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Testata registrata presso il Tribunale di Patti Reg. n. 197 del 19/07/2006 - ISSN 1974-9562
CONSIGLIO DI STATO, Sez. V
- 19 gennaio 2010, Sentenza n. 183
DIRITTO AGRARIO - SALUTE - OGM - D.L. n. 279/2004 - Principio di coesistenza
- Liceità dell’utilizzo in agricoltura degli OGM autorizzati a livello
comunitario. Per la parte che si riferisce al principio di coesistenza e che
implicitamente ribadisce la liceità dell'utilizzazione in agricoltura degli OGM
autorizzati a livello comunitario, il legislatore statale con l'adozione del
d.l.n. 279/2004 ha esercitato la competenza legislativa esclusiva dello Stato in
tema di tutela dell'ambiente, nonché quella concorrente in tema di tutela della
salute, con ciò anche determinando l'abrogazione per incompatibilità dei divieti
e delle limitazioni in tema di coltivazione di OGM che erano contenuti in alcune
legislazioni regionali. La formulazione e specificazione del principio di
coesistenza tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali, rappresenta il
punto di sintesi fra i divergenti interessi, di rilievo costituzionale,
costituiti da un lato dalla libertà di iniziativa economica dell'imprenditore
agricolo e dall'altro lato dall' esigenza che tale libertà non sia esercitata in
contrasto con l'utilità sociale, ed in particolare recando danni sproporzionati
all'ambiente e alla salute. Pres. Barbagallo, Est. De Nictolis - Azienda
Agricola S. (avv. Pirocchi) c. Ministero delle politiche agricole, alimentari e
forestali (Avv. Stato). CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 19 gennaio 2010,
Sentenza n. 183
DIRITTO AGRARIO - SALUTE - OGM - Piani di coesistenza - Profili economici -
Principio comunitario di coltivabilità degli OGM - Autorizzazione alla
coltivazione - Subordinazione alla previa adozione di piani di coesistenza -
Illegittimità. Considerati i profili prettamente economici che devono essere
regolamentati dai piani di coesistenza, e considerato che a tali piani sono
estranei i profili ambientali e sanitari, e il principio comunitario della
coltivabilità degli OGM se autorizzati, il rilascio dell’autorizzazione alla
coltivazione non può essere condizionato alla previa adozione dei piani di
coesistenza. Pertanto, non si può ritenere che in attesa dei c.d. piani di
coesistenza regionali, venga meno l’obbligo di istruzione e conclusione dei
procedimenti autorizzatori disciplinati da fonti legislative (e regolamentari)
diverse dal d.l. n. 279/2004. Pres. Barbagallo, Est. De Nictolis - Azienda
Agricola S. (avv. Pirocchi) c. Ministero delle politiche agricole, alimentari e
forestali (Avv. Stato). CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 19/01/2010, Sentenza n.
183
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N. 00183/2010 REG.DEC.
N. 08239/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
sul ricorso numero di registro generale 8239 del 2008, proposto da Azienda
Agricola Silvano Dalla Libera, rappresentato e difeso dall'avv. Gabriele
Pirocchi, con domicilio eletto presso il medesimo, in Roma, via Salaria, n. 280;
contro
Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per legge in Roma, via
dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del TAR LAZIO – ROMA, sez. II-ter, n. 2893/2008.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 dicembre 2009 il Cons. Rosanna De
Nictolis e uditi per le parti l’avvocato Pirocchi e l’avvocato dello Stato
Bacosi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’Azienda agricola odierna appellante chiedeva al Ministero delle politiche
agricole, alimentari e forestali l’autorizzazione alla messa in coltura di
varietà di mais geneticamente modificate iscritte nel catalogo comune europeo.
Stante l’inerzia dell’Amministrazione, l’Azienda con nota del 10 marzo 2007
notificava atto di diffida e messa in mora.
