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registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006
TRIBUNALE DI COSENZA, Sez. II PENALE
- 2 ottobre 2008, sentenza n. 1061
RIFIUTI - Discarica abusiva -
Nozione - Art. 256 d.lgs. n. 152/2006. Secondo la legislazione vigente (art.
256 d.lgs. n. 152/2006; cfr. anche l’abrogato art. 51, c. 3 d.lgs. n. 22/97,
entrambi da leggere in correlazione con il d.lgs. n. 36/2003) come univocamente
interpretata dalla Suprema Corte (cfr. Sezioni Unite n.12753 del 28 dicembre
1994; Sez. III n. 3968 del 12 aprile 1995; Sez. III, 8 novembre 1996, n. 9579;
n. 6796 del 20 febbraio 2002), si ha discarica abusiva tutte le volte in cui per
effetto di una condotta ripetuta, i rifiuti vengono scaricati in una determinata
area trasformata di fatto in deposito o ricettacolo di rifiuti con tendenziale
carattere di definitività. Giud. Branda - Imp. De Vuono - TRIBUNALE DI
COSENZA, Sez. II penale - 2 ottobre 2008, sentenza n.1061
RIFIUTI - Smaltimento di rifiuti - Concetto. Nel concetto di smaltimento
di rifiuto devono essere comprese tutte le fasi della vita dello stesso, che
possono dividersi in: a) operazioni preliminari (conferimento, spazzamento,
cernita, raccolta e trasporto); b) operazioni di trattamento (trasformazione,
recupero, riciclo, innocuizzazione); c) operazioni di deposito (nel suolo o
sottosuolo) (Cass., Sezione III, n.1819 del 29/07/1999). Giud. Branda - Imp. De
Vuono - TRIBUNALE DI COSENZA, Sez. II penale - 2 ottobre 2008, sentenza
n.1061
RIFIUTI - Stoccaggio - Nozione. Lo stoccaggio consiste essenzialmente nel
deposito preliminare di rifiuti finalizzato al sollecito compimento di una delle
operazioni di smaltimento in senso stretto e deve essere comunque connotato
dalla assoluta separazione dei rifiuti dal suolo sottostante, in modo da evitare
ogni pericolo di inquinamento (cfr., rispettivamente, Cass. 9168 del 09/10/1997
e Cass. 13105 del 24/03/2003). Giud. Branda - Imp. De Vuono - TRIBUNALE DI
COSENZA, Sez. II penale - 2 ottobre 2008, sentenza n.1061
RIFIUTI - Deposito temporaneo - Presupposti - Origine dei rifiuti. Per
aversi deposito temporaneo i rifiuti devono originare da una attivita' di
produzione svolta proprio in quel luogo (Cass. n. 13606 del 23/12/1998). Giud.
Branda - Imp. De Vuono - TRIBUNALE DI COSENZA, Sez. II penale - 2 ottobre
2008, sentenza n.1061
RIFIUTI - Art. 257, c. 4 d.lgs. n. 152/2006 - Causa di non punibilità -
Ambito di applicazione - Riferibilità al reato di cui all’art. 256
(realizzazione e gestione di discarica non autorizzata) - Esclusione. La
causa di non punibilità di cui all’art. 257 co. 4 del d.lgs. n. 152/2007 si
riferisce al reato di cui al primo comma dello stesso articolo ed a quelli
previsti da altre leggi in cui l’evento di inquinamento concorre ad integrare la
fattispecie; è invece da escludere la riferibilità della predetta causa di non
punibilità al reato di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata
previsto dall’art. 256. Trattasi infatti di reato di pericolo (cfr. Cass. 39861
del 14/7/2004), la cui consumazione prescinde dall’accertamento sulla
verificazione in concreto dell’evento inquinante. Non è soltanto la lettera
della norma ad escludere l’applicabilità al reato previsto e punito dal’art. 256
della predetta causa di non punibilità, ma anche la differente ratio legis
sottesa alle due disposizioni in confronto. Infatti, la ratio incriminatrice del
reato di gestione di discarica abusiva attiene al più vasto profilo della
osservanza dei sistemi di controllo, diretti ad assicurare alla Pubblica
amministrazione, in via preventiva, la verifica delle scelte di realizzazione e
gestionali, riguardanti anche l’individuazione dei siti e la correttezza delle
linee-guida da osservare in relazione ad un’attività che ha potenzialmente un
notevole impatto ambientale, non equiparabile perciò ad un singolo e
circoscritto episodio di inquinamento. Giud. Branda - Imp. De Vuono -
TRIBUNALE DI COSENZA, Sez. II penale - 2 ottobre 2008, sentenza n.1061
TRIBUNALE DI COSENZA, Sez. II penale
(...)
