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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/01/2009 (Ud. 21/10/2008), Sentenza n. 1818
URBANISTICA ED EDILIZIA - D.i.a. (denuncia di inizio attività) - Asseverazione
“falsa” del progettista - Responsabilità del professionista "abilitato" - Art.
481 c.p. - Configurabilità - Art. 359 c.p. - Artt. 23 e 29 D.P.R. n. 380/2001, (l'art.
23 succ. sost. d.lgs. n. 301/2002). La decisione del committente e del suo
professionista di non sollecitare mediante richiesta di permesso di costruire il
preventivo controllo dell'ente pubblico, e di procedere piuttosto con D.i.a.
porta con sé una particolare assunzione di responsabilità del progettista
stesso. Per questo motivo, le disposizione contenute negli artt. 23 e 29 del
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (l'art. 23 sostituito dal d.lgs. n. 301 del 2002)
non lasciano dubbi, nel loro significato letterale, oltre che, nella loro "ratio",
che il professionista "abilitato" abbia un duplice obbligo: a) formare una
relazione preventiva in cui si assume l'onere di "asseverare": la conformità
delle opere agli strumenti urbanistici approvati e la mancanza di contrasto con
quelli adottati e con i regolamenti edilizi, nonché il rispetto delle norme di
sicurezza e di quelle igienico-sanitarie; b) rilasciare al termine dei lavori
(ove non lo faccia altro tecnico che se ne assume la responsabilità) un
certificato di collaudo circa la conformità di quanto realizzato al progetto
iniziale. Di conseguenza, la disciplina prevista dal comma terzo dell'art. 29
non può, non essere letta in coerenza con l'art. 23 sopra ricordato e che in
tale contesto assume valore decisivo la circostanza che al progettista abilitato
venga attribuita la qualità di "persona esercente un servizio di pubblica
necessità", ai sensi degli artt.359 e 481 c.p. e relative responsabilità. Pres.
Grassi, Est. Marini, Ric. Baldessari. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III,
19/01/2009 (Ud. 21/10/2008), Sentenza n. 1818
URBANISTICA ED EDILIZIA - D.i.a. (denuncia di inizio attività) - Rilevanza
pubblicistica del professionista abilitato - Responsabilità penale - Sussistenza
- Fondamento - Segnalazione di reato all'autorità giudiziaria da parte
dell’Ente - Obbligo - Artt. 23 e 29 D.P.R. n. 380/2001, (l'art. 23 succ. sost.
d.lgs. n. 301/2002). La condotta del professionista abilitato assume una
specifica rilevanza pubblicistica (art. 29, comma terzo d.P.R. 6 giugno 2001, n.
380) muovendo da quell'affidamento, che incide sulle previsioni dei commi primo
e sesto dell'art. 23 (poi sostituito dal d.lgs. n. 301 del 2002). In
particolare, il sesto comma dell'art. 23, dispone in caso di "falsa
attestazione" del professionista l'obbligo per l'ente territoriale di inoltrare
segnalazione di reato all' autorità giudiziaria anche con riferimento alle
disposizioni contenute nel comma settimo dell'art. 23 e nel comma secondo
dell'art. 29, in quanto la responsabilità del direttore dei lavori per la
difformità delle opere edificate rispetto a quelle contenute nel progetto
iniziale allegato alla D.i.a. rafforza il valore della relazione del
progettista, che integra la dichiarazione stessa di inizio attività, come atto
dotato di piena autonomia e di valore pubblicistico: solo un atto definitivo e
in sé compiuto può originare la responsabilità penale per chi esegue in
difformità. In altri termini, la costruzione della D.i.a. come atto a controllo
successivo rafforza concetto di delega di potestà pubblica al soggetto
qualificato, con dichiarazione del progettista che assume valore sostitutivo e
quindi "certificativo". Pres. Grassi, Est. Marini, Ric. Baldessari. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/01/2009 (Ud. 21/10/2008), Sentenza n. 1818
URBANISTICA ED EDILIZIA - D.i.a - Falsa attestazione posta in essere dal
progettista - Tempestivo controllo dell'ente amministrativo - Effetti - Art. 481
c.p.. In materia di D.i.a., l'intervento dell'ente amministrativo che
prevenga l'effettuazione dei lavori mediante un tempestivo controllo seguito da
immediato ordine di non procedere non esclude la rilevanza penale della condotta
di falsa attestazione posta in essere dal progettista. Pres. Grassi, Est.
