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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CORTE
DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 27/01/2009 (Ud. 25/11/2008), Sentenza n. 3593
URBANISTICA ED EDILIZIA - Permesso di costruire - Difformità totale e/o parziale
– Natura - Art. 31 T.U. n. 380/2001 (ex art. 7 L. n. 47/1985). A norma
dell'art. 31 del T.U. n. 380/2001 (e già dell'art. 7 della legge n. 47/1985),
devono ritenersi eseguite in totale difformità dal permesso di costruire quelle
opere "che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente
diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da
quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre
i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o
parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile". La
difformità totale si verifica, allorché si costruisca "aliud pro alio" e ciò è
riscontrabile allorché i lavori eseguiti tendano a realizzare opere non
rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e novità, oltre
che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale.
Il concetto di difformità parziale si riferisce, invece, ad ipotesi tra le quali
possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa
consistenza, nonché le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano
specifica rilevanza. Pres. Lupo, Est. Fiale, Ric. Puddu ed altro. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 27/01/2009 (Ud. 25/11/2008), Sentenza n. 3593
URBANISTICA ED EDILIZIA - Sanabilità delle opere in relazione allo stato dei
lavori - Art. 32, c. 28, L. n. 326/2003 - Art. 43 L. n. 47/1985. Al fine di
definire il quadro della sanabilità delle opere in relazione allo stato dei
lavori, deve farsi riferimento al disposto dell'ultimo comma dell'art. 43 della
legge n. 47/1985 (la cui perdurante applicabilità discende dalla previsione
dell'art. 32, comma 28, della legge n. 326/2003), norma secondo la quale possono
conseguire la sanatoria anche le opere non ultimate per effetto di provvedimenti
amministrativi o giurisdizionali ed in tal caso il completamento è consentito
nei soli limiti strettamente necessari a dare identità edilizia alle strutture
realizzate e funzionalità per il loro utilizzo. Pres. Lupo, Est. Fiale, Ric.
Puddu ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 27/01/2009 (Ud.
25/11/2008), Sentenza n. 3593
URBANISTICA ED EDILIZIA - Condono edilizio ex art. 32 c.36 D.L. n. 269/2003 –
Dicotomia penale e amministrativa - Estinzione dei reati - Integralità
dell'oblazione corrisposta dall'imputato - Requisito essenziale. La
disciplina del condono edilizio dettata dall'art. 32 del D.L. n. 269 del 2003
"opera su due piani distinti: sul piano penale, al ricorrere dei presupposti di
legge, determina l’estinzione dei reati edilizi; su quello amministrativo,
comporta il conseguimento della concessione in sanatoria (e l'estinzione
dell’illecito amministrativo). Ai fini dell'estinzione dei reati, ai sensi
dell'art. 32, comma 36, del D.L. n. 269/2003, requisito essenziale è
l"integralità dell'oblazione corrisposta dall'imputato" e, per la relativa
verifica di corrispondenza di quanto versato a quanto realmente dovuto, il
giudice "si avvale degli accertamenti compiuti dall’autorità comunale, la quale
è il soggetto formalmente preposto alla determinazione definitiva dell’importo
dell’oblazione, ai sensi dell'art. 35, comma 14, della legge n. 47 del 1985".