MOTIVAZIONE
In fatto e diritto. I signori De Vuono Carlo e De Vuono Francesco sono
stati tratti a giudizio, imputati del reato previsto e punito dall’art. 51 D.
lvo 22/97, per aver realizzato e gestito, nelle rispettive qualità di sindaco e
responsabile del relativo servizio, una discarica non autorizzata di rifiuti,
anche pericolosi, in località Torre Oranges del Comune di Aprigliano, con
permanenza protratta fino alla data del sequestro eseguito il 24 marzo 2004.
All’udienza del 22 febbraio 2007, costituite ritualmente le parti civili e
dichiarata la contumacia degli imputati, veniva aperto il dibattimento ed
ammesse le prove così come richieste.
Nella stessa udienza ed in quelle successive del 21/6/07, 22/9/07, 3/4/08 e
2/10/2008, venivano escussi i testimoni ed esaminato l’imputato De Vuono
Francesco, frattanto costituitosi; all’esito, le parti discutevano illustrando
le rispettive conclusioni ed il processo processo era definito
Ritiene il Tribunale che sia stata fornita piena prova di colpevolezza dei
prevenuti in ordine al reato loro ascritto.
Dall’istruttoria svolta è emerso che costoro - senza essere muniti di alcuna
autorizzazione - hanno rispettivamente concorso alla realizzazione e gestione di
una discarica di rifiuti in località Torre Oranges, nel terreno di proprietà
degli eredi Capocchiano.
In particolare il teste Rota Giancarlo, ispettore superiore del Corpo Forestale
dello Stato, ha riferito che nel marzo 2004, su segnalazione dei colleghi di
Aprigliano, intervenne sul sito sopra descritto, ed effettuò un sopralluogo.
In tale circostanza, verificò che, all'interno della suddetta area, in una
superficie estesa per circa 500 metri quadri, erano stati accumulati notevoli
quantitativi di rifiuti, costituiti da carcasse di elettrodomestici (frigoriferi
e lavatrici) ed altri ingombranti, e soprattutto, da alcuni di tipo pericoloso,
quali batterie esauste di autoveicoli (almeno 10) e numerosi frammenti di
eternit.
I rifiuti erano posizionati direttamente sul suolo, senza alcuna
impermeabilizzazione diretta ad evitare la contaminazione del terreno
sottostante; nelle immediate vicinanze era situato il ripartitore
dell’acquedotto comunale.
Quanto alla permanenza dei rifiuti rinvenuti sul posto, la stessa era risalente
ad almeno un anno, posto che tra gli stessi era addirittura cresciuta
vegetazione erbacea.
In relazione ai soggetti, il teste ha riferito di aver verificato che De Vuono
Carlo, sindaco pro tempore del Comune di Appigliano, con una comunicazione del 9
agosto 2002, aveva individuato la predetta area, destinandola alla raccolta di
rifiuti; servizio di cui era responsabile De Vuono Francesco.
Pertanto, dopo aver effettuato i rilievi fotografici, procedette al sequestro
preventivo dell'area, avendo accertato che per la realizzazione della suddetta
discarica non era mai stata richiesta ed ottenuta alcuna autorizzazione.