Marini, Ric. Baldessari. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 19/01/2009 (Ud.
21/10/2008), Sentenza n. 1818
URBANISTICA ED EDILIZIA - Permesso di costruire e Dia - Valore ed effetti
delle certificazioni dei documenti e delle attestazioni. In materia
edilizia, non hanno valore di certificazione i documenti e le attestazioni
allegate alla domanda di concessione, che non assume efficacia se non dopo il
vaglio positivo dell'ente pubblico, mentre a diverse conclusioni deve giungersi
per la domanda di inizio attività, dotata di autonoma efficacia. Pres. Grassi,
Est. Marini, Ric. Baldessari. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III,
19/01/2009 (Ud. 21/10/2008), Sentenza n. 1818
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UDIENZA 21.10.2008
SENTENZA N.2105
REG. GENERALE n.20951/08
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Signori
Dott. Aldo GRASSI Presidente
Dott. Pierluigi ONORATO Consigliere
Dott. Ciro PETTI Consigliere
Dott. Alfredo TERESI Consigliere
Dott. Luigi MARINI Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
BALDESSARI GIULIANO, nato a Trento il 29 Luglio 1952
Avverso la sentenza emessa in data 19 Marzo 2008 dalla Corte di Appello di
Trento, che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Trento del 16
Maggio 2007, ha applicato al Sig.Baldessari le circostanze attenuanti generiche
e ridotto a venti giorni di reclusione la pena inflitta in primo grado per il
reato previsto dagli artt.481 c.p. e 29 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, con
sospensione condizionale della pena, non menzione della condanna, e revoca del
beneficio dell' indulto.
Fatto di reato commesso il 24 Gennaio 2006.
Sentita la relazione effettuata dal Consigliere LUIGI MARINI
Udito il Pubblico Ministero nella persona del CONS. ALFREDO MONTAGNA, che ha
concluso per l'annullamento della sentenza senza rinvio.
Udito il Difensore, Avv. ROBERTO
BERTUOL, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
RILEVA
Il Sig.Baldessari, quale progettista di lavori edili da effettuare su immobile situato nel centro storico del Comune di Lasino, ha sottoscritto la relazione tecnica di asseverazione che accompagna la D.i.a., in essa affermando che le opere da eseguire erano conformi ai vigenti strumenti urbanistici. Tale affermazione è stata ritenuta non conforme al vero, ed il Pubblico ministero ha disposto il rinvio a giudizio del progettista per rispondere del reato previsto dall'art. 481 c.p. in relazione ai doveri fissati dall'art. 29 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Con sentenza del 16 Maggio 2007 il Tribunale di Trento ha ritenuto fondata
l'accusa mossa al Sig.Baldessari e lo ha condannato alla pena di un mese di
reclusione, pena interamente condonata.
Avverso tale decisione il Sig.Baldessari ha presentato dichiarazione di appello,
articolata su quattro diversi motivi:
1) insussistenza del reato, posto che il modulo utilizzato per l'attestazione si compone di parti prestampate e di spazi che debbono essere riempiti dal tecnico, così che solo questi ultimi contengono manifestazioni di scienza o attestazioni che possono assumere rilievo penale, escludendo quindi l'attestazione relativa alla conformità agli strumenti urbanistici che si trova già stampata sul modulo stesso;
2) l'assenza di offensività del fatto, posto che i lavori oggetto della D.i.a. sono soggetti a preventiva valutazione della commissione edilizia comunale, cui compete la valutazione della conformità con giudizio che non può essere influenzato dal contenuto del modulo prestampato;
3) la mancanza di dolo, posto che l'attestazione incriminata deriverebbe da errore;
4) la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, l'applicazione della sola pena pecuniaria e la non menzione della condanna nel certificato penale.
