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T.A.R. CAMPANIA, Salerno, Sez. II - 18 marzo 2008, n. 308
 

URBANISTICA ED EDILIZIA - Convenzioni urbanistiche - Rilascio di concessione edilizia in assenza di piano attuativo - Limiti. Si può prescindere dalla lottizzazione convenzionata richiesta dalle norme tecniche dello strumento urbanistico generale solo ove nel comprensorio interessato sussista una situazione di fatto corrispondente a quella derivante dall’attuazione della lottizzazione stessa, ovvero la presenza di opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standards urbanistici minimi prescritti (cfr. Cons. Stato, IV, 21-12-2006, n. 7769). Pres. Esposito, Est. Mele - P.C. e altro (avv. Sandulli) c. Comune di Avellino (avv.ti Cantucci de Magistris, Brigliadoro e Manganiello). T.A.R. CAMPANIA, Salerno, Sez. II - 18 marzo 2008, n. 308

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

n.


IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA CAMPANIA - SALERNO -


SEZIONE II


composto dai Magistrati:


1) Dr. Luigi Antonio Esposito - Presidente
2) Dr. Francesco Mele - Consigliere rel.
3) Dr. Francesco Gaudieri - Consigliere


ha pronunciato la seguente


SENTENZA


sul ricorso n. 4242/2000 Reg. Gen., proposto da Pallante Carla ed Adriana, rappresentate e difese dall’avv. Emilio Paolo Sandulli , ed elettivamente domiciliate in Salerno alla via Roma n. 288 presso lo studio dell’avv. Domenico Angrisano;
contro
Comune di Avellino, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovanni cantucci de Magistris, Gabriella Brigliadoro e Berardina Manganiello ed elettivamente domiciliati in Salerno alla via Marietta Gaudiosi n. 6 presso lo studio dell’avv. Aristide de Vivo;
per l'annullamento
del parere reso dalla C.E.C. del Comune di Avellino in data 3-10-2000, con il quale è stato espresso parere favorevole al rilascio della concessione edilizia richiesta dalle ricorrenti per la costruzione di un fabbricato residenziale di mc. 775 in Avellino, loc. Tuorli Cappuccini, su suolo edificatorio di loro proprietà, riportato in catasto al foglio 13, part. 144, esteso mq.859;
della nota del Dirigente Capo Ripartizione prot. n. 36715/34541 - 5618 -2000 del 9-10-2000, con la quale è stato comunicato l’esito sfavorevole del parere espresso dalla CEC;
di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente
per il risarcimento
dei danni subiti per l’illecito comportamento del Comune;
VISTO il ricorso con gli atti e documenti allegati;
VISTI gli atti di costituzione in giudizio del Comune intimato ;
VISTE le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
VISTI tutti gli atti della causa;
RELATORE alla pubblica udienza del 28-6-2007 il Dott. Francesco Mele e uditi altresì, per le parti, gli avvocati presenti come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:


FATTO


Con ricorso notificato il 7-12-2000 e depositato il 29-12-2000 le signore Pallante Carla e Pallante Adriana, nella qualità di proprietari di un’area sita in Avellino, località Tuoro Cappuccini, in catasto al foglio 13, part. 144, della superficie di mq. 859, impugnavano dinanzi a questo Tribunale Amministrativo Regionale i provvedimenti in epigrafe specificati, con i quali il Comune di Avellino aveva rigettato la loro istanza di rilascio di concessione edilizia per la realizzazione di un fabbricato residenziale di mc. 775.


Dopo ampio ed articolato antefatto, assumevano sostanzialmente che l’intervento proposto poteva essere realizzato previo rilascio di concessione edilizia diretta senza necessità di piano attuativo, in quanto la zona di riferimento era completamente urbanizzata.


Denunziavano, pertanto, con articolata prospettazione: 1) violazione e falsa applicazione dei principi generali della legislazione urbanistica e dell’art. 31 l. n. 1150/1942- violazione e falsa applicazione dell’art. 3 l. n. 241/1990 - eccesso di potere (carenza di presupposto e di istruttoria, illogicità, contraddittorietà, disparità di trattamento); 2) violazione del principio di legalità, del diritto di difesa, dell’art. 97 Cost.-violazione delle regole di buon andamento- violazione e falsa applicazione dell’art. 3 l. n. 241/1990- eccesso di potere ( difetto di presupposto e di istruttoria, perplessità, genericità, sviamento) ; 3) eccesso di potere (disparità di trattamento, sviamento, falsità ed erroneo presupposto)- violazione dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento.


