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registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
TRIBUNALE ORDINARIO DI COSENZA, Sez. II PENALE Ordinanza del
30/01/2008
RIFIUTI - Amianto - Natura
di rifiuto pericoloso - Deposito incontrollato. La presenza di una
considerevole quantità di eternit, materiale contenente amianto, rinvenuta sul
suolo all’interno di capannoni e nelle immediate vicinanze, in condizioni di
corrosione e degrado, integra certamente la sussistenza di un deposito
incontrollato di rifiuti pericolosi. Non può infatti mettersi in dubbio che i
frantumi di eternit, a causa dell’affioramento delle fibre di amianto,
costituiscano tecnicamente “rifiuti pericolosi”, come peraltro costantemente
affermato dalla Suprema Corte (ex pluribus, sentenza 26 ottobre-29 novembre
2006, n.39360, Lo Bello (rv 345464) e la recentissima decisione del 27 Marzo
2007, n.sezionale 00959/2007, Bertuzzi ed altri, non ancora massimata). D’altro
canto, ai fini della configurabilità del reato di abbandono e deposito
incontrollato di rifiuti sul suolo, è sufficiente che la contaminazione
costituisca, in una valutazione che tenga conto del dato logico e
dell'esperienza comune, una conseguenza inevitabile o altamente probabile,
atteso che la disciplina di cui all’art. 14 del DLvo 22/97 costituisce una norma
di chiusura che persegue la finalità di impedire che per effetto della raccolta
e dell'accumulo sul suolo di rifiuti possa derivare una danno all'ambiente (cfr.
Cass. Sez. 3, n. 38689 del 9/7/2004). (Nella specie, i materiali provenienti
crollo dei tetti in cemento amianto giacevano sul terreno lunghissimo tempo, per
cui il deposito, avendo superato abbondantemente il periodo di un anno, non
poteva qualificarsi come temporaneo ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6,
comma 1, lett. m). Pres. Gallo, Est. Branda - TRIBUNALE DI COSENZA, Sez.
Penale II - Ordinanza del 30 gennaio 2008, NASO
RIFIUTI - Amianto - Art. 674 c.p. - Integrazione del reato - Superamento dei
valori di cui al D.M. 6 settembre 1994 - Necessità - Esclusione - Ragioni.
In tema di amianto, quando la situazione di pericolosità è collegata ad un
deposito irregolare, il reato previsto dall’art. 674 c.p. risulta integrato
dalla prova che la dispersione di fibre di amianto vi sia stata, a nulla
rilevando il mancato superamento dei valori di cui al D.M. 6 settembre 1994 o
della normativa successivamente intervenuta. Tali valori, infatti, operando con
riferimento al rispetto, da parte dell’imprenditore, dei limiti posti a tutela
delle persone che vengono professionalmente a contatto l'amianto e le fibre di
amianto, hanno riguardo esclusivamente allo svolgimento di attività autorizzate
e regolamentante. Diverso è il discorso per la dispersione delle fibre
nell'ambiente circostante, dispersione che assume carattere di incontrollata
pericolosità e riguarda una platea non limitata di possibili destinatari.: le
cautele previste dalle norme in questione, relative alla formazione delle
persone che possono venire a contatto con l’amianto, la predisposizione di
strumenti e di abbigliamento atti a ridurre il pericolo che le fibre possano
venire respirate, la predisposizione di attività di decontaminazione, restano
escluse nelle situazioni in cui difetti qualsivoglia autorizzazione ed in
costanza di un pericolo rivolto alla generalità dei soggetti che abitano nelle
vicinanze. Pres. Gallo, Est. Branda - TRIBUNALE DI COSENZA, Sez. Penale II -
Ordinanza del 30 gennaio 2008, NASO
RIFIUTI - Sequestro dell'area - Intervenuto fallimento - Rapporti -
Incompatibilità - Esclusione. L’incompatibilità della misura del sequestro
con l’intervenuto fallimento (cfr. Sezioni Unite, sent. n.29951 del 2004) è
correlata al fatto che il conseguente effetto di "spossessamento", comporta la
sottrazione al fallito della disponibilità del proprio patrimonio e la sua
