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TAR PUGLIA, Sez. I, 7 febbraio 2008, sentenza n. 372
INQUINAMENTO - Ordinanza ex art. 244 d.lgs. n. 152/2006 - Procedure di
bonifica di cui agli artt. 242 e 252 d.lgs. n. 152/2006 - Presupposti e
competenze - Distinzione - Competenza del Ministero dell’Ambiente, nelle
ordinanze ex art. 244, nel caso di siti di interesse nazionale - Esclusione.
La più corretta interpretazione del combinato disposto delle norme di cui agli
artt. 242, 244 e 252 del D.lgs. n. 152/2006 depone nel senso che una cosa è
l’adozione delle ordinanze di cui all’art. 244 (ipotesi che contempla
presupposti suoi propri e delinea, conseguentemente, competenze amministrative
di specie), altra cosa è il complesso delle procedure operative ed
amministrative di cui agli artt. 242 e 252 (ipotesi che contempla diversi
presupposti e, correlativamente, delinea diverse competenze amministrative). Ne
consegue che, attesa l’indubbia distinzione fra le discipline delle due
richiamate disposizioni (tanto in ordine ai presupposti applicativi, quanto al
carattere degli atti e dei provvedimenti che esse disciplinano), non sia in
alcun modo condivisibile l’argomento volto ad affermare che, nel caso di siti di
interesse nazionale la competenza all’adozione delle ordinanze ex art. 244
risulterebbe devoluta al Ministero dell’Ambiente. Al contrario, la disposizione
di cui all’art. 252 (con previsione di valenza derogatoria la quale, in
applicazione di generali principi, non può essere fatta oggetto di
interpretazione estensiva) stabilisce che la competenza ministeriale
all’adozione dei provvedimenti rientranti nel campo di operatività del Titolo V
della Parte IV del d.lgs. 152 risulti limitata alle sole procedure di bonifica
(di cui al comma 1, lettera p) dell’art. 240 del ‘Codice’) e non anche
all’adozione delle ordinanze di cui all’art. 244. Pres. Ravalli, Est. Contessa -
I. s.p.a. (avv.ti Sticchi Damiani e Sechi) c. Provincia di Taranto (avv.
Semeraro), Autorità Portuale di Taranto (Avv. Stato) e altri (n.c.) - T.A.R.
PUGLIA, Lecce, Sez. I - 7 febbraio 2008, n. 372
INQUINAMENTO - Ordinanza ex art. 244 d.lgs. n. 152/2006 - Apporto partecipativo
del Comune - Natura - Parere - Esclusione - Valutazione tecnica ex art. 17. c- 3
L. 241/90 - Esclusione. L’apporto partecipativo richiesto al Comune
territorialmente competente ai sensi del comma 2 dell’art. 244, d.lgs. 152, cit.
non è certamente da qualificarsi alla stregua di un parere (con la conseguenza
che non possano trovare nella specie applicazione le previsioni di cui all’art.
16 della l. 241 del 1990 ed i termini ivi previsti), non essendo il Comune
qualificabile in alcun modo come ‘organo consultivo delle pubbliche
amministrazioni’, né sembra neppure sussumibile alla categoria delle valutazioni
tecniche di cui al comma 3 dell’art. 17 della l. 241, cit., per l’assorbente
ragione che il Comune interviene nel procedimento di cui all’art. 244, cit. non
già quale amministrazione ex se preposta alla tutela ambientale,
paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini, ma nella ben diversa
veste di Ente esponenziale degli interessi localizzabili sul territorio
(interessi la cui concreta tutela viene devoluta ex lege ad altri Enti ed
organi). Pres. Ravalli, Est. Contessa - I. s.p.a. (avv.ti Sticchi Damiani e
Sechi) c. Provincia di Taranto (avv. Semeraro), Autorità Portuale di Taranto
(Avv. Stato) e altri (n.c.) - T.A.R. PUGLIA, Lecce, Sez. I - 7 febbraio
2008, n. 372
INQUINAMENTO - Ordinanza ex art. 244 d.lgs. n. 152/2006 - Nesso eziologico tra
l’attività del responsabile e il superamento dei valori di Csc - Presenza di
altre fonti di inquinamento - Irrilevanza. In corretta applicazione del
principio di precauzione, una volta accertato il nesso eziologico tra una
specifica attività (nella specie, attività di movimentazione di pet-coke da
parte della ricorrente) e il superamento dei valori di Csc in relazione a taluni
inquinanti, per ciò stesso l’adozione dell’ordinanza di cui all’art. 244 ne
risulta sistematicamente giustificata, non potendo deporre in senso opposto né
la circostanza della possibilità che all’ulteriore peggioramento della
situazione ambientale (in relazione ai medesimi inquinanti) avessero concorso
anche altri soggetti operanti nell’area, né tanto meno la circostanza secondo
cui nell’area interessata sarebbero altresì presenti ulteriori e diversi
fenomeni di inquinamento, verosimilmente riconducibili all’attività di altre
società. Pres. Ravalli, Est. Contessa - I. s.p.a. (avv.ti Sticchi Damiani e
Sechi) c. Provincia di Taranto (avv. Semeraro), Autorità Portuale di Taranto
(Avv. Stato) e altri (n.c.) - T.A.R. PUGLIA, Lecce, Sez. I - 7 febbraio
2008, n. 372
INQUINAMENTO - Ordinanza ex art. 244 d.lgs. n. 152/2006 - Presupposto
-Superamento dei valori di Csc - Specifica valutazione in ordine al rischio
sulla salute umana - Necessità - Esclusione. Il presupposto normativo per
l’attivazione delle procedure di cui all’art. 244, d.lgs. n. 152/2006, è
rappresentato dall’avvenuto superamento dei valori di Csc (in tal senso, il
comma 1 della norma, secondo cui tale presupposto consiste in ciò, che “le
pubbliche amministrazioni che nell’esercizio delle proprie funzioni individuano
siti nei quali accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai
valori di concentrazione soglia di contaminazione (…)”), senza la necessità di
procedere ad alcuna valutazione in ordine al rischio sulla salute umana di tale
superamento. Pres. Ravalli, Est. Contessa - I. s.p.a. (avv.ti Sticchi Damiani e
Sechi) c. Provincia di Taranto (avv. Semeraro), Autorità Portuale di Taranto
(Avv. Stato) e altri (n.c.) - T.A.R. PUGLIA, Lecce, Sez. I - 7 febbraio
2008, n. 372
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
PER LA PUGLIA
LECCE
Registro Decis.: 372/2008
Registro Generale: 28/07
nelle persone dei Signori:
ALDO RAVALLI Presidente
ENRICO d’ARPE Componente
CLAUDIO CONTESSA Componente, relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Visto il ricorso num. 28/07 proposto da:
ITALCAVE s.p.a.
(inpersona del legale rapp.te)
rappresentata e difesa da:
AVV. ERNESTO STICCHI DAMIANI
AVV. GIAMPAOLO SECHI
con domicilio eletto in LECCE
VIA 95° RGT. FANTERIA, 9
presso
AVV. ERNESTO STICCHI DAMIANI
contro
PROVINCIA DI TARANTO
rappresentata e difesa da:
AVV. CESARE SEMERARO
con domicilio eletto in LECCE
VIA F.SCO RUBICHI 23
presso SEGRETERIA TAR
e contro
AUTORITA' PORTUALE DI TARANTO
rappresentata e difesa da:
AVVOCATURA DISTRETTUALE DELLO STATO
con domicilio eletto in LECCE
VIA F.RUBICHI 23
presso la sua sede
e contro
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO - ROMA
(in persona del Ministro, p.t., n.c.)
e contro
ARPA PUGLIA, n.c.;
per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione:
- dell’ordinanza n. 1 reg. ord. del 7/12/2006 avente ad oggetto “Italcave S.p.A.