Instauratosi il contraddittorio, il Comune di Avellino si costituiva in giudizio, rilevando l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.


La causa veniva discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 28-6-2007.


DIRITTO


La domanda demolitoria proposta è fondata e deve, pertanto, essere accolta.


Premette il Tribunale che la classificazione dell’area in oggetto in base al vigente Piano Regolatore Generale del Comune di Avellino è quella di “zone territoriali di tipo C - nuove zone insediative - sottozona C4”.


La suddetta circostanza è pacifica, in quanto affermata dalle parti nei propri atti difensivi e confermata dal Consulente Tecnico nominato dal Tribunale nella relazione depositata il 2-3-2001.


Osserva il Collegio che in detta zona gli interventi si attuano secondo quanto stabilito dagli artt. 29 e 33 delle Norme Tecniche di Attuazione, in particolare prevedendosi non l’intervrento edificatorio diretto ma la previa definizione di un piano urbanistico di tipo attuativo (cfr. pure il certificato di destinazione urbanistica del Comune di Avellino prot. 5618 del 15-1-2001).


Ciò posto, va osservato che il Comune, nel disporre il diniego di rilascio della concessione edilizia, ha fatto applicazione delle richiamate NTA, affermando la necessità della previa presentazione, da parte dei privati, di una proposta di piano particolareggiato, da sottoporre all’esame del Consiglio Comunale; le ricorrenti, invece, ritenendo la zona ormai sufficientemente urbanizzata, assumono, invece, la possibilità dell’intervento diretto, contestando pertanto la legittimità dell’atto negativo dell’ente locale.


La questione fondamentale posta nel presente giudizio, dunque, consiste nel verificare se, nonostante la prescrizione regolamentare in ordine alla necessità del piano attuativo, la edificazione possa comunque essere effettuata tramite concessione edilizia diretta.


La giurisprudenza , con orientamento ormai consolidato ( Cfr. Cons. Stato, V, 3-3-2004, n. 1013; 24-9-1997, n. 1016; 25-10-1997, n. 1189; 29-4-2000, n. 2562), ha affermato che la concessione edilizia può essere rilasciata in assenza di piano attuativo, richiesto dalle norme dello strumento urbanistico, solo quando in sede istruttoria l’Amministrazione abbia accertato che l’area edificabile di proprietà del richiedente è l’unica a non essere stata ancora edificata e si trova in una zona integralmente interessata da costruzioni e dotata di opere di urbanizzazione.


Si è in sostanza chiarito che si può prescindere dalla lottizzazione convenzionata richiesta dalle norme tecniche dello strumento urbanistico generale solo ove nel comprensorio interessato sussista una situazione di fatto corrispondente a quella derivante dall’attuazione della lottizzazione stessa, ovvero la presenza di opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standards urbanistici minimi prescritti (cfr. Cons. Stato, IV, 21-12-2006, n. 7769).


In una tale evenienza, invero, il piano attuativo non avrebbe più alcuna funzione utile da svolgere.


Le convenzioni urbanistiche hanno lo scopo di garantire che alla edificazione del territorio a fini residenziali corrisponda l’approvvigionamento delle dotazioni minime di infrastrutture pubbliche che garantiscano la normale qualità del vivere di un aggregato urbano. Si può, pertanto, dalle stesse prescindere solo quando tali condizioni siano altrimenti rispettate, giacchè in caso di rilascio di concessione edilizia in area non urbanizzata gli interessati verrebbero abilitati all’utilizzo dell’intera proprietà a fini privati, scaricando interamente sulla collettività i costi conseguenti alla realizzazione di infrastrutture per i nuovi insediamenti.


Da quanto sopra, dunque, emerge che il superamento della prescrizione di piano (relativa alla necessità dello strumento attuativo) è consentito in casi del tutto eccezionali, non essendo bastevole la mera presenza in loco di opere di urbanizzazione ma occorrendo invece uno stato di sufficiente urbanizzazione, intendendosi per tale quello idoneo ad accogliere il carico urbanistico derivante dalla realizzanda trasformazione del territorio nel pieno rispetto delle disposizioni normative in tema di standards e di rapporto tra spazi pubblici e privati.


Ciò posto e venendo all’esame della fattispecie concreta portata all’esame del giudicante alla luce dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, rileva il Tribunale che dalla consulenza tecnica espletata emerge la sussistenza di uno stato di “sufficiente urbanizzazione”.