Con la nota 18 aprile 2007 il Ministero delle politiche agricole, alimentari e
forestali, in persona del capo del dipartimento delle politiche di sviluppo, ha
comunicato di “non poter procedere all’istruttoria della richiesta di
autorizzazione nelle more dell’adozione, da parte delle regioni, delle norme
idonee a garantire la coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e
transgeniche (piani regionali), come previsto anche dalla circolare MiPAAF del
31/03/2006”.
2. Con il ricorso di primo grado è stata impugnata detta nota, nonché tutti gli
atti prodromici ivi compresa la circolare ministeriale del 31 marzo 2006.
Si lamentava:
1) illegittimità del provvedimento di diniego e a monte della disciplina
legislativa nazionale, nella parte in cui subordina ad autorizzazione l’utilizzo
di sementi geneticamente modificate che sono già state autorizzate a livello
comunitario e iscritte nel catalogo comune;
2) illegittimità del provvedimento e della disciplina legislativa nazionale,
nella parte in cui estende agli aspetti sanitari e ambientali le valutazioni
relative all’autorizzazione all’immissione in commercio di sementi geneticamente
modificate, che attengono alla materia della coesistenza;
3) violazione del diritto comunitario sotto il profilo che vi sarebbe
nell’ordinamento italiano un divieto di utilizzo di OGM assunto in violazione
degli obblighi comunitari, non essendo stato previamente notificato alla
Commissione CE;
4) illegittimità del diniego di autorizzazione nella parte in cui si subordina
il rilascio dell’autorizzazione alla previa adozione dei piani regionali di
coesistenza; solo poche Regioni hanno avviato l’iter di approvazione delle norme
di attuazione del principio di coesistenza, restando le altre inerti; alcune
leggi regionali reiterano divieti assoluti di impiego di OGM in agricoltura in
contrasto con il diritto comunitario; tali leggi mal interpretano il principio
di coesistenza che atterrebbe ad aspetti economici e non a quelli
socio-sanitari.
Il ricorso di primo grado si conclude con la richiesta di annullamento dell’atto
impugnato e di risarcimento del danno per non aver potuto coltivare sementi
geneticamente modificate nell’anno 2007.
3. Il Tar adito (Tar Lazio – Roma, sez. II-ter), con la sentenza 7 aprile 2008
n. 2893 ha dichiarato il ricorso inammissibile per mancata notificazione ad
almeno un controinteressato, dovendosi intendere per tali le Regioni a cui si
imputa di non aver adottato i piani di coesistenza.
4. Ha proposto appello l’originaria ricorrente, osservando che le Regioni non
possono essere considerate controinteressate, perché non si può ipotizzare che
una pubblica Amministrazione abbia un legittimo interesse alla mancata
attuazione di norme comunitarie. Inoltre il procedimento autorizzatorio è di
esclusiva competenza statale, in quanto il principio di coesistenza attiene ad
aspetti esclusivamente commerciali.
Nel merito, vengono riproposte le censure di cui al ricorso di primo grado.
5. Il Consiglio di Stato, con ordinanza 18 novembre 2008 n. 6132, ha chiesto
chiarimenti al Ministero, forniti con nota depositata il 2 gennaio 2009.
6. Il mezzo di appello con cui si contesta la declaratoria di inammissibilità
del ricorso di primo grado è fondato.
Il procedimento autorizzatorio è di esclusiva competenza statale, e le Regioni
non intervengono in esso né come amministrazioni competenti, né come
destinatarie di comunicazioni o informative.
Le Regioni non possono pertanto essere considerate né nella veste di
amministrazioni resistenti né nella veste di controinteressati.
Né si possono qualificare le Regioni come controinteressate in base all’assunto
che avrebbero interesse al mancato rilascio delle autorizzazioni alla
coltivazione di OGM nelle more dell’adozione dei piani di coesistenza, perché si
tratterebbe di un interesse illegittimo, in contrasto con le direttive
comunitarie in materia, e dunque di un interesse di mero fatto che non le fa
assurgere al rango di controinteressati.