Tale previsione ha un limite temporale, e decorre dal pagamento dell'oblazione,
quale presupposto dell’estinzione dei reati. Pres. Lupo, Est. Fiale, Ric. Puddu
ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 27/01/2009 (Ud. 25/11/2008),
Sentenza n. 3593
URBANISTICA ED EDILIZIA - C.d. "condono edilizio” - Domanda di oblazione e
versamento effettuata da persona diversa dall'imputato – Effetti - Unica
eccezione per il comproprietario - Causa estintiva del reato – Beneficio della
oblazione. In tema di c.d. "condono edilizio” qualora la domanda di
oblazione ed il versamento della somma dovuta siano effettuate da persona
diversa dall'imputato, quest'ultimo non può trarre vantaggio dall'iniziativa di
altro soggetto (salvo che si tratti di comproprietario e tale qualità venga
dimostrata in maniera incontrovertibile), sia per il carattere personale della
causa estintiva (art. 182 cod. pen.) sia per l'espresso disposto dell'art. 38,
5° comma, della legge n. 47/1985 (la cui perdurante applicabilità discende
anch'essa dalla previsione dell'art. 32, comma 28 della legge n. 326/2003), che
ha ribadito il principio codicistico, quanto ai limiti personali del beneficio
della oblazione, prevedendo un'unica eccezione per il solo comproprietario, con
una disposizione che è di stretta interpretazione proprio perché derogatoria
della regola generale. Tale interpretazione è avvalorata dalle caratteristiche
"fiscali" della sanatoria edilizia e dalla possibilità, di fruire di sconti e
dilazioni collegati a qualità o condizioni personali dell'istante. Pres. Lupo,
Est. Fiale, Ric. Puddu ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III,
27/01/2009 (Ud. 25/11/2008), Sentenza n. 3593
URBANISTICA ED EDILIZIA - Organismo edilizio – Nozione. In materia
urbanistica, l'espressione "organismo edilizio" indica sia una sola unità
immobiliare sia una pluralità di porzioni volumetriche e la difformità totale
può riconnettersi sia alla costruzione di un corpo autonomo sia
all'effettuazione di modificazioni con opere anche soltanto interne tali da
comportare un intervento che abbia rilevanza urbanistica in quanto incidente
sull’assetto del territorio attraverso l'aumento del c.d. "carico urbanistico”.
Pres. Lupo, Est. Fiale, Ric. Puddu ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.
III, 27/01/2009 (Ud. 25/11/2008), Sentenza n. 3593
URBANISTICA ED EDILIZIA – Mutamento della destinazione d'uso - Difformità
totale – Configurabilità. Difformità totale può aversi, inoltre, anche nel
caso di mutamento della destinazione d'uso di un immobile o di parte di esso,
realizzato attraverso opere implicanti una totale modificazione rispetto al
previsto. Pres. Lupo, Est. Fiale, Ric. Puddu ed altro. CORTE DI CASSAZIONE
PENALE, Sez. III, 27/01/2009 (Ud. 25/11/2008), Sentenza n. 3593
URBANISTICA ED EDILIZIA – Organismo edilizio - “Autonoma utilizzabilità”
dell’immobile rispetto al progetto approvato - Difformità quantitativa. In
materia di edilizia, il riferimento alla "autonoma utilizzabilità" non impone
che il corpo difforme sia fisicamente separato dall'organismo edilizio
complessivamente autorizzato, ma ben può riguardare anche opere realizzate con
una difformità quantitativa tale da acquistare una sostanziale autonomia
rispetto al progetto approvato. Pres. Lupo, Est. Fiale, Ric. Puddu ed altro.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 27/01/2009 (Ud. 25/11/2008), Sentenza n.
3593
URBANISTICA ED EDILIZIA – Permesso di costruire assentito in via normale o in
sanatoria - Effetti nei rapporti intersoggettivi di diritto privato – Esclusione
– Tutela - Risarcimento del danno - Riparazione in forma specifica (demolizione
dell'opera abusiva). In materia edilizia, il permesso di costruire assentito
in via normale o in sanatoria - non produce effetti nei rapporti intersoggettivi
di diritto privato e viene comunque rilasciato fatti salvi ed impregiudicati i
diritti dei terzi: esso, invero, riflette rapporti intercorrenti fra il
costruttore e la pubblica amministrazione, e non può mai pregiudicare diritti
soggettivi altrui. Ne consegue che coloro i cui interessi abbiano subito un
pregiudizio dalla costruzione, anche se "sanata", hanno comunque diritto a
pretendere il risarcimento del danno e, nel caso di violazione di norme del
codice civilistiche e/o integrative di esso, finanche ad ottenere la riparazione
in forma specifica, mediante demolizione dell'opera abusiva. Pres. Lupo, Est.