Il Consulente ha chiarito che “il suolo in questione ritrova in una zona che ha subito negli ultimi anni una notevole espansione edilizia”, chiarendo pure che “detta zona edificata risulta completamente urbanizzata”.


Egli ha, poi, analiticamente descritto, fornendone pure indicazione grafica, le urbanizzazioni primarie e secondarie esistenti (pagg. 5 e 6 della relazione).


Si legge, invero, che “le urbanizzazioni primarie esistenti nelle immediate vicinanze del lotto in questione sono ….: strade; spazi di sosta e parcheggio; rete fognaria; rete idrica; rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas; pubblica illuminazione.”; aggiungendosi, altresì, che “ le urbanizzazioni secondarie esistenti in ambito territoriale molto vicino al lotto in questione sono”…: area scolastica (comprendente liceo classico, istituto d’arte, scuola media, scuola elementare, centro di formazione professionale per l’industria, istituto tecnico agrario); area per il mercato bisettimanale; chiese e convento; casa di riposo; campo di tennis; stadio; comando della Guardia di Finanza; centri e servizi sanitari; sede di circoscrizione comunale.


Il Consulente ha , inoltre, chiarito che le strade Greco, Pellecchia, Tuoro Cappuccini e Tino sono servite dal servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani e dal servizio autobus di linea urbana, concludendo che “il lotto di terreno oggetto del contenzioso è inserito in un contesto urbano già edificato e già completamente dotato di urbanizzazioni primarie e secondarie”.


La domanda demolitoria prodotta deve, per l’effetto, essere accolta in quanto fondata, con conseguente annullamento del parere reso dalla CEC in data 3-10-2000 e del provvedimento dirigenziale di cui alla nota del 9-10-2000.


Non può, invero, darsi atto della cessazione della materia del contendere ovvero della sopravvenuta carenza di interesse alla decisione per effetto dell’avvenuto rilascio della concessione edilizia, atteso che a tanto il Comune ha provveduto solo all’esito dell’ordinanza cautelare della Sezione n. 431/2001 del 29-3-2001, la quale, nel sospendere gli atti impugnati, ha dato atto della esistenza del fumus boni iuris del ricorso.


Può a questo punto passarsi alla disamina della domanda di risarcimento danni prodotta dalle ricorrenti, assumendo queste ultime l’esitenza di danni “in conseguenza dell’indicato comportamento e degli indicati atti e provvedimenti amministrativi, per effetto dei quali è stato loro denegato il rilascio della concessione edilizia; danni consistenti tra l’altro nell’incremento dei costi di costruzione, nella ritardata percezione delle somme corrispondenti al valore venale del suolo edificatorio munito della concessione edilizia, nel’aggravio di spese tecniche, reso necessario per le reiterate progettazioni redatte a seguito della sistematica adozione di provvedimenti di diniego”.


Tale domanda, a giudizio del Tribunale, è infondata e deve essere respinta.


Difetta, invero, l’elemento della colpa, costituente componente essenziale della fattispecie della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.


Superata la tradizionale tesi della culpa in re ipsa, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella storica sentenza n. 500/1999, hanno affermato che “l’imputazione non potrà avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità dell’azione amministrativa, ma il giudice dovrà svolgere una più penetrante indagine, non limitata alla sola illegittimità del provvedimento in relazione alla normativa ad esso applicabile, bensì estesa anche alla valutazione della colpa, non del funzionario agente (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia), ma della p.a. intesa come apparato che sarà configurabile nel caso in cui l’adozione e l’esecuzione dell’atto illegittimo (lesivo dell’interesse del danneggiato) sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi …”.


Quanto alla concreta individuazione dei criteri applicativi dei principi espressi dalle Sezioni Unite, va richiamata l’evoluzione che ha in proposito interessato la giurisprudenza amministrativa.


Secondo un primo orientamento (cfr. Cons. Stato, V, n. 4239/2001; VI, n. 204/2003), opererebbe in materia una presunzione relativa di colpa.


La colpa della p.a. può essere ragionevolmente presunta da indici significativi, quali l’accertata illegittimità del provvedimento, in quanto la colpa costituisce un effetto (se pur non automatico) altamente probabile della riscontrata illegittimità in base ad un apprezzamento di frequenza statistica.


La presunzione è però relativa, nel senso che l’ente può comunque offrire prova contraria, dimostrando l’errore scusabile, riveniente dalla formulazione oscura delle norme, dalle oscillazioni giurisprudenziali in materia, dalla complessità del fatto, dai comportamenti di altri soggetti.