– Movimentazione di pet–coke sul Molo Polisettoriale – Ordinanza ai sensi
dell’art. 244 del D.Lgs. 152/06” adottata dal Direttore del Settore Ecologia e
Ambiente della Provincia di Taranto;
- di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguenziale, ed in specie, ove
occorra:
- della nota prot. n. 45895 del 10/10/06, a firma del Direttore del Settore
Ecologia e Ambiente della Provincia di Taranto;
- della nota prot. n. 50510 del 31/10/06, a firma del Direttore del Settore
Ecologia e Ambiente della Provincia di Taranto;
- della nota prot. n. 50726 del 2/11/06 del Direttore del Settore Ecologia e
Ambiente della Provincia di Taranto;
- delle note prot. n. 53179 del 15/11/06 e prot. n. 58028 del 06/12/06 del
Direttore del Settore Ecologia e Ambiente della Provincia di Taranto;
- della nota dell’A.R.P.A. – Puglia – Dipartimento provinciale di Taranto prot.
n. 3471 R/06 del 25/10/06, menzionata nell’ordinanza provinciale impugnata;
Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato,
presentata in via incidentale dalla ricorrente;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di:
AUTORITA’ PORTUALE DI TARANTO
PROVINCIA DI TARANTO
Considerando che con il ricorso introduttivo sono dedotti i seguenti motivi:
1) Nullità per indeterminatezza dell’oggetto ai sensi del comb. disp. dell’art.
21-septies della l. 241 del 1990 e degli artt. 1346 e 1418 cod. civ. –
Violazione degli artt. 23, 41 e 42 Cost. – Violazione dell’art. 21-ter della l.
241 del 1990 – Violazione, erronea e falsa interpretazione ed applicazione
dell’art. 244 del d.lgs. 152 del 2006;
2) Incompetenza – Violazione degli artt. 239, 240, 242, 244 e 252 del d.lgs. 152
del 2006 – Violazione del principio di leale collaborazione tra i diversi
livelli di governo del settore;
3) Violazione dell’art. 244, comma 2 del d.lgs. 152 del 2006 – Violazione,
erronea e falsa interpretazione ed applicazione degli artt. 16 e 17 della l. 241
del 1990;
4) Violazione del giusto procedimento amministrativo – Violazione dell’art. 3
della l. 241 del 1990 – Difetto di motivazione – Eccesso di potere per
sviamento;
5) Eccesso di potere per erronea presupposizione – Carenza di istruttoria –
Illogicità manifesta – Violazione dei principi di proporzionalità e adeguatezza;
6) Violazione, erronea e falsa interpretazione ed applicazione dell’art. 244 del
d.lgs. 152 del 2006 – Violazione del principio di imparzialità dell’azione
amministrativa – Carenza di istruttoria e illogicità dell’azione amministrativa
sotto altro profilo – Violazione del principio ‘chi inquina paga’;
7) Violazione degli artt. 240 e 244 del d.lgs. 152 del 2006 e carenza di
istruttoria sotto ulteriore profilo.
Vista l’ordinanza n. 22/07 (resa all’esito della Camera di consiglio del 10
gennaio 2007), con cui questo Tribunale ha respinto l’istanza di sospensione dei
provvedimenti impugnati, proposta in via incidentale dalla ricorrente;
Vista l’ordinanza n. 2954/07 (resa all’esito della Camera di consiglio del 12
giugno 2007), con cui la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ha respinto
l’appello cautelare proposto avverso l’ordinanza del Tribunale da ultimo
richiamata;
Data per letta all’udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2007 la relazione del
Referendario Claudio Contessa e uditi, altresì, gli avvocati Sticchi Damiani
(per la società ricorrente) e Pedone (per l’Avvocatura Distrettuale dello
Stato);
Considerando in fatto ed in diritto quanto segue:
FATTO
La società ricorrente riferisce di essere autorizzata all’esercizio
dell’attività di impresa portuale per conto terzi per il carico, lo scarico, il
trasbordo, il trasporto e la movimentazione in genere delle merci e di ogni
altro materiale in un’area del porto di Taranto, giusta autorizzazione
rilasciata dalla competente Autorità Portuale in data 18 luglio 1998
(successivamente rinnovata).
Riferisce, altresì, di essere titolare sin dal 1998 di autorizzazione alle
emissioni in atmosfera, giusta determinazione del competente Dirigente regionale
adottata in data 11 dicembre 2001.
Risulta agli atti che in data 14 luglio 2006 il Nucleo Sommozzatori della
Regione Carabinieri Puglia ebbe a svolgere una verifica al fine di stabilire se
sul fondo marino adiacente alla piazzola del molo polisettoriale di Taranto, in
uso al Consorzio Terminal Rinfuse di Taranto per la movimentazione del pet-coke
(carbone da petrolio), fosse depositata polvere di tale materiale.
All’esito della verifica in parola, i verbalizzanti riferivano di aver prelevato
in situ campioni di acqua e materiale fangoso, e precisamente:
- n. 4 contenitori di acqua di mare prelevata a circa 13 mt. di profondità e a
circa 3 mt. di distanza dalla banchina in questione;
- n. 4 contenitori di fango prelevato a circa 13 mt di profondità in 4 distinti
punti (a circa 10 mt. ciascuna, per un fronte di circa 50 mt.), posti ad una
distanza di 3 mt. dalla medesima banchina.
I reperti in questione venivano analizzati dal C.N.R. – Istituto Ambiente Marino
Costiero di Taranto, il quale accertava il superamento dei limiti di
concentrazione di metalli e di I.P.A. (idrocarburi policiclici aromatici)
fissati dal D.M. 6 novembre 2003, n. 367 (‘Regolamento concernente la fissazione
di standard di qualità nell'ambiente acquatico per le sostanze pericolose, ai
sensi dell'articolo 3, comma 4, del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152’).
Con nota in data 6 ottobre 2006, il Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Taranto rappresentava che, nell’ambito dell’indagine penale
relativa all’inquinamento determinato dall’attività di movimentazione di
pet-coke sul Molo polisettoriale di Taranto nella porzione in uso all’odierna
ricorrente, i prelievi di materiale effettuati dai Carabinieri e le analisi
successivamente svolte dal C.N.R. avevano evidenziato (nei fanghi e nell’acqua
prelevata) un’altissima concentrazione di alcuni metalli e di I.P.A., inquinanti
caratteristici del pet-coke, nonché particolarmente dannosi per la salute.
Nella nota in questione (indirizzata al Presidente della Provincia,
all’Assessorato all’Ambiente della Regione Puglia, nonché all’Autorità Portuale
di Taranto) si evidenziava che la concentrazione in questione “va attribuit[a]
sia all’azione di scolo delle acque contaminate direttamente in mare, nonché
alla diffusione delle polveri di pet-coke in atmosfera (attività inquinante (…)
contestata nel suddetto procedimento in sede di sequestro preventivo alla
Italcave e confermata dal Tribunale del riesame) [, per cui] si sollecita
l’intervento degli Enti destinatari della presente in quanto legittimati,
ciascuno secondo le proprie competenze, al rilascio e/o alla revoca delle
autorizzazioni previste dalla normativa statale e regionale”.
