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T.R.G.A. TRENTO - 19 giugno 2008, n. 152
URBANISTICA - Destinazione agricola di zona - Interventi diversi da quelli
funzionali all’agricoltura - Ammissibilità - Fattispecie: installazione di
pannelli solari. Nella divisione in zone del territorio comunale, la
destinazione agricola di una zona non coincide con l’effettiva coltivazione dei
relativi fondi, ma ha spesso la finalità di evitare ulteriori espansioni degli
insediamenti e significa in tal caso che la zona stessa dev'essere conservata a
verde. Per tale ragione, anche qualora l'intento sia quello di valorizzare la
vocazione rurale della zona, non per questo sono sempre e comunque esclusi gli
interventi diversi da quelli strettamente funzionali all'attività agricola ed
alla eventuale esigenza dell'imprenditore agricolo di risiedere sul fondo (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 1.10.1997, n. 1059). Tale destinazione non preclude,
infatti, la realizzazione di opere che, non pregiudicando l'assetto territoriale
agricolo, non possano tuttavia essere convenientemente collocate in altre zone,
ma non esclude nemmeno la realizzazione di opere che siano pertinenziali o
funzionali agli insediamenti ed all'economia dell'area e che comunque si
inseriscano senza turbare o alterare la destinazione in atto (cfr. Consiglio di
Stato, sez. V, 28 settembre 1993, n. 968). La zonizzazione agricola assume
quindi un carattere residuale, salvo l'esistenza di un espresso divieto nello
strumento urbanistico che prescriva l'utilizzo produttivo agricolo in via
esclusiva, salvaguardando espressamente la relativa vocazione. (fattispecie
relativa all’installazione di pannelli solari termici e fotovoltaici in area
agricola). Pres. Mariuzzo, Est. Stevanato - L.R. (avv.ti Pontani e Beccara) c.
Comune di Spiazzo (avv. Bonazza) - T.R.G.A. TRENTINO, Trento - 19 giugno
2008, n. 152
ENERGIA - URBANISTICA ED EDILIZIA - Impianto fotovoltaico - Natura di
pertinenza - Presupposti - Breve distanza dall’edificio principale - Ostacolo
alla configurazione quale pertinenza - Esclusione. La breve distanza che
separa un impianto fotovoltaico e termico dall’edificio principale non può
essere un ostacolo alla sua configurazione come pertinenza: l’obiettiva esigenza
di esporre i pannelli alla maggiore illuminazione solare possibile, giustifica
infatti il loro posizionamento in un’area libera, discosto dall’edificio. Devono
però essere presenti entrambi gli elementi che caratterizzano la nozione di
impianto tecnologico pertinenziale al servizio di un fabbricato esistente, che
sono rappresentati, da un lato, dal rapporto quantitativo con il manufatto
principale (nel senso che il medesimo deve essere di entità adeguata e non
esorbitante), e, dall'altro, dall’esistenza di un collegamento funzionale tra
tale opera e la cosa principale (con la conseguente incapacità per la medesima
di essere utilizzata separatamente ed autonomamente). Pres. Mariuzzo, Est.
Stevanato - L.R. (avv.ti Pontani e Beccara) c. Comune di Spiazzo (avv. Bonazza)
- T.R.G.A. TRENTINO, Trento - 19 giugno 2008, n. 152
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 152/2008 Reg. Sent.
N.247/2006 Reg. Ric.