Con la sentenza oggi impugnata la Corte di Appello di Trento ha disatteso i
primi motivi di ricorso, accogliendo soltanto quello relativo al trattamento
sanzionatorio.
La motivazione della Corte territoriale muove dalla "qualità di persona
esercente un servizio di pubblica necessità" che l'art. 29 d.P.R. 6 giugno 2001,
n. 380 attribuisce al progettista, persona cui il comma primo dell'art.23 della
medesima legge attribuisce l'obbligo di sottoscrivere una relazione
accompagnatoria della D.i.a. "che asseveri la conformità delle opere da
realizzare agli strumenti urbanistici adottati o approvati e ai regolamenti
edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle
igienico-sanitarie". A tale previsione si collega l'obbligo degli uffici
comunali di informare l'autorità giudiziaria "in caso di falsa attestazione del
professionista abilitato", come previsto dal comma sesto del citato art. 23.
Muovendo da tali premesse normative la Corte territoriale ha affermato di
ritenere fondata la interpretazione che vede nell'attestazione del progettista
una "certificazione" (secondo i principi fissati da Sezioni Unite Penali,
sentenza 24 Aprile 2002, Panarelli) passibile di sanzione ai sensi dell'art. 481
c.p. in caso di falsità, così consapevolmente distaccandosi dalla pronuncia con
cui questa Corte ha ritenuto di escludere la natura certificativa del documento
sottoscritto dal progettista (Sezione Quinta Penale, sentenza 26 Aprile 2005, n. 23668,
Giordano).
Una volta riconosciuta la natura di certificazione del documento sottoscritto
dal ricorrente, la Corte territoriale ha ritenuto che la consapevole
sottoscrizione del medesimo sia sufficiente ad integrare il reato di falso
quanto alla non veritiera conformità agli strumenti urbanistici vigenti (primo
motivo di appello).
La stessa Corte ha poi respinto il secondo motivo di appello, ritenendo che il
reato previsto dall'art. 481 c.p. sia reato contro la fede pubblica e quindi
reato di mero pericolo, così che non assume rilievo la circostanza che
l'attivazione degli organi comunali abbia impedito il verificarsi dell'offesa;
la presentazione della D.i.a e della relazione tecnica in esame erano
sufficienti per dare inizio ai lavori, e tanto basta per escludere che la
solerzia degli organi di controllo possa incidere sulla sussistenza e sul
perfezionamento del reato. Parimenti, nulla rileva che la realizzazione delle
opere in esame richiedesse il rilascio di permesso di costruire e non potesse
avvenire sulla base della sola D.i.a., posto che il progettista, una volta
scelta la seconda soluzione, era tenuto a rispettare le regole che ad essa si
applicano.
Quanto al terzo motivo di ricorso, la Corte territoriale ha escluso che il
progettista possa essere incorso in semplice errore, posto che una di poco
precedente valutazione degli uffici comunali sul progetto (valutazione del 25
Novembre 2005) aveva evidenziato l'esigenza di rispettare le particolari
tipologie di intervento previste dagli strumenti urbanistici per gli interventi
su immobili situati nel centro storico.
Infine, la Corte ha motivato in ordine alla conferma della sanzione detentiva,
alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, con conseguente
diminuzione della pena, all'applicazione ufficiosa della pena accessoria
dell'interdizione dalla professione ed alla revoca del condono in favore della
più favorevole sospensione condizionale della pena.
Ricorre per cassazione la Difesa del Sig.Baldessari.
Con unico e articolato motivo lamenta violazione dell'art. 606, lett.b) c.p.p. in
relazione agli artt.481 c.p. e 29 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nonché violazione
dell'art. 606, lett.e) c.p.p. per manifesta illogicità e contraddittorietà della
motivazione. Tali violazioni atterrebbero a plurimi profili:
a) erronea non applicazione dei principi fissati dalla sentenza Giordano della
Quinta Sezione Penale. Non solo la sentenza oggi impugnata utilizzerebbe in modo
non coerente i termini "asseverazione", "dichiarazione di scienza",
"attestazione", ma si sarebbe distaccata in modo superficiale e non convincente
dai principi interpretativi affermati con la citata decisione della Corte di
cassazione. La Corte avrebbe del tutto omesso di considerare che sussiste una
diversità tra le dichiarazioni non veritiere, passibili di comunicazione
all'ordine professionale ai sensi del comma terzo dell'art. 29 d.P.R. 6 giugno
2001, n. 380, e le false attestazioni, per le quali sussiste l'obbligo di
comunicazione all'autorità giudiziaria ai sensi del sesto comma dell'art. 23
della stessa legge.