Pertanto, con l’impugnata nota in data 31 ottobre 2006 la Provincia di Taranto
comunicava all’odierna ricorrente l’avvio del procedimento finalizzato
all’adozione delle determinazioni previste dall’art. 244 del d.lgs. 152 del 2006
(si tratta delle ordinanze da emanarsi nell’ipotesi in cui i livelli di
contaminazione risultino superiori ai valori di concentrazione soglia di
contaminazione).
Con nota in data 27 ottobre 2006, la Regione Puglia invitava l’odierna
ricorrente ad adottare “le necessarie iniziative per la messa in sicurezza di
emergenza, in analogia con quanto ordinariamente attivato in caso di sversamento
di sostanze inquinate sul suolo, ai sensi dell’art. 242 del decreto legislativo
n. 152/2006”.
La nota regionale in parola veniva impugnata dalla ricorrente con il ricorso
N.R.G. 1975/06.
Con due distinte note rispettivamente in data 13 novembre 2006 e 17 novembre
2006, l’odierna ricorrente per un verso chiedeva ai competenti Uffici
provinciali di accedere agli atti del procedimento al fine di meglio impostare
le proprie controdeduzioni in ordine alla richiamata comunicazione di avvio e
per altro verso esponeva numerose riserve sull’operato della Provincia
Nell’occasione, la ricorrente sottolineava che l’area su cui essa opera (e lo
specchio d’acqua ad essa prospiciente) era stata da tempo dichiarata ‘sito di
interesse nazionale’ ai fini della bonifica con d.P.R. 23 aprile 1998 (con la
conseguenza che la situazione di inquinamento non poteva che essere originata in
epoca anteriore al 1998).
Essa lamentava, inoltre, che dal tenore della comunicazione di avvio del
procedimento si evinceva che la Provincia avesse ormai deciso di adottare le
determinazioni ivi anticipate.
Sotto tale profilo, la ricorrente ritiene significativo il contenuto
dell’impugnata nota provinciale n. 50726 del 2 novembre 2006 (evidentemente,
stilata prima ancora di ricevere le deduzioni istruttorie da parte della società
Italcave), con la quale il competente Responsabile di Settore della Provincia,
nel relazionare alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Taranto in
ordine alle problematiche connesse con la posizione dell’odierna ricorrente,
anticipava nei fatti l’imminente emanazione dell’ordinanza di cui all’art. 244
del d.lgs. 152 del 2006.
Nell’ambito della medesima nota in data 2 novembre 2006, la Provincia di Taranto
richiamava i contenuti di una relazione tecnica richiesta ad un consulente
esterno (componente della Conferenza Nazionale Rifiuti e Bonifiche presso il
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – d’ora in poi:
‘il Ministero dell’Ambiente’).
La relazione in questione si esprimeva, in particolare:
- in ordine all’applicabilità nel caso di specie della normativa nazionale e
regionale in tema di V.I.A.;
- in ordine all’inquinamento determinato dalla movimentazione di pet-coke sul
molo polisettoriale di Taranto.
Con l’impugnata ordinanza in data 7 ottobre 2006, il competente Direttore del
Settore Ecologia ed Ambiente della Provincia di Taranto, dopo aver indicato
l’odierna ricorrente come “responsabile dell’inquinamento rilevato a circa 3
metri di distanza dalla banchina in esame ed a 13 mt. circa di profondità dal
mare determinato a seguito della movimentazione del pet-coke effettuato presso
il Terminal Rinfuse (…)”, diffidava la ricorrente a conformarsi entro trenta
giorni dalla notifica dell’ordinanza a quanto disposto dal Titolo V della Parte
IV del d.lgs. 152 del 2006 (si tratta del complesso di disposizioni in tema di
‘Bonifica di siti contaminati’ contenute nel c.d. ‘Codice dell’Ambiente’).
Nella specie, la provincia di Taranto riferiva che il provvedimento in questione
era fondato:
A) da un lato, sulle informazioni rese note dalla Procura della Repubblica in
relazione all’indagine relativa all’inquinamento determinato dall’attività di
movimentazione di pet-coke da parte della ricorrente sul Molo Polisettoriale di
Taranto presso il sito Terminal Rinfuse;
Sotto tale profilo, il provvedimento impugnato evidenziava che dalle analisi
svolte sui campioni prelevati dai CC nel luglio del 2006 era emerso quanto
segue:
- per quanto concerne i campioni di sedimenti marini, risultavano superate le
concentrazioni standard di qualità per i sedimenti marini di cui alla tabella 2,
allegato A al D.M. 367 del 2003, cit., con particolare riguardo agli I.P.A. e ad
alcuni metalli (in particolare: arsenico);
- per quanto concerne i campioni di acqua di mare di fondo, risultavano superati
i valori relativi alle concentrazioni standard di cui alla tabella 1/A
dell’allegato 1 alla parte terza del d.lgs. 152 del 2006, con particolare
riguardo agli I.P.A. (valore di quattro volte superiore rispetto alla
concentrazione standard) e all’arsenico (valore di quattro volte superiore
rispetto alla concentrazione standard);
B) dall’altro, sulle informazioni contenute in una relazione di servizio stilata
dalla Polizia Provinciale di Taranto a seguito di sopralluogo in data 26 marzo
2004 sull’area concessa alla ricorrente.
In particolare, a seguito del sopralluogo in parola era emerso che, in relazione
all’area adibita allo stoccaggio di carbone (pet-coke) in uso alla ricorrente
(di superficie superiore a 2.000 mq.), non erano stati realizzati i necessari
accorgimenti volti ad impedire ovvero ad aggravare lo stato di contaminazione
del sito.
Ed infatti, all’esito del richiamato sopralluogo era emerso:
- che la ricorrente non aveva posto in essere “adeguati sistemi di raccolta
delle acque meteoriche”, dal momento che i pozzetti erano “insufficienti a
contenere le acque riferite a fenomeni metereologici anche di piccola portata”;
- che la ricorrente non aveva posto in essere quanto necessario onde evitare che
la movimentazione sulla banchina del pet-coke producesse emissioni polverose in
atmosfera.
Ed infatti, nell’occasione la Polizia provinciale aveva accertato che
“l’attività di carico e scarico del pet-coke è sicuramente soggetta a produzione
di emissioni polverose in atmosfera e pertanto autorizzata, ma non risulta
compiutamente corredata da tutti i sistemi tecnologicamente adeguati alla
riduzione delle emissioni in quanto [il materiale filmante idoneo ad impedire la
diffusione della polveri] era esteso solo in parte, o comunque non rimesso al
termine quotidiano dei lavori, così come vi è il mancato uso della vasca di
contenimento all’uopo realizzata. Prova ne è la diffusione in tutta l’area delle
polveri e del fango da esse prodotto associato all’acqua, ben oltre la
superficie dotata di cordolo che era in alcuni punti è anche in pessime
condizioni di tenuta con accumuli consistenti di polveri di carbone al suo
esterno, anche sotto forma di fango, ed anche sul ciglio del molo, con
infiltrazione in una condotta interrata tramite le griglie mal coperte dalla
guaina ivi poggiata”.
Il provvedimento provinciale in parola (e gli atti ad esso prodromici) veniva
impugnato dalla società Italcave, che ne contestava la legittimità con sette
articolati motivi.
Si costituiva in giudizio l’Autorità portuale di Taranto (rappresentata e difesa
dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato), la quale concludeva in via principale
per la declaratoria di inammissibilità del ricorso e, in via gradata, per la sua
integrale reiezione.
