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CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 23/12/2008 (Ud. 16/10/2008), Sentenza n. 48037
RIFIUTI - Sottoprodotti - Nozione - Recupero di materiale lapideo - Fattispecie
- Art 256, c.1, lett. a) D.Lgs. n. 152/2006 - Art. 183, D.Lgs. n. 152/2006 -
Art. 186 D.Lgs. n. 152/2006, ora modificato dal D.Lgs. n. 4/2008. In tema di
gestione dei rifiuti, rientra nel campo di applicazione della disciplina dei
sottoprodotti, l'attività di recupero di materiale lapideo che soddisfi i
criteri, i requisiti e le condizioni previste dall'art. 183, comma primo, lett.
p) del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dal D.Lgs. 16 gennaio 2008,
n. 4. (Fattispecie nella quale è stato annullato, per difetto del "fumus" del
reato di gestione non autorizzata di rifiuti non pericolosi, il sequestro
preventivo di un impianto per la frantumazione ed il lavaggio di materiali
composto da sfridi, cocciame costituente scarto di lavorazione e peloni, cioè
testate inutilizzabili derivanti dalla segatura dei blocchi di marmo).
Pres. Altieri, Est. Franco, Ric. Prati.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 23/12/2008 (Ud. 16/10/2008), Sentenza n.
48037
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UDIENZA 16.10.2008
SENTENZA N. 1070
REG. GENERALE n. 19492/08
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Signori
Dott. Edoardo FAZZIOLI Presidente
Dott. Maria Cristina SIOTTO Consigliere
Dott. Umberto ZAMPETTI Consigliere
Dott. Uliana ARMANO Consigliere
Dott. Margherita CASSANO Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Prati Massimino, nato a Cerro Veronese il 12 aprile 1953;
-
avverso l'ordinanza emessa il 5 maggio 2008 dal tribunale del riesame di Verona,
in sede di rinvio;
-
udita nella udienza in camera di consiglio del 16 ottobre 2008 la relazione
fatta dal Consigliere Dr. Amedeo Franco;
-
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
PASSACANTANDO Guglielmo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
-
udito il difensore avv. MASSELLA Michele.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto 27 novembre 2006 il giudice per le indagini preliminari del
tribunale di Verona dispose il sequestro preventivo di un'area della S.r.l.
PRATI e dell'impianto, sulla medesima insistente, per la frantumazione ed il
lavaggio di materiale lapideo, ipotizzando nei confronti di Prati Massimino il
reato di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 1, lett. a), per
svolgere attività di gestione di rifiuti non pericolosi non autorizzata. In
particolare, si contestava al Prati di svolgere attività di recupero di
materiali provenienti da industrie della lavorazione del marmo, e segnatamente
sfridi, cocciame costituente scarto di lavorazione e peloni, cioè testate
inutilizzabili derivanti dalla segatura dei blocchi di marmo.
Il sequestro fu però annullato dal tribunale del riesame. Su ricorso del
pubblico ministero, questa Corte annullò con rinvio l'ordinanza del tribunale,
chiedendo il riesame della questione alla luce delle definizioni di rifiuto, di
sottoprodotto e di materia prima secondaria contenute nel D.Lgs. 3 aprile 2006,
n. 152, art. 183.
Il tribunale del riesame di Verona, con ordinanza 10 luglio 2007, confermò il
sequestro preventivo del solo impianto (restituendo l'area), ritenendo che il
materiale lavorato dalla società Prati non poteva essere considerato
sottoprodotto perché veniva sottoposto, ai fini dell'utilizzazione in un
successivo processo produttivo, ad una serie di lavorazioni, quali il lavaggio e
la frantumazione, e nemmeno poteva essere considerato materia prima secondaria,
perché mancante dei requisiti di legge.
Questa Corte, con ordinanza del 29 gennaio 2008, annullò di nuovo l'ordinanza
impugnata osservando che non era adeguatamente giustificata l'affermazione che
il materiale in questione (e segnatamente i cd. peloni, dato che il tribunale
non si era pronunciato in ordine a sfridi e cocciame) non costituiva
sottoprodotto perché avrebbe subito trasformazioni preliminari. E ciò perché
trasformazione preliminare si ha soltanto in caso di trattamenti che mutino
l'identità merceologica del materiale, idonei cioè a far perdere al
sottoprodotto la propria identità, ossia le proprietà possedute, le
caratteristiche merceologiche di qualità. La Corte osservò poi che la natura di
sottoprodotto andava accertata verificando anche se il materiale fosse stato
commercializzato a condizioni economicamente favorevoli per l'impresa
commerciante o se, piuttosto, le imprese in questione avessero inteso disfarsi
del materiale medesimo. Osservò infine che era altresì priva di motivazione
l'esclusione del materiale dalla categoria della materia prima secondaria.