b) Errata applicazione dell'art. 29 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. La Corte di
Appello avrebbe erroneamente disatteso l'importanza della circostanza,
sottopostale con i motivi di appello, che le opere da eseguire richiedevano la
più complessa procedura del permesso di costruire e non potevano essere iniziate
con la semplice presentazione di una D.i.a., così disattendendo la circostanza
che la relazione del progettista allegata alla D.i.a. non aveva alcuna
possibilità di trarre in inganno l'amministrazione. La necessità di procedere
con istanza di permesso di costruire è indubitabile, posto che sia il
responsabile della procedura (prima con ordinanza di non esecuzione dei lavori,
poi in sede testimoniale) sia il consulente tecnico hanno pacificamente
sostenuto che le opere da effettuarsi su immobili del centro storico debbono
essere preventivamente valutate dalla Commissione edilizia allorché comportino
modificazione dei prospetti. Ne consegue che solo la Commissione edilizia può
rilasciare la certificazione di conformità agli strumenti urbanistici, e che ha
errato la Corte di Appello nel ritenere (pag.5 della motivazione) che la D.i.a.
fosse strumento sufficiente a dare corso ai lavori, mentre in questo caso essa
assume il valore di mera richiesta di autorizzazione, con la conseguente che
l'eventuale non veridicità di quanto attestato risulta penalmente irrilevante.
c) Errata applicazione dell'art.481 c.p. con riferimento all'elemento soggettivo
del reato. L'argomento utilizzato dalla Corte di Appello circa la perfetta
conoscenza da parte dell'imputato della non conformità delle opere, secondo
quanto formalizzato nel parere preventivo dell'Ufficio tecnico, avrebbe dovuto
essere rovesciato e dimostra che il progettista è caduto in errore.
OSSERVA
A) La disciplina fondamentale, che viene richiamata nelle decisioni assunte nel caso in esame e che si pone a fondamento di parte della giurisprudenza richiamata anche dal ricorrente, è rappresentata dagli artt. 23 e 29 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
In particolare, l'art. 23 (così sostituito dal d.lgs. n. 301 del 2002) ha ad
oggetto la "Disciplina della denuncia di inizio attività" e, nei commi
che qui rilevano, stabilisce quanto segue:
“1. Il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la
denuncia di inizio attività, almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio
dei lavori, presenta allo sportello unico la denuncia, accompagnata da una
dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni
elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli
strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai
regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di
quelle igienico-sanitarie.
"2,...
"3. Qualora l’immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela compete, anche in via di delega, alla stessa amministrazione comunale, il termine di trenta giorni di cui al comma 1 decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Ove tale atto non sia favorevole, la denuncia è priva di effetti.
"4". .....
"5. La sussistenza del titolo è provata con la copia della denuncia di inizio
attività da cui risulti la data di ricevimento della denuncia, l'elenco di
quanto presentato a corredo del progetto, l'attestazione del professionista
abilitato, nonché gli atti di assenso eventualmente necessari.
"6. Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro
il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l'assenza di una o più delle
condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non
effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del
professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e il consiglio
dell'ordine di appartenenza.. E’ comunque salva la .facoltà di ripresentare la
denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per
renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia.
"7. Ultimato l'intervento, il progettista o un tecnico abilitato rilascia un
certificato di collaudo finale, che va presentato allo sportello unico, con il
quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato con la denuncia
di inizio attività."