Si costituiva, altresì, la Provincia di Taranto, la quale concludeva a propria
volta per l’integrale rigetto del ricorso.
Con ordinanza n. 22/07 (resa all’esito della Camera di consiglio del 10 gennaio
2007), questo Tribunale ha respingeva l’istanza di sospensione dei provvedimenti
impugnati, proposta in via incidentale dalla ricorrente;
Con successiva ordinanza n. 2954/07 (resa all’esito della Camera di consiglio
del 12 giugno 2007), la Sesta Sezione del Consiglio di Stato respingeva
l’appello cautelare proposto avverso l’ordinanza del Tribunale da ultimo
richiamata.
All’udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2007 i Difensori delle Parti
costituite rassegnavano le proprie conclusioni ed il ricorso veniva trattenuto
in decisione.
DIRITTO
1. In via preliminare il Collegio ritiene di esaminare il motivo di ricorso
basato sull’asserita incompetenza della Provincia all’adozione dell’impugnata
ordinanza ex art. 244, d.lgs. 152 del 2006 (si tratta del secondo motivo – pag.
12 e segg. del ricorso introduttivo -).
Nella tesi della ricorrente, atteso che il provvedimento di cui sopra concerne
un ‘sito di interesse nazionale’, tale dichiarato ai sensi dell’art. 252 del
d.lgs. 152 del 2006 (la dichiarazione in parola è avvenuta con d.P.R. 23 aprile
1998 e la perimetrazione dell’area è avvenuta con successivo D.M. 10 gennaio
2000), la conseguenza sarebbe nel senso che le competenze in tema di procedure
di bonifica (nonché – scil. – in tema di adozione delle ordinanze ex art. 244)
spetterebbero in via esclusiva al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare (tanto, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt.
239, comma 3, 242 e 252 del d.lgs. 152, cit.) e non alla Provincia.
Ancora, nell’adottare l’impugnata ordinanza, la Provincia avrebbe omesso di
tenere in adeguata considerazione il fatto che in relazione all’area di cui è
causa sia stato già approvato un piano di caratterizzazione elaborato dall’I.C.R.A.M.
(Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica applicata al Mare,
Ente pubblico di ricerca e sperimentazione vigilato dal Ministero dell’Ambiente
e della Tutela del Territorio e del Mare).
Operando in tal modo, la Provincia di Taranto si sarebbe “[sostituita]
illegittimamente all’unica Autorità competente a decidere, valutare, imporre e
definire simili interventi, ossia il Ministero medesimo” (pag. 16 del ricorso).
Più in generale, nel caso di specie la provincia avrebbe adottato il
provvedimento impugnato in assenza dei presupposti legittimanti di cui è
menzione all’art. 244 del più volte richiamato d.lgs. 152 del 2006.
Oltretutto, il provvedimento in questione conterrebbe un’insanabile antinomia in
quanto dapprima impone l’adozione di misure ex se sottratte alla competenza
provinciale e, in secondo luogo, prefigura (per il caso di inottemperanza a
quanto ivi previsto) l’adozione di “provvedimenti sostitutivi da parte delle
Autorità competenti”.
Nella tesi di Parte attrice, infatti, il provvedimento impugnato risulterebbe
illegittimo in parte qua in quanto avrebbe omesso di tenere in considerazione
che neppure i provvedimenti sostitutivi in parola non potrebbero comunque essere
adottati dalla Provincia, rientrando altresì (a seconda del tipo di misura) fra
le competenze del Ministero dell’Ambiente ovvero della Regione.
Sotto tale profilo, inoltre, risulterebbe violato il principio di leale
collaborazione istituzionale (di cui è menzione – inter alia - al comma 12
dell’art. 242, d.lgs. 152, cit.) per avere la Provincia omesso nella specie di
consultare previamente le altre amministrazioni competenti all’adozione dei
paventati provvedimenti sostitutivi.
Le ragioni di doglianza sin qui richiamate possono essere esaminate
congiuntamente al quinto motivo di ricorso.
Con tale motivo, la società Italcave lamenta che nella specie la Provincia di
Taranto non avrebbe adeguatamente valutato la circostanza per cui il Ministero
dell’Ambiente avesse già in precedenza incaricato l’I.C.R.A.M. di redigere
apposito piano di caratterizzazione relativo all’area di cui è causa e che
l’Istituto in parola avesse già approvato il progetto preliminare del piano in
parola (documento approvato, senza prescrizioni, in sede di Conferenza di
servizi decisoria del 18 aprile 2003).
Nella tesi di Parte attrice, il contenuto dell’ordinanza impugnata risulterebbe
in contrasto con il progetto di piano di caratterizzazione predisposto dall’I.C.R.A.M.
e, comunque, porrebbe la ricorrente nella ben difficile situazione di scegliere
se ottemperare alle prescrizioni dell’uno ovvero dell’altro documento.
I motivi in questione, nel loro complesso, non possono essere condivisi.
In particolare, il Collegio osserva che non appaia nella specie condivisibile la
tesi secondo cui, laddove i presupposti per l’adozione delle ordinanze di cui
all’art. 244 del ‘Codice ambientale’ si siano verificati in relazione a siti di
interesse nazionale di cui all’art. 252 del medesimo Codice, la conseguenza
sarebbe nel senso di spostare la competenza alla relativa adozione, radicandola
in capo al Ministero dell’Ambiente.
Al riguardo, si osserva in primo luogo che l’esame della disposizione normativa
maggiormente rilevante per la risoluzione della vicenda di causa (il richiamato
art. 244) non contenga alcun elemento testuale volto a deporre nel senso che la
competenza provinciale all’adozione dell’ordinanza ivi contemplata debba essere
invece riconosciuta al Ministero dell’Ambiente quante volte si tratti di siti di
interesse nazionale ai sensi del successivo art. 252.
In secondo luogo, si osserva che la disposizione di cui al comma 4 dell’articolo
da ultimo citato (che, pure, viene invocata dalla società ricorrente a supporto
delle proprie argomentazioni) non fornisca alcun elemento volto a deporre nel
senso della competenza ministeriale all’adozione delle ordinanze di cui all’art.
244 del ‘Codice’.
Al contrario, la disposizione in questione (con previsione di valenza
derogatoria la quale, in applicazione di generali principi, non può essere fatta
oggetto di interpretazione estensiva) stabilisce che la competenza ministeriale
all’adozione dei provvedimenti rientranti nel campo di operatività del Titolo V
della Parte IV del d.lgs. 152 risulti limitata alle sole procedure di bonifica
(di cui al comma 1, lettera p) dell’art. 240 del ‘Codice’) e non anche
all’adozione delle ordinanze di cui al successivo art. 244.
Ad ogni modo, ad avviso del Collegio, il vigente quadro normativo in tema di
adozione delle ordinanze del tipo di quella odiernamente impugnata richiede una
lettura sistematica delle disposizioni dinanzi richiamate, al fine di evitare
aporie interpretative.
In particolare, l’interpretazione sistematica in questione deve coniugare sotto
il profilo applicativo:
- da un lato, l’art. 244 (il quale devolve senza altra indicazione alla
Provincia la competenza all’adozione delle ordinanze ivi contemplate) e
- dall’altro, l’art. 252 (il quale – nel rinviare al precedente art. 242 –
devolve al Ministero dell’Ambiente la sola competenza in materia di ‘procedure
di bonifica’ in relazione ai siti di interesse nazionale).
