare il valore economico delle rispettive prestazioni - entro i limiti
dell'alea normale del negozio, nell'ambito della quale rientrano le difficoltà
di natura geologica non aventi il carattere dell'imprevedibilità, da valutarsi
sulla base della diligenza richiesta dall'attività esercitata. Detto principio
trovava riscontro nelle previsioni del capitolato speciale di appalto,
costituente parte integrante del relativo contratto, ove veniva espressamente
precisato "che nell'accettazione dell'appalto da parte dell'appaltatore è
implicita la dichiarazione da parte dell'appaltatore stesso di aver preso
conoscenza del terreno dove verranno eseguiti i lavori, della sua natura agli
effetti del tipo di fondazioni ..."; simile dichiarazione, per l'ampiezza delle
espressioni adoperate e gli specifici riferimenti al problema della natura e
della portanza dei terreni proprio in rapporto al tipo di fondazioni, dimostrava
che l'appaltatore era tenuto contrattualmente ad avere piena cognizione di tutte
le condizioni e circostanze influenti su andamento e onerosità della esecuzione
delle opere; fra dette condizioni non poteva non rientrare la portanza dei
terreni e la conseguente necessità di adottare le opportune fondazioni, sicché
era da escludere una qualsivoglia responsabilità del committente per difetto di
informazione sullo stato geologico dei luoghi.
Preso atto che non esisteva alcuna relazione geologica, l'impresa aggiudicataria
doveva far eseguire a propria cura e spese la relazione geotecnica sulle
strutture di fondazione (come, d'altronde, previsto nel medesimo capitolato
all'articolo 6 lettera B). D'altra parte, lo scenario geologico della zona non
presentava particolarità e qualunque operatore dotato di normale competenza
sarebbe stato in grado di percepire agevolmente le consequenze dell'esecuzione
di opere edilizie di quella portata. La dichiarazione dei partecipanti alla gara
di appalto di aver esaminato la situazione dei luoghi e i suoi riflessi
sull'esecuzione dell'opera (articolo 1 del d.p.r. n. 1063/1962) costituiva un
attestato di presa conoscenza (tra l'altro) delle condizioni locali e di tutte
le circostanze che potevano influire sui lavori e comportava un preciso dovere
cognitivo a carico dell'impresa aggiudicataria, cui era correlata un'altrettanto
precisa responsabilità. D'altronde, la previsione di un corrispettivo a corpo
per le fondazioni (rilevabile dall'articolo 3 del capitolato speciale di
appalto) comportava che per queste opere il prezzo convenuto era fisso e
invariabile, non ricorrendo nella fattispecie alcuna delle due distinte ipotesi
di eccessiva onerosità sopravvenuta, ai sensi dell'articolo 1664 c.c., tali da
incidere sul sinallagma contrattuale, alterandolo oltre i limiti connaturali
all'alea normale; non si era, infatti, in presenza di difficoltà di esecuzione
da considerare imprevedibili sulla base della diligenza media richiesta
dall'attività esercitata. Non poteva, infine, ravvisarsi alcuna violazione dei
principi di lealtà precontrattuale nel comportamento del Comune di Fano che, con
una specifica clausola del capitolato, aveva richiamato l'attenzione
dell'appaltatore sulle condizioni geologiche dei luoghi; in ogni caso, la
clausola in questione ben poteva valere come esclusione consensuale di
responsabilità.
La cassazione di tale sentenza è stata chiesta dalla s.r.l. Impresa F.lli
Mangaretto con ricorso affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso il Comune di Fano.