Gli altri testi d’accusa, Perri e Siniscalchi, hanno puntualmente confermato
tali circostanze, riferendo che i rifiuti meglio rappresentati nelle fotografie
erano costantemente presenti sull’area; la teste Siniscalchi ha poi dichiarato
di aver accertato, previo esame dei titoli di proprietà e visura catastale, che
l’area in oggetto ricadeva nella proprietà degli eredi Capocchiano.
Il rapporto fotografico, acquisito al fascicolo del dibattimento, conferma con
assoluta chiarezza e maggiore dettaglio, la versione dei fatti fornita dai
suddetti testimoni; invero, dalla visione delle rappresentazioni fotografiche,
emerge che sull’area denominata Torre Oranges, al momento del sopralluogo, erano
accumulate ingenti quantità di rifiuti costituiti da elettrodomestici
abbandonati, rottami ferrosi, batterie esauste (vedi foto 6) e frammenti di
eternit (foto 3- 5- 8 -9), scaricati sul suolo e senza alcuna protezione per
evitare contaminazioni del terreno sottostante.
L’imputato De Vuono Francesco, in sede di dichiarazioni spontanee, ha ammesso di
essere il responsabile del servizio rifiuti; ha confermato che la scelta del
sito per la raccolta dei rifiuti ingombranti era stata effettuata dal coimputato
sindaco; quanto alla presenza di rifiuti pericolosi, in particolare di quelli
contenenti amianto, ha rilevato che non si trattava di fogli di eternit, bensi
di schegge di eternit piccole dimensioni (cm 25 x 15 circa); ha precisato che il
sito, utilizzato per il deposito da più anni, era situato a circa cento metri di
distanza dalla case popolari e che nelle immediate vicinanze v’erano gli
impianti dell’acquedotto, seppur collocati ad un livello altimetrico superiore.
I testi della difesa, Morelli, Savaia e Misuraca, hanno riferito che l’area era
utilizzata dal 2001- 2002, soprattutto dagli operatori ecologici del Comune, per
la raccolta dei rifiuti ingombranti che, circa una volta al mese, venivano
prelevati dalla ditta Calabria Maceri, incaricata dello smaltimento in altra
sede. Costoro hanno altresì precisato che De Vuono Franco era il comandante
della Polizia Municipale del Comune di Appigliano e responsabile della raccolta
dei rifiuti
I testi Ritacco e Sirangelo, dipendenti della Calabria Maceri, hanno dichiarato
di aver provveduto al prelievo dei rifiuti dalla predetta area con cadenza
pressoché mensile, limitandosi a quelli ingombranti costituiti da carcasse di
elettrodomestici, materassi, ferrame e parti di autovetture; hanno aggiunto, di
non aver verificato se ci fossero rifiuti contenenti amianto, per i quali
peraltro non avrebbero potuto procedere al prelievo , perché non consentito
dalla ditta di appartenenza.
In diritto. La contestazione mossa agli imputati è di aver realizzato e
gestito una discarica di rifiuti senza autorizzazione.
La nozione di discarica è stata dapprima delineata dalla dottrina e dalla
giurisprudenza, in mancanza di uno specifico riferimento normativo; e quindi
recentemente disciplinata con l’attuazione della direttiva CEE n.31/1999 , ad
opera del D.lvo n.36/2003.
La definizione assume rilievo con riferimento alle conseguenze sanzionatorie
previste dal D.L.vo n. 22/97, come riformulato dall’art.256 D.Lvo 152/06, in
relazione all’ipotesi di reato integrata dalla realizzazione e/o gestione di una
discarica non autorizzata, ben più grave rispetto, ad esempio, all’abbandono o
al deposito incontrollato di rifiuti.