Osserva la Corte che la disposizione in parola non lascia dubbi, nel suo
significato letterale, oltre che, come si dirà, nella sua "ratio", che il
professionista "abilitato" abbia un duplice obbligo: a) formare una relazione
preventiva in cui si assume l'onere di "asseverare": la conformità delle opere
agli strumenti urbanistici approvati e la mancanza di contrasto con quelli
adottati e con i regolamenti edilizi, nonché il rispetto delle norme di
sicurezza e di quelle igienico-sanitarie; b) rilasciare al termine dei lavori
(ove non lo faccia altro tecnico che se ne assume la responsabilità) un
certificato di collaudo circa la conformità di quanto realizzato al progetto
iniziale
Osserva poi la Corte che il termine "asseverare" ha nel vocabolario della Lingua
italiana il significato di "affermare con solennità", e cioè di porre in essere
una dichiarazione di particolare rilevanza formale e di particolare valore nei
confronti dei terzi quanto a verità/affidabilità del contenuto.
Il successivo art.29, che titola "Responsabilità del titolare del permesso di
costruire, del committente, del costruttore e del direttore dei lavori, nonché
anche del progettista per le opere subordinate a denuncia di inizio attività",
nella parte che qui interessa prevede:
"1. Il titolare del permesso di costruire , il committente e il
costruttore...
"2. Il direttore dei lavori...
"3. Per le opere realizzate dietro presentazione di denuncia di inizio
attività, il progettista assume la qualità di persona esercente un servizio di
pubblica necessità ai sensi degli articoli 359 e 481 del codice penale. In caso
di dichiarazioni non veritiere nella relazione di cui all'articolo 23, comma 1,
l’amministrazione ne dà comunicazione al competente ordine professionale per
l'irrogazione delle sanzioni disciplinari."
Osserva la Corte che la disciplina prevista dal comma terzo dell'art. 29 non può,
non essere letta in coerenza con l'art. 23 sopra ricordato e che in tale contesto
assume valore decisivo la circostanza che al progettista abilitato venga
attribuita la qualità di "persona esercente un servizio di pubblica
necessità", ai sensi degli artt.359 e 481 c.p.
B) La lettura coordinata delle due norme consente così di giungere ad alcune
conclusioni essenziali:
a) la decisione del committente e del suo professionista di non sollecitare
mediante richiesta di permesso di costruire il preventivo controllo dell'ente
pubblico, e di procedere piuttosto con D.i.a. porta con sé una particolare
assunzione di responsabilità del progettista stesso;
b) tale responsabilità trova fondamento nel particolare affidamento che
l'ordinamento pone sulla relazione tecnica che accompagna il progetto e sulla
sua veridicità, atteso che quella relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai
controlli dell'ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza
dell'intervento;
c) muovendo da quell'affidamento, la condotta del professionista abilitato
assume una specifica rilevanza pubblicistica (art. 29, comma terzo) che incide
sulle previsioni dei commi primo e sesto dell'art. 23 che precede. In
particolare, merita qui richiamare la disposizione contenuta nel sesto comma
dell'art. 23, che in caso di "falsa attestazione" del professionista stesso
prevede l'obbligo per l'ente territoriale di inoltrare segnalazione di reato
all' autorità giudiziaria;
d) non vi è dubbio che la "falsa attestazione" in parola, riferita dal comma
sesto alle "condizioni stabilite", è quella prevista dal primo comma del
medesimo art. 23;
e) la previsione della segnalazione all'autorità giudiziaria va letta anche con
riferimento alle disposizioni contenute nel comma settimo dell'art. 23 e nel
comma secondo dell'art. 29, in quanto la responsabilità del direttore dei lavori
per la difformità delle opere edificate rispetto a quelle contenute nel progetto
iniziale allegato alla D.i.a rafforza il valore della relazione del progettista,
che integra la dichiarazione stessa di inizio attività, come atto dotato di
piena autonomia e di valore pubblicistico: solo un atto definitivo e in sé
compiuto può originare la responsabilità penale per chi esegue in difformità;
f) in altri termini, la costruzione della D.i.a. come atto a controllo
successivo rafforza concetto di delega di potestà pubblica al soggetto
qualificato, con dichiarazione del progettista che assume valore sostitutivo e
quindi "certificativo";
g) tale carattere della dichiarazione del progettista trova conferma e non
smentita nella circostanza che in presenza di "vincolo" ulteriore rispetto agli
ordinari strumenti urbanistici il termine di trenta giorni previsto dal primo
comma inizia a decorrere dal rilascio dell'atto di assenso da parte
dell'amministrazione comunale;
h) l'insieme delle disposizioni fin qui ricordate, ed in particolare il chiaro
dettato del comma sesto dell'art. 23, impone di considerare che l'intervento
dell' ente amministrativo che prevenga l'effettuazione dei lavori mediante un
tempestivo controllo seguito da immediato ordine di non procedere non esclude la
rilevanza penale della condotta di falsa attestazione posta in essere dal
progettista.
