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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 4/12/2008 (ud. 4/11/2008), Sentenza n. 45057
RIFIUTI - Sottoprodotti di origine animale e rifiuti - "Carogne" - Rilevanza
del reg. (ce) n. 1774/2002 alla luce delle modifiche di cui al t.u. ambientale
d.lgs. n. 4/2008 - Condizioni - Art. 260, D.Lgs. n. 152/2006 - Fattispecie:
reato di associazione finalizzata al traffico illecito di ingenti quantitativi
di rifiuti. Anche dopo le modifiche di cui al D.Lgs. n. 4 del 2008, le
carogne rientrano nella categoria dei rifiuti. Le stesse sono sottratte alla
disciplina dei rifiuti soltanto se, ed in quanto, siano configurabili come
sottoprodotti del processo di macellazione, destinati al riutilizzo senza
trasformazioni preliminari e pregiudizio dell’ambiente. Le norme sanitarie
relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano
(Regolamento CE 3 ottobre 2002, n. 1774) trovano applicazione anche per le
carogne, se e in quanto queste ultime siano configurabili come sottoprodotti e
non come rifiuti. Fattispecie nella quale era contestato agli indagati il reato
di associazione finalizzata al traffico illecito di ingenti quantitativi di
rifiuti (art. 260, D.Lgs. n. 152 del 2006) costituiti da sottoprodotti di
origine animale appartenenti a diverse categorie che, trattati per il recupero,
venivano trasformati in farine animali per essere poi commercializzati.
Presidente A. Grassi, Relatore P. Onorato, Cinefra ed altri. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE Sez. III, 4/12/2008 (ud. 4/10/2008), Sentenza n. 45057
RIFIUTI - Sottoprodotti - Nozione - Presupposti - Reg. 1774/2002/CE. Si
devono intendere per sottoprodotti quei materiali risultanti dal processo
produttivo, che, pur non costituendo l'oggetto proprio del ciclo produttivo,
scaturiscono continuativamente dal ciclo produttivo stesso e sono destinati dal
produttore a ulteriore impiego produttivo o al consumo. Il produttore, quindi,
non intende disfarsi di essi (che pertanto non possono qualificarsi rifiuti), ma
li commercializza a condizioni per lui economicamente favorevoli o li impiega in
altri processi produttivi. Per evitare qualsiasi rischio per l'ambiente,
tuttavia, il riutilizzo deve essere certo, senza l'intervento di trasformazioni
preliminari e senza pregiudizio per l'ambiente. Presidente A. Grassi, Relatore
P. Onorato, Cinefra ed altri. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 4/12/2008
(ud. 4/10/2008), Sentenza n. 45057
RIFIUTI - Sottoprodotti di origine animale e rifiuti - Significato di
"carogna" - Art. 2, c. 1, lett. a); art. 4, lett. a); art.5 lett. a); art. 6,
lett. c), d) e g) Reg. 1774/2002/CE. Il significato di "carogna", non è del
tutto sovrapponibile a quello di sottoprodotto di origine animale contemplato
dal Regolamento n. 1174/2002. Le carogne sono i corpi di animali morti, mentre
sottoprodotti di origine animale, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. a) del
Regolamento, sono sia i corpi interi sia parti di animali o prodotti di origine
animale non destinati al consumo. Orbene, tra le parti di animali sono compresi
ad esempio le pelli (art. 4, lett. a)), lo stallatico o il contenuto del tubo
digerente (art.5 lett. a)), o ancora pelli, zoccoli e corna (art. 6, lett. c)),
sangue ottenuto da animali (art. 6, lett. d), latte crudo proveniente da animali
(art. 6. lett. g)), insomma tutte sostanze che esulano sicuramente dalla nozione
di carogna, intesa secondo il significato comune di corpo intero di un animale
morto. Presidente A. Grassi, Relatore P. Onorato, Cinefra ed altri. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE Sez. III, 4/12/2008 (ud. 4/10/2008), Sentenza n. 45057
RIFIUTI - Sottoprodotti e rifiuti - Disciplina applicabile - D.Lgs. 152/2006
- D.Lgs. 4/2008 - Reg. 1774/2002/CE - Fattispecie: sottoprodotti di origine
animale e carogne. In tema di rifiuti e sottoprodotti, sia per il D.Lgs.
152/2006, sia per il D.Lgs. 4/2008, le "carogne" sono escluse dalla disciplina
generale sui rifiuti solo in quanto regolate da altre disposizioni normative che
assicurano tutela ambientale e sanitaria. Poiché il Regolamento (CE) n.
1774/2002 assicura solo una tutela sanitaria per le carogne e per sottoprodotti
di origine animale, la materia delle carogne - in quanto tali - è sempre inclusa
nella disciplina generale sui rifiuti, che assicura anche la tutela ambientale.