Sul punto la prima pronuncia significativa è stata quella della Sezioni Unite
della Suprema Corte n.12753 del 28 dicembre 1994, che affrontando il tema di
realizzazione e gestione di discarica abusiva ha precisato che “la
realizzazione di discarica consiste nella destinazione e allestimento a tale
scopo di una data area, con l’effettuazione di norma delle opere a tal fine
occorrenti: spianamento del terreno impiegato, apertura dei relativi accessi,
sistemazione, perimetrazione e recinzione …. La gestione di discarica senza
autorizzazione presuppone l’apprestamento di un area per raccogliervi i rifiuti,
e consiste nell’attivazione di una organizzazione articolata o rudimentale non
importa, di persone, cose e/o macchine dirette al funzionamento della discarica”.
Con successiva sentenza n. 3968 del 12 aprile 1995, la III sezione, ha affermato
che “L’accumulo ripetuto nello stesso luogo di rifiuti speciali, ben
interpreta il concetto giuridico di discarica non autorizzata; , e l’anno
dopo, con sentenza. 8 novembre 1996, n. 9579, ha ulteriormente specificava che:
“è’ configurabile il reato di discarica abusiva (sanzionato ai sensi
dell’art. 51 comma 3 del decreto Ronchi) anche quando i rifiuti vengano
accumulati in un’area trasformata di fatto in deposito degli stessi, mediante
una condotta ripetuta, consistente nell’abbandono - per un tempo considerevole e
comunque non determinato - di una notevole quantità, che occupa uno spazio
cospicuo. La provvisorietà e lo stoccaggio in attesa di un trasferimento, da
attuare in tempi lunghi, non escludono la sussistenza dell’illecito”.
Più di recente, la Suprema Corte (sent. 10 ottobre 2001, n. 2597) ha nuovamente
affrontato il problema temporale della permanenza dei rifiuti: “L’attività di
deposito incontrollato di rifiuti che non sia occasionale e discontinua bensì
reiterata per un tempo apprezzabile e con carattere di definitività integra gli
estremi del reato di cui all’art. 51 comma 3 del D. L.vo n. 22/97”.
E sotto il profilo del degrado connesso all’abbandono dei rifiuti, con sentenza
n. 6796 del 20 febbraio 2002, ha precisato che “ai fini della configurabilità
del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata, non è
sufficiente l’accumulo più o meno sistematico di rifiuti in un’area controllata,
ma occorre l’ulteriore elemento costituito dal degrado, quanto meno tendenziale
dello stato dei luoghi, per effetto della presenza dei materiali destinati
all’abbandono”, inoltre quanto all’apporto di rifiuti, secondo la Corte,
“… può essere unico, purché sia considerevole, e tale da far assumere al luogo
una non equivoca destinazione”.
In sintesi, secondo i criteri elaborati dalla giurisprudenza, al fine della
individuazione del concetto di discarica sono necessari due elementi: a) il
numero e il tempo dei conferimenti, che denota una sorta di organizzazione
dell’attività; b) la trasformazione subita dal territorio per effetto degli
stessi, a seguito della permanenza della destinazione dell’area.
La materia è stata poi puntualmente regolata dalle disposizioni contenute nel
decreto legislativo n. 36/2003, che in attuazione della direttiva comunitaria n.
31/1999, ha introdotto nel nostro ordinamento la definizione di discarica.
I effetti, all’art. 3, comma 1, lettera g), del predetto decreto, viene
delineata la definizione di discarica come l' "area adibita a smaltimento dei
rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona
interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi
da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono
sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Sono esclusi da tale
definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere
preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o
smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per
un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti
in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno".
Al riguardo, appare necessario ricordare la finalità della disciplina
legislativa, dichiarata all’art. 1 del suddetto decreto: “Per conseguire le
finalità di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 il
presente decreto stabilisce requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le
discariche, misure, procedure e orientamenti tesi a prevenire o a ridurre il più
possibile le ripercussioni negative sull'ambiente, in particolare l'inquinamento
delle acque superficiali, delle acque sotterranee, del suolo e dell'atmosfera, e
sull'ambiente globale, compreso l'effetto serra, nonché i rischi per la salute
umana risultanti dalle discariche di rifiuti, durante l'intero ciclo di vita
della discarica.
