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Testata registrata presso il Tribunale di Patti n. 197 del 19/07/2006 - ISSN
1974-9562
TAR UMBRIA, Sez. I -
29 dicembre 2009, n. 827
CAVE E MINIERE - Sfruttamento di un giacimento minerario - Proprietario del
suolo - Diritto soggettivo - Esclusione - Rapporto con lo sfruttamento agricolo
- Differenze - Effetti pregiudizievoli per l’ambiente. Lo sfruttamento di un
giacimento minerario o di una cava non è oggetto di un diritto soggettivo del
proprietario del suolo e non è accostabile, da questo punto di vista, allo
sfruttamento agricolo del terreno. A differenza del secondo, infatti, l’attività
estrattiva produce trasformazioni rilevanti ed irreversibili, con effetti
pregiudizievoli per l’ambiente non interamente stimabili in precedenza.
Attribuire ad una determinata area la qualificazione estrattiva è frutto dunque
di valutazioni ampiamente discrezionali e l’autorità competente può negare
legittimamente tale qualificazione quand’anche sia dimostrato in modo
inoppugnabile che sia esclusa ogni prospettiva di rischio ambientale. In altre
parole, l’escavabilità non è la regola e il suo diniego non è l’eccezione che
sia giustificata solo in quanto siano positivamente dimostrati rilevanti effetti
pregiudizievoli per l’ambiente. Pres. ed Est. Lignani - I. s.r.l. (avv.ti
Cancrini e Mariani Marini) c. Comune di Orvieto (avv. Figorilli) - TAR
UMBRIA, Sez. I - 29 dicembre 2009, n. 827
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 00827/2009 REG.SEN.
N. 00245/2008 REG.RIC.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 245 del 2008, proposto da:
Societa' In.Ca.Ba.Se. S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. Arturo Cancrini,
Alrico Mariani Marini, con domicilio eletto presso l’avv. Alarico Mariani Marini
in Perugia, via Mario Angeloni, 80/B;
contro
Comune di Orvieto, rappresentato e difeso dall'avv. Fabrizio Figorilli, con
domicilio eletto presso lo stesso in Perugia, via Bontempi N. 1;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
- della delibera del Consiglio Comunale di Orvieto n. 16 del 27.02.2008, avente
ad oggetto: “PRG. S (Piano Regolatore Generale-parte strutturale approvato con
delibera di CC. n. 136 del 17.32.2004 — Variante ai sensi dell’art. 18 L.R. n.
11/2005, adottata con delibera di C.C. n. 95 del 4.07.2007 — Controdeduzioni
alle osservazioni — Approvazione”, affissa all’Albo Pretorio del Comune di
Orvieto a far data dal 3.03.2008;
- dell’art. 27 delle Norme Tecniche di Attuazione, rubricato “Attività
Estrattiva”, cosi come modificato a seguito dell’approvazione della variante con
delibera del C..C. di Orvieto n. 16 del 27.02.2008, nonché di tutte le
disposizioni ad esso connesse, correlate e conseguenti;
- della Tav. 22/4 - Vulnerabilità Geomineraria, costituente parte integrante al
PRG-S, così come modificata a seguito dell'approvazione della variante con
delibera del C.C. di Orvieto n. 16 del 27.02.2008;
- per quanto di ragione, di ogni altro atto e/o provvedimento antecedente,
presupposto, conseguente o comunque connesso a quelli impugnati.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Orvieto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 03/12/2008 il Pres. Pier Giorgio
Lignani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. La società ricorrente è interessata ad un progetto di cava riguardante un
terreno in località Benano del Comune di Orvieto.
Secondo il piano regolatore generale-strutturale (p.r.g.-s.) approvato con
delibera n. 136 del 17 dicembre 2004 nell’area in questione risultava prevista
l’attività estrattiva.
Nel corso della successiva formazione del piano regolatore generale-operativo (p.r.g.-o.)
un comitato di cittadini della località Benano ha presentato osservazioni in
senso contrario all’apertura della cava, con generiche motivazioni di carattere
ambientale.
Ciò ha indotto l’amministrazione comunale a riconsiderare “in parte qua” la
previsione del p.r.g.-s.; ed è stato avviato un procedimento di variante che si
è concluso con la delibera consiliare n. 16 del 27 febbraio 2008. Per effetto
della variante nell’area in questione non è più consentita l’attività
estrattiva.
2. La società interessata – che nell’iter di formazione della variante aveva
presentato le sue osservazioni e le aveva viste respingere - impugna la variante
stessa e gli atti connessi, deducendo vari motivi di legittimità.
Resiste il Comune di Orvieto.
