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CONSIGLIO DI STATO, Sez.
IV - 26 marzo 2010, Sentenza n. 1767
DIRITTO URBANISTICO - ACQUA - Assetto ed utilizzazione del territorio - Acque
minerali e termali - Distinzione - Diverso assetto di competenze - Distinzione
dei relativi procedimenti - Comune - Verifica dell’esercizio del diritto
minerario in conformità alle previsioni del piano regolatore - Possibilità.
La materia dell'urbanistica, attinente all'assetto ed utilizzazione del
territorio (art. 79 del d.p.r. 616/1977), nella quale la funzione di governo è
affidata al Comune sia pur all'interno di un sistema di vincoli diretto a
garantire la soddisfazione degli interessi sovracomunali, va distinto dalla
materia delle «acque minerali e termali» (art. 61 del d.p.r. 616/1977) che è
attribuita alla Regione come attinente allo sviluppo economico della popolazione
(art. 50). Il diverso assetto delle competenze che caratterizza le due materie
impone, tra l'altro, che debbano essere tenuti distinti i relativi procedimenti
che sono preordinati alla tutela di interessi pubblici eterogenei: la
distinzione tra le due materie porta ad escludere che la regolamentazione
dell'uso delle acque minerali possa rientrare neppure indirettamente nell'ambito
della pianificazione urbanistica. Va appena ricordato -però- che, nella dinamica
dei rapporti giuridici, è notoria la distinzione fra titolarità ed esercizio del
diritto: rimane cioè impregiudicata la possibilità del Comune, non di esaminare
i contenuti della concessione mineraria, bensì di verificare l’esercizio del
diritto minerario in conformità alle leggi ed alle previsioni di piano
regolatore, che nella specie dettano una disciplina a tipologia residenziale e
non industriale. Pres. f.f. Zaccardi, Est. Carella - S. s.r.l. (avv.ti
Bernardi e Campagnola) c. Comune di Roma (avv. Sportelli) - (Riforma TAR LAZIO,
Roma n. 03917/2007) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV- 26 marzo 2010, n. 1767
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N. 01767/2010 REG.DEC.
N. 08308/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 8308 del 2007, proposto dalla società
SIVAM a r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Santina Bernardi e Antonio
Campagnola, con domicilio eletto presso Santina Bernardi in Roma, piazza Verbano
8;
contro
Comune di Roma, rappresentato e difeso dall'avv. Carlo Sportelli, domiciliato
presso la sede dell’Avvocatura Comunale in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
nei confronti di
Istituto di Ortofonologia Srl, rappresentato e difeso dall'avv. Graziano Pungi,
con domicilio eletto presso Graziano Pungi in Roma, via Ottaviano, 9;
per la riforma
della sentenza del TAR LAZIO – ROMA: Sezione II BIS n. 03917/2007, resa tra le
parti, concernente RIGETTO ISTANZA DI CONDONO EDILIZIO.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Roma e dell’Istituto di
Ortofonologia;
Viste le memorie difensive prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2010 il Cons. Vito Carella
e uditi gli avvocati Campagnola, Rocchi su delega di Sportelli, e Pungi;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- La S.I.V.A.M. a r.l. (Società Imbottigliamento e Vendita Acque
Minerali-Acqua Sacra) impugnava in primo grado le determinazioni dirigenziali n.
457 e n. 458 del 22.11.2005, recanti rigetto delle domande di condono proposte a
sanatoria di taluni manufatti abusivi (numerose tettoie e una pergola di mq.
129,00) in ferro e teli di plastica destinati a depositi per stivare le
bottiglie di acqua minerale: tali dinieghi sono motivati in relazione alla
carenza del “previo consenso dei proprietari” in capo alla società ricorrente.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio-Roma, con la sentenza oggetto
di impugnazione, ha respinto il ricorso proposto dalla società interessata: a
termini dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990 per il carattere
vincolato del provvedimento gravato; in quanto la ricorrente è semplice
conduttrice dell’immobile il cui proprietario si è anzi opposto alla sanatoria;
perché è del tutto irrilevante la qualificazione di titolare della concessione
per lo sfruttamento della sorgente di acqua minerale, in assenza di valido
titolo abilitativo ancorchè per opere funzionali, alla luce della concessione
mineraria (delibera Giunta Regionale Lazio n. 6552 del 1° agosto 1991) che fà
salvi gli eventuali diritti di terzi e del contratto di locazione (stipulato il
4 gennaio 1983) il quale prevede che ogni eventuale opera di modificazione, di
adattamento e di miglioria alle unità immobiliari locate dovrà essere
preventivamente autorizzata dai proprietari.