Fiale, Ric. Puddu ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 27/01/2009
(Ud. 25/11/2008), Sentenza n. 3593
URBANISTICA ED EDILIZIA – PROCEDURE E VARIE - Reato urbanistico per sanatoria
- Art. 578 c.p.p. - Applicabilità – Esclusione. Presupposto per
l'applicazione dell'art. 578 c.p.p. - ove è previsto che, quando è stata
pronunciata condanna dell'imputato al risarcimento dei danni cagionati dal
reato, il giudice dell'impugnazione che dichiari estinto il reato decide
tuttavia sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della
sentenza che concernono gli interessi civili - è che l'estinzione del reato sia
stata dichiarata per amnistia o per prescrizione, non potendosi estendere tale
presupposto, in via analogica, all'estinzione del reato urbanistico per
sanatoria (Cass., Sez. III, 30.5.1995, n. 6198). Pres. Lupo, Est. Fiale, Ric.
Puddu ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 27/01/2009 (Ud.
25/11/2008), Sentenza n. 3593
URBANISTICA ED EDILIZIA – PROCEDURE E VARIE – Reato urbanistico e condanna
generica al risarcimento del danno in favore della parte civile - Artt. 539 e
651 c.p.p. – Operatività. La facoltà, del giudice penale di pronunciare una
condanna generica al risarcimento del danno, prevista dall'art. 539 c.p.p., non
incontra restrizioni di sorta in ipotesi di incompiutezza della prova sul
"quantum", bensì trova implicita conferma nei limiti dell'efficacia della
sentenza penale nel giudizio civile per la restituzione e il risarcimento del
danno fissati dall'art. 651 c.p.p., escludendosi, perciò, l'estensione del
giudicato penale alle conseguenze economiche del fatto illecito commesso
dall'imputato (Cass. pen., Sez. IV, 26.1.1999, n. 1045). Sicché, ai fini della
pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte
civile, non é necessario che il danneggiato dia la prova della effettiva
sussistenza dei danni e del nesso di causalità tra questi e l'azione dell'autore
dell'illecito, ma è sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente
produttivo di conseguenze dannose: la suddetta pronuncia, infatti, costituisce
una mera "declaratoria iuris", da cui esula ogni accertamento relativo sia alla
misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della
liquidazione (Cass. pen.: Sez. I, 18.3.1992, n. 3220; Sez. IV, 15.6.1994, n.
7008; Sez. VI, 26.8.1994, n. 9266; Cass. civ., Sez, III, 11.1.2001, n. 329).
Pres. Lupo, Est. Fiale, Ric. Puddu ed altro. CORTE DI CASSAZIONE PENALE, Sez.
III, 27/01/2009 (Ud. 25/11/2008), Sentenza n. 3593
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UDIENZA 25.11.2008
SENTENZA N. 2457
REG. GENERALE n.11473/07
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Signori
Dott. Ernesto LUPO Presidente
Dott. Agostino CORDOVA Consigliere
Dott. Alfredo M. LOMBARDI Consigliere
Dott. Aldo FIALE Consigliere
Dott. Margherita MARMO Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. PUDDU Maria, nata ad Esterzili il 27,11.1934
2. ORRU' Roberto, nato a Lanusei l'11.2.1967
avverso la sentenza 23.11.2006 della Corte di Appello di Cagliari
Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso
Udita, in pubblica udienza, la relazione fatta dal Consigliere dr. Aldo Fiale
Udito il Pubblico Ministero, in persona del dr. Francesco Bua, il quale ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso
Udito il patrono delle due parti civili, Avv.to Gianmaria Demuro, il quale ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Cagliari, con
sentenza del 23.11.2006, confermava la sentenza 11.10.2005 del Tribunale
monocratico di Lanusei, che aveva affermato la responsabilità penale di Puddu
Maria e Orrù Roberto in ordine al reato di cui:
- all'art. 20, lett. b), legge n. 47/1985 (per avere - nelle rispettive qualità
di committente e di direttore dei lavori realizzato la sopraelevazione di un
fabbricato, in totale difformità dalla concessione edilizia, che era stata
rilasciata per "lavori di restauro conservativo e manutenzione straordinaria" -
acc. in Lanusei, via Mameli, il 27.6.2002, mentre le opere erano in corso di
esecuzione)
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, aveva condannato ciascuno alla pena di mesi due di arresto ed euro 8.000,00 di ammenda, con ordine di demolizione delle opere abusive e concessione ad entrambi del beneficio della non menzione e di quello della sospensione condizionale subordinato all'effettiva esecuzione di detto ordine.