devoluzione al pubblico ufficio fallimentare, privando il soggetto, in ipotesi
autore del reato, della disponibilità della cosa. Tuttavia, il giudice - a
fronte di una dichiarazione di fallimento - ben può disporre l'applicazione, il
mantenimento o la revoca del sequestro previsto dal 1° comma dell'art. 321
c.p.p., senza essere vincolato dagli effetti di cui all'art. 42 L.F.; lo stesso
giudice, nel discrezionale giudizio sulla pericolosità della res, dovrà
effettuare una valutazione di bilanciamento (e darne conto con adeguata
motivazione) del motivo della cautela e delle ragioni attinenti alla tutela dei
legittimi interessi dei creditori, anche attraverso la considerazione dello
svolgimento in concreto della procedura concorsuale. E’ ovvio che la misura non
potrà essere revocata allorquando l’intervenuto fallimento (e spossessamento) è
inidoneo a scongiurare comportamenti penalmente illeciti o reiterazioni di
condotte criminose. (Nel caso di specie, il Tribunale del riesame, nel
confermare il provvedimento di sequestro, ha ritenuto prevalenti le esigenze di
tutela della salute dei cittadini, a rischio per l’esposizione alle polveri
dell’amianto, nel giudizio di bilanciamento con gli interessi meramente
economici della massa dei creditori). Pres. Gallo, Est. Branda - TRIBUNALE DI
COSENZA, Sez. Penale II - Ordinanza del 30 gennaio 2008, NASO
RIFIUTI - Deposito incontrollato - Intervenuto fallimento - Responsabilità
del curatore fallimentare - Configurabilità. Secondo la giurisprudenza della
Suprema Corte, la responsabilità penale per il reato di deposito incontrollato
di rifiuti è configurabile sia nei confronti del soggetto cui compete la
gestione diretta dell'area occupata dai rifiuti, sia nei confronti del soggetto
che dispone dell’area, almeno sotto il profilo della "culpa in vigilando" (cfr.
Cass. Sez. 3, n. 21677 del 26/1/2007 ) . Poiché l’articolo 31 della legge
fallimentare attribuisce al curatore “l'amministrazione del patrimonio
fallimentare sotto la direzione del giudice delegato”, ne deriva che il
curatore, quale custode e amministratore dei beni, ha il dovere di interrompere
il continuo accumularsi di rifiuti pericolosi contenenti amianto, protrattosi
anche nel corso della amministrazione del compendio fallimentare. In altri
termini, la violazione da parte dei privati delle norme in materia di abbandono
e deposito incontrollato di rifiuti non può perdere il carattere di illiceità
sul presupposto che neppure le autorità e gli enti aventi competenza sul sito e
sugli immobili hanno saputo riportare nell'ambito della legalità una situazione
gravemente compromessa, cui i privati hanno dato origine: pur nella
consapevolezza delle difficoltà che si collegano alla sanatoria di una realtà
tanto complessa, quella prospettata dal curatore costituisce una vera inversione
dei principi di responsabilità che non può essere in alcun modo condivisa (cfr.
per un caso analogo, la recente sentenza della Suprema Corte n. 22826 del 2007,
sul caso FIBRONIT). Pres. Gallo, Est. Branda - TRIBUNALE DI COSENZA, Sez.
Penale II - Ordinanza del 30 gennaio 2008, NASO
RIFIUTI - Sequestro del sito - Cessazione della permanenza del reato -
Esclusione. In tema di reati ambientali di natura permanente, anche dopo
l'entrata in vigore degli artt. 242 e 257 del D.Lgs. n. 152 del 2006 che ha
abrogato (art. 264, comma primo lett. i) il D.Lgs. n. 22 del 1997 – la
permanenza non cessa per effetto del sequestro del sito inquinante, preordinato
all'eliminazione del danno, ma persiste fino agli interventi di messa in
sicurezza, bonifica e ripristino ambientale delle aree, condotte riparatorie -
queste - previste anche dal nuovo testo unico (art. 247 D.Lgs. n. 152 del 2006)
che, ove poste in essere prima della pronuncia giudiziale, fanno venire meno la
punibilita' del reato." (Cass.Pen. , Sez. I n. 29855/2006). Pres. Gallo, Est.