Resta ferma la disciplina sanitaria dettata dal Regolamento n. 1774/2002 in
materia di sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano, e
quindi anche delle carogne se e in quanto configurabili come sottoprodotti e non
come rifiuti, dovendosi intendere questa disciplina come esaustiva ed autonoma
in ordine al profilo sanitario. Presidente A. Grassi, Relatore P. Onorato,
Cinefra ed altri. CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 4/12/2008 (ud.
4/10/2008), Sentenza n. 45057
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UDIENZA 4.10.2008
SENTENZA N.
REG. GENERALE n.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Signori
- Omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
-
Omissis
Svolgimento del procedimento
1 - Con ordinanza del 3.6.2008 il Tribunale collegiale di Lecce, accogliendo
l'appello proposto dal pubblico ministero contro il provvedimento del 5.5.2008
con cui il.g.i.p. del Tribunale di Brindisi aveva respinto la sua istanza di
misure cautelari, ha disposto la misura della custodia cautelare in carcere a
carico di Luigi Cinefra, Vito Rocco Cinefra, Alfonso Angrisani e Leopoldo Milone,
nonché la misura degli arresti domiciliari a carico di Vincenzo Cinefra e
Giuseppe Del Vecchio, tutti indagati per il reato di associazione per delinquere
(art. 416 c.p.) allo scopo di commettere più delitti di traffico illecito di
rifiuti, e per quello di attività organizzata per il traffico illecito di
ingenti quantitativi di rifiuti (art. 260 Digs. 152/2006).
Più esattamente, era contestato ai predetti di aver ceduto, ricevuto,
trasportato e comunque gestito abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti, in
particolare Luigi Cinefra (quale legale rappresentante di "Cinefra Pelli
s.r.l.") e Vito Rocco Cinefra (quale legale rappresentante di "Nuova centro
Pelli di Cinefra Vito Rocco s.n.c.") prelevando, per conto della Deaban di
Alfonso Angrisani, anche mediante il trasportatore Vincenzo Cinefra, dipendente
della "Cinefra Pelli s.r.l.", ingenti quantitativi di sottoprodotti di origine
animale (SOA), appartenenti alla categoria 1 (CER 020202, scarti di tessuti
animali; CER 020203, scarti inutilizzabili per il consumo e la trasformazione).
da vari macelli delle province di Lecce e Bari, e trasportandoli a bordo di un
autocarro (che la ditta Meridional Leathers di Roberto Cinefra aveva concesso in
comodato gratuito alla predetta Deaban) fino al centro di transito- stoccaggio
di Giuseppe Del Vecchio, dove venivano mescolati con SOA di categoria 3 e quindi
trasferiti presso la "Miso s.r.l." di Gaetano Salerno, di fatto gestita da
Leopoldo Milone, dove venivano trattati per il recupero e trasformati in farine
animali da mettere in commercio (accertato in Francavilla Fontana, Capurso,
Nocera Inferiore, Caivano da gennaio a luglio 2007).
L'associazione criminosa finalizzata alla commissione di più delitti di cui
all'art. 260 Digs. 152/2006, secondo il capo di imputazione, era stata promossa
e organizzata da Luigi Cinefra, Vito Rocco Cinefra e Alfonso Angrisani.
Il g.i.p. brindisino, nella citata ordinanza del 5.5.2008, richiamando una
pronuncia di questa Corte (Sez. III, n. 21676 del 26.1.2007, Zanchin), in base a
una precisa interpretazione della normativa vigente, aveva escluso dalla nozione
di rifiuto i sottoprodotti di origine animale, aggiungendo che, anche a voler
seguire la interpretazione contraria, atteso il contrasto esistente sul punto
nella giurisprudenza e nella prassi amministrativa, nessun rimprovero poteva
muoversi agli operatori che, rispettando la disciplina sanitaria, si ritenessero
esonerati dalla disciplina sui rifiuti. Per conseguenza, non potevano ritenersi
sussistenti gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati.
Il tribunale leccese, di contro, accogliendo la tesi dei pubblico ministero
appellante, ha osservato quanto segue in linea di diritto:
- la disciplina dettata dal Regolamento (CE) 3.10.2002 n. 1774 per i prodotti di
origine animale non destinati al consumo umano, riguarda soltanto il profilo
sanitario e veterinario, e pertanto non esclude la disciplina prevista prima dal
D.Lgs. 22/1997 e ora dal D.Lgs. 152/2006, ma concorre con questa;
- il citato Regolamento europeo distingue i SOA in tre categorie, imponendo per
quelli di categoria 1 (comprendente materiale ad alto rischio o a rischio
specifico) sempre e soltanto lo smaltimento attraverso incenerimento o
sotterramento in discarica;
- gli impianti di destinazione dei SOA non possono essere autorizzati per più
categorie, proprio al fine di evitare la reciproca contaminazione o il
mescolamento tra sottoprodotti di categoria e pericolosità diverse;
- i SOA sono sempre rifiuti anche prima di essere eliminati.
