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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562



CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV - 26 marzo 2010, Sentenza n. 1767


DIRITTO URBANISTICO - ACQUA - Assetto ed utilizzazione del territorio - Acque minerali e termali - Distinzione - Diverso assetto di competenze - Distinzione dei relativi procedimenti - Comune - Verifica dell’esercizio del diritto minerario in conformità alle previsioni del piano regolatore - Possibilità.
La materia dell'urbanistica, attinente all'assetto ed utilizzazione del territorio (art. 79 del d.p.r. 616/1977), nella quale la funzione di governo è affidata al Comune sia pur all'interno di un sistema di vincoli diretto a garantire la soddisfazione degli interessi sovracomunali, va distinto dalla materia delle «acque minerali e termali» (art. 61 del d.p.r. 616/1977) che è attribuita alla Regione come attinente allo sviluppo economico della popolazione (art. 50). Il diverso assetto delle competenze che caratterizza le due materie impone, tra l'altro, che debbano essere tenuti distinti i relativi procedimenti che sono preordinati alla tutela di interessi pubblici eterogenei: la distinzione tra le due materie porta ad escludere che la regolamentazione dell'uso delle acque minerali possa rientrare neppure indirettamente nell'ambito della pianificazione urbanistica. Va appena ricordato -però- che, nella dinamica dei rapporti giuridici, è notoria la distinzione fra titolarità ed esercizio del diritto: rimane cioè impregiudicata la possibilità del Comune, non di esaminare i contenuti della concessione mineraria, bensì di verificare l’esercizio del diritto minerario in conformità alle leggi ed alle previsioni di piano regolatore, che nella specie dettano una disciplina a tipologia residenziale e non industriale.  Pres. f.f. Zaccardi, Est. Carella - S. s.r.l. (avv.ti Bernardi e Campagnola) c. Comune di Roma (avv. Sportelli) - (Riforma TAR LAZIO, Roma n. 03917/2007) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV- 26 marzo 2010, n. 1767
 


 

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N. 01767/2010 REG.DEC.
N. 08308/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA


Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)


ha pronunciato la presente


DECISIONE


Sul ricorso numero di registro generale 8308 del 2007, proposto dalla società SIVAM a r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Santina Bernardi e Antonio Campagnola, con domicilio eletto presso Santina Bernardi in Roma, piazza Verbano 8;


contro


Comune di Roma, rappresentato e difeso dall'avv. Carlo Sportelli, domiciliato presso la sede dell’Avvocatura Comunale in Roma, via del Tempio di Giove, 21;

nei confronti di

Istituto di Ortofonologia Srl, rappresentato e difeso dall'avv. Graziano Pungi, con domicilio eletto presso Graziano Pungi in Roma, via Ottaviano, 9;

per la riforma

della sentenza del TAR LAZIO – ROMA: Sezione II BIS n. 03917/2007, resa tra le parti, concernente RIGETTO ISTANZA DI CONDONO EDILIZIO.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Roma e dell’Istituto di Ortofonologia;
Viste le memorie difensive prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2010 il Cons. Vito Carella e uditi gli avvocati Campagnola, Rocchi su delega di Sportelli, e Pungi;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO


1.- La S.I.V.A.M. a r.l. (Società Imbottigliamento e Vendita Acque Minerali-Acqua Sacra) impugnava in primo grado le determinazioni dirigenziali n. 457 e n. 458 del 22.11.2005, recanti rigetto delle domande di condono proposte a sanatoria di taluni manufatti abusivi (numerose tettoie e una pergola di mq. 129,00) in ferro e teli di plastica destinati a depositi per stivare le bottiglie di acqua minerale: tali dinieghi sono motivati in relazione alla carenza del “previo consenso dei proprietari” in capo alla società ricorrente.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio-Roma, con la sentenza oggetto di impugnazione, ha respinto il ricorso proposto dalla società interessata: a termini dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990 per il carattere vincolato del provvedimento gravato; in quanto la ricorrente è semplice conduttrice dell’immobile il cui proprietario si è anzi opposto alla sanatoria; perché è del tutto irrilevante la qualificazione di titolare della concessione per lo sfruttamento della sorgente di acqua minerale, in assenza di valido titolo abilitativo ancorchè per opere funzionali, alla luce della concessione mineraria (delibera Giunta Regionale Lazio n. 6552 del 1° agosto 1991) che fà salvi gli eventuali diritti di terzi e del contratto di locazione (stipulato il 4 gennaio 1983) il quale prevede che ogni eventuale opera di modificazione, di adattamento e di miglioria alle unità immobiliari locate dovrà essere preventivamente autorizzata dai proprietari.