IL TRIBUNALE REGIONALE DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
DEL TRENTINO-ALTO ADIGE - SEDE DI TRENTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 247/2006 e sui relativi motivi aggiunti, proposti da
LORENZI RINO, anche in qualità di legale rappresentante dell’Albergo Mezzosoldo
s.a.s., rappresentato e difeso dagli avv.ti Alberto Pontati e Francesco a
Beccara con domicilio eletto nel loro studio in Trento, Via dei Paradisi, 15/2
CONTRO
il COMUNE DI SPIAZZO, rappresentato e difeso dall’avv. Flavio Maria Bonazza con
domicilio eletto nel suo studio in TRENTO, Piazza Mosna, 8
per l’annullamento
a) quanto al ricorso introduttivo, dell’ordinanza n. 27/06 del 21.9.2006 del
Responsabile del Servizio tecnico del Comune di Spiazzo, di rimessa in pristino
di opere abusive (un impianto fotovoltaico) sulle pp.ff. 637 e 638 c.c. Mortaso;
b) quanto ai motivi aggiunti, del provvedimento n. 2194 del 26.4.2007 del
Responsabile del servizio tecnico del Comune di Spiazzo, di diniego della
sanatoria richiesta dal ricorrente per le opere anzidette.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti i motivi aggiunti successivamente proposti;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;
Viste le memorie prodotte dalle parti;
Visti gli atti tutti della causa;
Uditi alla pubblica udienza del 5.6.2008 - relatore il consigliere Lorenzo
Stevanato - i difensori delle parti come specificato nel verbale d’udienza.
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
Con il ricorso introduttivo in epigrafe, è impugnato il provvedimento con il
quale il Comune di Spiazzo ha ingiunto al ricorrente la rimessa in pristino di
opere asseritamente abusive (si tratta di un impianto fotovoltaico al servizio
dell’edificio alberghiero di cui il ricorrente è titolare).
Tali opere sono state eseguite dopo la presentazione (in data 17.7.2006) di una
denuncia di inizio attività, sulla quale l’Amministrazione si era espressa (con
atto dell’8.8.2006) invitando il ricorrente a non eseguire le opere stesse, in
quanto “non conformi urbanisticamente ed in contrasto con la deliberazione della
Giunta provinciale n. 1529/2006”. Quest’ultima reca indirizzi interpretativi
relativamente alla normativa che disciplina l’installazione dei pannelli solari
termici e fotovoltaici.
A sostegno del ricorso viene dedotta l’illegittimità del provvedimento per
difetto di motivazione e per violazione di legge (art. 83, comma 1, lett. h e
art. 91bis, 121 e 122 della L.p. 5.9.1991, n 22; deliberazione della Giunta
Provinciale 1529/2006) nonché eccesso di potere sotto vari profili.
Successivamente alla presentazione del ricorso, il ricorrente ha presentato
all’Amministrazione (in data 22.12.2006) un’istanza di sanatoria per tali opere,
sulla quale la stessa si è pronunciata negativamente, dopo aver acquisito il
parere del 21.2.2007 della Provincia autonoma, con provvedimento in data
26.4.2007, che forma oggetto dei motivi aggiunti.
Il diniego è stato motivato con i seguenti rilievi:
1) la domanda non è stata sottoscritta dalla comproprietaria (moglie del
ricorrente) del terreno sul quale è stato realizzato l’impianto, per cui farebbe
difetto la piena legittimazione da parte dei titolari dell’immobile sul quale è
stata realizzata l’opera;
2) l’impianto non può essere configurato come pertinenziale all’albergo, non
essendo né in posizione adiacente a questo, né localizzato sullo stesso lotto,
né su area con appropriata destinazione urbanistica (si trova in effetti in
parte in zona agricola secondaria), né conforme all’utilizzo del soprassuolo
delle particelle adiacenti (parcheggio e prato, con una strada interpoderale che
separa le particelle interessate);
3) sul terreno dove è stato installato l’impianto esiste una servitù di
fognatura a favore del Comune.
Con i motivi aggiunti il ricorrente censura sotto vari profili di violazione di
legge (art. 83, comma 1, lett. h e art. 91bis, 121 e 122 della L.p. 22/91;
deliberazione della Giunta provinciale 1529/2006) e di eccesso di potere il
citato provvedimento di diniego della sanatoria.
Il Comune di Spiazzo, costituito in giudizio, ha pregiudizialmente eccepito che
il ricorso introduttivo sarebbe divenuto improcedibile per sopravvenuto difetto
di interesse, a seguito dell’attivazione del procedimento di sanatoria e
dell’emanazione del relativo diniego. Nel merito, ha puntualmente controdedotto,
concludendo per la reiezione dell’impugnazione.
Venendo alle considerazioni del Collegio, va anzitutto disattesa l’eccezione di
improcedibilità del ricorso.