In linea di fatto il tribunale, in estrema sintesi, sulla base delle
investigazioni di polizia giudiziaria (intercettazioni telefoniche,
sopralluoghi, sequestri, osservazioni, etc.) ha accertato e ritenuto che:
- la Cinefra Pelli, per reggere la nuova concorrenza nel settore della raccolta
delle pelli, aveva iniziato a raccogliere anche altri sottoprodotti di categoria
3, ma li trasportava anche miscelati a sottoprodotti di categoria 1 e 2, con
automezzi non iscritti nell'Albo Gestori Ambientali Regionale;
- secondo una catena organizzativa guidata dai fratelli Luigi e Vito Rocco
Cinefra, i SOA di categoria 1, contenenti sottoprodotti di animali a rischio BSE
(virus c.d. della "mucca pazza") venivano prelevati da soggetti non autorizzati
e mescolati con SOA di categoria 3, così producendo una contaminazione
pericolosissima per la salute umana; il prodotto ottenuto, invece di essere
destinato alla eliminazione - come prescritto dalla legge - veniva trasformato
in modo da essere irriconoscibile e veniva riutilizzato non solo per farine
animali, ma anche per concimi e fertilizzanti e addirittura per gelatine per uso
umano;
- più in particolare, i SOA ad alto rischio venivano prelevati dai vari macelli
per conto della società Deaban di Nocera Superiore, gestita da Alfonso Angrisani,
titolare del riconoscimento sanitario per il trasporto di materiali di categoria
1 e 3, ma venivano trasportati e stoccati presso il centro gestito in Capurso da
Giuseppe Del Vecchio, che non aveva né regolari autorizzazioni sanitarie
(potendo ricevere solo SOA di categoria 3), né le autorizzazioni per la gestione
dei rifiuti. Dal centro anzidetto i materiali venivano prelevati con propri
automezzi dalla società Miso, sedente in Caviano, di cui era socio e
amministratore di fatto Leopoldo Milone, la quale - pur essendo priva di
qualsiasi autorizzazione - provvedeva a trasformarli in fertilizzanti, farine
animali etc.;
- in tal modo, la società Deaban percepiva un profitto, perché riceveva dai
macelli produttori dei rifiuti un prezzo per lo smaltimento che invece non
eseguiva; in più il suo amministratore Alfonso Angrisani percepiva dalla Cinefra
Pelli un assegno mensile di 3.000 euro, quale evidente compenso per la copertura
formale assicurata alla illecita operazione;
- il Del Vecchio, dal canto suo, risparmiava anzitutto il costo dello
smaltimento dei rifiuti, che in effetti non eseguiva, ma realizzava inoltre un
profitto per la vendita alla società Miso di una maggiore quantità di SOA
(derivante dalla somma di materiali di categoria 1 con quelli di categoria 3 che
soltanto era autorizzato a gestire);
- a sua volta la Miso, che era partecipata dalla Deaban, ed era autorizzata solo
per il transito di materiali di categoria 3, realizzava un profitto aggiuntivo
attraverso la vendita a terzi di farine animali e fertilizzanti in misura
superiore a quelli che avrebbe potuto produrre utilizzando soltanto materiali di
categoria 3;
- infine, era evidente l'interesse economico perseguito dai fratelli Cinefra,
che riuscivano così a mantenere i rapporti commerciali con i macelli, dai quali
acquistavano tradizionalmente le pelli, oggetto principale della loro attività,
nella quale subivano però la forte concorrenza di un operatore entrato
recentemente sul mercato;
- sulla base di questa ricostruzione dei fatti, si doveva ritenere la
sussistenza del reato associativo e del reato speciale di cui all'art. 260
D.Lgs. 152/2006, così come la ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza a
carico di tutti gli indagati;
- quanto alle esigenze cautelari, il pericolo concreto e attuale di recidivanza
era desumibile dalle modalità della condotta, caratterizzata dalla
professionalità e dalla complessa organizzazione, e dalla intensità del dolo,
evidenziato dalla prosecuzione dell'attività illecita anche dopo che gli
indagati erano venuti a conoscenza delle investigazioni in corso.
2 - Tutti gli indagati hanno proposto ricorso per tassazione, personalmente o a
mezzo dei difensori di fiducia.
I difensori di Milone e Del Vecchio,
con atti separati sostanzialmente identici, denunciano:
2.1 - erronea applicazione di norme penali e di altre norme giuridiche di cui si
deve tener conto nell'applicazione della legge penale.