3. Conviene premettere che, benché si discuta di una previsione dello strumento
urbanistico primario (piano regolatore generale strutturale), ai fini dell’onere
di motivazione – e del sindacato sulla medesima – il provvedimento impugnato va
considerato un provvedimento individuale.
Si tratta infatti di una variante di contenuto specifico (rilevante mutamento di
destinazione di una singola area) avente effetti diretti sugli interessi di un
soggetto ben determinato. Su questo punto la giurisprudenza è consolidata.
4. Nel merito, la variante impugnata è motivata con riferimento al rischio di
infiltrazioni inquinanti a danno delle sorgenti di Sugano. Tale rischio è stato
desunto dalle conclusioni di un’apposita indagine idrogeologica (professori
Capelli e Mazza) acquisita dal Comune.
La parte ricorrente contesta dette conclusioni, presentando a sua volta una
consulenza tecnica di parte (prof. Pelizza) nella quale si sostiene, al
contrario, l’irrilevanza della coltivazione della cava ai fini di cui si
discute.
5. In buona sostanza, l’intera controversia si basa sul contrasto (almeno
apparente) fra le due relazioni tecniche che pertanto vanno messe a confronto
nell’ambito del presente giudizio, che è e rimane un giudizio di legittimità.
Conviene individuare, innanzi tutto, i punti sui quali fra le due relazioni vi è
accordo, vuoi esplicito vuoi tacito (intendendosi per accordo tacito la
situazione nella quale un’affermazione esplicita di una delle due parti non
viene altrettanto esplicitamente smentita dalla controparte e anzi appare
tacitamente condivisa, considerato il contesto).
Il primo punto che appare sostanzialmente incontroverso è l’importanza
«strategica» delle falde acquifere dell’altopiano dell’Alfina e delle sorgenti
di Sugano, donde la necessità di conservarle integre e di preservarle da ogni
rischio di inquinamento.
Il secondo punto condiviso è che l’escavazione prevista dai progetti della
società ricorrente non interferirà direttamente nel sistema acquifero, sicché
l’andamento e la portata delle falde non ne risentiranno in alcun modo. Ed
invero, la relazione Capelli-Mazza si concentra su un rischio diverso, che è
quello dell’infiltrazione, attraverso gli strati geologici, di eventuali
sostanze inquinanti.
Il terzo punto che si può ritenere condiviso (o comunque non positivamente
smentito dalla parte ricorrente) è che l’andamento sotterraneo delle falde
acquifere è tale che, supposta l’infiltrazione di elementi inquinanti nell’area
interessata dalle future cave (Benano) ne risulteranno inquinate, dopo un tempo
più o meno lungo, anche le sorgenti di Sugano.
La ricorrente, semmai, sostiene che il tempo stimabile di flusso è
presumibilmente superiore ad un anno (365 giorni) e che pertanto di tale rischio
non di dovrebbe tenere conto, perché secondo le direttive regionali (delibera di
G.R. n. 1968/2003) in materia di protezione delle sorgenti il perimetro massimo
delle zone di rispetto corrisponde alla linea isocrona dei 365 gg..
6. Il Collegio osserva che quest’ultima tesi della ricorrente non può essere
accettata, in punto di diritto.
La direttiva regionale è vincolante nel senso che, una volta definita la linea
isocrona dei 365 gg., le autorità competenti sono tenute a considerare zona di
rispetto tutta l’area in essa contenuta; ma ciò non esclude che le stesse
autorità possano adottare misure di protezione (nel caso: escludere attività
estrattive) anche al di fuori della zona di rispetto strettamente intesa,
qualora ve ne siano fondate ragioni.
Ed invero, pare ovvio che il criterio delle linee isocrone sia puramente
convenzionale, in quanto un fattore inquinante può risultare nocivo anche se il
tempo di afflusso sia superiore a quello convenzionalmente assunto ai fini della
definizione della zona di rispetto propriamente detta.
Si può dare per notorio che molte sostanze inquinanti non diminuiscano
significativamente la loro nocività, in relazione al tempo trascorso dalla loro
immissione nella falda acquifera, ovvero in relazione alla distanza percorsa. Il
tempo e la distanza possono entrare in gioco in quanto con il loro crescere
aumenta anche la difficoltà di stabilire un preciso nesso causale fra
l’immissione di un fattore inquinante in un determinato punto geografico e
l’inquinamento di una sorgente in un altro punto geografico. Ma nel caso in
esame la relazione Capelli-Mazza ricostruisce minuziosamente i percorsi delle
acque sotterranee (cfr. in particolare le figure 23 e 24) sicché la correlazione
fra l’area estrattiva e le sorgenti di Sugano appare dimostrata.