Entrambe le parti hanno presentato memorie.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione
dell'art.5 r.d. 25 maggio 1895 n.350 e dei principi in materia di opere
pubbliche, nonché omessa motivazione su punto decisivo della controversia. Il
giudice di merito ha ignorato la dedotta e accertata (in primo grado)
ineseguibilità del progetto esecutivo, attribuendo rilevanza dirimente alla
pretesa assunzione da parte dell'appaltatore di ogni rischio inerente la
realizzazione delle opere appaltate. Accedendo alla tesi della Corte d'appello,
verrebbe irreparabilmente e illegittimamente pregiudicato l'interesse pubblico
alla realizzazione dell'opera di cui è portatore l'ente territoriale. All'epoca
dell'appalto in questione, era legislativamente tipizzato (art.5 r.d. 25 maggio
1895 n.350) il principio generale della indefettibilità e completezza del
progetto esecutivo delle opere pubbliche, la cui rispondenza all'effettiva
situazione dei luoghi doveva essere verificata prima dell'apertura del
procedimento concorsuale di scelta del contraente, perseguendo la duplice
finalità di controllo della regolarità del progetto e di saldatura delle
intervenute operazioni di progettazione con quelle di esecuzione dell'opera. Il
comune di Fano ha violato gli obblighi di cui al citato art.5, rendendosi in tal
guisa gravemente inadempiente, in quanto, come accertato dalla c.t.u. disposta
in primo grado, ha fornito un semplice progetto architettonico privo dei
contenuti conoscitivi richiesti dalla legge, non preceduto da una valutazione di
carattere geognostico del terreno sul quale avrebbero dovuto effettuarsi le
opere e, in concreto, non eseguibile. Affermando che la zona non presentava
difficoltà di natura geologica particolari e imprevedibili, la corte
territoriale, oltre a porsi in contrasto con il sistema dei lavori pubblici, ha
omesso di considerare che il progetto non era concretamente realizzabile e
l'impresa non vi poteva introdurre alcuna variante senza essere preventivamente
autorizzata dalla stazione appaltante.
Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia violazione a falsa applicazione
degli artt.1337 e 1375 c.c., oltre a insufficiente motivazione circa un punto
fondamentale della controversia. Il comune di Fano non ha consentito di
eseguire, pur con le dovute modifiche, le opere appaltate così impedendo alla
impresa, cui era inibito introdurre varianti al progetto approvato, di rendere
la sua prestazione contrattuale; inoltre, ha violato il precetto che impone alle
parti di comportarsi secondo buona fede, non avendo informato l'appaltatore
della situazione che rendeva inattuabile il progetto.
Con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e la falsa
applicazione dell'art. 1 d.p.r. n_1063/1962. Diversamente da quanto opinato
dalla corte territoriale, la dichiarazione di conoscenza dei luoghi, contenuta
nel capitolato speciale e mutuata dall'art.1 del capitolato generale oo.pp.
n.1063/1962, ha un valore relativo e limitato allo stato apparente dei luoghi e
non si estende a coprire elementi ignoti alla stazione appaltante al momento
della redazione del progetto. Da siffatta dichiarazione non conseguiva, quindi,
un obbligo contrattuale per l'appaltatrice di procurarsi una piena e assoluta
conoscenza dei luoghi anche attraverso strumenti tecnici di indagine, che
incombono per legge sulla committenza e non sono delegabili - e tanto meno di
assumersi tutti i rischi inerenti la (in)eseguibilità dell'opera, sì da arrivare
a una clausola di esclusione consensuale di responsabilità della pubblica
amministrazione. Secondo la contestata tesi della corte d'appello, il capitolato
speciale avrebbe illogicamente preteso dall'appaltatrice una conoscenza dei
luoghi superiore a quella dell'amministrazione. Anche la consulenza disposta in
prime cure aveva interpretato in senso opposto l'espressione contenuta nel
capitolato speciale, escludendo che i partecipanti alla gara avessero l'onere di
conoscere preventivamente la natura del terreno, poiché ciò ne implicava uno
studio approfondito e dispendioso, sicuramente inconcepibile prima
dell'aggiudicazione. La stessa consulenza aveva ritenuto che il progetto
esecutivo redatto dall'impresa mostrava eccedenze tali da superare il quinto
d'obbligo dell'ammontare dell'intero appalto, sicché andava redatta una perizia
di variante, determinando i nuovi prezzi delle fondazioni, rivelatesi assai più
onerose rispetto alle previsioni.
Con il quarto motivo, la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione
degli artt. 1655 ss. c.c. e insufficiente motivazione circa un punto decisivo
della controversia. Del tutto irrilevante era la circostanza valorizzata dalla
corte del merito, secondo cui nella parte relativa alle fondazioni l'appalto era
a corpo e non a misura. Anche il contratto compensato a corpo non può mai essere
aleatorio, benché comporti l'assunzione in capo all'appaltatore di un rischio
più ampio rispetto a quello a misura e, in regime anteriore alla legge Merloni,
consentiva pur sempre la corresponsione di somme aggiuntive a titolo di
revisione prezzi e di eventuali varianti in corso d'opera. La pattuizione di un
corrispettivo a corpo non fa venir meno, dunque, il diritto dell'appaltatore a
compensi per i maggiori oneri sostenuti in dipendenza di circostanze a lui non
imputabili poiché, in caso contrario, l'imprenditore si troverebbe in balia
della stazione appaltante con illegittima alterazione dei presupposti della
contrattazione.