Invero, l’interesse del ricorrente alla decisione sull’impugnativa del
provvedimento repressivo sarebbe venuto meno solo nel caso di accoglimento
dell’istanza di sanatoria. Ma, essendo stata essa respinta, permane l’interesse
all’impugnazione del provvedimento sanzionatorio che resta consolidato nella
propria efficacia (ed infatti non risulta che esso sia stato sostituito da altro
analogo provvedimento). Sotto altro aspetto non può non rilevarsi che,
nell’ipotesi di accertamento dell’insussistenza dell’ascritto illecito, ne
sarebbe conseguentemente travolta anche la vicenda successiva (istanza di
condono e successivo diniego di esso),
Nel merito, il ricorso è fondato, come anche i motivi aggiunti.
È anzitutto fondata la censura di difetto di motivazione, rivolta contro il
provvedimento sanzionatorio. In esso, infatti, non sono indicate le concrete e
specifiche ragioni per cui l’impianto tecnologico in controversia, realizzato
sulla base della D.I.A. (presentata ex art. 83, comma 1, lett. h e art. 91bis,
con possibilità di iniziare i lavori il giorno successivo), sia illegittimo.
Non è infatti sufficiente il semplice rilievo che tale opera non sia “conforme
urbanisticamente” e che sia “in contrasto con la deliberazione della Giunta
provinciale n. 1529/2006”, senza che siano indicati i profili dell’asserito
contrasto.
La motivazione, peraltro, è stata poi espressa nel provvedimento di diniego
della sanatoria.
A ben vedere, quindi, il denunciato difetto motivazionale diviene recessivo
nell’economia del presente giudizio, atteso che, al di là del mero dato formale,
la vicenda in esame, introdotta nella sede della giurisdizione esclusiva del
Giudice amministrativo, impone che si dirima la questione sostanziale,
consistente nello stabilire se l’impianto tecnologico realizzato dal ricorrente
sia o meno legittimo ed assentibile.
A tal riguardo, invero, va sottolineato che ogni patologica ricaduta dei vizi
attinenti alla forma degli atti amministrativi a contenuto vincolato è ormai da
escludersi, alla luce dell'art. 21 octies, della L. n. 7 agosto 1990, n. 241, il
cui comma 2 prevede che "non è annullabile il provvedimento amministrativo
adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti
qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
adottato".
Tale innovativa formula della legge deve, tra l'altro, indurre all’abbandono del
tradizionale principio del cosiddetto divieto di motivazione postuma ed essa è
senz'altro applicabile al caso di specie, essendo l’attività repressiva in
materia edilizia strettamente vincolata all’accertamento della sussistenza
dell’abuso.
Ciò posto, all’esame dei singoli motivi di diniego di sanatoria va premesso che
l’impianto fotovoltaico in questione è formato da numerosi pannelli che occupano
quasi integralmente un’area, catastalmente censita con le pp.ff. 637 e 638,
adiacenti tra loro ed a forma rettangolare allungata, il cui confine più
prossimo dista circa 40 m. dall’albergo (cfr. la perizia dell’Ing. Moreschini
prodotta dal ricorrente).
Sempre in base alla citata perizia, l’energia elettrica prodotta dall’impianto
in 12 mesi è risultata pari a Kw 40.728 mentre quella consumata dall’albergo è
stata di Kw 45.092.
Non vi è dubbio, quindi, che funzionalmente l’impianto abbia carattere
pertinenziale all’albergo e non sottenda, invece, un suo autonomo impiego per la
produzione di energia da immettere nella rete o a favore di terzi.
L’impianto è collocato direttamente a terra, su un terreno prativo come emerge
dalla documentazione fotografica prodotta dall’amministrazione.
Ciò premesso, e venendo ai singoli motivi del diniego, sono anzitutto erronei
quelli che valorizzano l’utilizzo del soprassuolo delle particelle adiacenti
(parcheggio e prato) e l’esistenza di una strada interpoderale che separa le
particelle interessate.
Sembra evidente, infatti, che tali elementi non influiscono sull’idoneità del
collegamento elettrico dei pannelli all’edificio alberghiero, né ricevono
disturbo da esso.