Branda - TRIBUNALE DI COSENZA, Sez. Penale II - Ordinanza del 30 gennaio
2008, NASO
N. 177/07 RGTL
N. 5696/07 RGNR
TRIBUNALE DI COSENZA
SECONDA SEZIONE PENALE - RIESAME
II Tribunale, riunito in cc.
in persona dei magistrati:
dott. Antonia Gallo presidente
dott. Francesco Luigi Branda giudice
dott. Piero Santese giudice
decidendo sulla richiesta di riesame presentata, in data 03/12/07, da Antonio
Naso,
Curatore del Fallimento della s.r.l. "FIL" - fabbrica - Laterizi, avverso il
decreto di
sequestro preventivo di aree, emesso dal GIP presso questo Tribunale in data
27/11/07 nell'ambito del proc.to n.5696/07 RGNR, ha adottato la seguente
ORDINANZA
In fatto e diritto
Il GIP del Tribunale di Cosenza, in data 27/11/2007, disponeva il sequestro
preventivo di alcuni immobili, comprensivi – per quanto di interesse – dell’area
sita in località Triscioli del Comune di Santa Caterina Albanese e dei
sovrastanti capannoni con coperture in eternit sfaldate in più parti, per una
superficie complessiva di 15.000 mq, ritenendo il fumus commissi delicti in
ordine alle fattispecie previste e punite dagli articoli 674 c.p. e 256 co. 2
D.Lvo 152/06.
Sulla base degli atti acquisiti, il giudice riteneva che nella predetta area
risultavano abbandonate in modo del tutto incontrollato notevoli quantità di
rifiuti, tra cui parti di eternit (cemento- amianto), gravemente pericolose per
la salute pubblica, rendendosi perciò necessario il sequestro preventivo al fine
di evitare l’ulteriore deposito e abbandono di rifiuti e per inibire l’accesso a
terzi estranei, così limitando i danni derivanti dalla dispersione delle polveri
di amianto.
Ha proposto ricorso per riesame il curatore del Fallimento “FIL Fabbrica Ioggese
Laterizi s.r.l., nel cui compendio risultano compresi i beni oggetto di
sequestro, per i seguenti motivi, illustrati nella memoria depositata
all’udienza camerale del 16/1/2008.
In primo luogo, quanto alla configurabilità del reato previsto e punito
dall’art. 674 c.p., ha dedotto l’assenza di misurazioni comprovanti il pericolo
di immissioni nocive; e per la residua imputazione, oltre alla predetta censura,
ha eccepito l’impossibilità di individuare un soggetto responsabile, posto che
la situazione di degrado e di abbandono risale ad oltre un ventennio.
Ancora, ha lamentato
- che il materiale ritrovato (“laterizi”, pneumatici, carcassa di autoveicolo)
non sono automaticamente qualificabili come rifiuti, anche perché gli stessi si
trovano all’interno di un capannone chiuso e non dispersi nell’area circostante;
- che la protrazione del sequestro di certo non vale ad elidere le conseguenze
dannose per la salute pubblica, poiché di fatto impedisce la bonifica,
cristallizzando l’attuale degrado;
- che la libera disponibilità del bene da parte del fallimento potrebbe
permetterne la vendita e, quindi, la bonifica da parte dei terzi acquirenti,
allo stato non consentita per la totale mancanza di attivo fallimentare
spendibile in tali operazioni.
Ha altresì eccepito che il GIP non ha affatto considerato le esigenze della
massa dei creditori, omettendo una valutazione ritenuta indispensabile dalle
stesse Sezioni Unite con la sentenza n.29951 del 2004, che appunto ha delineato
la necessità di un giudizio di bilanciamento di tali esigenze con le ragioni di
prevenzione.
Il ricorso è infondato.
Dagli atti emerge che
- i capannoni, di cui si chiede il dissequestro, presentano le coperture in
cemento- amianto (eternit) in uno stato molto avanzato di degrado diffuso, con
pannelli divelti, porzioni di coperture crollate e con lastre di spessore
ridotto a seguito del processo di corrosione instauratosi nel corso degli anni
per l’azione degli agenti atmosferici.
- tutto ciò ha comportato un affioramento delle fibre di amianto non più
inglobate nella matrice cementizia, con fenomeni di dispersione delle stesse
nell’ambiente con conseguente pericolo per la salute pubblica (cfr. verifica
dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza in data 6/12/2007)
- cosa più grave, i decessi per patologie neoplastiche di persone residenti nel
raggio di 10 KM della struttura contaminata da amianto sono alquanto elevati (74
in 10 anni) con netta prevalenza di tipologie normalmente correlate
all’esposizione all’amianto (vedi nota del Comune di Santa Caterina Albanese).
