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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006  - ISSN 1974-9562



CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 27/10/2008 (Ud. 18/09/2008), Sentenza n. 40014



URBANISTICA ED EDILIZIA - Reati edilizi - Responsabilità del coniuge - Presupposti - Fattispecie: rilascio del titolo abilitativo a conviventi - Effetti giuridici.
La responsabilità penale del coniuge in regime di comunione di beni, nei reati edilizi è connessa al manufatto sul quale l'abuso è stato effettuato è può dedursi da indizi precisi e concordanti, quali la qualità di coniuge del committente, il regime patrimoniale dei coniugi, lo svolgimento di attività di vigilanza dell'esecuzione dei lavori, la richiesta di provvedimenti abilitativi in sanatoria, la presenza in loco all'atto dell'accertamento (cfr. Cass. Sez. Un. 27/3 - 15/5/2008 n. 19602, Micciullo). Nella specie, pur avendo la Corte territoriale erroneamente affermato che i coniugi erano in regime di comunione di beni, è stato, tuttavia, accertato in fatto che gli stessi erano conviventi e che, soprattutto, il titolo abilitativo era stato rilasciato "in favore della ditta avente entrambi i conviventi": il che rendeva evidente come entrambi fossero richiedenti del titolo e committenti dei lavori. Pres. De Maio, Est. Sensini, Ric. Palumbo ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 27/10/2008 (Ud. 18/09/2008), Sentenza n. 40014

URBANISTICA ED EDILIZIA - Vecchio diritto urbanistico disperso nei testi precedenti - D.P.R. n. 380/2001 - Disciplina transitoria e Testo Unico. Con l'entrata in vigore della legge 31/12/2001 n. 463, di conversione del D.L. 23 novembre 2001 n. 411, che all'art. 5 bis ha disposto che la entrata in vigore del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) era prorogata al 30 giugno 2002 (termine successivamente prorogato al 30 giugno 2003 dall'art. 2 D.L. 20 giugno 2002 n. 122, come modificato dalla legge di conversione 1 agosto 2002 n. 185), si è determinata una sospensione dell'efficacia innovativa del citato Testo Unico, con il ripristino delle norme anteriori sostituite, atteso che la disposizione che ha operato l'"abrogatio sine abolitione" delle precedenti previsioni normative ha natura di Testo Unico. Peraltro, l'abrogazione delle vecchie norme si giustifica proprio e soltanto perché esse sono sostituite dalle nuove norme del Testo Unico, così' che, ove il nuovo diritto incorporato nel Testo Unico sia per qualche ragione abrogato, ovvero la sua efficacia sia temporalmente sospesa o differita, rivive, definitivarnente o temporalmente, il vecchio diritto disperso nei testi precedenti" (Cass. Sez. 3, 28/1/2003 n. 152). Pres. De Maio, Est. Sensini, Ric. Palumbo ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 27/10/2008 (Ud. 18/09/2008), Sentenza n. 40014

PROCEDURE E VARIE - Inammissibilità del ricorso per Cassazione - Manifesta infondatezza dei motivi - Rilevanza d'ufficio, ai sensi dell'art. 129 c.p.p. - Estinzione del reato per intervenuta prescrizione - Esclusione. L'inammissibilità del ricorso per Cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, ogni possibilità sia di far valere, sia di rilevare d'ufficio, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione (cfr., Cass. Sez. 4, 20/1/2004 n. 18641, Tricomi; conf. Cass. Sez. Un. sentenza n. 32 del 2000). Pres. De Maio, Est. Sensini, Ric. Palumbo ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 27/10/2008 (Ud. 18/09/2008), Sentenza n. 40014


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UDIENZA  18.09.2008

SENTENZA N. 01807/2008

REG. GENERALE n.043327/2007


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale



Composta dagli Ill.mi Signori


Dott. Guido DE MAIO                          Presidente
Dott. Alfredo TERESI                           Consigliere
Dott. Silvio AMORESANO                    Consigliere
Dott. Maria Silvia SENSINI                   Consigliere
Dott. Luigi MARINI                               Consigliere