Nemmeno l’esistenza della servitù di fognatura rappresenta un elemento ostativo
all’installazione dell’impianto fotovoltaico, atteso che, in occasione di
eventuali interventi sulla fognatura, sarà sufficiente rimuovere i pannelli, che
integrano una struttura meramente mobile e non ancorata al suolo tramite opere
edilizie.
Maggiore consistenza presentano le altre due ragioni del diniego, che sono: 1)
la domanda non è stata sottoscritta dalla comproprietaria (moglie del
ricorrente); 2) l’impianto non può essere considerato pertinenziale all’albergo,
non essendo né in posizione adiacente all’edificio alberghiero né localizzato
sullo stesso lotto né essendo appropriata la destinazione urbanistica agricola
del terreno.
Circa quest’ultimo rilievo, osserva il Collegio che nella divisione in zone del
territorio comunale, operata dallo strumento urbanistico generale, la
destinazione agricola di una zona non coincide con l’effettiva coltivazione dei
relativi fondi, ma ha spesso la finalità di evitare ulteriori espansioni degli
insediamenti e significa in tal caso che la zona stessa dev'essere conservata a
verde. Per tale ragione, anche qualora l'intento sia quello di valorizzare la
vocazione rurale della zona, non per questo sono sempre e comunque esclusi gli
interventi diversi da quelli strettamente funzionali all'attività agricola ed
alla eventuale esigenza dell'imprenditore agricolo di risiedere sul fondo (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 1.10.1997, n. 1059). Tale destinazione non preclude,
infatti, la realizzazione di opere che, non pregiudicando l'assetto territoriale
agricolo, non possano tuttavia essere convenientemente collocate in altre zone,
ma non esclude nemmeno la realizzazione di opere che siano pertinenziali o
funzionali agli insediamenti ed all'economia dell'area e che comunque si
inseriscano senza turbare o alterare la destinazione in atto (cfr. Consiglio di
Stato, sez. V, 28 settembre 1993, n. 968).
La zonizzazione agricola assume quindi un carattere residuale, nel significato
appena descritto, salvo l'esistenza di un espresso divieto nello strumento
urbanistico che prescriva l'utilizzo produttivo agricolo in via esclusiva,
salvaguardando espressamente la relativa vocazione.
Nel caso di specie, peraltro, trattandosi di un impianto tecnologico facilmente
rimuovibile, che non modifica irreversibilmente il terreno sul quale è
posizionato, non sussiste la rilevata difformità urbanistica rispetto alla
destinazione agricola della zona, che non può inibire la realizzazione di una
tale opera per la sua limitata rilevanza sul piano urbanistico (non comporta la
realizzazione di un nuovo volume ed è facilmente amovibile) e per l’inesistenza
di ogni negativo influsso sull'assetto territoriale agricolo e sulla sua
destinazione.
Nemmeno risulta esservi (non essendo stato opposto dall'Amministrazione) un
divieto o un vincolo esplicitamente contrario nello strumento urbanistico o
derivante dalla normativa paesaggistica.
Al contrario, la deliberazione della Giunta provinciale n. 1529/2006, recante
indirizzi interpretativi relativamente alla normativa che disciplina
l’installazione dei pannelli solari termici e fotovoltaici, sancisce
l’indifferenza di tali impianti rispetto alla destinazione di zona, qualora la
loro funzione prevalente sia quella di ottenere il risparmio energetico delle
singole unità immobiliari, comprese quelle con destinazione diversa da quella
residenziale. Ed è questo, appunto, il caso che ricorre nella specie.
Circa il carattere pertinenziale dell’impianto, innegabile sotto l’aspetto
funzionale, come visto sopra, resta da valutare la distanza dell’impianto
dall’albergo.
Ebbene, ritiene il Collegio che la breve distanza che lo separa (40 metri) non
possa essere un ostacolo alla sua configurazione come pertinenza e d’altra parte
l’obiettiva esigenza di esporre i pannelli alla maggiore illuminazione solare
possibile, giustifica il loro posizionamento in un’area libera, discosto
dall’edificio. Sono dunque presenti entrambi gli elementi che caratterizzano la
nozione di impianto tecnologico pertinenziale, al servizio di un fabbricato
esistente, che sono rappresentati, da un lato, dal rapporto quantitativo con il
manufatto principale (nel senso che il medesimo deve essere di entità adeguata e
non esorbitante), e, dall'altro, dall’esistenza di un collegamento funzionale
tra tale opera e la cosa principale (con la conseguente incapacità per la
medesima di essere utilizzata separatamente ed autonomamente).