E’ evidente infatti che anche l’interpretazione della norma deve essere
orientata secondo la suddetta finalità.
Tanto premesso, la definizione di discarica data dal legislatore si riferisce
evidentemente ad un’area adibita - id est stabilmente destinata - allo
smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo.
Dunque gli elementi caratterizzanti ( che giustificano il particolare rigore
nella disciplina e nelle precauzioni da adottare per impianti di tal genere),
sono costituiti dalla stabile destinazione alle fasi dello smaltimento e dal
contatto diretto dei rifiuti con il suolo.
A ben vedere, la definizione legislativa coincide con i risultati cui era già
pervenuta la giurisprudenza della Suprema Corte.
Siffatta definizione è operante anche a seguito dell'entrata in vigore del
decreto legislativo n.152 del 2006 poichè anche l'art.256 terzo comma del citato
decreto legislativo, come a suo tempo l'articolo 51 terzo comma del decreto
Ronchi, deve necessariamente essere letto in correlazione con il decreto
legislativo n.36 del 2003 ( così, letteralmente, Cass. Sez. III n. 19221 del 13
maggio 2008).
In sintesi, secondo la legislazione vigente, come univocamente interpretata
dalla Suprema Corte si ha discarica abusiva tutte le volte in cui per effetto di
una condotta ripetuta, i rifiuti vengono scaricati in una determinata area
trasformata di fatto in deposito o ricettacolo di rifiuti con tendenziale
carattere di definitività".
I suddetti elementi oggettivi si riscontrano indubbiamente nel caso concreto,
posto che - secondo quanto dichiarato dai testi e rappresentato con estrema
chiarezza dalle fotografie in atti - nel sito di Torre Oranges, gli odierni
imputati hanno realizzato e gestito un impianto in cui sono stati
sistematicamente scaricati al suolo, senza alcuna precauzione per la tutela
dell’ambiente, ingenti quantitativi di rifiuti, tra cui alcuni pericolosi, quali
ad esempio i frammenti di eternit e le batterie d’auto esauste; inoltre, la
suddetta area è stata destinata a tempo indeterminato allo scarico dei rifiuti,
con evidente degrado ambientale; il tutto senza alcuna autorizzazione .
La difesa ha controdedotto che tali rifiuti venivano depositati sul posto, in
attesa di essere trasportati altrove per lo smaltimento.
Tuttavia l’argomento difensivo non vale ad escludere l’ipotesi di reato
contestata, per i seguenti motivi:
- i rifiuti, costantemente reintegrati, erano continuamente presenti sull’area e
sempre in quantitativi considerevoli.
Al riguardo, basta ricordare che, secondo le stesse dichiarazioni dell’imputato
De Vuono Francesco, l’area era destinata alla raccolta di tali rifiuti da più
anni.
- Lo scarico era effettuato direttamente sul suolo, senza alcuna precauzione
idonea ad evitare l’inquinamento del suolo sottostante.
- L’area era stata destinata stabilmente a ricevere i rifiuti e tale
destinazione non era affatto transitoria, posto che - secondo quanto dichiarato
dagli stessi testi indicati dalla difesa - il Comune aveva organizzato sullo
stesso sito il deposito preliminare di grandi quantità di rifiuti in attesa del
successivo trasporto altrove.
- Il trasporto in altra discarica non avveniva tempestivamente; infatti, come
dichiarato dai testimoni gli stessi rifiuti depositati erano rimasti sull’area
per lunghi periodi (secondo il teste Rota, per almeno un anno; per i testi della
difesa, almeno, nell’ordine di 1 mese) ed i quantitativi venivano costantemente
reintegrati, in modo che la stessa area era sempre ricoperta da rifiuti del
medesimo genere.