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso proposto da :
1) PALUMBO ANTONIO                               N. IL 08/07/1971
2) MANGIONE CINZIA                                  N. IL 04/04/1974
avverso SENTENZA del 19/09/2007
CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere SENSINI MARIA SILVIA

Udito il Procuratore Generale in persona del dott. Passacantando Guglielmo  che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso
Udito, per la parte civile, l'Avv.
Udito il difensore Avv. Lombardo Domenico

 


Svolgimento del Processo

 


1- Con sentenza in data 26/9/2007 la Corte di Appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza in data 14/3/2006 del Tribunale di Palmi, pronunciata nei confronti di Palumbo Antonio e Mangione Cinzia, dichiarava non doversi procedere nei loro confronti in ordine ai reati di cui agli artt. 17, 18 e 20 Legge n. 64/1974 perché estinti per prescrizione. Rideterminava la pena - quanto alle restanti imputazioni di cui all'art. 20 lett. b) Legge n. 47/1985 (capo a) della rubrica), 4 e 14 Legge n. 1086/1971 ( capo d) e 2 e 13 Legge n. 1086/1871 (capo e) - in mesi quattro di arresto ed euro tremila di ammenda ciascuno.


Emergeva in fatto che, nel corso di un sopralluogo eseguito in data 18/3/2002 da tecnici comunali in Gioia Tauro presso l'immobile dei coniugi Mangione - Palumbo, veniva constatato che erano in corso di realizzazione lavori del primo e del secondo piano in relazione ai quali era stata rilasciata regolare autorizzazione. All'ultimo piano si accertava, per contro, la realizzazione, in assenza di titolo abilitativo, anziché di un vano, di un piano abitabile della superficie di mq. 25 circa, con due balconcini.


2- Avverso la sentenza della Corte di Appello hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati, argomentando censure sostanzialmente sovrapponibili.
In particolare, hanno dedotto: 1) violazione di legge in relazione all'art. 2 del c.p. ed all'art. 20 lett. b) Legge n. 47/1985, da ritenersi abrogato a seguito dell'entrata in vigore del D.P.R. n. 380/2001. L'art. 5 bis della legge n. 463/2001 aveva provocato la depenalizzazione di tutti i reati edilizi: le disposizioni della Legge n. 47/1985 erano state abrogate, mentre le disposizioni incriminatici previste nel Testo Unico erano rimaste "congelate" dalle proroghe successive.


2- Nel merito, si deduceva difetto di motivazione in punto di responsabilità. del Palumbo: essa era stata affermata per il solo fatto di essere il coniuge della Mangione Cinzia, alla quale, peraltro, l'immobile era intestato, e senza considerare che i coniugi, diversamente da quanto affermato dal verbalizzante maresciallo Cali', avevano scelto il regime della separazione dei beni;


3- intervenuta prescrizione di tutti i reati contestati, questione non valutata dalla Corte territoriale, benché ritualmente dedotta.


Motivi della Decisione


4- I ricorsi vanno dichiarati inammissibili, essendo palesemente destituite di fondamento le censure su cui poggiano.

 

4.1- In particolare, manifestamente infondato è il motivo relativo all'intervenuta abrogazione dell'art. 20 legge n. 47/1985 a seguito dell'entrata in vigore del D.P.R. n. 380/2001.
La giurisprudenza di questa Corte si è da tempo espressa, in modo pressoché unanime, nel senso di ritenere che "con l'entrata in vigore della legge 31/12/2001 n. 463, di conversione del D.L. 23 novembre 2001 n. 411, che all'art. 5 bis ha disposto che la entrata in vigore del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) era prorogata al 30 giugno 2002 (termine successivamente prorogato al 30 giugno 2003 dall'art. 2 D.L. 20 giugno 2002 n. 122, come modificato dalla legge di conversione 1 agosto 2002 n. 185), si è determinata una sospensione dell'efficacia innovativa del citato Testo Unico, con il ripristino delle norme anteriori sostituite, atteso che la disposizione che ha operato l'"abrogatio sine abolitione" delle precedenti previsioni normative ha natura di Testo Unico. Peraltro, l'abrogazione delle vecchie norme si giustifica proprio e soltanto perché esse sono sostituite dalle nuove norme del Testo Unico, così' che, ove il nuovo diritto incorporato nel Testo Unico sia per qualche ragione abrogato, ovvero la sua efficacia sia temporalmente sospesa o differita, rivive, definitivarnente o temporalmente, il vecchio diritto disperso nei testi precedenti" (cfr., ex multis, Cass. Sez. 3, 28/1/2003 n. 152).