I primi tre motivi esigono trattazione unitaria per la complementarietà delle
relative censure, che si appalesano prive di giuridico fondamento, quando non
inammissibili.
Costituendo dato pacifico il presupposto di fatto della pretesa attorea di un
rilevante scostamento tra le previsioni del progetto redatto dalla stazione
appaltante e lo stato dei luoghi effettivamente riscontrato, la questione
dibattuta in giudizio ha riguardato la individuazione della parte
contrattualmente obbligatasi o tenuta per legge a saggiare preventivamente la
capacità massima di carico - ovvero ad effettuare la valutazione di carattere
geognostico - del terreno su cui si sarebbe dovuta eseguire l'opera appaltata.
Individuando detta parte nella impresa appaltatrice, la sentenza di appello -
che è, peraltro, una sorta di summa di principi qua e là affermati in materia da
questa Corte - non è incorsa in alcuno dei vizi denunziati.
Ed invero, in generale, secondo le norme dettate per l'appalto privato (artt.
1667, 1668, 1669 c.c.) - applicabili anche in caso di appalto di opere pubbliche
- va detto che, ai fini della costruzione di opere edilizie, il controllo sulla
natura e consistenza del suolo edificatorio rientra, in mancanza di diversa
previsione contrattuale, tra i compiti dell'appaltatore in quanto:
a) si tratta di indagine implicante attività conoscitiva da svolgersi con l'uso di particolari mezzi tecnici, come tale consona all'appaltatore, quale soggetto obbligato, mettendo a disposizione la propria organizzazione, a mantenere il comportamento diligente dovuto per la realizzazione dell'opera commessagli, con conseguente obbligo di adottare tutte le misure e le cautele necessarie e adeguate per l'esecuzione della prestazione secondo il modello di precisione e di abilità tecnica idoneo in concreto a soddisfare l'interesse del committente;
b) il secondo comma dell'art. 1664 c.c. deve essere interpretato in conformità con il principio generale - espressamente enunciato sia nell'art. 1467, camma 2, sia nello stesso art. 1664, canna 1, c.c. - secondo il quale le parti, nei contratti a prestazioni corrispettive, ancorché continuate o differite, assumono il rischio di eventuali alterazioni del valore economico delle rispettive prestazioni entro limiti rientranti nella normale alea negoziale, che ciascun contraente deve conoscere al momento della stipula;
c) nell'ambito di detta alea rientrano - nel contratto di appalto, in cui l'appaltatore si obbliga al compimento dell'opera con gestione a proprio rischio - le difficoltà di natura geologica non aventi il carattere di imprevedibilità, da valutarsi sulla base della diligenza richiesta dall'attività esercitata, delle quali deve, quindi, ritenersi si sia tenuto conto nella formazione del sinallagma;
d) l'esecuzione a regola d'arte di una costruzione dipende dall'adeguatezza del progetto rispetto alle caratteristiche geologiche del terreno su cui devono porsi le fondazioni, sicché la relativa indagine, nell'ipotesi in cui non presenti particolari difficoltà, superiori alle conoscenze che devono essere assicurate dall'organizzazione necessaria allo svolgimento dell'attività edilizia, fa carico all'appaltatore;
e) ciò anche quando la inidoneità del suolo non sia stata evidenziata dalla progettazione fornita dal committente, potendo l'appaltatore andare esente da responsabilità solamente laddove, nel caso concreto, le condizioni geologiche non risultino accertabili con l'ausilio di strumenti, conoscenze e procedure "normali", avuto riguardo alla specifica natura e alle peculiarità dell'attività esercitata.