- Alcuni rifiuti - addirittura quelli più pericolosi quali i frammenti di
eternit- non venivano mai smaltiti, posto che, come dichiarato dallo stesso
teste della difesa Ritacco, i dipendenti della ditta incaricata (Calabria
Maceri) non potevano prelevarli.
- Per l’eternit, preoccupante appare la deduzione difensiva ( vedi esame
dell’imputato) secondo cui lo stesso rifiuto non era presente in lastre di
consistenti dimensioni, bensì in piccole schegge; infatti, il maggior pericolo
di diffusione delle polveri di amianto, com’è noto, deriva proprio dalla
frammentazione dell’eternit.
- Il deposito ed accumulo dei rifiuti, del tutto privi di qualsivoglia
precauzione idonea ad evitare l’inquinamento del terreno sottostante, ha
provocato un notevole degrado della zona, come visivamente ben documentato dalle
rappresentazioni fotografiche. In proposito, ad ulteriore dimostrazione del
degrado all’ambiente circostante, provocato dai cumuli di rifiuti, occorre
evidenziare che la discarica è stata realizzata e gestita in vicinanza del
centro abitato (case popolari) e degli impianti dell’acquedotto comunale .
Tali elementi di fatto costituiscono dunque gli elementi integrativi del reato
contestato anche nel quadro delineato dal decreto . 36 del 2003.
Come già accennato, all’art. 3, comma 1, lettera g) del predetto decreto, viene
delineata la definizione di discarica come l' "area adibita a smaltimento dei
rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona
interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi
da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono
sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno. Sono esclusi da tale
definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere
preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o
smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per
un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti
in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno".
Innanzitutto va premesso che, secondo l’autorevole insegnamento della Suprema
Corte, nel concetto di smaltimento di rifiuto devono infatti essere comprese
tutte le fasi della vita dello stesso, che possono dividersi in: a) operazioni
preliminari (conferimento, spazzamento, cernita, raccolta e trasporto); b)
operazioni di trattamento (trasformazione, recupero, riciclo, innocuizzazione);
c) operazioni di deposito (nel suolo o sottosuolo). (Fattispecie relativa allo
spianamento di terreno adibito a deposito di rifiuti, integrante secondo la
Suprema Corte - la realizzazione di una discarica: Sezione III, n.1819 del
29/07/1999) .
Orbene, nel caso concreto, è indubbio che l’area in questione è stata adibita ad
una fase dello smaltimento consistita nel deposito preliminare, mediante
operazioni di scarico sul suolo di ingenti quantitativi di rifiuti, poi
abbandonati in loco per un considerevole lasso di tempo .
Non ricorre, inoltre, alcuna delle esclusioni previste dal capoverso della norma
citata.
Così, in primo luogo, non può ritenersi che il sito di Torre Oranges rientri tra
gli “impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per
il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento”.
L’ipotesi normativamente prevista deve essere infatti riferita agli impianti in
cui le fasi dello scarico e del successivo prelievo per il trasporto altrove non
siano intervallate da lunghi periodi di tempo in cui i rifiuti restino
abbandonati sul suolo, con evidente pericolo di inquinamento del terreno
sottostante.
Nella specie, al contrario, è stato riscontrato che i rifiuti venivano
costantemente scaricati sul suolo e abbandonati anche per mesi nella stessa area
in attesa di trasportati altrove; inoltre, non risultava adottata alcuna
precauzione (impermeabilizzazione) idonea ad evitare l’inquinamento del terreno.
Tutto ciò dimostra che il deposito effettuato non è assolutamente ascrivibile
alle operazioni strettamente funzionale allo scarico ed alla preparazione al
successivo trasporto altrove.
Per la stessa ragione, non ricorre neanche l’ipotesi dello stoccaggio posto che
“essa consiste essenzialmente nel deposito preliminare di rifiuti finalizzato al
sollecito compimento di una delle operazioni di smaltimento in
senso stretto” e deve essere comunque connotata dalla assoluta separazione dei
rifiuti dal suolo sottostante, in modo da evitare ogni pericolo di inquinamento
(cfr., rispettivamente, Cass. 9168 del 09/10/1997 e Cass. 13105 del 24/03/2003).