2.- Con l’appello in esame la società deducente, nel lamentare l’erroneità della sentenza, ha chiesto che il ricorso di primo grado sia accolto ed, in particolare: ha contestato l’assunto che la partecipazione al procedimento non potesse sortire effetto diverso; ha rilevato che la sua legittimazione a chiedere il condono come da legge (art. 31, comma primo, legge n. 47 del 1985 e art. 4 della legge n. 10 del 1977) riposa nell’uso normale cui è destinato il bene locato in quanto le modificazioni ed addizioni di cui al contratto si riferiscono alle opere che eccedano la finalità in vista della quale lo strumento negoziale è stato concluso (captazione idrica); ha sottolineato la specifica destinazione dell’immobile e la particolare connotazione pubblicistica dell’attività produttiva ivi svolta, come pronunciato dalla Corte di Appello di Roma con la sentenza n. 1381 del 2004 e secondo la quale l’intero complesso immobiliare è collegato da oggettiva pertinenzialità al bene minerario, in connessione funzionale con l’attività di sfruttamento della sorgente.

Il Comune di Roma si è costituito in giudizio formalmente.

L’Istituto di Ortofonologia, costituitosi in giudizio, con le memorie depositate il 4.2.2008 ed il 15.1.2010 ha concluso per la incondonabilità delle opere abusive, prospettando che l’area su cui insistono gli abusi ricade in zona B1 di PRG.

La società appellante, con la memoria a sua volta versata il 15.1.2010, ha invece precisato che la Cassazione, nel confermare con la sentenza n. 19422 del 2008 la predetta decisione della Corte di Appello di Roma, ha rigettato il tentativo avversario di liberare il complesso immobiliare, di recente acquistato, attraverso la risoluzione del contratto sul presupposto dell’inadempimento al divieto di modificare lo stato dei luoghi senza il consenso del proprietario.

La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 26 gennaio 2010.

3.- L’ appello va accolto, nei limiti di cui al giudicato nascente dalla suddetta pronuncia della Corte di Cassazione e nei sensi di seguito esposti.

Difatti, detta Corte Suprema -nel condividere le conclusioni cui era pervenuto il giudice del merito circa la realizzazione dei manufatti abusivi per effetto del ricorso all'istituto della pertinenza mineraria in quanto costruzioni edilizie da considerare strutture a servizio dello sfruttamento della concessione mineraria e, quindi, opere di pubblica utilità- ha posto in rilievo la natura strumentale delle coperture precarie realizzate dalla SIVAM al fine di realizzare l'attività di imbottigliamento autorizzata e anzi prescritta in prossimità della sorgente (diffida della autorità regionale relativa alla conservazione del prodotto imbottigliato) nonchè qualificato come non grave inadempimento il comportamento della SIVAM, “fermo restando l'obbligo della conduttrice di ridurre in pristino lo stato dei luoghi al momento della riconsegna del complesso”.

Dalla illustrata interpretazione e qualificazione deriva –in punto di diritto relativamente al “previo consenso dei proprietari” controverso anche nell’odierna sede- che il Comune di Roma ha omesso di considerare i succitati presupposti ai fini di una sanatoria temporanea ovvero in precario oppure condizionata alla rimozione delle relative opere al momento della riconsegna del complesso alla scadenza del rapporto di locazione.

Questa conclusione,tuttavia, in quanto specifica al particolare regime minerario e peraltro inerente ad una ipotesi di risalente concessione per la coltivazione di un giacimento di acqua minerale, non vale a superare il consolidato e costante insegnamento della Sezione in base al quale l’attività edificatoria –nell’assenza di permesso di costruire o di autorizzazione nei modi di legge- è di regola interdetta a chiunque, in qualsiasi zona del territorio comunale e per qualsiasi movente, d’urgenza oppure per ineludibili esigenze di carattere imprenditoriale ovvero alla luce del carattere pertinenziale dei lavori edilizi.