4.2 - Palesemente privo di valenza è anche il motivo del solo Palumbo, relativo al difetto di motivazione circa la sua partecipazione al reato, asseritamente affermata dai Giudici del merito per il solo fatto di essere egli marito della Mangione, alla quale l'immobile era intestato.
Questa Corte, con una recente sentenza pronunciata a Sezione Unite, tra l'altro trattando il tema della responsabilità penale del coniuge (nel caso sottoposto alle Sezioni Unite, in regime di comunione di beni), ha affermato che, in tema di reati edilizi, la responsabilità relativa al manufatto sul quale l'abuso è stato effettuato può dedursi da indizi precisi e concordanti, quali la qualità di coniuge del committente, il regime patrimoniale dei coniugi, lo svolgimento di attività di vigilanza dell'esecuzione dei lavori, la richiesta di provvedimenti abilitativi in sanatoria, la presenza in loco all'atto dell'accertamento ( cfr. Cass. Sez. Un. 27/3 - 15/5/2008 n. 19602, Micciullo). Nella specie, pur avendo la Corte territoriale erroneamente affermato che i coniugi Mangione- Palumbo erano in regime di comunione di beni, è stato, tuttavia, accertato in fatto che gli stessi erano conviventi e che, soprattutto, il titolo abilitativo era stato rilasciato "in favore della ditta Mangione- Palumbo": il che rendeva evidente come entrambi fossero richiedenti del titolo e committenti dei lavori.
Tali aspetti sono stati presi in considerazione dalla sentenza impugnata, pur dovendosi convenire con la difesa sulla estrema sinteticità della trattazione della problematica.
Va, tuttavia, affermato, che non sussiste il lamentato difetto di motivazione allorché il Giudice di merito abbia dimostrato, sia pure con motivazione estremamente schematica, di non essersi sottratto alle obiezioni difensive, ma di averle valutate e di averne comunque tenuto conto nel suo iter argomentativo, dando contezza e giustificazione motivazionale, pur sintetica, del convincimento raggiunto.


4.3- Palesemente infondata è, infine, la censura - comune ad entrambi i ricorsi - di intervenuta prescrizione di tutti i reati al momento della pronuncia della sentenza di appello.
Invero, al periodo ordinario di prescrizione (che sarebbe maturato in data 18/9/2006), deve aggiungersi un periodo di sospensione pari ad anni uno, mesi otto e giorni quattordici per sospensione ex lege, sospensione giudiziale per “condono edilizio" e rinvii del dibattimento a richiesta della difesa, con la conseguenza che il termine ultimo prescrizionale sarebbe definitivamente spirato alla data dell' 1/6/2008, vale a dire in epoca successiva alla sentenza di appello.
Tuttavia, l'inammissibilità del ricorso per Cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, ogni possibilità sia di far valere, sia di rilevare d'ufficio, ai sensi dell'art. 129 c.p.p., l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione (cfr., ex multis, Cass. Sez. 4, 20/1/2004 n. 18641, rv. 228349, Tricomi; conf. Sez. Un. sentenza n. 32 del 2000, rv. 217266).


5- Tenuto conto della sentenza 13/6/2000 n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla ridetta declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento in solido tra i ricorrenti e del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, determinata per ciascuno, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, nella misura di euro 1.000,00


P.Q.M.


La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.


Roma, 18/9/2008

Depositato in cancelleria il 27/10/2008.



 


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