Il tribunale del riesame di Verona, con l'ordinanza in epigrafe, confermò il
decreto di sequestro preventivo limitatamente all'impianto di trattamento,
osservando:
- che i trattamenti effettuati sui materiali lapidei non ne comportavano una
trasformazione merceologica, sicché gli stessi non potevano considerarsi
rifiuti, anche perché avevano un valore economico ed erano destinati ad essere
riutilizzati;
- che invece dovevano ritenersi rifiuti gli altri materiali, ossia il cocciame e
gli inerti di varia natura misti a terra, perché erano sottoposti ad una
trasformazione attraverso una attività di lavaggio e di successiva
frantumazione;
- che quindi tali materiali non avevano la natura di sottoprodotto, non
rispettando la disciplina normativa sul punto.
L'indagato propone ricorso per cassazione deducendo:
1) illogicità e mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta attività di
smaltimento di cocciame e materiale terroso e violazione del D.Lgs. 3 aprile
2006, n. 152, art. 177 segg. Osserva che le stesse ragioni che hanno fatto
ritenere la natura di sottoprodotto al materiale lapideo ricavato dai peloni e
dagli sfridi, valevano per far attribuire la stessa natura al cocciame, il
quale, nel capo di imputazione, è inteso, al pari dei peloni e degli sfridi,
materiale lapideo, e quindi suscettibile di valutazione economica e di reimpiego.
La s.r.l. Prati, infatti, acquista anche cocciame che viene impiegato come gli
altri nella pavimentazione. Nella ordinanza impugnata ci si riferisce invece a
qualcosa di diverso e mai esistito. E difatti in nessun atto emerge la presenza
di terra o di roccia da scavo.
2) violazione dell'art. 321 cod. proc. pen. in ordine alla mancata
corrispondenza tra fattispecie contestata e ipotesi di reato indicata nella
ordinanza impugnata. Invero è pacifico che la ditta Prati ha acquistato solo
peloni e sfridi, come indicato nel capo di imputazione, dalla cui lavorazione
derivano cubetti di marmo e cocciame impiegati per la pavimentazione. Poiché il
cocciame non può essere considerato rifiuto, il sequestro viola l'art. 321 cod.
proc. pen.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Al ricorrente era stato contestata la violazione del D.Lgs. 3 aprile 2006, n.
152, art. 256, comma 1, lett. a), per lo svolgimento di attività non autorizzata
di gestione di rifiuti non pericolosi. In particolare, era stata contestata
l'attività di recupero di materiali provenienti da industrie della lavorazione
del marmo, e segnatamente di sfridi, cocciame costituente scarto di lavorazione
e peloni, cioè testate inutilizzabili derivanti dalla segatura dei blocchi di
marmo.
Dopo la prima decisione di questa Corte, che invitava il giudice del merito a
valutare la natura del materiale alla luce delle definizioni di rifiuto,
sottoprodotto e materia prima secondaria contenute nel D.Lgs. 3 aprile 2006, n.
152, art. 183 il tribunale del riesame di Verona, già con l'ordinanza del 10
luglio 2007, confermò il sequestro preventivo dell'impianto con riferimento alla
sola attività di lavorazione dei cd. peloni, in quanto (come rilevato dalla
successiva sentenza di questa Corte del 29 gennaio 2008) trascurò del tutto di
pronunciarsi in ordine agli sfridi ed al cocciame. Dovrebbe quindi ritenersi che
già con questa decisione il tribunale del riesame aveva escluso la natura di
rifiuto relativamente agli sfridi ed al cocciame, avendo ritenuto che solo ai
peloni non poteva attribuirsi natura di sottoprodotto. In ogni modo, anche a non
voler ritenere che con la suddetta ordinanza del 10 luglio 2007 il tribunale non
avesse limitato la natura di rifiuto ai soli peloni, lo stesso tribunale, con
l'ordinanza in epigrafe, ha ora espressamente affermato che il "materiale
lapideo", e precisamente gli sfridi ed i peloni, non potevano qualificarsi come
rifiuti sia perché avevano un valore economico ed erano destinati ad essere
riutilizzati, sia perché gli stessi dovevano qualificarsi come sottoprodotti in
quanto il trattamento cui erano sottoposti per il riutilizzo (consistente
sostanzialmente nella frantumazione e nel lavaggio) non comportavano una
trasformazione della loro identità merceologica. Il tribunale del riesame ha
invece questa volta mantenuto il sequestro per il motivo che doveva attribuirsi
natura di rifiuto all'altro materiale rinvenuto presso la ditta, e precisamente
al "cocciame" ed agli "inerti di varia natura misti a terreno". Più precisamente
il tribunale ha ritenuto che a questo materiale non potesse riconoscersi la
qualifica di sottoprodotto per la ragione che non era rispettata la disciplina
dettata dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 186 anche secondo il testo
modificato dal D.Lgs. n. 4 del 2008, stante l'assenza di un progetto sottoposto
a valutazione ambientale o di un progetto approvato dalla autorità
amministrativa e l'assenza dei requisiti previsti dal nuovo testo.