C) Così esaminato il testo degli artt.23 e 29 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e
ricostruita la "ratio" delle disposizioni in esse contenute, la Corte
deve rilevare che alcune delle decisioni di legittimità che sono state
richiamate nell'ambito del presente procedimento o che appaiono assumere rilievo
ai fini della presente decisione risultano, in realtà, riferite a situazioni di
fatto diverse da quella oggi in evidenza e a questa non rapportabili.
E' il caso della sentenza della Seconda Sezione Penale n. 3628/2006, Pinto (rv
235934), che ha affermato la non rilevanza penale, ai fini del contestato art. 481
c.p., di quelle parti delle attestazioni del privato che contengono giudizi e
convincimenti soggettivi; tale valutazione si riferisce a documenti che, al di
là della qualificazione loro attribuita, in realtà costituivano meri "studi di
fattibilità" ed erano privi del supporto documentale che era richiesto dalla
normativa in vigore.
E' poi il caso della sentenza di questa Sezione n. 8303/2006, Cardini e altro (rv
233564), che, nell'affermare la qualità di esercente un servizio di pubblica
necessità del professionista, ha affrontato il caso di dichiarazione di
conformità delle opere già eseguite in base a concessione edilizia.
E', ancora, il caso della sentenza della Quinta Sezione Penale, n. 21639/2004,
P.G. in proc Pizzini (rv 229184), che ha affrontato il caso di presentazione
della D.i.a. per opere in realtà già realizzate ma prospettate come ancora da
avviare.
C) Vanno così esaminate due sentenze di segno non coincidente che contengono
motivazioni rilevanti ai fini della presente decisione. La prima è la più volte
citata sentenza Giordano (Sezione Quinta Penale, n. 23668 del 26 Aprile-23 Giugno
2005, rv 231906) e la seconda è la sentenza di questa Sezione n. 9118 del 24
Gennaio-28 Febbraio 2008, Ma succi e altri, rv 238999.
C.1) La sentenza Giordano era chiamata ad intervenire su una contestazione di
"falsa attestazione" del professionista in sede di relazione che accompagnava la
D.i.a., con riferimento alla tipologia delle opere da realizzare, alla
conformità delle stesse agli strumenti urbanistici, all'assenza di vincoli.
Richiamata una precedente e assai risalente decisione conforme della medesima
Sezione (n. 11565 del 28 Giugno-2 Ottobre 1978, Ortenzi), la sentenza esclude che
l'attestazione del professionista abbia natura di "certificato". La motivazione
non affronta l'esegesi delle disposizioni contenute nel d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380
ed afferma che non può avere natura certificativa la relazione allegata alla
denuncia di inizio attività "riflettendo essa, per la parte progettuale, non
una realtà oggettiva ma una semplice intenzione e, per quanto riguarda
l'eventuale attestazione dell'assenza di vincoli, un giudizio espresso dall'agente, non necessariamente fondato su dati di fatto certi e sicuri (che, in
quanto tali, dovrebbero già essere, tuttavia, nella disponibilità della pubblica
amministrazione competente), ma suscettibile di derivare soltanto - come
verificatosi nella specie - da un convincimento puramente oggettivo, poco
importa, ai fini penalistici, se dovuto o meno a difetto di diligenza nella
effettuazione delle opportune verifiche fattuali e normative".