7. Occorre pertanto passare all’esame nel merito del ricorso di primo grado.
Giova in diritto considerare che la direttiva 2001/18/CE costituisce il testo
normativo fondamentale, in punto sia di “immissione in commercio” di OGM (tale
essendo, ai sensi dell'art. 2, comma 1, numero 2, di detta direttiva «un
organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato
modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l'accoppiamento e/o
la ricombinazione genetica naturale»), sia di “emissione deliberata” di OGM
nell'ambiente.
Tali nozioni, benché distinte e fondate su separate previsioni normative sono
nel loro insieme sufficientemente ampie per ricomprendervi ogni fase
dell'impiego di OGM in agricoltura, una volta superate le complesse fasi di
autorizzazione previste dalla medesima direttiva: tali procedure comportano una
penetrante valutazione, caso per caso, degli eventuali rischi per l'ambiente e
la salute umana, connessi all'immissione in commercio, ovvero anche
all'emissione di ciascun OGM ai fini dell'uso agricolo.
Le originarie disposizioni in tema di coltivazione degli OGM sono state
specificate dalla decisione della Commissione n. 2002/623/CE del 24 luglio 2002
(recante note orientative ad integrazione dell'Allegato II della direttiva
2001/18/CE) che ha ulteriormente arricchito i criteri cui attenersi per la
valutazione del rischio ambientale, anche con particolare ed espresso
riferimento alle “pratiche agricole”.
Sulla base di tali presupposti, il regolamento n. 1829/2003 del 22 settembre
2003 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo agli alimenti
ed ai mangimi geneticamente modificati), disciplinando con analoghe forme di
tutela il regime degli alimenti geneticamente modificati, ha chiarito (art. 7,
comma 5) che «l'autorizzazione concessa secondo la procedura […] è valida in
tutta la Comunità», ed ha introdotto nel corpo della direttiva 2001/18/CE l'art.
26 bis, secondo il quale «gli Stati membri possono adottare tutte le misure
opportune per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti». Questa
stessa disposizione si riferisce espressamente anche alla «coesistenza tra
culture transgeniche, convenzionali ed organiche».
Con ciò si viene a completare il quadro di tutela approntato dalla normativa
comunitaria in tema di OGM a presidio dell'ambiente e della salute.
Su un piano connesso, ma distinto, la raccomandazione 2003/556/CE del 23 luglio
2003 (Raccomandazione della Commissione recante orientamenti per lo sviluppo di
strategie nazionali e migliori pratiche per garantire la coesistenza tra culture
transgeniche, convenzionali e biologiche) disciplina in modo espresso ed
analitico la coesistenza tra culture transgeniche, convenzionali e biologiche
nell'ambito della produzione agricola, ponendo inoltre come sua esplicita
premessa il principio che «nell'Unione europea non deve essere esclusa alcuna
forma di agricoltura, convenzionale, biologica e che si avvale di OGM» (primo
“considerando”).
Tale raccomandazione, muovendo dalla premessa secondo cui “gli aspetti
ambientali e sanitari” connessi alla coltivazione di OGM sono affrontati e
risolti esaustivamente alla luce del regime autorizzatorio disciplinato dalla
direttiva 2001/18/CE, circoscrive espressamente il proprio campo applicativo ai
soli “aspetti economici connessi alla commistione tra culture transgeniche e non
transgeniche”, in relazione alle “implicazioni” che l'impiego di OGM può
comportare sulla “organizzazione della produzione agricola” (introduzione,
paragrafo 1.1).
Si tratta di «orientamenti, sotto forma di raccomandazioni non vincolanti
rivolte agli Stati membri», il cui campo di applicazione si estende dalla
produzione agricola a livello dell'azienda al primo punto di vendita, ossia “dal
seme al silo” (punto 1.5).