A tal fine, è utile rammentare la nozione di ‘procedure di bonifica’ (intese, ai
sensi del comma 1, lettera p) dell’art. 240, come “l’insieme degli interventi
atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre
le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque
sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni
soglia di rischio (Csr)”).
Ci si domanda, quindi, se la nozione in parola sia tale da comprendere anche gli
interventi di cui al più volte richiamato art. 244 (con la conseguenza che
l’ambito applicativo degli artt. 242 e 252 sarebbe effettivamente tale da
ricomprendere anche quello di cui all’art. 244, con la conseguenza di
‘inglobare’ anche le competenze provinciali richiamate dalla disposizione da
ultimo richiamata).
Ad avviso del Collegio, la risposta al quesito deve essere negativa.
Al riguardo, si ritiene che la più corretta interpretazione del combinato
disposto delle norme dinanzi richiamate deponga nel senso che altra cosa è
l’adozione delle ordinanze di cui all’art. 244 (ipotesi che contempla
presupposti suoi propri e delinea, conseguentemente, competenze amministrative
di specie), mentre altra cosa è il complesso delle procedure operative ed
amministrative di cui agli artt. 242 e 252 (ipotesi che contempla diversi
presupposti e, correlativamente, delinea diverse competenze amministrative).
Fra le indubbie differenze che caratterizzano le previsioni in questione (e che,
conseguentemente, giustificano una diversa disciplina positiva) si
richiameranno:
a) la circostanza per cui l’ordinanza di cui all’art. 244 del Codice presuppone
l’inerzia dei soggetti provati nell’adottare le procedure di operative ed
amministrative conseguenti al superamento delle Csc, mentre – al contrario – la
previsione di cui all’art. 242 presuppone, appunto, l’attivazione dei soggetti
privati;
b) la circostanza per cui la disciplina ex art. 244 concerne l’avvio della
procedura disciplinata dal Tit. V della Parte IV del ‘Codice’ (e sul richiamato
presupposto dell’inerzia dei soggetti privati), mentre la disciplina di cui
all’art. 242 concerne l’approvazione del piano di interventi proposti dal
responsabile dell’inquinamento (o di altro soggetto obbligato a provvedervi),
ossia la fase – per così dire – ‘esecutiva’ che prende origine dalla
predisposizione del piano di caratterizzazione delle aree e si snoda attraverso
l’adozione della altre misure disciplinate nell’ambito del medesimo art. 242.
Ne consegue che, attesa l’indubbia distinzione fra le discipline delle due
richiamate disposizioni (tanto in ordine ai presupposti applicativi, quanto al
carattere degli atti e dei provvedimenti che esse disciplinano), non sia in
alcun modo condivisibile l’argomento volto ad affermare che, nel caso di siti di
interesse nazionale la competenza all’adozione delle ordinanze ex art. 244
risulterebbe devoluta al Ministero dell’Ambiente.
Per i motivi sin qui esposti, non possono trovare accoglimento neppure le
ulteriori ragioni di doglianza (articolate nell’ambito del secondo e del quinto
motivo di ricorso) fondate su una sorta di presunta inconciliabilità ontologica
fra l’adozione da parte della Provincia dell’impugnata ordinanza e la
devoluzione all’I.C.R.A.M. dell’incarico di redigere un piano di
caratterizzazione relativo all’area di cui è causa.
Ed infatti, anche tale presunta inconciliabilità appare esclusa in radice se
solo si tenga presente la profonda differenza che sussiste fra l’adozione delle
ordinanze ex art. 244 e la predisposizione dei piani di caratterizzazione di cui
all’art. 242 (differenza che, in base a quanto in precedenza osservato, concerne
i presupposti per l’esercizio del potere, nonché le modalità stesse di esercizio
dello stesso).
Pertanto, attesa la notevole differenziazione che caratterizza gli atti in
questione anche per quanto concerne la tempistica prevista per la relativa
adozine, non si ritiene che sussistano nella specie i presupposti per censurare
la lamentata (ma, in concreto, insussistente) inconciliabilità.
2. Con il primo motivo di ricorso, la società Italcave lamenta sotto numerosi
profili il carattere asseritamene indeterminato del provvedimento impugnato, il
quale risulterebbe conseguentemente nullo per indeterminatezza dell’oggetto,
ovvero illegittimo – ed annullabile – per violazione dell’art. 21-ter della l.
241 del 1990 e ss.mm.ii., in tema di necessaria indicazione delle modalità di
esecuzione degli obblighi rinvenienti da un provvedimento costitutivo di
obblighi.
In particolare, dal tenore del provvedimento impugnato non emergerebbe in alcun
modo né il quid degli interventi da realizzare ai sensi degli artt. 239 e segg.
del d.lgs. 152 del 2006, né tantomeno il quomodo degli interventi medesimi (cioè
a dire, le modalità operative e le cautele tecniche stabilite per la
realizzazione di tali interventi).
Il motivo, nel suo complesso, non può trovare accoglimento.
Si osserva in primo luogo al riguardo che la previsione di cui all’art.
21-septies della l. 241 del 1990 (nel testo introdotto ad opera dell’art. 14
della l. 11 febbraio 2005, n. 15, secondo cui “è nullo il provvedimento
amministrativo che manca degli elementi essenziali (…)”), laddove letta secondo
le coordinate ermeneutiche ritraibili dagli artt. 1418 e 1325 e 1346 del cod.
civ., comporta che la nullità del provvedimento amministrativo non possa essere
pronunciata nelle ipotesi in cui il contenuto dispositivo dell’atto (ovvero, più
in generale, il suo oggetto) sia quanto meno determinabile in base al
complessivo tenore dello stesso.
Ebbene, riconducendo i paradigmi normativi in questione alle peculiarità del
caso di specie, il Collegio osserva che dal contenuto dell’impugnato
provvedimento emergevano certamente gli elementi necessari e sufficienti a
stabilire (quanto meno) la determinabilità del suo contenuto prescrittivo.
In particolare (come già osservato in sede di pronuncia cautelare), il contenuto
degli obblighi ricadenti in capo al soggetto verosimilmente responsabile
dell’inquinamento a seguito dell’adozione delle ordinanze ex art. 244, cit. è
nella specie desumibile con sufficiente determinatezza laddove si riguardi in
primis al comma 2 dell’art. 242 del d.lgs. 152, cit. (secondo cui il
responsabile dell’inquinamento attua in primo luogo le misure di prevenzione
necessarie in relazione al caso concreto e svolge in secondo luogo un’indagine
preliminare, al fine del successivo ripristino della zona contaminata).
In secondo luogo, il contenuto di tali obblighi è desumibile anche dai
‘considerando’ dell’ordinanza impugnata, da cui si evince che alla
contaminazione del sito avevano certamente contribuito (fra l’altro): a)
l’insufficienza dei pozzetti per lo smaltimento delle acque meteoriche; b) il
mancato uso della vasca di contenimento, nonché: c) la cattiva copertura delle
griglie poste in prossimità del ciglio del molo.
Si tratta di circostanze che, lette alla luce dell’art. 240, comma 1, lettera i)
del d.lgs. 152, cit., consentono con sufficiente precisione alla ricorrente di
stabilire quali siano le prime iniziative volte ad impedire quanto meno
l’aggravamento dell’inquinamento già esistente sull’area.
3. Con il terzo motivo di ricorso, la società Italcave lamenta che l’impugnata
ordinanza risulterebbe viziata per un error in procedendo, derivante dal non
avere la Provincia di Taranto rispettato le prerogative del Comune di Taranto
nel corso dell’iter finalizzato all’adozione dell’impugnata ordinanza.