Tanto premesso in fatto, ritiene il Tribunale che – nel caso concreto - la
sussistenza di un deposito incontrollato di rifiuti pericolosi è certamente
integrata dalla presenza di una considerevole quantità di eternit, materiale
contenente amianto, rinvenuta sul suolo all’interno dei capannoni e nelle
immediate adiacenze, in condizioni di corrosione e degrado.
Gli spezzoni di eternit si presentano in frantumi derivati dal crollo delle
coperture dei tetti, esposti alle intemperie e soggetti a deterioramento ed alla
conseguente emersione e dispersione delle fibre.
Né sembra possa mettersi in dubbio che i prodotti contenenti amianto
costituiscono tecnicamente "rifiuti" aventi carattere di pericolosità.
Infatti, i frantumi di eternit, a causa dell’affioramento delle fibre di
amianto, costituiscono indubbiamente rifiuti pericolosi, come peraltro
costantemente affermato dalla Suprema Corte (ex pluribus, sentenza 26 ottobre-29
novembre 2006, n.39360, Lo Bello (rv 345464) e la recentissima decisione del 27
Marzo 2007, n.sezionale 00959/2007, Bertuzzi ed altri, non ancora massimata).
D’altro canto, ai fini della configurabilità del reato di abbandono e deposito
incontrollato di rifiuti sul suolo, è sufficiente che la contaminazione
costituisca, in una valutazione che tenga conto del dato logico e
dell'esperienza comune, una conseguenza inevitabile o altamente probabile,
atteso che la disciplina di cui all’art. 14 del DLvo 22/97 costituisce una norma
di chiusura che persegue la finalità di impedire che per effetto della raccolta
e dell'accumulo sul suolo di rifiuti possa derivare una danno all'ambiente (cfr.
Cass. Sez. 3, n. 38689 del 9/7/2004).
E tutto ciò si apprezza a prima vista in questa sede, posto che nel giudizio di
riesame è necessaria e sufficiente la valutazione di astratta riconducibilità
del fatto contestato alla fattispecie ipotizzata.
Del resto, lo stesso ricorrente non contesta la caratterizzazione del sito che
necessita di interventi di salvaguardia e di bonifica: basti considerare che -
come è stato ammesso dallo stesso Difensore - i materiali provenienti dal crollo
dei tetti in cemento amianto giacevano sul terreno de quo da lunghissimo tempo
(forse addirittura un ventennio), sicché il deposito, avendo superato
abbondantemente il periodo di un anno, non può qualificarsi come temporaneo ai
sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, comma 1, lett. m).
Quanto al reato di cui all’art.674 c.p., erroneamente, il ricorrente fa
discendere la non sussistenza della violazione dal mancato superamento dei
valori (contemplati dal DM 6 settembre 1994).
Sul punto appare, al contrario, accoglibile la tesi che collega la rilevanza
giuridica di quei valori esclusivamente allo svolgimento di attività autorizzate
e regolamentate. Infatti, sia la disciplina vigente all'epoca dei fatti
(operante nell'ambito dei principi fissati a partire dalla direttiva 80/1107/CEE
e ribaditi dalle Conclusioni del Consiglio in data 7 aprile 1998), sia quella
successiva (d.lgs. n.257 del 2006, avendo riguardo alla direttiva 2003/18/CE)
operano con riferimento al rispetto, da parte dell'imprenditore, dei limiti
posti a tutela delle persone che vengono professionalmente a contatto con
l'amianto e le fibre di amianto, in tal modo assicurando che un'attività
regolamentata riduca al massimo grado i rischi inevitabilmente connessi alle
lavorazioni, al trattamento e allo smaltimento di tale sostanza.
Tuttavia, diverso è il discorso per la dispersione delle fibre nell'ambiente
circostante, dispersione che assume carattere di incontrollata pericolosità e
riguarda una platea non limitata di possibili destinatari.