Il fatto che l'impiego di OGM autorizzati in agricoltura sia garantito dalla
normativa comunitaria ha trovato ulteriore conferma nella decisione 2003/653/CE
della Commissione europea del 2 settembre 2003 (relativa alle disposizioni
nazionali sul divieto di impiego di organismi geneticamente modificati
nell'Austria superiore, notificate dalla Repubblica d'Austria a norma dell'art.
95, par. 5, del Trattato CE), con cui, ai sensi dell'art. 95 del Trattato, è
stato respinto un progetto di legge del Land dell'Austria superiore, inteso a
vietare in via generale sul proprio territorio l'utilizzo di OGM, al fine di
proteggere i sistemi di produzione agricola tradizionali. In questa decisione si
è affermato che, in presenza delle disposizioni comunitarie in materia miranti a
“ravvicinare la legislazione degli Stati membri”, questi ultimi non possono
impedire la coltivazione delle sementi OGM autorizzate, ma semmai eventualmente
utilizzare la apposita “clausola di salvaguardia” di cui all'art. 23 della
medesima direttiva, peraltro sempre in riferimento all'impiego di singoli OGM.
Per ciò che riguarda la normativa italiana in questa materia, il decreto
legislativo 8 luglio 2003 n. 224, recependo la direttiva 2001/18/CE, pone
un'analitica e complessa disciplina di tutela allo specifico fine di «proteggere
la salute umana, animale e l'ambiente relativamente alle attività di rilascio di
organismi geneticamente modificati» (art. 1, co. 1).
In tale contesto è stato approvato il d.l. n. 279/2004, conv. in l. n. 5/2005,
testo normativo che esplicitamente si dichiara attuativo della raccomandazione
2003/556/CE, al fine di disciplinare il «quadro normativo minimo per la
coesistenza tra le colture transgeniche, e quelle convenzionali e biologiche» ed
esclude, invece, dalla propria area di competenza le colture per fini di ricerca
e sperimentazione autorizzate ai sensi del d.m. 19 gennaio 2005.
Tale decreto legge, come convertito, con modificazioni, dalla legge n.5/2005,
detta una disciplina volta ad assicurare la «coesistenza» tra colture
«transgeniche» (art. 1, comma 1: «escluse quelle per fini di ricerca e
sperimentazione, autorizzate ai sensi del decreto del ministro delle politiche
agricole e forestali adottato, d’intesa con il ministro dell’ambiente e della
tutela del territorio, in base all’art. 8, co. 6, d.lgs. 8 luglio 2003 n. 224»),
«biologiche» (che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. b, «adottano metodi di
produzione di cui al regolamento (Cee) n. 2092/91 del consiglio, del 24 giugno
1991») e «convenzionali» («che non rientrano in quelle definite alle lett. a e
b»). Siffatte colture, infatti, devono essere «praticate senza che l’esercizio
di una di esse possa compromettere lo svolgimento delle altre» (art. 2, comma
1). Ciò al fine di tutelare le peculiarità e le specificità produttive ed
evitare ogni forma di commistione tra le sementi transgeniche e quelle
convenzionali e biologiche (art. 2, comma 2). In particolare, l’introduzione di
colture transgeniche (che, ex art. 1, comma 2, lett. a, «fanno uso di organismi
geneticamente modificati, secondo la definizione di cui all’art. 3, d.lgs. 8
luglio 2003 n. 224») deve avvenire «senza alcun pregiudizio per le attività
agricole preesistenti e senza comportare per esse l’obbligo di modificare o
adeguare le normali tecniche di coltivazione e allevamento» (art. 2, comma 2
bis).