Ed infatti, risulterebbe nella specie violata la previsione di cui al comma 2
dell’art. 244 del d.lgs. 152, a tenore del quale l’ordinanza ivi disciplinata
viene adottata “sentito il comune”.
Parte attrice non nega che nella specie la Provincia abbia comunque richiesto
l’apporto partecipativo del Comune di Taranto (si veda la nota provinciale n.
45895 del 10 ottobre 2006 con cui si è richiesto – inter alios – al Comune di
Taranto “di espletare le opportune valutazioni, prescritte dall’art. 244 comma 2
[del d.lgs. 152 del 2006], preliminari all’emissione della suddetta ordinanza
entro il termine di 7 giorni dal ricevimento della presente”).
Tuttavia, la ricorrente afferma che nel caso di specie la richiesta dell’apporto
comunale abbia avuto luogo con modalità e termini talmente stringenti da
impedire nei fatti che il richiamato apporto fosse in concreto fornito secondo
canoni di effettività.
Ne deriverebbe, sotto tale profilo, la violazione degli artt. 16, comma 3 e 17,
comma 2 della l. 241 del 1990, trattandosi di valutazione tecnica che deve
essere rilasciata da un’Amministrazione “preposta alla tutela ambientale,
paesaggistica, territoriale e della salute dei cittadini” (pag. 20 del ricorso
introduttivo).
Il motivo non può essere condiviso.
Si osserva in primo luogo al riguardo che l’apporto partecipativo richiesto al
Comune territorialmente competente ai sensi del comma 2 dell’art. 244, d.lgs.
152, cit. non è certamente da qualificarsi alla stregua di un parere (con la
conseguenza che non possano trovare nella specie applicazione le previsioni di
cui all’art. 16 della l. 241 del 1990 ed i termini ivi previsti), non essendo il
Comune qualificabile in alcun modo come ‘organo consultivo delle pubbliche
amministrazioni’.
In secondo luogo, l’apporto in questione non sembra neppure sussumibile alla
categoria delle valutazioni tecniche di cui al comma 3 dell’art. 17 della l.
241, cit., per l’assorbente ragione che il Comune interviene nel procedimento di
cui all’art. 244, cit. non già quale amministrazione ex se preposta alla tutela
ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini, ma nella
ben diversa veste di Ente esponenziale degli interessi localizzabili sul
territorio (interessi la cui concreta tutela viene devoluta ex lege ad altri
Enti ed organi).
Ancora, la circostanza per cui l’apporto partecipativo delineato dal comma 2
dell’art. 244, cit. non sia riconducibile ad alcuna delle figure delineate dagli
artt. 16 e 17 della l. 241, risulta confermato dalla stessa litera legis la
quale delinea l’apporto in questione con terminologia di carattere piuttosto
anodino (la norma si limita a stabilire che l’ordinanza sia adottata “sentito il
comune”) e certamente non idonea a richiamare, sotto il profilo sistematico, le
importanti conseguenze procedimentali che Parte attrice ritiene nella specie di
ravvisare.
Ad ogni modo, non si ritiene che il complesso delle circostanze nella specie
rilevanti mostri l’avvenuta violazione delle prerogative partecipative del
Comune di Taranto (con particolare riguardo al termine particolarmente breve –
sette giorni – nella specie fissato per far pervenire il proprio apporto).
Ed infatti, avendo riguardo per un verso al carattere non determinante
dell’apporto comunale delineato dalla norma in questione e per altro verso al
carattere di urgenza che ordinariamente caratterizza l’adozione delle ordinanze
ex art. 244, cit. (anche per la gravità delle situazioni di compromissione
ambientale che ne costituiscono il presupposto), non si ritiene che il breve
termine in tal modo fissato risulti irragionevolmente breve e, comunque, di
entità tale da impedire nei fatti la partecipazione comunale.
Ciò a tacere del fatto che fra la data in cui la Provincia ha richiesto
l’apporto comunale (10 ottobre 2006) e la data in cui l’impugnata ordinanza è
stata in concreto adottata (7 dicembre 2006) è intercorso un periodo di quasi
due mesi, senza che il Comune di Taranto abbia fatto pervenire le proprie
valutazioni, sia pure in una data successiva a quella inizialmente fissata dalla
Provincia intimata.
4. Con il quarto motivo di ricorso la società Italcave lamenta sotto altro
profilo le carenze istruttorie che avrebbero inficiato l’iter di formazione del
provvedimento impugnato.
In particolare, l’operato della Provincia risulterebbe immotivato ed affetto da
sviamento per essersi discostato senza motivazioni di sorta dal contenuto
dell’apporto consultivo di tipo tecnico fornito da un consulente esterno
dell’Amm.ne Provinciale.
Il parere in questione aveva, infatti, espresso riserve in ordine all’emanazione
di un’ordinanza ex art. 244 per almeno tre ragioni, rispettivamente collegate:
- alle peculiarità della situazione in oggetto, concernente un Sito di Interesse
Nazionale;
- alla circostanza per cui le contaminazioni di cui in narrativa erano
verosimilmente risalenti nel tempo ed occorreva accertare se esse fossero
interamente addebitabili alle attività svolte in loco dalla ricorrente;
- alla circostanza per cui appariva sconsigliabile un intervento settoriale,
scisso da una più organica azione ministeriale di disinquinamento dell’area.
Un ulteriore profilo di eccesso di potere emergerebbe dalla circostanza per cui,
oltre un mese prima dell’adozione dell’impugnata ordinanza (2 novembre 2006 – 7
dicembre 2006) – ossia, in una fase in cui l’istruttoria procedimentale era
ancora in corso di svolgimento - l’Amm.ne provinciale avesse già anticipato alla
Procura della Repubblica presso il locale Tribunale l’imminente emanazione
dell’ordinanza ex art. 244.
La circostanza in questione paleserebbe una sorta di preconcetto ed illegittimo
atteggiamento dell’Amm.ne provinciale, pregiudizialmente volto ad emanare
comunque l’ordinanza in parola, a prescindere dagli esiti concreti dell’attività
istruttoria, la quale sarebbe conseguentemente risultata svuotata nel suo
contenuto concreto.
Il motivo, nel suo complesso, non può essere condiviso.
Quanto all’asserita, irragionevole discrasia fra il contenuto dispositivo del
provvedimento impugnato ed il parere del perito privato in data 30 ottobre 2006,
il Collegio ritiene di condividere le deduzioni svolte dalla Difesa provinciale,
la quale sottolinea che la valenza del documento in questione ai fini
dell’istruttoria procedimentale sia fortemente da ridimensionare (così come la
sua valenza ai fini di una pronuncia giudiziale in termini di eccesso di
potere).
Ed infatti, se da un lato la Difesa provinciale non nega che il parere in
questione fosse incluso nel dossier concernente la vicenda di cui è causa,
dall’altro è innegabile che almeno due circostanze depongano nel senso di non
annettere un valore eccessivo al documento in questione ai fini di valutare le
vicende di causa.
Ed infatti, da un lato si osserva che l’apporto tecnico del consulente privato
non è in alcun modo richiesto dalla disciplina positiva del procedimento volto
all’emanazione dell’ordinanza ex art. 244, cit.; dall’altro lato si osserva che
la valenza ai fini istruttori del documento in questione risulti nella specie
ulteriormente depotenziata dalla circostanza che il parere in questione risulta
reso semplicemente “a seguito di richiesta verbale”.