Questa Corte ritiene che la motivazione si fondi su un basilare fraintendimento
della normativa specifica in materia edilizia, come dimostra il passaggio in cui
opera un riferimento, incluso tra parentesi, alla circostanza che la pubblica
amministrazione già dovrebbe possedere le informazioni che il professionista le
fornisce. Tale inciso dimostra che non si è compresa la fondamentale differenza
tra richiesta di concessione - ora permesso di costruire - e D.i.a., e non si è
avuto riguardo alle conseguenza che solo per questa seconda forma di domanda la
legge riconduce alla falsa attestazione; conseguenze che sono definite in modo
chiaro dagli artt.23, comma sesto e 29,
comma terzo d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 con esplicito riferimento all'obbligo
per l'ente pubblico di inoltrare segnalazione di reato all'autorità
giudiziaria.
La decisione in parola sembra, a parere di questa Corte, non solo contrastare
con le citate disposizioni del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ma incorrere in un
vizio logico allorché confonde la esistenza dei presupposti del reato con quello
che è soltanto un tema probatorio: la sussistenza dell'elemento soggettivo del
reato in presenza di attestazioni che contengono una parte di valutazione.
C.2) Il principio posto a fondamento della sentenza Giordano, che questa Corte
non condivide per le ragioni appena esposte, sembra essere superato dalla più
recente giurisprudenza, come dimostra, con ragionamento "a contrario" la
richiamata sentenza n. 9918/2008, Masucci e altri di questa Sezione. Decidendo in
tema di accusa di falsa attestazione contenuta nella relazione tecnica del
progettista ad una domanda di concessione edilizia, la sentenza afferma (pag. 3):
"trattandosi di concessione edilizia e non di Dia, la documentazione e la
eventuale relazione presentata dai tecnici progettisti non aveva valore probante
e fidefacente assoluto...".
Pur nella sua sinteticità il passaggio motivazionale e indiscutibile nel
ritenere che non hanno valore di certificazione i documenti e le attestazioni
allegate alla domanda di concessione, che non assume efficacia se non dopo il
vaglio positivo dell'ente pubblico, mentre a diverse conclusioni deve giungersi
per la domanda di inizio attività, dotata di autonoma efficacia.
D) Una volta affermato che la falsa attestazione del progettista può integrare
la fattispecie di reato contestata, la Corte deve ancora affrontare due profili
di ricorso: la rilevanza dei controlli rimessi all'ente territoriale in presenza
di interventi edilizi in centro storico; l'assenza dell’elemento soggettivo del
reato.
D.1) Con riferimento al primo profilo alla Corte non resta che richiamare quanto
più ampiamente detto in precedenza in merito alla esegesi del terzo comma
dell'art. 23 (diversa decorrenza del termine di trenta giorni solo in casi di
bene immobile sottoposto a vincolo) e del successivo comma sesto per concludere
che deve essere disatteso il secondo motivo di ricorso.
D.2) Quanto al secondo profilo, la ricostruzione operata dai giudici di merito
circa la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato in capo al ricorrente
appare coerente con gli elementi probatori e immune da vizi logici, e come tale
sottratta al sindacato del giudice di legittimità (Sezioni Unite Penali,
sentenza n. 2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini, rv 203767;
Seconda Sezione Penale, sentenza n. 23419 del 23 maggio-14 giugno 2007, PG in
proc.Vignaioli, rv 236893; Prima Sezione Penale, sentenza n. 24667 del 15-21
giugno 2007, Musumeci rv 237207). In effetti, la valutazione che la Corte
territoriale ha fatto del terzo motivo di ricorso si fonda anche sull'esito
negativo di precedente progetto presentato dal ricorrente agli uffici comunali,
e la lettura che di tale circostanza è stata fornita dai giudici di merito può
essere ritenuta dal ricorrente non condivisibile, prospettandosi in tal modo una
opposta interpretazione dei fatti, ma appare assolutamente lineare sul piano
logico e non meritevole di annullamento.
Alla luce delle considerazioni che precedono tutti i motivi di ricorso appaiono
infondati. Alla reiezione del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 21 Ottobre 2008
Deposito in Cancelleria il 19/01/2009
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