Ritiene, pertanto, il Tribunale che quando tale situazione di pericolosità è
collegata ad una situazione di irregolare deposito, come nel caso di specie, il
reato previsto dall'art.674 c.p. risulta integrato dalla prova che la
dispersione di fibre vi sia stata, senza che assuma rilievo il superamento dei
valori che le regole in vigore riferiscono ad attività autorizzate e controllate
e, come tali, poste all'interno di un sistema di cautele che è capace di ridurre
al massimo i rischi per le persone. Tale sistema di cautele, infatti, comprende
la formazione delle persone che vengono o possono venire a contatto con le fibre
di amianto, la predisposizione di strumenti e di abbigliamento atti a ridurre il
pericolo che le fibre possano venire respirate, la predisposizione di attività
di decontaminazione: tutte cautele che restano escluse nelle situazioni come
quelle createsi nel caso concreto, difettando qualsivoglia autorizzazione ed in
costanza di un pericolo rivolto alla generalità dei soggetti che abitano nelle
vicinanze.
Pertanto, data la convergenza di indizi in ordine alla intervenuta dispersione
di fibre di amianto, non vi è dubbio che tali circostanze siano "idonee a
cagionare danni alla salute dei cittadini", così come ipotizzato in relazione al
capo A).
Non appare pertinente l’ulteriore motivo di gravame che richiama la decisione
delle Sezioni Unite in materia di sequestro di beni caduti nella massa
fallimentare.
La Suprema Corte ha infatti precisato che l’incompatibilità della misura con
l’intervenuto fallimento è correlata al fatto che il conseguente effetto di
"spossessamento", comporta la sottrazione al fallito della disponibilità del
proprio patrimonio e la sua devoluzione al pubblico ufficio fallimentare,
privando il soggetto, in ipotesi autore del reato, della disponibilità della
cosa.
Tuttavia, a giudizio delle stesse Sezioni Unite, il giudice - a fronte di una
dichiarazione di fallimento - ben può disporre l'applicazione, il mantenimento o
la revoca del sequestro previsto dal 1 comma dell'art. 321 c.p.p., senza essere
vincolato dagli effetti di cui all'art. 42 L.F.; lo stesso giudice, però, nel
discrezionale giudizio sulla pericolosità della res, dovrà effettuare una
valutazione di bilanciamento (e darne conto con adeguata motivazione) del motivo
della cautela e delle ragioni attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei
creditori, anche attraverso la considerazione dello svolgimento in concreto
della procedura concorsuale.
E’ ovvio che la misura non potrà essere revocata allorquando l’intervenuto
fallimento (e spossessamento) è inidoneo a scongiurare comportamenti penalmente
illeciti o reiterazioni di condotte criminose.
Nel caso di specie il deposito di rifiuti pericolosi continua ad accrescersi
anche in costanza di fallimento, per il perdurante sfaldamento delle coperture
in eternit degli immobili in stato di abbandono; e dunque la procedura
concorsuale, di per sé, non ha determinato una interruzione della permanenza del
reato o delle sue conseguenze.
E comunque, l’eventualità di un giudizio di bilanciamento favorevole al
ricorrente cade sotto il martello della logica, prima ancora che del diritto,
posto che gli interessi meramente economici della massa dei creditori –
necessariamente - cedono il passo dinanzi alle più meritevoli esigenze di tutela
della salute dei cittadini, a rischio per l’esposizione alle polveri di amianto.
Del resto, non è condivisibile la tesi secondo cui la revoca del sequestro
faciliterebbe la vendita del bene e quindi la bonifica del sito da parte
dell’acquirente.
Occorre, invece, considerare che, in ogni caso e per chiunque abbia la
disponibilità dell’area, il primo intervento da eseguire improrogabilmente è la
bonifica dell’area; e ciò vale sia per il curatore che per il futuro acquirente.
Posto che ciò è indiscutibile, non è ragionevole affermare che il sequestro
costituirebbe sostanzialmente un ostacolo alla vendita, se è vero come è vero
che tale misura non è di ostacolo all’alienazione e non impedisce la messa in
sicurezza dell’area, sol che si consideri – come meglio si preciserà appresso –
la possibilità di autorizzare la rimozione dei sigilli per procedere alla
immediata bonifica dell’area, all’esito della quale – ovviamente – verrebbero
meno le esigenze cautelari che oggi giustificano il mantenimento della misura.
Quanto al profilo soggettivo, infondata appare la doglianza relativa alla
impossibilità di individuare gli autori o di ascrivere il fatto al ricorrente
che attualmente ha la disponibilità del bene.