In base alla esegesi delle norme storicamente succedutesi nella soggetta
materia, riportando a sostegno ampie argomentazioni sviluppate dal g.i.p. nella
sua ordinanza del 5.5.2008, sostengono che la disciplina specifica di cui al
Regolamento (CE) 1774/2002 prevale sulla disciplina generale in materia di
rifiuti di cui al D.Lgs. 152/2006, evitando così l'assurdità del concorso tra le
due discipline e della conseguente doppia autorizzazione, sanitaria e
ambientale, per l'esercizio di ogni attività di gestione dei sottoprodotti di
origine animale. Nederiva che la condotta di gestione dei SOA contestata agli
indagati, se provata, non configura un reato ma soltanto un illecito
amministrativo, specificamente sanzionato dal D.Lgs. 21.2.2005 n. 36;
2.2 - insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui
all'art. 260 D.Lgs. 152/2006.
Osservano che il quadro indiziario delineato dal tribunale poggia su basi
meramente ipotetiche, non essendo stato provato che presso il centro Del Vecchio
e presso la Miso transitassero materiali di categoria 1 e meno che mai
miscelazioni di materiali di categoria 1 e categoria 3;
2.3 - insussistenza del reato associativo di cui all'art. 416 c.p., sia perché
venendo meno il delitto fine viene meno il presupposto per il delitto
associativo, sia perché non si può trasformare una semplice filiera commerciale
in associazione;
2.4 - insussistenza dell'esigenza cautelare, giacché: a) non è applicabile il
D.Lgs. 152/2006, bensì il Regolamento (CE) 1774/2002; b) non esiste alcun grave
indizio che consenta di ritenere realizzata la miscelazione di scarti animali di
categoria 1 e di categoria 3; c) non vi sono gravi indizi idonei a sostenere la
esistenza di un'associazione a delinquere.
Luigi Cinefra, Vito Rocco Cinefra e Vincenzo Cinefra hanno presentato distinti
atti di ricorso con contenuto sostanzialmente identico.
Deducono in sintesi:
2.5 - violazione dell'art. 273 c.p.p., nonché dell'art. 416 c.p. e degli artt.
185 e 260 D.Lgs. 152/2006 in ordine ai gravi indizi di colpevolezza per i reati
contestati, nonché vizio di motivazione sul punto.
Sostengono anzitutto che manca qualsiasi motivazione in ordine all'elemento
psicologico del reato associativo, atteso che questo si distingue dal semplice
concorso di persone nel reato per la esistenza di un programma comune e
soprattutto per la consapevolezza di tutti gli associati di partecipare al
sodalizio e di contribuire alla realizzazione del comune programma.
Aggiungono inoltre che non sussistono gli estremi del reato di cui all'art. 260
D.Lgs. 152/2006, giacché i sottoprodotti di origine animale non possono
considerarsi rifiuti se non dopo l'incenerimento. Tanto è vero che il
legislatore, col D.Lgs. 4/2008, ha abrogato il secondo comma dell'art. 185 D.Lgs
152/2006, secondo cui restava "ferma la disciplina di cui al Regolamento (CE) n.
1774/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 3.10.2002, recante norme
sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo
umano, che costituisce disciplina esaustiva ed autonoma nell'ambito del campo di
applicazione ivi indicato".
Vito Rocco Cinefra, infine, lamenta personalmente che l'ordinanza impugnata non
ha considerato la sua totale estraneità ai fatti contestati. Rileva infatti che
la "Nuova Centro Pelli" da lui amministrata è stata dichiarata fallita sin dal
31.5.2005.
2.6 - violazione dell'art. 274 c.p.p. e vizio di motivazione sul punto, in
ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, non essendo sufficiente al
riguardo il riferimento ai soli precedenti penali o il generico richiamo alla
inaffidabilità degli indagati per osservare gli obblighi connessi alla misura
più gradata.
Il difensore di Alfonso Angrisani ha proposto ricorso, prospettando quattro
motivi. Lamenta:
2.7 - erronea applicazione della norma incriminatrice, laddove la impugnata
ordinanza sostiene la duplice applicabilità della disciplina sui rifiuti e della
disciplina sanitaria;
2.8 - mancanza o manifesta illogicità di motivazione, laddove la ordinanza
impugnata si basa sull'erroneo assunto giuridico di cui al motivo precedente;
2.9 - erronea applicazione dell'art. 416 c.p., in quanto dagli atti non è emerso
uno stabile e preordinato progetto criminoso;
2.10 - erronea applicazione degli artt. 272 e ss. c.p.p., giacché manca per il
ricorrente un pericolo attuale di reiterazione criminosa, dal momento che lo
stesso Angrisani ha lasciato da un anno la carica di presidente della società
Deaban.
Motivi della decisione
3 - Occorre preliminarmente decifrare il significato delle norme che si sono
succedute nel tempo in ordine alla soggetta materia.