La Corte territoriale confermava altresì le statuizioni risarcitorie in favore
delle parti civili costituite, Marco Asoni e Annita Piroddi, proprietari di
unità immobiliari contigue, ritenute compromesse dall'edificazione abusiva.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso i condannati, i quali hanno
eccepito:
- carenza assoluta di prove in punto di affermazione della responsabilità, in
quanto non
potrebbe ravvisarsi "totale difformità” tra le opere realizzate e quelle
assentite;
- violazione di legge, per non essere stata riconosciuta efficacia alla
procedura di condono edilizio instaurata ai sensi dell'art. 32 del D.L.
30.9.2003, n. 269, convertito nella legge
24.11.2003, n. 326;
- vizio di motivazione quanto al riconosciuto diritto al risarcimento del danno
in favore delle
costituite parti civili.
Tenuto conto della domanda di "condono edilizio" presentata da Puddu Maria , in
data 9.12.2004, ex art. 32 della legge n. 326/2003, questa Corte ha disposto la
sospensione del procedimento ai sensi dell'art. 38 della legge n. 47/1985.
Il Comune di Lanusei, con nota pervenuta l'11.8.2008, ha attestato l’avvenuta
integrale corresponsione delle somme dovute a titolo di oblazione. Ha
comunicato, però l'intervenuto diniego del permesso di costruire in sanatoria,
poiché "le opere abusive non risultano ultimate entro il 31 marzo 2003".
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La sentenza impugnata va
annullata senza rinvio, nei confronti della sola Poddu Maria, perché il reato
ascrittole deve ritenersi estinto in seguito al pagamento dell'oblazione
prevista dal c.d. "condono edilizio" di cui all'art. 32 del D.L. 30.9.2003, n.
269, convertito nella legge 24.11.2003, n. 326, risultando:
- la condonabilità dell'intervento complessivamente eseguito in relazione alle
caratteristiche peculiari ed alle dimensioni volumetriche dello stesso;
- la tempestività della presentazione di domanda di sanatoria riferita
alle opere abusive contestate nel capo di imputazione;
- la integrale corresponsione, nei termini di legge, dell'oblazione
ritenuta congrua dalla amministrazione comunale.
2. Illegittimamente l’amministrazione comunale ha ritenuto ostativa la mancata
"ultimazione" dei lavori (secondo la nozione fornita dall’art. 31 della legge n.
47/1985) entro il termine del 31 marzo 2003.
Al fine di definire il quadro della sanabilità delle opere in relazione allo
stato dei lavori, infatti, deve farsi riferimento al disposto dell'ultimo comma
dell'art. 43 della legge n. 47/1985 (la cui perdurante applicabilità discende
dalla previsione dell'art. 32, comma 28, della legge n. 326/2003), norma secondo
la quale possono conseguire la sanatoria anche le opere non ultimate per effetto
di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali ed in tal caso il
completamento è consentito nei soli limiti strettamente necessari a dare
identità edilizia alle strutture realizzate e funzionalità per il loro utilizzo.
Nella fattispecie in esame le opere, in seguito all'accertamento degli abusi,
vennero assoggettate a sequestro dal GIP. del Tribunale di Lanusei (sia pure
annullato dal Tribunale del riesame con ordinanza del 16.12.2002 e poi reiterato
soltanto il 27.6.2003) ed intervenne altresì ordinanza amministrativa di
sospensione dei lavori, alla quale risulta che la Poddu abbia dato attuazione,
interrompendo l’attività edificatoria, a prescindere da ogni questione
riferibile alla idoneità giuridica di tale provvedimento ed ai termini di
efficacia di esso.
Ciò che conta è che l’imputata abbia interrotto i lavori in diretta connessione
con tale provvedimento sospensivo ed impropriamente comunque la Corte
territoriale ha ritenuto la cessazione degli effetti del medesimo provvedimento
cautelare poiché ad esso non aveva fatto seguito un provvedimento sanzionatorio
definitivo entro 45 giorni: già con l’art. 4 della legge n. 47/1985, infatti,
era stata sottratta a qualsiasi decadenza l’efficacia dell'ordine di sospensione
allo scadere del termine anzidetto, che deve quindi ritenersi (anche nella
previsione dell'art. 27, 3° comma, del D.P.R. n, 380/2001) meramente ordinatorio
e sollecitatorio.