Altra giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, VI, n. 7473/2003), nel richiamare il peculiare sistema dell’onere della prova che caratterizza la fattispecie di illecito prevista dall’art. 2043 c.c., ha chiarito che l’utilizzazione di prove indiziarie non consente una inversione dell’onere della prova, onde spetta pur sempre al giudice verificare in concreto e di ufficio se gli elementi indiziari dedotti dal ricorrente siano sufficienti a dimostrare l’elemento psicologico della colpa, anche in assenza di deduzioni in proposito da parte dell’amministrazione.


Dandosi rilievo a meccanismi di semplificazione probatoria della colpa, è stata attribuita rilevanza ad elementi quali la gravità della violazione, il carattere vincolato dell’azione amministrativa, l’univocità della normativa di riferimento, l’apporto partecipativo al procedimento, specificandosi che vi è colpa della p.a. ogni volta che vi sia stata violazione di un canone di condotta agevolmente percepibile dall’amministrazione nella sua portata vincolante (cfr. Cons. giust. sic., 18-4-2006, n. 153).


Da ultmo è stato ribadito che l’azione di risarcimento implica la valutazione dell’elemento psicologico della colpa, alla luce dei vizi che inficiavano il provvedimento e della gravità delle violazioni imputabili all’amministrazione, secondo l’ampiezza delle valutazioni discrezionali rimesse all’organo amministrativo, nonché delle condizioni concrete nelle quali ha operato l’ente, non essendo il risarcimento una conseguenza automatica della pronunzia di annullameno del giudice (cfr. Cons. Stato, IV, n. 5052/2007; V, n. 995/2007; IV, n. 43 e 5204/2005).
Tanto premesso, ritiene il Tribunale che nella fattispecie in esame non sia riscontrabile colpa nella condotta del Comune che ha denegato il rilascio della concessione edilizia.


Tale determinazione negativa, invero, è stata assunta non in violazione espressa di una norma urbanistica scritta, bensì in conformità della stessa la quale prevedeva, per la zona di riferimento, la previa redazione di un piano attuativo, nella specie mancante.


L’elemento della “sufficiente urbanizzazione”, idoneo, secondo la giurisprudenza sopra richiamata, al superamento della norma espressa di piano (e, di conseguenza, alla possibilità di rilascio diretto del titolo edificatorio), non è, poi, oggetto di un accertamento pacifico, semplice e vincolato.


La sua sussistenza comporta, al contrario, una verifica complessa, che attiene alla situazione urbanistica della zona di riferimento, al carico urbanistico riveniente dalla edificazione esistente ed alla possibilità per le opere di urbanizzazione già realizzate di tollerare adeguatamente il nuovo ed ulteriore carico derivante dalla costruzione che si intende realizzare.


Trattasi, dunque, di accertamento complesso in fatto e comportante altresì rilevanti profili di discrezionalità tecnica dell’azione amministrativa.


In tale situazione, dunque, la ritenuta erronea determinazione della p.a., fondata comunque sulla prescrizione scritta ed espressa di una norma dello strumento urbanistico generale, non è idonea a fondare un giudizio di sussistenza dell’elemento psicologico della colpa.
La domanda risarcitoria deve, per l’effetto, essere respinta.

La peculiarità della controversia e l’esito della lite giustificano l’integrale compensazione delle spese del giudizio tra le parti costituite. Le spese di CTU, nella misura già liquidata con ordinanza del 29-4-2003, vanno poste a definitivo carico di entrambe le parti, ciascuna per la metà.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - Salerno (Sezione II), definitivamente giudicando sul ricorso in epigrafe, così provvede:
accoglie la domanda demolitoria e, per l’effetto, annulla il parere della Commissione Edilizia Comunale di Avellino del 3-10-2000 ed il provvedimento del Dirigente Capo Ripartizione prot. 36715/34541 del 9-10-2000 ;

rigetta la domanda di risarcimento dei danni.


Compensa interamente tra le parti le spese e gli onorari di lite, ponendo, altresì, a definitivo carico di entrambe le parti, ciascuna per la metà, le spese di consulenza tecnica, già liquidate in favore dell’ing. Carlo Maci con ordinanza della Sezione del 29-4-2003.


Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall' Autorità amministrativa.


Così deciso in Salerno, nelle Camera di Consiglio del 28-6-2007 e del 25-10-2007;
con la partecipazione di:
Luigi Antonio Esposito - Presidente
Francesco Mele - Cons. est.



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