Non è altresì ipotizzabile il deposito temporaneo in senso tecnico, in quanto -
per aversi deposito temporaneo - i rifiuti devono originare da una attivita' di
produzione svolta proprio in quel luogo: Cass. n. 13606 del 23/12/1998.
Nel caso di specie, gli elementi dominanti che connotano la condotta,
attraendola nella definizione di gestione di una discarica (sottoposta a ben
maggiori obblighi di precauzione), sono costituiti dal fatto che i rifiuti erano
accumulati in quantitativi considerevoli e venivano abbandonati sul suolo per un
prolungato lasso di tempo, senza alcuna separazione dal terreno sottostante
esposto perciò al pericolo di inquinamento, in una situazione di fatto che,
nell’ottica di tutela per l’ambiente che presiede alla disciplina, presenta le
connotazioni tipiche della discarica intesa come luogo in cui si svolge lo
smaltimento di rifiuti (o alcune fasi dello smaltimento) mediante deposito sul
suolo o nel suolo.
Il fatto che, sporadicamente, alcune quantità di rifiuti venissero prelevate e
trasportate altrove, salvo essere immediatamente reintegrate con altre dello
stesso tipo, pertanto non esclude affatto la destinazione dell’area a discarica.
La predetta valutazione è in aderenza con le dichiarate finalità di protezione
dell’ambiente cui si ispira la disciplina sopravvenuta, che impongono
l’osservanza del criterio ermeneutico più favorevole alla tutela dell’ambiente (Corte
di Cassazione Penale Sez. III del 31 luglio 2003, Sentenza n. 32235 ) ed è
in linea con quello sostenuto anche dalla Corte di Giustizia Europea, secondo
cui per ritenere sussistenti i presupposti di fatto e di diritto che legittimano
le rispettive figure, deve verificarsi la sussistenza di tutte le condizioni
previste dalla legge.
Inapplicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 257, co. 4
D.Lvo n. 152/06. La difesa ha infine eccepito che gli imputati
potrebbero giovarsi della causa di non punibilità prevista dall’articolo 257, co.
4, D.Lvo 152/06 (“l’osservanza dei progetti approvati ai sensi dell’art. 242 e
seguenti costituisce condizione di non punibilità per i reati ambientali
contemplati da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di
inquinamento di cui al comma 1”), essendo stata effettivamente bonificata
l’area.
L’assunto difensivo, peraltro frequentemente prospettato in casi analoghi, è
destituito di fondamento .
Invero, come emerge dalla lettera della norma invocata, la causa di non
punibilità di cui all’art. 257 co. 4 si riferisce al reato di cui al primo comma
dello stesso articolo ed a quelli previsti da altre leggi in cui l’ evento di
inquinamento concorre ad integrare la fattispecie; si discute se come elemento
costitutivo ovvero come condizione obiettiva di punibilità.
A prescindere dall’adesione all’una o all’altra tesi sulla natura dell’evento di
inquinamento, è comunque da escludere la riferibilità della predetta causa di
non punibilità al reato di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata
previsto dall’art. 256.
Trattasi infatti di reato di pericolo (cfr. Cass. 39861 del 14/7/2004), la cui
consumazione prescinde dall’accertamento sulla verificazione in concreto
dell’evento inquinante.
Sul punto, appare opportuno altresì precisare che non è soltanto la lettera
della norma ad escludere l’applicabilità al reato previsto e punito dal’art. 256
della predetta causa di non punibilità, ma anche la differente ratio legis
sottesa alle due disposizioni in confronto.