Infatti, in linea generale, è utile ricordare che il richiamo normativo,
costante e reiterato nel testo dell’articolo 321 c.p.p., al "reato" - sotto i
due profili che solo cose ad esso pertinenti ben possono essere oggetto di
sequestro e che questo deve mirare a evitare l'aggravarsi o il protrarsi delle
relative conseguenze, nonché la commissione di altri fatti di reato - rende
evidente che presupposto perché possa essere disposto il sequestro preventivo è
che un reato sia stato commesso. Può essere ancora non ben definita la
qualificazione giuridica del fatto, possono esserne ancora ignoti gli autori, ma
che storicamente si sia verificato un fatto avente i connotati dell'illecito
penale, sul quale si stia indagando, è imprescindibile. Dunque, il sequestro
preventivo può essere disposto nei casi in cui, in pendenza dell'accertamento di
un fatto di reato, il non assoggettamento a vincolo di cose pertinenti al reato
consentirebbe il protrarsi del comportamento penalmente illecito, ovvero la
reiterazione della condotta criminosa o la realizzazione di ulteriori
pregiudizi, ancorché non sia stato individuato l’autore. (Cfr. Cass. 1992, n.
3021)
Nel caso di specie, inoltre, non si può escludere la sussistenza, in capo al
curatore del fallimento, di responsabilità gestionali e degli obblighi connessi
all'ufficio ricoperto, responsabilità ed obblighi certamente rilevanti
quantomeno ai sensi dell'art.40 c.p. (per profili di analogia, si veda Cass.
Sezione Terza Penale, sentenza 8 giugno-21 settembre 2006, n.31401, Boccabella,
rv 234942).
Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, la responsabilità penale per il
reato di deposito incontrollato di rifiuti è configurabile sia nei confronti del
soggetto cui compete la gestione diretta dell'area occupata dai rifiuti, sia nei
confronti del soggetto che dispone dell’area, almeno sotto il profilo della
"culpa in vigilando" (cfr. Cass. Sez. 3, n. 21677 del 26/1/2007 ) .
Poiché l’articolo 31 della legge fallimentare attribuisce al curatore
“l'amministrazione del patrimonio fallimentare sotto la direzione del giudice
delegato”, ne deriva che, nel caso di specie, all’odierno ricorrente (curatore
del fallimento della s.r.l. "FIL" - fabbrica - Laterizi) spetta la gestione
diretta dell’area ricoperta dai rifiuti.
Orbene, risulta in atti che la situazione in cui versa lo stabilimento è già da
tempo perfettamente nota alla curatela che ne ha la disponibilità, e si aggrava,
di giorno in giorno, per lo stato di abbandono dei capannoni, le cui strutture
in cemento-amianto continuano a sfaldarsi crollando al suolo.
La circostanza è ammessa dal ricorrente, il quale, tuttavia, deduce
l’impossibilità che il recupero e la bonifica dell'area vadano a buon fine per
mancanza di mezzi economici.
Occorre soltanto chiarire che la situazione di illegalità e di rilevante
pericolosità provocata dagli esiti della pregressa gestione non possono trovare
nelle prospettate difficoltà di soluzione una scriminante.
Così come non è accettabile, sul piano giuridico, che le cautele di intervento
derivanti dalla legge e dagli atti amministrativi possano trasferire sugli enti
territoriali e sulle amministrazioni pubbliche forme più o meno dirette di
responsabilità che farebbero venir meno quelle dei soggetti che hanno la
concreta disponibilità del bene altamente inquinante.
In altri termini, la violazione da parte dei privati delle norme in materia di
abbandono e deposito incontrollato di rifiuti non può perdere il carattere di
illiceità sul presupposto che neppure le autorità e gli enti aventi competenza
sul sito e sugli immobili hanno saputo riportare nell'ambito della legalità una
situazione gravemente compromessa, cui i privati hanno dato origine: pur nella
consapevolezza delle difficoltà che si collegano alla sanatoria di una realtà
tanto complessa, quella prospettata dal curatore costituisce una vera inversione
dei principi di responsabilità che non può essere in alcun modo condivisa (cfr.
per un caso analogo, la recente sentenza della Suprema Corte n. 22826 del 2007,
sul caso FIBRONIT).
Dunque, il curatore, quale custode e amministratore dei beni, ha il dovere di
interrompere il continuo accumularsi di rifiuti pericolosi contenenti amianto,
protrattosi anche nel corso della amministrazione del compendio fallimentare.