In diversi termini, l'appaltatore, assumendo un'obbligazione che ha per oggetto
il risultato della sua attività, è tenuto ad assicurare al committente l'opera o
il servizio promessi, dovendo a ciò provvedere con organizzazione adeguata da un
punto di vista sia economico che tecnico. Pertanto, dalla natura del contratto
discende che rientra tra gli obblighi di diligenza dell'appaltatore esercitare
il controllo della validità tecnica del progetto fornito dal committente, anche
in relazione alle caratteristiche del suolo su cui l'opera deve sorgere, posto
che dalla corretta progettazione, oltre che dall'esecuzione dell'opera, dipende
il risultato promesso. Tale responsabilità non può quindi venire meno solo per
il fatto che un controllo del genere richiederebbe cognizioni particolari,
esigibili da persona particolarmente qualificata e quindi, nella specie, da un
ingegnere o da un geologo. L'infondatezza di una tale tesi appare evidente sol
che si rifletta sul fatto che l'imprenditore-costruttore opera in un settore di
attività che di per sé richiede quella specifica competenza, tanto che la
progettazione e la direzione dei lavori delle costruzioni in cemento armato di
norma è riservata per legge agli ingegneri e agli architetti (r.d. 23 ottobre
1925 n. 2537). Rientra, cioè, nell'alea normale del contratto di appalto
assicurare il risultato pur ove questo richieda cognizioni tecniche tipiche
dell'attività necessaria per la realizzazione dell'opus, onde si configura come
onere dell'appaltatore predisporre un'organizzazione della sua impresa che
assicuri la presenza di tali competenze per poter adempiere l'obbligazione,
assunta con il committente, di eseguire l'opera immune da vizi e difformità.
Orbene, alla stregua di tali principi, si deve necessariamente concludere che
anche in caso di appalto pubblico, poiché la validità di un progetto di una
costruzione edilizia è condizionata dalla sua rispondenza alle caratteristiche
geologiche del suolo su cui essa deve sorgere, il controllo dell'appaltatore
deve essere esteso a tale aspetto del progetto, ove questo gli fosse stato
fornito dal committente, dovendo egli rispondere dei vizi e delle deficienze
dell'opera, pur se ascrivibili alla imperfetta od erronea progettazione. I
limiti a tale responsabilità sono quelli generali in tema di responsabilità
contrattuale, presupponendo questa l'esistenza della culpa levis del
debitore, e cioè il difetto dell'ordinaria diligenza, onde solo se le condizioni
geologiche non fossero state accertabili con l'ausilio di strumenti, conoscenze
e procedure, per così dire, normali, l'appaltatore potrebbe andare esente da
responsabilità per vizi e difformità della costruzione che dipendessero dalla
mancata o insufficiente considerazione di quelle condizioni.
Pertanto, si deve affermare che l'indagine sulla natura e consistenza del suolo
edificatorio rientra tra gli obblighi (anche) dell'appaltatore di opera
pubblica, dipendendo l'esecuzione a regola d'arte di una costruzione
dall'adeguatezza del progetto alle caratteristiche geologiche del terreno su cui
devono essere poste le fondazioni. Ne segue che la cosiddetta sorpresa
geologica, quale sarebbe stata, secondo la ricorrente, la scoperta in corso
d'opera di peculiarità geologiche del terreno tali da impedire l'esecuzione dei
lavori, non può essere invocata dall'appaltatore per esimersi dall'obbligo, che
gli è proprio, di accertare le caratteristiche idrogeologiche del terreno sul
quale l'opera deve essere realizzata.
Ma, muovendo correttamente da tali premesse generali, la corte territoriale è
passata ad esaminare l'atteggiarsi del rapporto in concreto intercorso tra ente
committente e impresa aggiudicataria. Ne ha enucleato specifiche clausole con le
quali l'impresa appaltatrice si era assunta precise responsabilità e
obbligazioni proprio riguardo all'effettiva situazione dei luoghi e al terreno
su cui dovevano cadere i lavori. Ha sottolineato, al riguardo, come nel
capitolato speciale di appalto, costituente parte integrante del relativo
contratto, fosse statuito che "nell'accettazione dell'appalto da parte
dell'appaltatore è implicita la dichiarazione da parte dell'appaltatore stesso
di aver preso conoscenza del terreno dove verranno eseguiti i lavori, della sua
natura agli effetti del tipo di fondazioni.
Detta clausola, ad avviso della corte marchigiana, per l'ampiezza delle espressioni adoperate e gli specifici riferimenti al problema della natura e della portanza dei terreni (proprio in rapporto al tipo di fondazioni) e alla connessa esigenza delle imprescindibili fondazioni, mostra all'evidenza come l'appaltatore aveva - ovvero era tenuto contrattualmente ad avere - piena cognizione e valutazione di tutte le condizioni locali e delle circostanze generali e particolari influenti sull'andamento e l'onerosità delle quali opere da eseguire; fra tali condizioni e circostanze non poteva sfuggire la portanza dei terreni, con la conseguente necessaria adozione delle opportune fondazioni, escludendo nella specie la imprevedibilità delle difficoltà derivanti da cause geologiche in quanto la zona non presentava particolarità da questo punto di vista, di modo che qualunque operatore dotato di normale competenza sarebbe stato in grado di percepire agevolmente i rischi connessi con l'esecuzione di opere edilizie di tale portata.