Infatti, la ratio incriminatrice del reato di gestione di discarica abusiva
attiene al più vasto profilo della osservanza dei sistemi di controllo, diretti
ad assicurare alla Pubblica amministrazione, in via preventiva, la verifica
delle scelte di realizzazione e gestionali, riguardanti anche l’individuazione
dei siti e la correttezza delle linee-guida da osservare in relazione ad
un’attività che ha potenzialmente un notevole impatto ambientale, non
equiparabile perciò ad un singolo e circoscritto episodio di inquinamento.
Peraltro, anche nell’ottica della impostazione difensiva, per nulla condivisa da
questo Tribunale, la bonifica non sarebbe stata effettuata secondo i dettami
della norma, non essendo mai state osservate le prescrizioni di cui all’art.
242, già contenute nel Decreto Ronchi, all’articolo 17.
Sotto il profilo soggettivo, risulta accertato che gli imputati hanno concorso
nella realizzazione e nelle gestione della discarica, nelle rispettive qualità
di sindaco e responsabile del servizio, utilizzando l’area nel modo accertato,
senza alcuna autorizzazione.
Invero, agli stessi è rispettivamente ascrivibile la decisione e l’esecuzione
del deliberato, concernenti l’utilizzo dell’area secondo le modalità contestate
nell’imputazione e accertate in dibattimento.
Il sindaco infatti - come documentato dalla comunicazione al Corpo Forestale del
9 agosto 2002 - ha disposto l’utilizzazione dell’area per il deposito dei
rifiuti, successivamente gestita dal coimputato, responsabile del servizio.
Sotto il profilo sanzionatorio, possono concedersi ai prevenuti, entrambi
incensurati, le circostanze attenuanti generiche, prevalenti sulla contestata
aggravante.
Pertanto, tenuto conto dei criteri di cui agli artt. 133 e seguenti c.p., si
ritiene di giustizia la pena di mesi 8 di arresto ed euro 4500,00 di ammenda (p.b.
anni 1 ed euro 6000; - 62 bis = mesi 8 ed euro 4500). Segue per legge la
condanna di entrambi al pagamento delle spese processuali.
Possono essere concessi i doppi benefici, formulandosi una prognosi favorevole
sulla futura astensione da ulteriori reati, in considerazione dell’incensuratezza
dei prevenuti.
La condotta accertata ha - di sicuro - provocato un danno alle costituite parti
civili, in quanto proprietarie dell’area su cui è stata gestita abusivamente la
discarica, con evidente danno al territorio.
La difesa degli imputati al riguardo ha eccepito che il procuratore speciale dei
proprietari non avrebbe provato il diritto.
Al contrario, si ritiene ampiamente provata la legittimazione, avendo il
testimone Siniscalchi dichiarato di aver verificato la proprietà dell’area in
capo agli eredi Capocchiano, meglio individuati nell’atto di costituzione di
parte civile, mediante esame dei titoli e misura al catasto; il tutto, con gli
opportuni riscontri documentali contenuti anche nella relazione dell’ispettore
Rota, di cui al verbale di sopralluogo del 24 marzo 2004.
La liquidazione del danno è rimessa al competente giudice civile.
Le spese di costituzione si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.
Dichiara De Vuono Carlo e De Vuono Francesco colpevoli del reato loro ascritto
e, concesse le attenuanti generiche, li condanna ciascuno alla pena di mesi 8 di
arresto ed euro 4500,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.
Concede agli imputati i benefici della sospensione condizionale della pena e
della non menzione.
Dispone la restituzione del fondo in sequestro agli aventi diritto.
Letti gli articoli 538 e seguenti c.p.p.
Condanna gli imputati, in solido, al risarcimento dei danni in favore delle
costituite pari civili “eredi Capocchiano”, da liquidarsi in separata sede,
oltre alla rifusione delle spese di costituzione liquidate in complessivi euro
2000,00 per onorari, oltre rimborso forfetario, IVA e CPA come per legge.
Giorni 30 per i motivi.
Cosenza, 2/10/08 Il Giudice
Dr. Francesco Luigi Branda
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