3. Il Comune, dunque incongruamente ha denegato (sotto il profilo dianzi
esaminato) il rilascio di un formale provvedimento sanante e - quanto alla
procedura di condono in oggetto - va inoltre evidenziato che l’art. 32, comma
36, della legge n. 326/2003 inseriva, tra gli elementi della fattispecie
estintiva dei reati urbanistici, il decorso di 36 mesi dalla data di concreta
effettuazione del pagamento [ricollegando pure a tale termine la prescrizione
del diritto dell'amministrazione al conguaglio e di quello del privato al
rimborso].
La Corte Costituzionale però - con la sentenza n. 70 del 12 - 28 marzo 2008 - ha
dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 32, comma 36, del D.L. n.
269/2003, convertito dalla legge n. 326/2003, "nella parte in cui non prevede
che gli effetti estintivi di cui all'art. 38, comma 2, della legge 28.2.1985, n.
47 si producono anche allorché, anteriormente al decorso dei 36 mesi dal
pagamento dell'oblazione, sia intervenuta l'attestazione di congruità da parte
dell’autorità comunale dell'oblazione corrisposta".
Ha rilevato, in proposito, il Giudice delle leggi che:
- la disciplina del condono edilizio dettata dall'art. 32 del D.L. n. 269 del
2003 "opera su due piani distinti: sul piano penale, al ricorrere dei
presupposti di legge, determina l’estinzione dei reati edilizi; su quello
amministrativo, comporta il conseguimento della concessione in sanatoria (e
l'estinzione dell’illecito amministrativo);
- ai fini dell' estinzione dei reati, ai sensi dell'art. 32, comma 36, del D.L.
n. 269/2003, requisito essenziale è l"integralità dell'oblazione corrisposta
dall'imputato" e, per la relativa verifica di corrispondenza di quanto versato a
quanto realmente dovuto, il giudice "si avvale degli accertamenti compiuti
dall’autorità comunale, la quale è il soggetto formalmente preposto alla
determinazione definitiva dell’importo dell’oblazione, ai sensi dell'art. 35,
comma 14, della legge n. 47 del 1985";
- la previsione di un limite temporale, a decorrere dal pagamento
dell'oblazione, quale presupposto dell’estinzione dei reati, è finalizzato sia a
consentire alle amministrazioni le attività di determinazione dell’oblazione e
di verifica della congruità della somma pagata, sia ad evitare che l'effetto
estintivo (a fronte della sussistenza degli altri presupposti di legge) possa
essere da quelle indefinitamente procrastinato;
- allorquando, però l'autorità
comunale abbia verificato la congruità dell'oblazione versata, "il decorso di un
tempo ulteriore non assolve più ad alcuna funzione ed è pertanto privo di ogni
ragionevole giustificazione".
Nella fattispecie in esame la competente autorità comunale ha attestato la
congruità dell’oblazione corrisposta, sicché si è perfezionata, per la Poddu,
nella sussistenza degli altri presupposti di legge, la fattispecie estintiva del
reato.
4. Nessuna efficacia può riconoscersi invece, nei confronti dello Orrù, alla
procedura di condono edilizio instaurata da Maria Poddu quale committente dei
lavori abusivi, in quanto l'imputato è stato condannato nella qualità di
direttore dei lavori, mentre il condono è stato richiesto soltanto dalla
committente delle opere e, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte
Suprema, in tema di c.d. "condono edilizio” qualora la domanda di oblazione ed
il versamento della somma dovuta siano effettuate da persona diversa
dall'imputato, quest'ultimo non può trarre vantaggio dall'iniziativa di altro
soggetto (salvo che si tratti di comproprietario e tale qualità venga dimostrata
in maniera incontrovertibile), sia per il carattere personale della causa
estintiva (art. 182 cod. pen.) sia per l'espresso disposto dell'art. 38, 5°
comma, della legge n. 47/1985 (la cui perdurante applicabilità discende
anch'essa dalla previsione dell'art. 32, comma 28 della legge n. 326/2003), che
ha ribadito il principio codicistico, quanto ai limiti personali del beneficio
della oblazione, prevedendo un'unica eccezione per il solo comproprietario, con
una disposizione che è di stretta interpretazione proprio perché derogatoria
della regola generale.