L’intervento del legislatore italiano fa seguito alla raccomandazione della
Commissione europea del 23 luglio 2003 2003/556, nella quale vengono formulati
gli orientamenti (non vincolanti) concernenti gli aspetti più strettamente
economici della coesistenza. Secondo la Commissione, «gli agricoltori dovrebbero
poter scegliere liberamente quale tipo di coltura praticare, convenzionale,
transgenica o biologica e nessuna di queste forme di agricoltura dovrebbe essere
esclusa nell’Unione europea. [...] La coesistenza si riferisce alla possibilità
per i conduttori agricoli di praticare una scelta tra colture geneticamente
modificate, produzione convenzionale e biologica, nel rispetto degli obblighi
regolamentari in materia di etichettatura o di standard di purezza» (all.
raccomandazione 2003/556 Ce, par. 1.1).
Il d.l. n. 279/2004 è stato espressamente adottato «in attuazione della
raccomandazione della Commissione 2003/556/CE del 23 luglio 2003» (art. 1), atto
comunitario che disciplina
“[l’]organizzazione della produzione agricola” per gli aspetti “economici”
conseguenti all'utilizzo in agricoltura di OGM ed, invece, estraneo a profili
“ambientali e sanitari”. Si tratta di un atto comunitario che si inserisce in un
preesistente quadro normativo vincolante, relativo alla prevenzione di
potenziali pregiudizi per l'ambiente e la salute umana legati all'impiego di
OGM. Inoltre, nel formulare tale raccomandazione, la Commissione europea muove
dal presupposto, ormai non più controverso nel diritto comunitario, costituito
dalla facoltà di impiego di OGM in agricoltura, purché autorizzati (Corte cost.
n. 116/2006).
Per la parte, quindi, che si riferisce al principio di coesistenza e che
implicitamente ribadisce la liceità dell'utilizzazione in agricoltura degli OGM
autorizzati a livello comunitario, il legislatore statale con l'adozione del
citato d.l. ha esercitato la competenza legislativa esclusiva dello Stato in
tema di tutela dell'ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, della
Costituzione), nonché quella concorrente in tema di tutela della salute (art.
117, terzo comma, della Costituzione), con ciò anche determinando l'abrogazione
per incompatibilità dei divieti e delle limitazioni in tema di coltivazione di
OGM che erano contenuti in alcune legislazioni regionali.
Infatti, la formulazione e specificazione del principio di coesistenza tra
colture transgeniche, biologiche e convenzionali, rappresenta il punto di
sintesi fra i divergenti interessi, di rilievo costituzionale, costituiti da un
lato dalla libertà di iniziativa economica dell'imprenditore agricolo e
dall'altro lato dall' esigenza che tale libertà non sia esercitata in contrasto
con l'utilità sociale, ed in particolare recando danni sproporzionati
all'ambiente e alla salute.
Con la sentenza della Corte costituzionale n. 116/2006 è stata dichiarata
l’incostituzionalità degli artt. 3, 4, 5, commi 3 e 4, 6, commi 1 e 2, 7 e 8,
del citato d.l., in quanto ritenuti irrispettosi della competenza legislativa
regionale in materia di agricoltura, atteso che disciplinavano l’adozione da
parte delle Regioni di piani di coesistenza, anziché lasciare alle Regioni la
competenza a disciplinare con proprie leggi tali piani. Più in particolare, ad
avviso della Consulta, spetta alle Regioni disciplinare la produzione agricola
in presenza anche di colture transgeniche, e segnatamente “le modalità di
applicazione del principio di coesistenza nei diversi territori regionali,
notoriamente molto differenziati dal punto di vista morfologico e produttivo”
(C. cost. n. 116/2006).
Giova sottolineare che la declaratoria di incostituzionalità ha riguardato anche
l’art. 8 del citato d.l., che in via transitoria vietava le coltivazioni
transgeniche a fini commerciali nelle more dell’adozione dei piani di
coesistenza.