In secondo luogo, pur escludendo la configurabilità nella specie della c.d.
sorpresa geologica, la corte ha osservato che nel medesimo capitolato,
all'articolo 6, lettera 8, si faceva espressamente carico all'impresa
aggiudicataria di far eseguire a propria cura e spese la relazione geotecnica
sulle strutture di fondazione (onere che, comunque, per le ragioni in precedenza
esposte, avrebbe comunque avuto, a prescindere da una espressa previsione in tal
senso). In proposito, a confutazione di quanto dedotto dalla ricorrente (essere
simile previsione contraria ontologicamente a legge), va rilevato che non è
vietato alla pubblica amministrazione prescrivere, come generalmente avviene,
indagini geognostiche e geologiche a carico dell'impresa aggiudicataria; e nel
contratto di appalto de quo si rinviene proprio la previsione di un
siffatto obbligo relativamente alla verifica di tali fondamentali elementi,
sicché toccava inequivocabilmente all'appaltatore, in assenza di una adeguata
indagine sulla natura e consistenza del terreno, acquisire precisi dati
geofisici e scegliere fondazioni idonee alla particolare situazione geologica
del terreno che doveva ospitare l'opera.
Simmetricamente, la corte anconetana - richiamando, questa volta espressamente,
precedenti di questa Corte (sent. n.7862/1996, ma vedi più estesamente Cass.
11469/1996, della cui motivazione si è ampiamente avvalsa la sentenza, nonché
Cass. n. 13734/2003) - ha osservato come la dichiarazione (implicita)
dell'impresa di aver esaminato la situazione dei luoghi e di averne valutato i
riflessi sull'esecuzione dell'opera, si inserisce nell'ambito delle disposizioni
introdotte dall'art. 1 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, del quale ha
riprodotto sostanzialmente il contenuto mediante una specifica clausola
contrattuale; tale dichiarazione, lungi dal costituire una clausola di stile o
dall'avere la sola funzione di far riconoscere rimunerativi i prezzi
dell'appalto, si traduceva in un attestato di presa conoscenza (tra l'altro)
delle condizioni locali e di tutte le circostanze che avrebbero potuto influire
sull'esecuzione dell'opera; essa, quindi, comportava un preciso dovere cognitivo
a carico dei partecipanti alle gare per gli appalti, dovere cui era correlata
un'altrettanto precisa responsabilità. Del resto, la clausola di assunzione, da
parte dell'appaltatore, del rischio geologico, non comporta alterazione della
struttura e della funzione dell'appalto, nel senso di renderlo un contratto
aleatorio, ma solo un allargamento del rischio, senza però che questo, pur così
ingrandito, esorbiti dalla normale alea di tale tipo contrattuale (cfr. Cass.
n.1364/1979). L'assunto è, come detto, in linea con la giurisprudenza di questa
Corte, secondo cui il citato art. 1 - a tenore del quale "per essere ammessi a
partecipare alla gara, gli imprenditori devono presentare una dichiarazione con
la quale essi attestino di essersi recati sul luogo di aver preso conoscenza
delle condizioni locali, ed eventualmente delle cave e dei campioni, nonché di
tutte le circostanze generali e particolari che possano aver influito sulla
determinazione dei prezzi e delle condizioni contrattuali e che possano influire
sull'esecuzione dell'opera..." - è inteso ad evitare contrasti su situazioni,
incidenti sull'esecuzione dell'opera, delle quali l'appaltatore potesse rendersi
conto in base alla mera ispezione dei luoghi. Anche le condizioni inserite negli
appalti conferiti con licitazione privata impongono all'appaltatore, quale
condizione di ammissione alla gara, di dichiarare di aver preso conoscenza delle
condizioni locali. Ora se è ben vero che la norma si riferisce alla situazione
apparente e non anche a quella occulta, deve ritenersi che anche quest'ultima
costituisca oggetto di conoscenza allorché la sua individualità emerga da detta
ispezione. Peraltro, nella specie neppure la ricorrente deduce che la presenza
di difficoltà geologiche fosse assolutamente imprevedibile, mettendo in rilievo
preminentemente la individuazione del contraente su cui incombeva l'obbligo di
rilevarle. A questa stregua deve quanto meno presumersi che l'appaltatore, in
base all'obbligo di cui sopra, si sia reso conto della peculiare natura del
terreno e, conseguentemente, partecipando alla gara, abbia accettato il rischio
della loro incidenza sulla esecuzione dell'opera (vedi Cass. n.5820/1996).