2.- Con l’appello in esame la società deducente, nel lamentare l’erroneità della
sentenza, ha chiesto che il ricorso di primo grado sia accolto ed, in
particolare: ha contestato l’assunto che la partecipazione al procedimento non
potesse sortire effetto diverso; ha rilevato che la sua legittimazione a
chiedere il condono come da legge (art. 31, comma primo, legge n. 47 del 1985 e
art. 4 della legge n. 10 del 1977) riposa nell’uso normale cui è destinato il
bene locato in quanto le modificazioni ed addizioni di cui al contratto si
riferiscono alle opere che eccedano la finalità in vista della quale lo
strumento negoziale è stato concluso (captazione idrica); ha sottolineato la
specifica destinazione dell’immobile e la particolare connotazione pubblicistica
dell’attività produttiva ivi svolta, come pronunciato dalla Corte di Appello di
Roma con la sentenza n. 1381 del 2004 e secondo la quale l’intero complesso
immobiliare è collegato da oggettiva pertinenzialità al bene minerario, in
connessione funzionale con l’attività di sfruttamento della sorgente.
Il Comune di Roma si è costituito in giudizio formalmente.
L’Istituto di Ortofonologia, costituitosi in giudizio, con le memorie depositate
il 4.2.2008 ed il 15.1.2010 ha concluso per la incondonabilità delle opere
abusive, prospettando che l’area su cui insistono gli abusi ricade in zona B1 di
PRG.
La società appellante, con la memoria a sua volta versata il 15.1.2010, ha
invece precisato che la Cassazione, nel confermare con la sentenza n. 19422 del
2008 la predetta decisione della Corte di Appello di Roma, ha rigettato il
tentativo avversario di liberare il complesso immobiliare, di recente
acquistato, attraverso la risoluzione del contratto sul presupposto
dell’inadempimento al divieto di modificare lo stato dei luoghi senza il
consenso del proprietario.
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 26 gennaio 2010.
3.- L’ appello va accolto, nei limiti di cui al giudicato nascente dalla
suddetta pronuncia della Corte di Cassazione e nei sensi di seguito esposti.
Difatti, detta Corte Suprema -nel condividere le conclusioni cui era pervenuto
il giudice del merito circa la realizzazione dei manufatti abusivi per effetto
del ricorso all'istituto della pertinenza mineraria in quanto costruzioni
edilizie da considerare strutture a servizio dello sfruttamento della
concessione mineraria e, quindi, opere di pubblica utilità- ha posto in rilievo
la natura strumentale delle coperture precarie realizzate dalla SIVAM al fine di
realizzare l'attività di imbottigliamento autorizzata e anzi prescritta in
prossimità della sorgente (diffida della autorità regionale relativa alla
conservazione del prodotto imbottigliato) nonchè qualificato come non grave
inadempimento il comportamento della SIVAM, “fermo restando l'obbligo della
conduttrice di ridurre in pristino lo stato dei luoghi al momento della
riconsegna del complesso”.
Dalla illustrata interpretazione e qualificazione deriva –in punto di diritto
relativamente al “previo consenso dei proprietari” controverso anche
nell’odierna sede- che il Comune di Roma ha omesso di considerare i succitati
presupposti ai fini di una sanatoria temporanea ovvero in precario oppure
condizionata alla rimozione delle relative opere al momento della riconsegna del
complesso alla scadenza del rapporto di locazione.
Questa conclusione,tuttavia, in quanto specifica al particolare regime minerario
e peraltro inerente ad una ipotesi di risalente concessione per la coltivazione
di un giacimento di acqua minerale, non vale a superare il consolidato e
costante insegnamento della Sezione in base al quale l’attività edificatoria
–nell’assenza di permesso di costruire o di autorizzazione nei modi di legge- è
di regola interdetta a chiunque, in qualsiasi zona del territorio comunale e per
qualsiasi movente, d’urgenza oppure per ineludibili esigenze di carattere
imprenditoriale ovvero alla luce del carattere pertinenziale dei lavori edilizi.