8. Ciò premesso in diritto, in punto di fatto si deve osservare che dalle stesse
deduzioni depositate dall’Amministrazione emerge che non è contestato che le
varietà di mais geneticamente modificate per le quali è stata richiesta
l’autorizzazione alla messa a coltura sono già iscritte nel catalogo comune
europeo, e dunque non vi sono ostacoli di carattere sanitario o ambientale che
ai sensi dell’art. 23, direttiva 18/2001, giustifichino un intervento
precauzionale dello Stato membro in termini di divieto o di limitazione della
coltivazione.
Non è dunque contestato che la richiesta di autorizzazione è in astratto
accoglibile.
Sotto tale profilo, non possono trovare accoglimento le censure secondo cui si
sarebbe introdotta una deroga ai sensi dell’art. 23, direttiva 18/2001, come
tale necessitante di notifica agli organi comunitari.
9. Invece, da parte appellata viene opposto l’ostacolo della mancata adozione
dei piani regionali di coesistenza.
La questione di diritto è dunque se la mancata adozione di tali piani possa
costituire ostacolo al rilascio dell’autorizzazione.
Considerati i profili prettamente economici che devono essere regolamentati dai
piani di coesistenza, e considerato che a tali piani sono estranei i profili
ambientali e sanitari, e il principio comunitario della coltivabilità degli OGM
se autorizzati, il rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione non può essere
condizionato alla previa adozione dei piani di coesistenza.
Pertanto, non si può ritenere che in attesa dei c.d. piani di coesistenza
regionali, venga meno l’obbligo di istruzione e conclusione dei procedimenti
autorizzatori disciplinati, con disposizioni specifiche non toccate, neppure
indirettamente, dalla declaratoria di incostituzionalità, da fonti legislative
(e regolamentari) diverse dal d.l. n. 279/2004. Tanto più che, per stessa
affermazione della Consulta, non è più discutibile il principio comunitario,
ormai recepito nell’ordinamento nazionale, “costituito dalla facoltà di impiego
di OGM in agricoltura, purché autorizzati”. Ne discende, con tutta evidenza, che
il blocco generalizzato dei procedimenti di autorizzazione in attesa dei c.d.
piani di coesistenza regionali, esporrebbe lo Stato italiano a responsabilità
sul piano comunitario, rendendo di fatto inapplicabile nell’ordinamento
nazionale quello che è un principio imposto dal diritto comunitario.
A ciò può essere aggiunto che anche il richiamo al principio di precauzione, a
sostegno dell’impossibilità per l’Amministrazione di istruire e concludere i
procedimenti autorizzativi, si palesa nella specie inconferente, non avendo
l’Amministrazione indicato specifici studi scientifici ai quali potrebbe essere
eventualmente ricondotto un rischio per la salute umana, o altri beni o diritti
fondamentali, derivante dalla conclusione positiva dei medesimi procedimenti.
10. Per quanto esposto, l’appello va accolto e per l’effetto vanno annullati gli
atti impugnati e va dichiarato l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere
sull’istanza di autorizzazione, entro un termine di novanta giorni decorrente
dalla comunicazione o, se anteriore, notificazione della sentenza. Resta fermo
il potere dell’Amministrazione statale di avviare i procedimenti sostitutivi che
l’ordinamento appresta per il caso di inerzia delle Regioni nel dare attuazione
a obblighi comunitari.
11. Va invece respinta, per difetto di prova, che era onere di parte appellante
fornire, la domanda di risarcimento del danno.
12. La novità e complessità delle questioni giustifica la compensazione delle
spese di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta), definitivamente
pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie nei sensi di cui in
motivazione e, per l’effetto:
a) annulla i provvedimenti impugnati;
b) ordina all’Amministrazione di concludere il procedimento autorizzatorio nei
sensi e termini di cui in motivazione;
c) respinge la domanda di risarcimento del danno.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 dicembre 2009 con
l'intervento dei Signori:
Giuseppe Barbagallo, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere, Estensore
Roberto Garofoli, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Il Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/01/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione
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