Il D.P.R. 10.9.1982 n. 915, che disciplinava la gestione dei rifiuti in
attuazione della direttiva 75/442/CEE, dopo aver definito come rifiuto qualsiasi
sostanza od oggetto derivante da attività umane o da cicli naturali, abbandonato
o destinato all'abbandono (art. 2, comma 1), escludeva dalla disciplina dei
rifiuti alcune sostanze, tra cui le carogne (art. 2, comma 7, lett.c)).
Il D.Lgs. 14.12.1992 n. 508, in attuazione della direttiva 90/667/CEE, stabiliva
le norme sanitarie per la gestione (sotto specie di operazioni di eliminazione,
di trasformazione e di commercializzazione) di rifiuti di origine animale. In
particolare, questi rifiuti animali, distinti in materiali ad alto rischio e in
materiali a basso rischio igienico, dovevano essere trasformati, oppure
eliminati attraverso incenerimento o sotterramento, in appositi stabilimenti
riconosciuti dal ministero della sanità.
Il D.Lgs. 5.2.1997 n. 22, in attuazione della direttiva 91/156/CEE, al fine di
tutelare l'ambiente (inteso come ambiente-biosfera, comprensivo dei suoi
elementi fisico-chimici di acqua, suolo e aria) disciplinava la gestione dei
rifiuti, cioè le operazioni di raccolta, di trasporto, di recupero e di
smaltimento dei medesimi, che dovevano essere debitamente autorizzate.
La direttiva 91/156/CEE, sostituendo le disposizioni della precedente direttiva
a decorrere dal 25.3.1991, definisce come rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto
che rientri nella categorie del Catalogo Europeo dei Rifiuti di cui il detentore
si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi (art. 1, lett. a)), ed
esclude dal campo di applicazione della direttiva stessa alcune sostanze, tra
cui le carogne, qualora già contemplate da altra normativa (art. 2, comma 1,
lett. b)).
Per adeguarsi alla nuova formulazione della direttiva europea, il D.Lgs.
22/1997, riproduce la nuova definizione di rifiuto (lett. a) dell'art. 6) ed
esclude dalla disciplina del decreto alcune sostanze, tra cui le carogne, in
quanto disciplinate da specifiche disposizioni di legge (art. 8 comma 1, lett.
c)).
A questo punto entra in vigore il Regolamento (CE) 3.10.2002 n. 1774, che reca
norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al
consumo umano. In quanto Regolamento comunitario, è direttamente applicabile
nell'ordinamento italiano e ha l'effetto di abrogare il citato D.Lgs. 508/1992,
in quanto disciplina la stessa materia.
Secondo l'art. 2, si intendono per "sottoprodotti di origine animale" corpi
interi o parti di animali o prodotti di origine animale non destinati al consumo
umano, i quali, pur non costituendo l'oggetto del processo produttivo, sono il
risultato indiretto dello stesso processo, così come identificati e classificati
in tre categorie dagli articoli 4, 5 e 6. Essi devono essere eliminati mediante
incenerimento, o trasformati e poi eliminati mediante incenerimento, ovvero, per
i sottoprodotti a basso rischio della terza categoria, anche trasformati o
utilizzati in vari modi. Tutti gli impianti di transito, immagazzinamento,
trasformazione e incenerimento devono essere riconosciuti dall'autorità
sanitaria competente.
Nel frattempo, in base alla legge delega del 15.12.2004 n. 308, il Governo
italiano emana il D.Lgs. 3.4.2006 n. 152, c.d. testo unico sull'ambiente, che
nella parte quarta contiene le norme in materia di gestione dei rifiuti.
L'art. 183, comma I lett. a), riproduce la definizione di rifiuto contenuta nel
D.Lgs. 22/1997. Mentre l'art. 185 esclude ancora le carogne dal campo di
applicazione della disciplina sui rifiuti, ma senza ripetere la limitazione di
origine comunitaria "in quanto disciplinate da specifiche disposizioni di
legge". Tuttavia il secondo comma dello stesso art. 185 precisa che "resta ferma
la disciplina di cui al Regolamento (CE) n. 1774/2002 del Parlamento europeo e
del Consiglio del 3.10.2002, recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti
di origine animale non destinati al consumo umano, che costituisce disciplina
esaustiva ed autonoma nell'ambito del campo di applicazione ivi indicato".
Nel frattempo (17.5.2006) entra in vigore la nuova direttiva europea sui rifiuti
(direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti del
5.4.2006 n. 2006/12/CE), emanata allo scopo di codificare la disciplina, per
esigenze di razionalità e chiarezza. Questa direttiva modifica marginalmente la
definizione di rifiuto, sostituendo la ipotesi di "abbia deciso" con quella di
"abbia l'intenzione", sicché s'intende per rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto
che rientri nelle categorie del Catalogo Europeo dei Rifiuti di cui il detentore
si disfi o abbia l'intenzione o abbia l'obbligo di disfarsi (lett. a) dell'art.