Ad ogni modo, anche a voler ritenere che la Provincia abbia nella specie
realizzato un error in procedendo per non aver fornito puntuali motivazioni in
ordine al motivo per cui il parere in parola (comunque, contenuto nel dossier di
cui è causa) non era stato in alcun modo preso in considerazione, la conseguenza
non può comunque essere quella dell’annullamento dell’ordinanza impugnata (che
di tanto avrebbe omesso di fornire puntuale motivazione).
Ed infatti, fermo restando che (per quanto sin qui detto e per quanto in seguito
si dirà) risulta nella specie dimostrato che il contenuto dispositivo
dell’ordinanza impugnata non avrebbe in concreto potuto essere diverso da quello
infine adottato, la conseguenza è che nella specie possa farsi attuazione della
previsione di cui al comma 2 dell’art. 21-octies della l. 241 del 1990, a tenore
del quale “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme
sul procedimento (…) qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia
palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da
quello in concreto adottato”.
L’applicabilità della norma in questione al caso di specie emerge con evidenza
se solo si consideri che l’attività della Provincia (emanazione dell’ordinanza
di cui al comma 2 dell’art. 244) risultava di contenuto vincolato, una volta che
fosse accertato in concreto – anche sulla scorta di valutazioni
tecnico-discrezionali – il ricorrere dei presupposti tecnico-fattuali per la
relativa emanazione (laddove è evidente che la nozione di discrezionalità cui fa
riferimento l’art. 21-octies, cit. è quella di carattere amministrativo, e non
quella c.d. tecnica, connotata da differenti presupposti e caratteri – in tal
senso: T.A.R. Lecce, Sez. II, sent. 6 dicembre 2005, n. 5750; id., Sez. I, sent.
24 maggio 2007, n. 1990 -).
Per le medesime ragioni non può trovare accoglimento l’ulteriore, richiamato
motivo di ricorso, secondo cui l’illegittimità del provvedimento impugnato
emergerebbe dal contenuto della nota provinciale in data 2 novembre 2006 la
quale (ben prima dell’adozione del provvedimento impugnato) aveva anticipato
alla Procura della Repubblica preso il Tribunale di Taranto l’imminente adozione
dell’ordinanza ex art. 244.
Anche sotto tale profilo, il carattere sostanzialmente corretto delle
determinazioni da ultimo adottate, nonché la convergenza di elementi istruttori
che caratterizzavano la fattispecie ben prima dell’adozione dell’atto impugnato
depongono univocamente nel senso della non annullabilità di tale atto per i
motivi nella specie addotti dalla ricorrente.
5. Con il sesto motivo di ricorso, la società Italcave lamenta sotto numerosi
ulteriori profili l’asserita carenza di istruttoria ed illogicità che avrebbe
nella specie caratterizzato l’azione amministrativa tradottasi nell’adozione
dell’impugnata ordinanza.
In particolare, la Provincia avrebbe nella specie omesso di svolgere le
opportune indagini (cui, pure, sarebbe stata tenuta ai sensi del comma 2
dell’art. 244, d.lgs. 152, cit.) “volte ad identificare il responsabile
dell’evento di superamento [dei valori di Csc, n.d.E.]”.
Ed infatti, il provvedimento impugnato avrebbe immotivatamente rivolto alla
ricorrente gli obblighi di conformazione al complesso delle previsioni di cui al
Titolo V della Parte IV del ‘Codice’ senza svolgere un’adeguata istruttoria
preliminare:
- in ordine al se i rilevati fenomeni di inquinamento fossero effettivamente
addebitabili all’odierna ricorrente (da identificarsi quale responsabile
dell’inquinamento ai sensi dell’art. 244, cit.);
- in ordine al se i medesimi fenomeni non potessero essere ricondotti
all’attività di altri soggetti (es.: all’attività della società ILVA, che
sverserebbe in mare gli scarichi provenienti dai propri processi siderurgici a
pochi metri dalla banchina in concessione alla società Italcave);
- in ordine al se i ripetuti fenomeni non potessero essere addebitabili ad altri
fenomeni (es.: l’effetto di correnti e spostamenti di masse d’acqua dovute anche
al solo traffico navale della zona portuale).
Il motivo, nel suo complesso, non può essere condiviso.
Ed infatti, il Collegio ritiene che nel caso di specie le risultanze in atti
consentissero alla Provincia di Taranto di addebitare oltre ogni ragionevole
dubbio (se pure, forse, in modo non esclusivo) all’attività di movimentazione di
pet-coke svolta dalla ricorrente sulla banchina in concessione il superamento
dei valori di soglia relativi ad alcune sostanze e metalli di sicura
pericolosità per l’ambiente e per la salute dell’uomo (in particolare: gli
I.P.A., il cromo ed il nichel).
Del resto, la circostanza secondo cui nel medesimo specchio d’acqua e nei
medesimi fanghi di fondo marino fossero presenti anche altri elementi e metalli,
verosimilmente non riconducibili all’attività della ricorrente (in specie:
l’arsenico ed il mercurio), nonché la circostanza secondo cui altre imprese
potrebbero avere a propria volta contribuito al superamento dei valori di Csc in
relazione agli I.P.A., al cromo ed al nichel (in aggiunta agli affetti derivanti
dall’attività di movimentazione di pet-coke), nulla toglie alla riferibilità
dell’inquinamento in parola (anche, ovvero solo) in capo all’odierna ricorrente,
né sottrae legittimità ad un provvedimento il quale risulta correttamente
fondato sull’identificazione della ricorrente quale soggetto che, con la propria
attività ha certamente contribuito in modo determinante al superamento dei
valori di Csc in relazione alle richiamate sostanze e metalli.
Le conclusioni in questione, d’altronde, appaiono del tutto coerenti con il
principio di precauzione, come enunciato sin dalla Conferenza di Rio del 2004
(secondo il documento conclusivo della Conferenza – art. 15 - “in caso di rischi
di danni gravi o irreversibili, l’assenza di certezza scientifiche non deve
servire come pretesto per rinviare l’adozione di misure efficaci volte a
prevenire il decrado dell’ambiente”).
In buona sostanza (ed in corretta applicazione del principio da ultimo
richiamato), una volta accertato che l’attività di movimentazione di pet-coke da
parte della ricorrente aveva certamente contribuito in modo determinante
(ovvero, addirittura esclusivo) al superamento dei valori di Csc in relazione a
taluni inquinanti, per ciò stesso l’adozione dell’ordinanza di cui all’art. 244
ne risulta sistematicamente giustificata, non potendo deporre in senso opposto
né la circostanza per cui era possibile che all’ulteriore peggioramento della
situazione ambientale (in relazione ai medesimi inquinanti) avessero concorso
anche altri soggetti operanti nell’area, né tanto meno la circostanza secondo
cui nell’area in parola sarebbero altresì presenti ulteriori e diversi fenomeni
di inquinamento, verosimilmente non riconducibili all’attività dell’odierna
ricorrente, ma a quella di altre società.
Quanto al primo dei profili da ultimo richiamati, del resto, si osserva che
risulta dalle analisi in atti come in alcuni casi le concentrazioni di I.P.A.
esistenti in loco (eziologicamente riconducibili anche – se non esclusivamente –
all’attività di movimentazione del pet-coke da parte della ricorrente) risultano
superiori di circa cento volte rispetto ai parametri di cui alla pertinente
disciplina.