In concreto la capacità produttiva di energia elettrica dell’impianto
(menzionata sopra) ne rivela la natura obiettiva di pertinenza, essendo esso in
rapporto adeguato e non esorbitante rispetto alle esigenze dell’albergo.
Resta infine da valutare il problema della mancata dimostrazione della
titolarità del terreno, di cui il ricorrente è comproprietario con il coniuge.
Ebbene, a tal riguardo il Collegio è consapevole che, secondo un affermato e
condivisibile indirizzo giurisprudenziale, nel procedimento di rilascio della
concessione edilizia l'Amministrazione ha il potere di verificare l'esistenza,
in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile,
interessato dal progetto di trasformazione urbanistica.
Si tratta, peraltro, di un'attività istruttoria che non è diretta, in via
principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine
all'assetto proprietario degli immobili interessati, ma che risulta finalizzata,
più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del
richiedente.
Perciò, conformemente a quanto previsto dall’art. 11 del t.u. dell’edilizia
(d.p.r. 380/01) e, nell’ordinamento trentino, dall’art. 88 della L.p. 22/91, in
caso di opere che vadano ad incidere sul diritto di altri comproprietari, è
legittimo esigere il consenso degli stessi, che peraltro può essere manifestato
anche per fatti concludenti. Qualora vi sia un conclamato dissenso fra i
comproprietari in ordine all'intervento progettato, l'Amministrazione non può
assentirlo, nonostante sia conforme agli strumenti urbanistici, mancando
l’effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità del
prescritto diritto di godimento (cfr. in termini: Cons. Stato, V, 21 ottobre
2003, n. 6529; id., 20 settembre 2001, n. 4972; TAR Toscana 23 novembre 2001, n.
1651; TAR Emilia Romagna, Parma, 21 marzo 2002, n. 183)."
Per la citata giurisprudenza, le rassegnate conclusioni trovano applicazione
anche in caso di richiesta di concessione edilizia in sanatoria.
Nella fattispecie, tuttavia, la moglie comproprietaria non si è attivata per
denunciare il proprio dissenso rispetto al rilascio del titolo edificatorio,
mentre l’interessato era nell’obiettiva difficoltà di integrare la propria
domanda con l’esplicito atto di assenso della moglie, essendo in corso una causa
di separazione personale dei coniugi.
A riprova di ciò, è stato prodotto in giudizio dal ricorrente il verbale
sottoscritto dai coniugi il 28.11.2007 con l’omologazione della separazione
consensuale da parte del Tribunale di Trento (doc. n. 2), da cui emerge che la
moglie si è impegnata a trasferirgli la propria quota sul terreno in
controversia.
In una tale situazione, il Comune ben avrebbe potuto e dovuto limitarsi a
verificare se, dietro l'istanza di sanatoria, fosse riconoscibile l'effettiva
sussistenza della disponibilità del bene oggetto del previsto intervento
edificatorio, senza che essa determinasse un evidente contrasto con il diritto
della comproprietaria, che non aveva sottoscritto la relativa istanza.
La disponibilità giuridica del bene non poteva quindi essere esclusa, per il
solo fatto che non era stato manifestato il consenso esplicito della moglie.
Per tali ragioni, i provvedimenti impugnati incorrono nelle censure dedotte dal
ricorrente ed il ricorso va perciò accolto.
Le spese del giudizio possono essere, tuttavia, compensate, attesa la
particolarità della fattispecie.
P.Q.M.
il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino - Alto Adige,
sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso in premessa, lo
accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati indicati in
epigrafe.
Compensa tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 5.6.2008, con l’intervento
dei Magistrati:
dott. Francesco Mariuzzo - Presidente
dott. Lorenzo Stevanato - Consigliere estensore
dott. Alma Chiettini - Consigliere
Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 19
giugno 2008
Il Segretario Generale
dott. Giovanni Tanel
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