1). Per quanto riguarda l'ambito di applicazione della relativa disciplina, la
nuova direttiva conferma la esclusione delle carogne solo qualora contemplate da
altra normativa (lett. b) dell'art. 2).
Infine, sempre in base alla citata legge delega n. 308 del 15.12.2004, viene
emanato il D.Lgs. 16.1.2008 n. 4, correttivo e integrativo del precedente D.Lgs.
152/2006. Il nuovo decreto conferma la precedente definizione di rifiuto (senza
adeguarla alla modifica introdotta dalla nuova direttiva europea) e modifica il
citato art. 185. Più esattamente, la esclusione delle carogne e di altri
materiali dal campo di applicazione della disciplina generale sui rifiuti è di
nuovo limitata dalla clausola "in quanto regolati da altre disposizioni
normative che assicurano tutela ambientale e sanitaria" (lett. b) del comma 1).
Inoltre è soppresso il secondo comma che confermava espressamente la
applicazione della disciplina dettata dal Regolamento (CE) n. 1174/2002.
Infine, occorre tener presente che sia le direttive europee sui rifiuti sia la
normativa nazionale relativa alla disciplina generale sui rifiuti hanno fatto
salve le disposizioni specifiche, particolari o complementari, conformi ai
principi generali dettati per la materia, adottate per determinate categorie di
rifiuti in attuazione di direttive comunitarie (v. prima art. 1, comma 1, D.Lgs.
22/1997; e ora art. 177, comma 1, ultimo periodo, D.Lgs. 152/2006). Su questo
fondamento, per esempio, sono state emanate normative particolari per le pile e
gli accumulatori contenenti sostanze pericolose, o per imballaggi e rifiuti di
imballaggio.
4 - Alcune considerazioni iniziali s'impongono.
Solo col Regolamento 1774/2002 si adotta il termine di sottoprodotti di origine
animale, abbandonando quello di rifiuti di origine animale. Secondo la
giurisprudenza comunitaria, e ora anche secondo il diritto nazionale, si devono
intendere per sottoprodotti quei materiali risultanti dal processo produttivo,
che, pur non costituendo l'oggetto proprio del ciclo produttivo, scaturiscono
continuativamente dal ciclo produttivo stesso e sono destinati dal produttore a
ulteriore impiego produttivo o al consumo. Il produttore, quindi, non intende
disfarsi di essi (che perciò non possono qualificarsi rifiuti), ma li
commercializza a condizioni per lui economicamente favorevoli o li impiega in
altri processi produttivi. Per evitare qualsiasi rischio per l'ambiente,
tuttavia, il riutilizzo deve essere certo, senza l'intervento di trasformazioni
preliminari e senza pregiudizio per l'ambiente.
La seconda considerazione è che il significato di "carogna", non è del tutto
sovrapponibile a quello di sottoprodotto di origine animale contemplato dal
Regolamento n. 1174/2002. Le carogne sono i corpi di animali morti, mentre
sottoprodotti di origine animale, ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. a) del
Regolamento, sono sia i corpi interi sia parti di animali o prodotti di origine
animale non destinati al consumo. Orbene, tra le parti di animali sono compresi
ad esempio le pelli (art. 4, lett. a)), lo stallatico o il contenuto del tubo
digerente (art.5 lett. a)), o ancora pelli, zoccoli e corna (art. 6, lett. c)),
sangue ottenuto da animali (art. 6, lett. d), latte crudo proveniente da animali
(art. 6. lett. g)), insomma tutte sostanze che esulano sicuramente dalla nozione
di carogna, intesa secondo il significato comune di corpo intero di un animale
morto.
Un'altra, non marginale, considerazione è che, secondo il significato corrente
delle parole, il termine "carogna" allude a un corpo di un animale morto per
cause diverse dalla macellazione. Per i derivati della macellazione, invece, si
parla di porzioni di carne destinate al consumo (prodotti della macellazione), o
di residui destinati allo smaltimento o al recupero (rifiuti), ovvero di
sottoprodotti destinati al riutilizzo senza operazioni di trattamento.
Tanto premesso, va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza
comunitaria, la nozione di "rifiuto" - e con essa il concetto di "disfarsi" che
ne costituisce il presupposto - non può essere interpretata in senso
restrittivo, in omaggio alla finalità essenziale della relativa disciplina, che
mira alla tutela della salute umana e dell'ambiente. Specularmente, tutte le
disposizioni derogatorie che prevedono la esclusione di determinate sostanze
dall'ambito di applicazione della disciplina generale sui rifiuti, e quindi la
nozione di "carogne", vanno interpretate in senso restrittivo.