Il che, come è evidente, destituice ulteriormente di fondamento l’argomento
secondo cui non sarebbe nella specie dimostrato che l’attività di movimentazione
di pet-coke da parte della ricorrente (ossia, un’attività certamente idonea a
determinare rilevanti dispersioni e concentrazioni di I.P.A.) risulti ex se
idonea a determinare il superamento dei valori di Csc.
Quanto alle circostanze che inducono il Collegio a ritenere indubitabile che
l’attività di movimentazione di pet-coke (come concretamente svolta dalla
ricorrente) abbia determinato (in modo determinante, se non esclusivo) il
richiamato superamento dei valori di Csc, si evidenzia quanto segue:
- neppure la Difesa di Parte attrice nega che la dispersione di I.P.A., cromo e
nichel sia (secondo le acquisizioni scientifiche) attribuibile all’attività di
movimentazione di pet-coke (seppure, tale Difesa contesta che nella specie
risulti dimostrato il quantum di concentrazione concretamente addebitabile alla
ricorrente, nonché il carattere esclusivo di tale addebitabilità);
- dai verbali di ispezione della Polizia provinciale (marzo 2004) era emerso che
le condizioni concrete del molo in concessione alla società Italcave, nonché la
mancata o inadeguata realizzazione di sistemi tecnici volti ad impedire
l’emissione degli inquinanti nell’ambiente circostante fossero concretamente
addebitabili alla condotta della ricorrente.
Risulta, infatti, agli atti – inter alia - che il cordolo di cemento volto a
contenere le acque piovane contaminate in un’area dotata di pendenze atte a
convogliarle verso appositi pozzetti risultava in più punti “in pessime
condizioni di tenuta, con accumuli consistenti di polveri di carbone al suo
esterno, anche sotto forma di fango, ed anche sul ciglio del molo, con
infiltrazione in una condotta interrata tramite le griglie mal coperte dalla
guaina ivi poggiata”).
Risulta, ancora, che gli stessi pozzetti erano comunque “insufficienti a
contenere le acque riferite a fenomeni metereologici anche di piccola portata”
(circostanza, questa, puntualmente richiamata nel provvedimento impugnato).
Ed ancora, risulta che “l’attività di carico e scarico del pet-coke è
sicuramente soggetta a produzione di emissioni polverosi in atmosfera e pertanto
autorizzata, ma non risulta compiutamente corredata di tutti i sistemi
tecnologicamente adeguati alla riduzione delle emissioni in quanto (…) vi è il
mancato uso della vasca di contenimento all’uopo realizzata. Prova ne è la
diffusione in tutta l’area delle polveri e del fango da esse associato
all’acqua, ben oltre la superficie dotata di cordolo, che era in alcuni punti
anche in pessime condizioni (…)” (anche tale circostanza viene puntualmente
richiamata nel provvedimento impugnato).
Ebbene, la ricorrente non fornisce alcun elemento volto ad contestare le gravi
inadempienze nella specie riscontrate a suo carico, ovvero a dimostrare di avere
medio tempore realizzato accorgimenti tecnici volti a migliorare la situazione
in atto ed a mitigare le relative conseguenze sull’ambiente.
Al contrario, essa si limita ad affermare il carattere piuttosto datato delle
contestazioni in questione, nonché la carenza di prove in ordine alle proprie
responsabilità per lo stato di comprommissione ambientale dell’area.
Tuttavia, quanto al primo profilo deve osservarsi che se è rimasta invariata nel
periodo 2004-2007 la carenza di strumenti tecnologici di contenimento delle
conseguenze ambientali dell’attività svolta e se è rimasta invariata (ovvero, si
è medio tempore aggravata) la situazione di compromissione ambientale, la logica
conseguenza è nel senso della permanente attualità delle situazioni verificate
nel corso del 2004 e della conseguente necessità di porvi rimedio.
Quanto al secondo profilo, si ribadisce che, una volta accertata al di fuori di
ogni ragionevole dubbio la riferibilità della compromissione in questione a
carico della ricorrente, essa non possa proficuamente addurre (al fine di
sottrarsi all’applicazione delle misure di cui all’art. 244, cit.) né la carenza
di prove minute in ordine al carattere esclusivo – e non concorrente con altri –
della propria responsabilità, né tanto meno la circostanza secondo cui altre
fonti di inquinamento (diverse da quelle riferibili alla ricorrente) avrebbero
potuto contribuire a determinare diverse conseguenze di carattere
pregiudizievole per l’ambiente.
Gli argomenti sin qui svolti (fondati sulla certa – se pure non esclusiva –
addebitabilità delle conseguenze ambientali esaminate anche dalla Procura della
Repubblica di Taranto all’odierna ricorrente) rendono inessenziali, ai fini del
decidere:
- sia la disamina in ordine al carattere di onere reale degli interventi di cui
al più volte richiamato Tit. V (disamina che non assume rilievo determinante ai
fini del decidere, una volta appurato che l’ordinanza impugnata risulta
correttamente fondata sul presupposto della diretta responsabilità della società
ricorrente);
- sia la disamina in ordine al possibile (se pure, non verosimile) concorso che,
ai fini dell’inquinamento di cui causa, potrebbe esser stato determinato
dall’effetto di correnti e spostamenti di masse d’acqua dovute anche al solo
traffico navale della zona portuale.
6. Neppure può trovare accoglimento il settimo motivo di ricorso, fondato sulla
circostanza secondo cui la Provincia di Taranto, nell’adottare l’ordinanza
impugnata, si sarebbe limitata a prendere quale presupposto il mero superamento
dei valori di Csc, senza procedere ad alcuna valutazione in concreto in ordine
al rischio che tale superamento avrebbe potuto procurare alla salute umana
(secondo la logica sottesa all’enucleazione della nuova figura dei valori di Csr
– Concentrazioni Soglia di Rischio -).
Sotto tale profilo, appare dirimente osservare che il presupposto normativo per
l’attivazione delle procedure di cui all’art. 244, cit., è appunto rappresentato
dall’avvenuto superamento dei valori di Csc (in tal senso, il comma 1 della
norma, secondo cui tale presupposto consiste in ciò, che “le pubbliche
amministrazioni che nell’esercizio delle proprie funzioni individuano siti nei
quali accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai valori di
concentrazione soglia di contaminazione (…)”).
Ciò a tacere della circostanza per cui dall’esame della documentazione in atti
(e delle analisi svolte dal C.N.R.) emerge un superamento dei valori di soglia –
quanto meno - degli I.P.A. (per i quali esiste in letteratura medica una
evidenza sperimentale di cancerogenicità) di entità talmente superiore rispetto
ai rispettivi valori di soglia, da non lasciare residuare dubbi di sorta in
ordine alla sussistenza in loco di rischi concreti per la salute dell’uomo
conseguenti alla situazione di inquinamento in atto.
Per i motivi esposti, il ricorso di cui in oggetto deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, I Sezione di Lecce,
definitivamente pronunciando sul ricorso N.R.G. 28/07
LO RESPINGE.
CONDANNA la società ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida:
- in complessivi euro 2.000 (duemila), oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge, in
favore della Provincia di Taranto;
- in complessivi euro 2.000 (duemila), oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge, in
favore dell’Autorità Portuale di Taranto.
Ordina che la presente Sentenza sia eseguita ad opera dell’Autorità
amministrativa.
La presente sentenza è depositata presso la segreteria del Tribunale che
provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Lecce, nella Camera di Consiglio del giorno 19 dicembre 2007.
Aldo Ravalli – Presidente
Claudio Contessa – Estensore
Pubblicata mediante deposito
in Segreteria il 07 febbraio 2008
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