Orbene, deve innanzitutto rilevarsi che fondatamente il ricorrente lamenta che
il sequestro preventivo è stato mantenuto in riferimento ad una attività che non
era stata contestata con il capo di imputazione e della quale finora l'accusa
non aveva mai parlato. Come si è ricordato, infatti, all'indagato era stata
contestata soltanto l'attività di recupero relativa agli sfridi, ai peloni ed al
cocciame, e soltanto questa attività, ritenuta illecita per mancanza di
motivazione, era stata posta a fondamento del sequestro. Al ricorrente non è
stata invece mai contestata una attività di gestione o smaltimento di "terre o
rocce da scavo", che del resto non era stata mai nemmeno implicitamente
ipotizzata dalle due precedenti ordinanze del tribunale del riesame e dalle due
precedenti sentenze di questa Corte, che infatti hanno sempre fatto riferimento
al solo D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183 (relativo ai sottoprodotti ed
alle materie prime secondarie) e mai al successivo art. 186 (che si riferisce
alle terre e rocce da scavo).
Da ciò deriva una totale mancanza di motivazione sul punto che era stato
demandato al giudice del rinvio dalla precedente sentenza di annullamento di
questa Corte, ossia sulla impossibilità nel caso di specie di qualificare il
materiale lavorato (sfridi, peloni e cocciame) come sottoprodotto, in quanto
solo questa impossibilità avrebbe potuto giustificare il mantenimento del
sequestro. La motivazione infatti si fonda esclusivamente, da un lato, su una
presunta attività di smaltimento di inerti misti a terreno, ossia su una
attività del tutto diversa ed estranea rispetto a quella contestata e che
avrebbe dovuto essere valutata, e, da un altro lato, sul presunto mancato
rispetto della disciplina posta dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 186 ossia
appunto di una disciplina completamente estranea all'oggetto del giudizio,
perché riguarda le terre e rocce da scavo e non i sottoprodotti, contemplati dal
precedente art. 183.
E totalmente priva di motivazione è la (implicita) esclusione, nella specie,
della natura di sottoprodotto relativamente al cocciame. Ed infatti - anche a
non voler considerare che il tribunale del riesame aveva già escluso tale natura
per il cocciame con l'ordinanza 10 luglio 2007 - l'ordinanza impugnata non ha in
alcun modo spiegato per quali ragioni in questa occasione, per la prima volta,
sembrerebbe aver escluso che il cocciame costituisse materiale lapideo, al pari
degli sfridi e dei peloni, e per quali ragioni ha ritenuto che il cocciame non
potesse essere qualificato sottoprodotto, mentre avevano tale qualifica gli
sfridi ed i peloni.
Anzi, il fatto stesso che l'ordinanza impugnata, per attribuire natura di
rifiuto ed escludere quella di sottoprodotto, nel concreto caso di specie, al
cocciame abbia potuto solo fare riferimento ad una norma ed una disciplina
inconferenti perché relative alle terre e rocce da scavo e non ai sottoprodotti,
sembra dimostrare che non vi erano ragioni per non attribuire anche al cocciame
tale natura. In conclusione, mentre per quanto riguarda gli sfridi ed i peloni è
la stessa ordinanza impugnata a riconoscere agli stessi natura di sottoprodotto,
osserva il Collegio che anche per il cocciame deve ritenersi tale natura, dal
momento che nel caso di specie è pacifico che sussistano le altre condizioni
previste dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183 e che, dopo ben tre
decisioni del tribunale del riesame, non è stata mai fornita la prova della
presenza di una condizione che impedirebbe tale qualificazione, ed in
particolare, come indicato dalle precedenti sentenze di questa Corte,
dell'esistenza di un processo di trasformazione preliminare che faccia perdere
al materiale la sua identità merceologica ovvero (secondo la nuova formulazione
della disposizione) di un processo di trasformazione preliminare necessario per
soddisfare i requisiti merceologici e di qualità idonei a garantire che il suo
impiego non dia luogo ad emissioni ed impatti ambientali diversi da quelli
autorizzati per l'impianto dove è destinato ad essere utilizzato. Pertanto, data
la mancanza di prova sulla sussistenza del "fumus" del reato ipotizzato,
ne deriva l'illegittimità del decreto del giudice per le indagini preliminari
del 27 novembre 2006 impositivo del sequestro preventivo e della ordinanza
impugnata, che lo ha confermato sia pure limitatamente all'impianto di
trattamento dei rifiuti. L'ordinanza impugnata deve dunque essere annullata
senza rinvio e, conseguentemente, va ordinata la restituzione di quanto in
sequestro all'avente diritto.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata ed ordina restituirsi quanto in
sequestro all'avente diritto.
Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2008.
Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2008
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