D’altro canto, l’attuale indisponibilità di danaro contante che avrebbe impedito
al fallimento di eseguire la messa in sicurezza, non appare configurabile come
esimente, se è vero che la procedura non è assolutamente priva di attivo e che
pertanto la lentezza nella liquidazione non può confortare tale giustificazione
e, di conseguenza, la richiesta rimozione del vincolo.
In ordine alle esigenze cautelari, corretto appare il rilievo che attraverso il
sequestro è possibile attenuare i pericoli di contaminazione, vietando l’accesso
indiscriminato ai luoghi da parte di terzi.
Ovviamente ciò non determina la temuta “cristallizzazione del pericolo”, posto
che è possibile autorizzare il curatore alla rimozione dei sigilli al solo fine
di procedere alle operazioni di messa in sicurezza.
Al riguardo, il Tribunale non può non ricordare che la Prima Sezione Penale
della Suprema Corte, con sentenza del 13 giugno-8 settembre 2006, n.29855,
Pezzetti e altro ha affermato il seguente principio: -In tema di reati
ambientali, di natura permanente anche dopo l'entrata in vigore degli artt. 242
e 257 del D.Lgs. n. 152 del 2006 che ha abrogato (art. 264, comma primo lett. i)
il D.Lgs. n. 22 del 1997 – la permanenza non cessa per effetto del sequestro del
sito inquinante, preordinato all'eliminazione del danno, ma persiste fino agli
interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale delle aree,
condotte riparatorie - queste - previste anche dal nuovo testo unico (art. 247
D.Lgs. n. 152 del 2006) che, ove poste in essere prima della pronuncia
giudiziale, fanno venire meno la punibilita' del reato."
Si legge nella motivazione di tale decisione che “Il sequestro infatti era ed è
preordinato alla eliminazione del danno e non impedisce, neppure dopo la entrata
in vigore del d.lgs. n.152 del 2006, cosi come non impediva prima, gli
interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale delle aree
anche al fine di evitare la ulteriore propagazione degli inquinanti ed il
conseguente peggioramento della situazione ambientale. Sarebbe invero singolare
che il sequestro delle aree ... possa determinare la cessazione della
antigiuridicità di una condotta che il responsabile della stessa è tenuto a
denunciare ed a riparare evitando pure il sequestro se si mette immediatamente a
disposizione e predispone gli interventi riparatori. "
Ciò consente di dare adeguata spiegazione alla sussistenza di esigenze cautelari
preordinate anche alla necessità di effettuare in sicurezza gli interventi
riparatori, mediante la necessaria autorizzazione alla rimozione dei sigilli al
solo fine di eseguire tali interventi di bonifica.
In conclusione, considerate le caratteristiche del sito e la vicenda che in
concreto ha visto interessata la sede della ex fabbrica di laterizi s.r.l.
"FIL", rimane accertato:
– che, sotto il profilo del fumus commissi delicti, tale fabbrica ed i terreni
di sua pertinenza sono divenuti già da lungo tempo un’area di deposito
incontrollato in cui giacciono prodotti contenenti amianto in continuo
accrescimento anche durante l’amministrazione da parte della curatela
fallimentare;
– che permane un pericolo altissimo di inquinamento ambientale provocato dal
crollo continuativo dei tetti in eternit dei numerosi capannoni in sequestro (in
numero di 11, su una superficie di 15000 mq) e dalla conseguente diffusione
delle fibre, in una zona dove sono stati già registrati numerosi decessi per
patologie neoplastiche;
– che sussistono esigenze cautelari al fine di impedire l’accesso all’area da
parte di terzi estranei e, soprattutto per consentire l’esecuzione degli
interventi minimi di messa in sicurezza anche da parte del curatore.
P.Q.M.
Rigetta
la richiesta di riesame sopra descritta e, per l'effetto, conferma il decreto di
sequestro preventivo di aree, emesso dal GIP presso questo Tribunale in data
27/11/07, autorizzando il custode alla rimozione dei sigilli al solo fine di
procedere alle operazioni dì bonifica.
Nulla per le spese.
Motivi riservati.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti.
Così deciso, in Cosenza, il 17 gennaio 2008
L’estensore
II Presidente
dr.Francesco Luigi Branda
Dott. Antonia Gallo
Depositata il 30/1/08
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