7. Un altro punto che si può ritenere condiviso da entrambe le relazioni (in
quanto affermato esplicitamente dalla relazione Pelizza, e non contraddetto da
quella Capelli-Mazza) è che l’attività estrattiva non è “di per sé” un fattore
significativamente inquinante.
Su ciò insiste specialmente la parte ricorrente, la quale imputa al Comune (o
per esso ai suoi consulenti) di basarsi proprio sul presupposto (erroneo) che la
coltivazione delle cave produca inquinamento.
Ma in realtà, come si è già detto, la relazione Capelli-Mazza non si basa su
tale supposto errore. Essa non si riferisce all’inquinamento prodotto
dall’attività di cava. Si riferisce, invece, alla modificazione permanente dello
stato dei luoghi, consistente nella eliminazione di alcuni strati geologici – in
particolare, quello di basalto, dello spessore di 40 m, oggetto dell’escavazione
- e la maggiore permeabilità di quelli sottostanti, che aumenterà
significativamente la «vulnerabilità» delle falde. In particolare, mentre allo
stato attuale la vulnerabilità di quei corpi idrici è stimata come “media” (cfr.
il P.U.T. regionale e il P.T.C.P. della Provincia di Terni), a programma
estrattivo completato essa risulterà “alta ed elevata” (relazione Capelli-Mazza,
pag. 45). Ed è intuitivo che un simile aggravamento di vulnerabilità è un
effetto permanente ed irreversibile dell’attività estrattiva, ancorché
quest’ultima si esaurisca nell’arco di pochi anni.
In altre parole, quello evidenziato dalla relazione Capelli-Mazza non è il
rischio d’inquinamento “durante” , ma quello “dopo” la coltivazione della cava.
E da questo punto di vista, è irrilevante il fatto che l’attività estrattiva sia
di per sé poco o nulla inquinante.
8. La relazione Pelizza tende a minimizzare il rischio futuro d’inquinamento,
affermando che anche dopo la rimozione dello strato di basalto di 40 m di
profondità le falde acquifere rimarranno protette da strati geologici
sufficienti per spessore e impermeabilità.
Si porrebbe dunque il problema, essenzialmente tecnico-scientifico, di stabilire
se siano tecnicamente più fondate le prospettazioni della relazione
Capelli-Mazza o quelle della relazione Pelizza.
Tuttavia, risolvere tale problema non è compito di questo Collegio, come giudice
di legittimità.
Ai fini del giudizio di legittimità, ci si deve invece chiedere se il Comune
abbia agito legittimamente o meno nel momento in cui, basandosi sulle
informazioni di cui disponeva, ha ritenuto preferibile eliminare la previsione
della cava nel sito in questione. E per rispondere a questa domanda è
sufficiente osservare che nel dubbio (dato e non concesso che di dubbio si
tratti, e non di certezza in ordine alle prospettive di rischio evidenziate dai
consulenti del Comune) la scelta di una linea prudenziale è sicuramente
legittima.
Al riguardo, va ricordato che lo sfruttamento di un giacimento minerario o di
una cava non è oggetto di un diritto soggettivo del proprietario del suolo e non
è accostabile, da questo punto di vista, allo sfruttamento agricolo del terreno.
A differenza del secondo, infatti, l’attività estrattiva produce trasformazioni
rilevanti ed irreversibili, con effetti pregiudizievoli per l’ambiente non
interamente stimabili in precedenza. Attribuire ad una determinata area la
qualificazione estrattiva è frutto dunque di valutazioni ampiamente
discrezionali e l’autorità competente può negare legittimamente tale
qualificazione quand’anche sia dimostrato in modo inoppugnabile – e non è questo
il caso – che sia esclusa ogni prospettiva di rischio ambientale. In altre
parole, l’escavabilità non è la regola e il suo diniego non è l’eccezione che
sia giustificata solo in quanto siano positivamente dimostrati rilevanti effetti
pregiudizievoli per l’ambiente.
Nel caso in esame, pur se non si voglia negare a priori credibilità a quanto
sostenuto dal consulente della parte privata, resta il fatto che non appare
“ictu oculi” infondata la tesi che la rimozione dello strato di basalto profondo
40 metri modificherà significativamente la protezione delle falde acquifere
sottostanti. In questa situazione, come già detto, la scelta di una linea
prudenziale appare legittima. Il che non esclude che in futuro la disponibilità
di studi più approfonditi e pienamente tranquillizzanti possa indurre
l’amministrazione ad accettare una soluzione diversa.
9. In conclusione, il ricorso va respinto; ma le spese possono essere
compensate.
P.Q.M.
il Tribunale amministrativo regionale rigetta il ricorso. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 03/12/2008 con
l'intervento dei Magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente, Estensore
Annibale Ferrari, Consigliere
Carlo Luigi Cardoni, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/12/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
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