Ciò premesso -fermo il principio giurisprudenziale tradizionale (di cui alla pronuncia dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 8 del 12 ottobre 1991 ) secondo cui le attività estrattive in sé considerate non sono subordinate al potere di controllo edilizio comunale (ossia di norma non necessita di concessione edilizia o permesso a costruire)– va invero rilevato che la pianificazione urbanistica di un’area ben può incidere sulle attività estrattive, o meglio sullo sfruttamento delle relative risorse ovvero sulla loro coltivazione, determinando una inattuabilità della concessione mineraria (ovvero la sua inoperatività sopravvenuta) per incompatibilità urbanistica e ambientale.

In sintesi, non può cioè ritenersi che il regime minerario -di diritto- superi automaticamente i vincoli di piano regolatore.

Restano pertanto salvi i poteri di governo del territorio propri del Comune che –esclusa la demolizione sino alla ricordata scadenza come da pronunciamento della Corte di Cassazione- deve valutare le appropriate misure, conformative o comminatorie alternative, connesse alla realizzazione temporanea e precaria dei manufatti eseguiti senza permesso o autorizzazione a costruire le dette opere pertinenziali di pubblica utilità.

4.- E’ invero pacifico tra le parti, non essendo contestato, che gli interventi edilizi in argomento ricadano in zona B1 dello strumento urbanistico vigente nel Comune di Roma.

Ad avviso del Collegio necessita fare chiarezza anche su questo punto, in funzione delle pertinenti soluzioni alla luce delle specifiche previsioni di P.R.G.

Occorre partire dalla distinzione tra la materia dell'urbanistica come attinente all'assetto ed utilizzazione del territorio (articolo 79 del d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616), nella quale la funzione di governo è affidata al Comune sia pur all'interno di un sistema di vincoli diretto a garantire la soddisfazione degli interessi sovracomunali, e la materia delle «acque minerali e termali» ( articolo 61 del d.p.r. n. 616 del 1977) che è attribuita alla Regione come attinente allo sviluppo economico della popolazione (articolo 50).

Il diverso assetto delle competenze che caratterizza le due materie impone, tra l'altro, che debbano essere tenuti distinti i relativi procedimenti che sono preordinati alla tutela di interessi pubblici eterogenei: la distinzione tra le due materie porta ad escludere che la regolamentazione dell'uso delle acque minerali possa rientrare neppure indirettamente nell'ambito della pianificazione urbanistica.

Va appena ricordato –però- che, nella dinamica dei rapporti giuridici, è notoria la distinzione fra titolarità ed esercizio del diritto: rimane cioè impregiudicata la possibilità del Comune, non di esaminare i contenuti della concessione mineraria, bensì di verificare l’esercizio del diritto minerario in conformità alle leggi ed alle previsioni di piano regolatore, che nella specie dettano una disciplina a tipologia residenziale e non industriale.

Ciò vuol dire che l'amministrazione comunale, in sede di riesame della vicenda in esame, deve anche valutare –alla stregua delle norme di piano regolatore- le condizioni di legittima coesistenza dello specifico impianto di coltivazione in una zona a destinazione B1, per la salvaguardia dell’ambiente nel quale l’uomo vive e che costituisce limite al principio di iniziativa privata previsto dagli artt. 41 e 42 della Costituzione (Cons. St., VI, 21 settembre 2006 n. 5552).

5.- Entro questi ambiti l’appello va accolto e la sentenza riformata.

Le spese di lite relative al doppio grado di giudizio vanno integralmente compensate tra le parti in considerazione della particolarità della fattispecie.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato, sezione Quarta, definitivamente pronunciando, accoglie l'appello in epigrafe e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla gli atti impugnati in primo grado, nei sensi di cui a parte motiva e fatti salvi gli ulteriori provvedimenti del Comune di Roma.

Compensa le spese di lite relative al doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2010 con l'intervento dei Signori:

Goffredo Zaccardi, Presidente FF
Armando Pozzi, Consigliere
Vito Poli, Consigliere
Sandro Aureli, Consigliere
Vito Carella, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


Il Segretario

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/03/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione

 



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