Dalle osservazioni precedenti deriva una prima conclusione, che può formularsi
nel modo seguente: le carogne rientrano nella categoria dei rifiuti; tuttavia,
possono essere sottratte alla disciplina generale sui rifiuti soltanto se e in
quanto siano configurabili come sottoprodotti del processo di macellazione,
destinati al riutilizzo certo senza trasformazioni preliminari e senza
pregiudizio per l'ambiente (ma in tale ultimo caso si tratterà propriamente più
di scarti di macellazione che di carogne vere e proprie).
5 - A questo punto, occorre accertare se la suddetta successione di leggi nel
tempo abbia modificato, o abbia mantenuto sostanzialmente inalterata, la
disciplina nella soggetta materia. In particolare, occorre verificare se vi sia
stato un mutamento normativo tra la disciplina dettata dal D.Lgs. 152/2006,
vigente al momento in cui sono stati commessi i fatti contestati, e la
successiva disciplina introdotta col decreto correttivo e integrativo n. 4/2008.
La risposta sembra essere negativa. per varie ragioni.
Anzitutto, l'art. 1, comma 6, della citata legge delega 15.12.2004 n. 308, ha
conferito al Governo un potere legislativo limitato alla correzione e
integrazione dei decreti emanati sulla base del comma 1 dello stesso art. 1, nel
rispetto dei principi e criteri direttivi stabiliti dalla medesima legge delega.
In questo limitato potere di correzione e integrazione, quindi, non può essere
compresa la possibilità di immutare radicalmente l'ambito di applicazione della
disciplina generale sui rifiuti e, per conseguenza, la disciplina sulle
"carogne", ampliando o restringendo una disciplina a scapito dell'altra.
In secondo luogo, anche alla luce della considerazione testé accennata, si deve
pensare che il legislatore delegato del 2006, quando, nell'art. 185 ha escluso
le carogne dall'ambito di applicazione della disciplina generale sui rifiuti,
senza la clausola limitativa "in quanto regolate da altre disposizioni normative
che assicurano tutela ambientale e sanitaria", ma ha inserito un secondo comma
col quale espressamente manteneva ferma la disciplina sanitaria in materia di
sottoprodotti di origine animale di cui al Regolamento (CE) n. 1774/2002
(specificando che questa era esaustiva ed autonoma nell'ambito del campo di
applicazione ivi indicato), abbia voluto esprimere la stessa volontà normativa
del legislatore delegato del 2008, laddove questo ha modificato lo stesso art.
185 introducendo la menzionata clausola limitativa e sopprimendo il suddetto
secondo comma.
In terzo luogo, infine, occorre privilegiare quella interpretazione delle norme
nazionali che sia conforme al diritto comunitario. Orbene, solo una
interpretazione del testo del 2006 nel senso esplicitato dal testo del 2008 è
conforme al diritto comunitario, secondo il quale è indubbio che le carogne sono
escluse dalla disciplina generale sui rifiuti solo qualora siano già contemplate
da altra normativa comunitaria.
In altri termini, si deve affermare che, sia per il D.Lgs. 152/2006, sia per il
D.Lgs. 4/2008:
a) le "carogne" sono escluse dalla disciplina generale sui rifiuti solo in
quanto regolate da altre disposizioni normative che assicurano tutela ambientale
e sanitaria;
b) poiché il Regolamento (CE) n. 1774/2002 assicura solo una tutela sanitaria
per le carogne e per sottoprodotti di origine animale, la materia delle carogne
- in quanto tali - è sempre inclusa nella disciplina generale sui rifiuti, che
assicura anche la tutela ambientale; c) resta ferma la disciplina sanitaria
dettata dal Regolamento n. 1774/2002 in materia di sottoprodotti di origine
animale non destinati al consumo umano, e quindi anche delle carogne se e in
quanto configurabili come sottoprodotti e non come rifiuti, dovendosi intendere
questa disciplina come esaustiva ed autonoma in ordine al profilo sanitario.
6 - Alla luce di questi principi va disattesa la tesi principale sostenuta da
tutti i ricorrenti. Invero, in linea di fatto è pacifico che i vari macelli
delle province di Bari e Lecce consegnavano i residui animali, ovverosia gli
scarti di macellazione, alla Cinefra Pelli di Luigi Cinefra e alla Nuova Centro
Pelli di Vito Rocco Cinefra (che agivano per conto della ditta Deaban di Alfonso
Angrisani) per il relativo smaltimento. I consegnatari, però, invece di
provvedere allo smaltimento, trasportavano i residui animali, anche per mezzo
dell'autotrasportatore Vincenzo Cinefra, fino al centro di stoccaggio di
Giuseppe Del Vecchio, dove i materiali venivano mescolati con sottoprodotti di
categoria 3 e quindi trasferiti presso la società Milo, di fatto amministrata da
Leopoldo Milone, nella quale venivano trasformati in farine animali o in altri
prodotti da mettere in commercio.