Ciò premesso -fermo il principio giurisprudenziale tradizionale (di cui alla
pronuncia dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 8 del 12 ottobre 1991 )
secondo cui le attività estrattive in sé considerate non sono subordinate al
potere di controllo edilizio comunale (ossia di norma non necessita di
concessione edilizia o permesso a costruire)– va invero rilevato che la
pianificazione urbanistica di un’area ben può incidere sulle attività
estrattive, o meglio sullo sfruttamento delle relative risorse ovvero sulla loro
coltivazione, determinando una inattuabilità della concessione mineraria (ovvero
la sua inoperatività sopravvenuta) per incompatibilità urbanistica e ambientale.
In sintesi, non può cioè ritenersi che il regime minerario -di diritto- superi
automaticamente i vincoli di piano regolatore.
Restano pertanto salvi i poteri di governo del territorio propri del Comune che
–esclusa la demolizione sino alla ricordata scadenza come da pronunciamento
della Corte di Cassazione- deve valutare le appropriate misure, conformative o
comminatorie alternative, connesse alla realizzazione temporanea e precaria dei
manufatti eseguiti senza permesso o autorizzazione a costruire le dette opere
pertinenziali di pubblica utilità.
4.- E’ invero pacifico tra le parti, non essendo contestato, che gli interventi
edilizi in argomento ricadano in zona B1 dello strumento urbanistico vigente nel
Comune di Roma.
Ad avviso del Collegio necessita fare chiarezza anche su questo punto, in
funzione delle pertinenti soluzioni alla luce delle specifiche previsioni di
P.R.G.
Occorre partire dalla distinzione tra la materia dell'urbanistica come attinente
all'assetto ed utilizzazione del territorio (articolo 79 del d.p.r. 24 luglio
1977 n. 616), nella quale la funzione di governo è affidata al Comune sia pur
all'interno di un sistema di vincoli diretto a garantire la soddisfazione degli
interessi sovracomunali, e la materia delle «acque minerali e termali» (
articolo 61 del d.p.r. n. 616 del 1977) che è attribuita alla Regione come
attinente allo sviluppo economico della popolazione (articolo 50).
Il diverso assetto delle competenze che caratterizza le due materie impone, tra
l'altro, che debbano essere tenuti distinti i relativi procedimenti che sono
preordinati alla tutela di interessi pubblici eterogenei: la distinzione tra le
due materie porta ad escludere che la regolamentazione dell'uso delle acque
minerali possa rientrare neppure indirettamente nell'ambito della pianificazione
urbanistica.
Va appena ricordato –però- che, nella dinamica dei rapporti giuridici, è notoria
la distinzione fra titolarità ed esercizio del diritto: rimane cioè
impregiudicata la possibilità del Comune, non di esaminare i contenuti della
concessione mineraria, bensì di verificare l’esercizio del diritto minerario in
conformità alle leggi ed alle previsioni di piano regolatore, che nella specie
dettano una disciplina a tipologia residenziale e non industriale.
Ciò vuol dire che l'amministrazione comunale, in sede di riesame della vicenda
in esame, deve anche valutare –alla stregua delle norme di piano regolatore- le
condizioni di legittima coesistenza dello specifico impianto di coltivazione in
una zona a destinazione B1, per la salvaguardia dell’ambiente nel quale l’uomo
vive e che costituisce limite al principio di iniziativa privata previsto dagli
artt. 41 e 42 della Costituzione (Cons. St., VI, 21 settembre 2006 n. 5552).
5.- Entro questi ambiti l’appello va accolto e la sentenza riformata.
Le spese di lite relative al doppio grado di giudizio vanno integralmente
compensate tra le parti in considerazione della particolarità della fattispecie.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, sezione Quarta, definitivamente pronunciando, accoglie
l'appello in epigrafe e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata,
annulla gli atti impugnati in primo grado, nei sensi di cui a parte motiva e
fatti salvi gli ulteriori provvedimenti del Comune di Roma.
Compensa le spese di lite relative al doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2010 con
l'intervento dei Signori:
Goffredo Zaccardi, Presidente FF
Armando Pozzi, Consigliere
Vito Poli, Consigliere
Sandro Aureli, Consigliere
Vito Carella, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/03/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
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