Tale interpretazione è avvalorata dalle caratteristiche "fiscali" della
sanatoria edilizia e dalla possibilità, di fruire di sconti e dilazioni
collegati a qualità o condizioni personali dell'istante.
5. Il ricorso dello Orrù, conseguentemente, deve essere dichiarato
inammissibile, perché manifestamente infondato.
A norma dell'art. 31 del T.U. n. 380/2001 (e già dell'art. 7 della legge n.
47/1985), devono ritenersi eseguite in totale difformità dal permesso di
costruire quelle opere "che comportano la realizzazione di un organismo edilizio
integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di
utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di
volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un
organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente
utilizzabile".
La difformità totale si verifica, dunque, allorché si costruisca "aliud pro
alio" e ciò è riscontrabile allorché i lavori eseguiti tendano a realizzare
opere non rientranti tra quelle consentite, che abbiano una loro autonomia e
novità, oltre che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione
economico-sociale.
Il concetto di difformità parziale si riferisce, invece, ad ipotesi tra le quali
possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa
consistenza, nonché le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano
specifica rilevanza.
Nella previsione legislativa in esame:
- l'espressione "organismo edilizio" indica sia una sola unità immobiliare sia
una pluralità di porzioni volumetriche e la difformità totale può riconnettersi
sia alla costruzione di un corpo autonomo sia all'effettuazione di modificazioni
con opere anche soltanto interne tali da comportare un intervento che abbia
rilevanza urbanistica in quanto incidente sull’ assetto del territorio
attraverso l'aumento del c.d. "carico urbanistico”.
Difformità totale può aversi, inoltre, anche nel caso di mutamento della
destinazione d'uso di un immobile o di parte di esso, realizzato attraverso
opere implicanti una totale modificazione rispetto al previsto;
- il riferimento alla "autonoma utilizzabilità" non impone che il corpo difforme
sia fisicamente separato dall'organismo edilizio complessivamente autorizzato,
ma ben può riguardare anche opere realizzate con una difformità quantitativa
tale da acquistare una sostanziale autonomia rispetto al progetto approvato.
La fattispecie in oggetto è caratterizzata dalla realizzazione di un vero e
proprio piano sopraelevato, a fronte di una assentita "altana" sorretta da
pilastri e aperta su tre lati, con creazione di volumi non autorizzati.
Si profila ad evidenza, pertanto, l'intervenuta esecuzione di opere non
rientranti tra quelle autorizzate, che hanno "una loro autonomia e novità, oltre
che sul piano costruttivo, anche su quello della valutazione economico-sociale".
5.1 La inammissibilità del ricorso, dovuta alla manifesta infondatezza dei
motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e perciò
non può tenersi conto della prescrizione del reato scaduta (considerati i
periodi di sospensione computabili secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite
con la sentenza 11.1.2002, n. 1021, ric. Cremonese) in epoca (il 5.8.2007) di
gran lunga successiva alla pronuncia della sentenza impugnata ed alla
presentazione dello stesso ricorso (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32,
ric. De Luca).
5.2 Alla stregua delle argomentazioni svolte nella sentenza 13.6.2000, n. 186
della Corte Costituzionale e rilevato che, nella specie, non sussistono elementi
per ritenere che lo Orrù "abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità, alla declaratoria della stessa
segue per detto ricorrente, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese
del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della
Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti,
nella misura di euro 1.000,00.
6. Quanto alle statuizioni civili, va ricordato che secondo la giurisprudenza di
questa Corte Suprema:
- ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in
favore della parte civile, non é necessario che il danneggiato dia la prova
della effettiva sussistenza dei danni e del nesso di causalità tra questi e
l'azione dell'autore dell'illecito, ma è sufficiente l'accertamento di un fatto
potenzialmente produttivo di conseguenze dannose: la suddetta pronuncia,
infatti, costituisce una mera "declaratoria iuris", da cui esula ogni accertamento
relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso
al giudice della liquidazione (vedi Cass. pen.: Sez. I, 18.3.1992, n. 3220; Sez.