Né, ancora, vale opporre che, in base al sistema positivo, i contratti di
appalto pubblico sono assoggettati al principio generale per cui i rischi della
esecuzione dell'opera non previsti in progetto sono scaricati
sull'amministrazione committente, di modo che si determina un regime
diametralmente opposto a quello degli appalti di diritto privato: mentre in
questi le sopravvenienze sono a carico dell'appaltatore, salve le limitazioni
espressamente previste, negli appalti d'opere pubbliche sono a carico del
committente, salvo le espresse deroghe. Come è opinione comune, anche gli
appalti di opere pubbliche sono assoggettati alla regola generale che il rischio
della difficoltà dell'opera deve essere sopportato dall'appaltatore, salve le
limitazioni espressamente previste o pattuite, e negli stretti limiti della
deroga (cfr. Cass. n. 4959/1993).
Dalla regolamentazione concreta del rapporto tra le parti, la corte ha quindi
concluso che si doveva escludere qualsivoglia responsabilità del committente per
difetto di informazione sullo stato geologico dei luoghi o per avere compilato
un progetto difettoso e incompleto; analogamente, non era configurabile alcuna
violazione dei principi di lealtà precontrattuale nel comportamento del comune
di Fano che, con una specifica clausola del capitolato, aveva richiamato
l'attenzione dell'appaltatore sulle condizioni geologiche dei luoghi; clausola
che, come correttamente osservato dal giudice a quo, ben può valere come
esclusione consensuale di responsabilità; conseguenza speculare è che, comunque
si esamini la questione, la carenza progettuale è da addebitarsi esclusivamente
all'appaltatore.
Esclusa ogni possibilità di ravvisare le condizioni per la risoluzione del
contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, va ricordato che né
l'appaltatore, né l'amministrazione possono disporre la sospensione dei lavori
se non in presenza di cause determinate. In particolare, qualora si verifichino
cause tecniche impreviste o imprevedibili, ovvero cause di forza maggiore o
impedimenti obbiettivi non imputabili a nessuna delle parti, l'appaltatore ha
diritto (solo) a un termine suppletivo, mentre in presenza di cause tecniche
previste o prevedibili l'appaltatore non può pretendere alcuna dilazione o
indennizzo e resta tenuto a sopportare i maggiori oneri derivanti dalla
ulteriore durata dei lavori.
E quanto alla affermazione contenuta in sentenza, secondo la quale non si era in
presenza di circostanze o di difficoltà di esecuzione da considerare
imprevedibili sulla base della diligenza media richiesta dall'attività
esercitata, non può non rilevarsi che trattasi di accertamento di fatto
incensurabile in questa sede.
Il quarto motivo contiene censure intrinsecamente inammissibili per difetto di
causalità dei pretesi errori denunciati.
Va rilevato che le censure in discorso investono una argomentazione che la corte
territoriale ha addotto ad abundantiam, siccome reso palese dall'incipit
dell'argomentazione medesima (°D'altronde ..."), basandosi la statuizione di
rigetto dell'appello sul rilievo in precedenza operato, e non infirmato dalla
proposta impugnazione, dell'obbligo incombente sull'appaltatore di eseguire le
dovute indagini geognostiche. Reggendosi il dispositivo su tale corretta
argomentazione avente carattere principale ed assorbente, l'ultroneo riferimento
fatto in sentenza alla forma di corrispettivo prevista nel contratto in
discussione costituisce, all'evidenza, affermazione ad abundantiam,
improduttiva di effetti giuridici e, come tale, insuscettibile di gravame, n6 di
censura in sede di legittimità (cfr. Cass. nn. 11160/2004, 3002/2004, 9963/2002,
2087/2002, 317/2002, 10241/2000, 301/1996, 5778/1988).
Al rigetto del ricorso segue la condanna della sua proponente alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di
cassazione, liquidate in E 4.100,00, di cui € 4. 000,00 per onorari d'avvocato,
oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2008
Depositato in Cancelleria 18/02/2008
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