E' quindi evidente che i produttori, avviando i residui della macellazione allo
smaltimento (e pagando un corrispettivo per questo servizio), intendevano
disfarsene e di fatto se ne disfacevano, con la doppia conseguenza: a) che detti
residui si configuravano come veri e propri rifiuti, e non come sottoprodotti di
origine animale destinati al consumo; b) che le operazioni di trasporto e di
recupero, e in genere di gestione, dovevano essere autorizzate ai sensi della
disciplina sui rifiuti.
Ne deriva la sussistenza del contestato reato di cui all'art. 260 D.Lgs.
152/2006, giacché il tribunale salentino, con motivazione incensurabile in
questa sede, ha accertato l'esercizio continuato di una attività organizzata per
il traffico illecito di ingenti quantitativi di rifiuti, abusivamente gestiti e
recuperati come sottoprodotti di origine animale, senza le prescritte
autorizzazioni ambientali e sanitarie, e senza alcun rispetto delle norme
dettate dal Regolamento 1774/2002. Con motivazione altrettanto incensurabile, la
ordinanza impugnata ha accertato il dolo specifico del reato, ravvisando il
perseguimento di ingiusti profitti da parte di tutti i soggetti che
partecipavano alla attività criminosa.
Si comprende così come la tesi dei ricorrenti, che ricalca quella sostenuta dal
g.i.p. nella sua ordinanza del 5.5.2008, non può essere giustificata dalla
sentenza Zanchin (Cass. Sez. III, n. 21676 del 26.1.2007, mass. 236703), la
quale riguardava il fatto assolutamente diverso dei titolari di un canile che
conferivano nei cassonetti per la raccolta dei rifiuti solidi urbani le ceneri
prodotte dall'incenerimento delle carogne dei cani morti.
7 - Parimenti infondate sono le censure rivolte dai ricorrenti contro la
configurazione del reato associativo di cui all'art. 416 c.p..
Il giudice cautelare ha correttamente ravvisato gli estremi materiali e
psicologici del reato, avendo accertato, con motivazione scevra da vizi logici o
giuridici, che tutti i soggetti indagati avevano posto in essere, non già una
semplice trafila commerciale, ma una vera e propria societas sceleris
(che prevedeva addirittura la corresponsione di compensi mensili a uno degli
associati) al fine di organizzare un ingente e lucrativo traffico illecito di
rifiuti animali.
Né si può fondatamente sostenere che gli indagati non avessero coscienza di
partecipare al vincolo associativo e di contribuire al programma comune, sol che
si consideri come lo stretto intreccio dei ruoli assegnati a ciascuno degli
associati necessariamente poneva ciascuno di essi al corrente della
compartecipazione degli altri.
8 - Il giudice cautelare, non solo ha correttamente ritenuto la sussistenza dei
reati ipotizzati, ma ha anche legittimamente motivato in ordine ai gravi indizi
di colpevolezza e alle esigenze cautelari per ogni persona indagata.
Perciò non può essere accolta neppure la doglianza di Vito Rocco Cinefra, che ha
protestato la sua estraneità ai fatti adducendo la pregressa dichiarazione di
fallimento della sua società. Si tratta di una circostanza di fatto, che, come
tale, esula dal potere di cognizione del giudice di legittimità; e che inoltre
non appare per se stessa decisiva, potendo benissimo il Cinefra continuare di
fatto a collaborare alla programmata impresa criminosa anche dopo il fallimento.
Quanto alle esigenze cautelari, imposte dal pericolo attuale di reiterazione
criminosa, la ordinanza impugnata ha sottolineato che si tratta di soggetti
ancora operativi sul mercato in posizione egemone, per i quali sarebbe ingenuo
ipotizzare un drastico mutamento di rotta e un adeguamento alle normative di
settore, dal momento che non v'è alcuna traccia di resipiscenza personale o di
modificazione della associazione criminale.
Non possono quindi accogliersi le censure formulate sul punto, compresa quella
del difensore di Alfonso Angrisani, basata sulla asserita dismissione dalla
carica di presidente della società Deaban. Si tratta anche qui di una mera
circostanza fattuale, che sfugge alla cognizione di questa Corte, e che non ha
valenza decisiva, potendo l'Angrisani continuare a partecipare alla associazione
e alle attività criminose come semplice amministratore di fatto della società.
9 - In conclusione, tutti i ricorsi devono essere respinti.
Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Considerato il contenuto delle impugnazioni, non si ritiene di irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
la Corte suprema di cassazione rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in
solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 4.11.2008.
Deposito in Cancelleria il 04/12/2008
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