IV, 15.6.1994, n. 7008; Sez. VI, 26.8.1994, n. 9266);
- la facoltà, del giudice penale di pronunciare una condanna generica al
risarcimento del danno, prevista dall'art. 539 c.p.p., non incontra restrizioni
di sorta in ipotesi di incompiutezza della prova sul "quantum", bensì
trova implicita conferma nei limiti dell'efficacia della sentenza penale nel
giudizio civile per la restituzione e il risarcimento del danno fissati
dall'art. 651 c.p.p., escludendosi, perciò, l'estensione del giudicato penale
alle conseguenze economiche del fatto illecito commesso dall'imputato (vedi
Cass. pen., Sez. IV, 26.1.1999, n. 1045);
- la condanna generica al risarcimento dei danni, contenuta nella sentenza
penale, pur presupponendo che il giudice riconosca che la parte civile vi ha
diritto, non esige alcun accertamento in ordine alla concreta esistenza di un
danno risarcibile, ma postula soltanto l'accertamento della potenziale capacità
lesiva del fatto dannoso e della probabile esistenza di un nesso di causalità
tra questo ed il pregiudizio lamentato, salva restando nel giudizio di
liquidazione del "quantum" la possibilità di esclusione dell'esistenza
stessa di un danno unito da rapporto eziologico con il fatto illecito (vedi
Cass. civ., Sez, III, 11.1.2001, n. 329).
Nella vicenda in esame i giudici del merito, in aderenza ai principi anzidetti,
hanno adeguatamente e razionalmente valutato i potenziali pregiudizi derivabili
dalla nuova edificazione agli immobili di proprietà delle due parti civili
costituite.
6.1 Appare opportuno rilevare poi - per compiutezza espositiva - che, in materia
edilizia, il permesso di costruire assentito in via normale o in sanatoria - non
produce effetti nei rapporti intersoggettivi di diritto privato e viene comunque
rilasciato fatti salvi ed impregiudicati i diritti dei terzi: esso, invero,
riflette rapporti intercorrenti fra il costruttore e la pubblica
amministrazione, e non può mai pregiudicare diritti soggettivi altrui.
Ne consegue che coloro i cui interessi abbiano subito un pregiudizio dalla
costruzione, anche se "sanata", hanno comunque diritto a pretendere il
risarcimento del danno e, nel caso di violazione di norme del codice
civilistiche e/o integrative di esso, finanche ad ottenere la riparazione in
forma specifica, mediante demolizione dell'opera abusiva.
6.2 Devono essere confermate, pertanto, le statuizioni civili adottate nei
confronti di Roberto Orrù, che va altresì condannato alla rifusione delle spese
del grado, in favore delle parti civili costituite, nella misura specificata in
dispositivo.
Tale statuizione non viene estesa a Maria Puddu in adesione all'orientamento
giurisprudenziale già espresso da questa Corte Suprema, secondo il quale
presupposto per l'applicazione dell'art. 578 c.p.p. - ove è previsto che, quando
è stata pronunciata condanna dell'imputato al risarcimento dei danni cagionati
dal reato, il giudice dell'impugnazione che dichiari estinto il reato decide
tuttavia sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della
sentenza che concernono gli interessi civili - è che l'estinzione del reato sia
stata dichiarata per amnistia o per prescrizione, non potendosi estendere tale
presupposto, in via analogica, all'estinzione del reato urbanistico per
sanatoria (vedi Cass., Sez. III, 30.5.1995, n. 6198).
Alla stregua di tale orientamento, pertanto, e nei limiti delineati da esso, va
disposta la revoca delle statuizioni civili nei confronti della Poddu
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 607, 615, 616 e 620 c.p.p.,
dichiara inammissibile il ricorso di Orrù Roberto, che condanna al pagamento
delle spese
processuali, della somma di euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende,
nonché delle spese del grado in favore delle costituite parti civili, che
liquida in euro 2.500,00 per ambedue le parti civili, oltre spese generali ed
accessori.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di Poddu Maria, per
essere il reato estinto per oblazione amministrativa.
Revoca nei confronti della stessa le statuizioni civili.
ROMA, 25.11.2008.
Deposito in Cancelleria il 27/01/2009
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